Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Nini sine, spavaj sine
San te prevario
Beša ti se, beša ti se
Na moru kovala
Jedni kuju, jedni kuju
Drugi pozlaćuju
Treći nose, treći nose
Od zlata jabuku
Pati majka, pati majka
Udova ostala
Pati majka, pati majka
Udova ostala
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Nini sine, spavaj sine
San te prevario
Beša ti se, beša ti se
Na moru kovala
Jedni kuju, jedni kuju
Drugi pozlaćuju
Treći nose, treći nose
Od zlata jabuku
Pati majka, pati majka
Udova ostala
Pati majka, pati majka
Udova ostala
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
envoyé par Bernart Bartleby - 24/3/2016 - 23:12
Langue: italien
Traduzione italiana di Gaspard de la Nuit
25 marzo 2016, ore 03.30
25 marzo 2016, ore 03.30
NINNA-NANNA [NINNA BIMBO, DORMI BIMBO]
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Ninna bimbo, dormi bimbo [1]
Non riesci a dormire. [2]
La tua culla, la tua culla [3]
È stata fabbricata [4] in mare.
Alcuni la fabbricano, la fabbricano
Altri la riveston d'oro, riveston d'oro
Altri ancora portano, portano [5]
Una mela d'oro.
Tua mamma patisce, patisce,
È diventata vedova.
Tua mamma patisce, patisce,
È diventata vedova.
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Ninna bimbo, dormi bimbo [1]
Non riesci a dormire. [2]
La tua culla, la tua culla [3]
È stata fabbricata [4] in mare.
Alcuni la fabbricano, la fabbricano
Altri la riveston d'oro, riveston d'oro
Altri ancora portano, portano [5]
Una mela d'oro.
Tua mamma patisce, patisce,
È diventata vedova.
Tua mamma patisce, patisce,
È diventata vedova.
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
Mmmmm mmmm mmmmm...
[1] Alla lettera, “figlio” (sine, al caso vocativo).
[2] Oppure: "Ti è passata la nanna" (san è però il termine normale per "sonno"). prevariti, alla lettera, significa “ingannare, gabbare, fregare”. Prevarila ga puška = “Il fucile gli ha fatto cilecca”.
[3] Beša è arcaismo bosniaco all'interno del sistema serbocroato. Il termine locale è più normalmente bešika, derivato direttamente dal turco beşik “culla, cuna”. Il termine normale per “culla” è invece kolevka (ekavo), kolijevka (jekavo).
[4] Il verbo kovati (da cui anche kovač “fabbro”, diventato anche uno dei più comuni cognomi slavi meridionali e balcanici in genere) ha una pletora di significati: “battere il ferro, forgiare, fucinare, coniare, ferrare (di cavalli)” eccetera. Trattandosi qui di una culla assume evidentemente il significato di “costruire, fabbricare in legno”.
[5] Nel testo alla lettera: “(gli) uni...gli altri (i secondi)... i terzi”.
[2] Oppure: "Ti è passata la nanna" (san è però il termine normale per "sonno"). prevariti, alla lettera, significa “ingannare, gabbare, fregare”. Prevarila ga puška = “Il fucile gli ha fatto cilecca”.
[3] Beša è arcaismo bosniaco all'interno del sistema serbocroato. Il termine locale è più normalmente bešika, derivato direttamente dal turco beşik “culla, cuna”. Il termine normale per “culla” è invece kolevka (ekavo), kolijevka (jekavo).
[4] Il verbo kovati (da cui anche kovač “fabbro”, diventato anche uno dei più comuni cognomi slavi meridionali e balcanici in genere) ha una pletora di significati: “battere il ferro, forgiare, fucinare, coniare, ferrare (di cavalli)” eccetera. Trattandosi qui di una culla assume evidentemente il significato di “costruire, fabbricare in legno”.
[5] Nel testo alla lettera: “(gli) uni...gli altri (i secondi)... i terzi”.
Langue: anglais
English translation by Gaspard de la Nuit
March 25, 2016 03:50
March 25, 2016 03:50
LULLABY [HUSH LITTLE BABY, SLEEP LITTLE BABY]
Mmmmm mmmm mmm...
Mmmmm mmmm mmm...
Hush little baby, sleep little baby
You can't get to sleep.
Your cradle, your cradle
Was carved out at sea.
Some are carving, some are carving,
Others are goldplating, goldplating
And still others are carrying, are carrying
A golden apple.
Your mother is in sorrow, in sorrow
She became a widow.
Your mother is in sorrow, in sorrow,
She became a widow.
Mmmmm mmmm mmm...
Mmmmm mmmm mmm...
Mmmmm mmmm mmm...
Mmmmm mmmm mmm...
Hush little baby, sleep little baby
You can't get to sleep.
Your cradle, your cradle
Was carved out at sea.
Some are carving, some are carving,
Others are goldplating, goldplating
And still others are carrying, are carrying
A golden apple.
Your mother is in sorrow, in sorrow
She became a widow.
Your mother is in sorrow, in sorrow,
She became a widow.
Mmmmm mmmm mmm...
Mmmmm mmmm mmm...
Langue: bosniaque
Beša ti se na moru kovala: La ninna-nanna di derivazione, certi archetipi tra ninne-nanne bosgnacche e toscane e gli Intrecci della Storia Umana
Le uspavanke bosgnacche sono, come c'è perfettamente da aspettarsi, di origine turca e sono antichissime. Il motivo della “culla fabbricata in mare” è presente già in una ninna-nanna di origine probabilmente cinquecentesca intitolata appunto Beša ti se na moru kovala, che qui riportiamo data l'evidente derivazione da essa della uspavanka di questa pagina. Nel testo, i turchismi sono numerosi (tra parentesi, molti turchismi sono stati recentemente rimessi in auge per giustificare l'esistenza di una “lingua bosniaca” contrapposta al “serbo” e al “croato”, idiomi che di converso hanno teso ultimamente ad eliminare i turchismi sostituendoli con termini prettamente di origine slava).
La ninna-nanna originale (oppure: il ceppo originale della ninna-nanna) sembra veramente riportare alla notte dei tempi; già la “culla fabbricata in mare” è un tema che ricorda la nascita di Afrodite, così come un tratto mitologico assai remoto è quello della “mela d'oro” che riporta al Giardino delle Esperidi. Ma, nella cultura turca ottomana, l'appellativo di mela d'oro indicava, durante l'espansione dell' Impero Ottomano, la città da conquistare e quindi l'oggetto dei desideri del quale il sultano doveva poter fruire. Dapprima, il nome di “Mela d'Oro” si riferì alla città di Costantinopoli, che è del resto nominata specificamente (assieme a Sarajevo) nel testo della ninna-nanna: si potrebbe quindi addirittura trattare di una serie di metafore sull'espansione dell'Impero (la “culla”, ovvero l'Impero, “va di città in città” da Costantinopoli a Sarajevo, e “in ogni città” viene abbellita e adornata).
Ulteriore tratto da notte dei tempi sono i “tre orefici”. Le ninne-nanne sono, del resto, tra i testi più interessanti per tutta una serie di specialisti che vanno dai filologi agli etnologi, dai musicologi agli antropologi (di ninne-nanne a bizzeffe ce ne sono, ad esempio, nel famoso Ramo d'Oro di James Frazer; ve ne suggerirei caldamente la lettura, senonché la sua edizione abbreviata è un volume di 900 pagine circa). Se qualcosa di mitico e di simbolico è presente in una ninna-nanna, questo è invariabilmente in numero di tre. Nel sito abbiamo ad esempio la Ninna nanna di Barberino trovata e eseguita da Caterina Bueno, che è indiscutibilmente di origine duecentesca e dove ci sono “tre spose” le cui azioni (filare, annaspare e intrecciare la paglia) riproducono quelle delle Tre Parche, rimandando quindi ad epoche di antichità spaventosamente remota e a motivi i cui echi si erano tramandati popolarmente nelle ninne-nanne e nelle filastrocche per l'infanzia. Non deve stupire, dato che provengono dall'infanzia dell'Umanità.
Nella uspavanka che ha dato origine a questa pagina non viene specificato che si tratta di “tre orefici”: si tratta evidentemente di una stilizzazione in cui è stato perso il senso più antico. Ma i “tre orefici” del testo di derivazione chiariscono meglio la questione e potrebbero facilmente simboleggiare il sultano (il primo orefice che “fabbrica la culla”, vale a dire l'Impero; il secondo sarebbe il Gran Visir che “la riveste d'oro” abbellendola, e il terzo il capo dell'Esercito Imperiale, che “ci mette la mela d'oro” ovvero conquista nuove città e nuovi territori). Come la lontana “Ninna-nanna di Barberino”, anche qui si muoverebbe quindi da motivazioni belliche e di conquista.
Per finire, anche in questo testo c'è una madre che “intreccia panieri” (nella “Ninna-nanna di Barberino” c'è la sposa che “intreccia un cappellino di paglia”): dal numero di fili presenti nel paniere, trae auspici sugli anni che vivrà. Come si può vedere, siamo realmente di fronte ad alcuni archetipi che promanano da epoche lontanissime. Come è facile e lecito attendersi, tali archetipi, nelle diverse realtà locali e temporali, si sono intrecciati con motivi ed eventi contemporanei (la guerra Barberinese, l'espansione dell'Impero Ottomano).
Non resta che passare al testo della ninna-nanna (ed alla sua traduzione, inserita in questo caso di seguito al testo): forse, a modo suo, è una risposta a tutti i “Radovan Karadžić” di ogni tempo, ai pulitori etnici, ai fanatici della purezza, ai fabbricatori di muri: una semplice ninna-nanna nasconde tutti gli infiniti intrecci della Storia Umana, le contaminazioni, il viaggio dei miti e delle culture. Tutte cose che fanno orrore agli stolidi e agli assassini. [RV]
Le uspavanke bosgnacche sono, come c'è perfettamente da aspettarsi, di origine turca e sono antichissime. Il motivo della “culla fabbricata in mare” è presente già in una ninna-nanna di origine probabilmente cinquecentesca intitolata appunto Beša ti se na moru kovala, che qui riportiamo data l'evidente derivazione da essa della uspavanka di questa pagina. Nel testo, i turchismi sono numerosi (tra parentesi, molti turchismi sono stati recentemente rimessi in auge per giustificare l'esistenza di una “lingua bosniaca” contrapposta al “serbo” e al “croato”, idiomi che di converso hanno teso ultimamente ad eliminare i turchismi sostituendoli con termini prettamente di origine slava).
La ninna-nanna originale (oppure: il ceppo originale della ninna-nanna) sembra veramente riportare alla notte dei tempi; già la “culla fabbricata in mare” è un tema che ricorda la nascita di Afrodite, così come un tratto mitologico assai remoto è quello della “mela d'oro” che riporta al Giardino delle Esperidi. Ma, nella cultura turca ottomana, l'appellativo di mela d'oro indicava, durante l'espansione dell' Impero Ottomano, la città da conquistare e quindi l'oggetto dei desideri del quale il sultano doveva poter fruire. Dapprima, il nome di “Mela d'Oro” si riferì alla città di Costantinopoli, che è del resto nominata specificamente (assieme a Sarajevo) nel testo della ninna-nanna: si potrebbe quindi addirittura trattare di una serie di metafore sull'espansione dell'Impero (la “culla”, ovvero l'Impero, “va di città in città” da Costantinopoli a Sarajevo, e “in ogni città” viene abbellita e adornata).
Ulteriore tratto da notte dei tempi sono i “tre orefici”. Le ninne-nanne sono, del resto, tra i testi più interessanti per tutta una serie di specialisti che vanno dai filologi agli etnologi, dai musicologi agli antropologi (di ninne-nanne a bizzeffe ce ne sono, ad esempio, nel famoso Ramo d'Oro di James Frazer; ve ne suggerirei caldamente la lettura, senonché la sua edizione abbreviata è un volume di 900 pagine circa). Se qualcosa di mitico e di simbolico è presente in una ninna-nanna, questo è invariabilmente in numero di tre. Nel sito abbiamo ad esempio la Ninna nanna di Barberino trovata e eseguita da Caterina Bueno, che è indiscutibilmente di origine duecentesca e dove ci sono “tre spose” le cui azioni (filare, annaspare e intrecciare la paglia) riproducono quelle delle Tre Parche, rimandando quindi ad epoche di antichità spaventosamente remota e a motivi i cui echi si erano tramandati popolarmente nelle ninne-nanne e nelle filastrocche per l'infanzia. Non deve stupire, dato che provengono dall'infanzia dell'Umanità.
Nella uspavanka che ha dato origine a questa pagina non viene specificato che si tratta di “tre orefici”: si tratta evidentemente di una stilizzazione in cui è stato perso il senso più antico. Ma i “tre orefici” del testo di derivazione chiariscono meglio la questione e potrebbero facilmente simboleggiare il sultano (il primo orefice che “fabbrica la culla”, vale a dire l'Impero; il secondo sarebbe il Gran Visir che “la riveste d'oro” abbellendola, e il terzo il capo dell'Esercito Imperiale, che “ci mette la mela d'oro” ovvero conquista nuove città e nuovi territori). Come la lontana “Ninna-nanna di Barberino”, anche qui si muoverebbe quindi da motivazioni belliche e di conquista.
Per finire, anche in questo testo c'è una madre che “intreccia panieri” (nella “Ninna-nanna di Barberino” c'è la sposa che “intreccia un cappellino di paglia”): dal numero di fili presenti nel paniere, trae auspici sugli anni che vivrà. Come si può vedere, siamo realmente di fronte ad alcuni archetipi che promanano da epoche lontanissime. Come è facile e lecito attendersi, tali archetipi, nelle diverse realtà locali e temporali, si sono intrecciati con motivi ed eventi contemporanei (la guerra Barberinese, l'espansione dell'Impero Ottomano).
Non resta che passare al testo della ninna-nanna (ed alla sua traduzione, inserita in questo caso di seguito al testo): forse, a modo suo, è una risposta a tutti i “Radovan Karadžić” di ogni tempo, ai pulitori etnici, ai fanatici della purezza, ai fabbricatori di muri: una semplice ninna-nanna nasconde tutti gli infiniti intrecci della Storia Umana, le contaminazioni, il viaggio dei miti e delle culture. Tutte cose che fanno orrore agli stolidi e agli assassini. [RV]
Beša ti se na moru kovala,
Kovale je do tri kujundžije.
Jedan kuje, drugi pozlaćuje,
Treći meće od zlata jabuke.
Ode beša od grada do grada,
U svakom je dobro darovana,
U Stambolu svilom naložena,
U Saraj’vu dilbom pokrojena.
Dojde beša mom djetetu dragom,
U toj beši lijep san usnilo.
A majka mu tanke koše kroji,
Koše kroji, a godine broji:
- Koliko je u košulji žica,
Toliko mi živi godinica!
Koliko je na mahrami grana,
Toliko mi imao jarana!
La tua culla è stata fabbricata in mare,
L'hanno fabbricata tre orefici. [1]
Uno la fabbrica, l'altro la riveste d'oro,
Il terzo ci mette sopra una mela d'oro.
La culla va di città in città,
In ognuna riceve qualcosa di buono.
A Istanbul viene foderata di seta,
A Sarajevo [2] tagliata e cucita a patchwork. [3]
La culla va al mio caro bambino,
In quella culla fa una bella nanna.
E la sua mamma fa dei panieri,
Fa dei panieri e conta gli anni:
Quanti fili ci son nel paniere,
Tanti son gli anni che vivrò!
Quanti grani ci sono d'oro,
Tanti amanti io ho avuti!
Kovale je do tri kujundžije.
Jedan kuje, drugi pozlaćuje,
Treći meće od zlata jabuke.
Ode beša od grada do grada,
U svakom je dobro darovana,
U Stambolu svilom naložena,
U Saraj’vu dilbom pokrojena.
Dojde beša mom djetetu dragom,
U toj beši lijep san usnilo.
A majka mu tanke koše kroji,
Koše kroji, a godine broji:
- Koliko je u košulji žica,
Toliko mi živi godinica!
Koliko je na mahrami grana,
Toliko mi imao jarana!
La tua culla è stata fabbricata in mare,
L'hanno fabbricata tre orefici. [1]
Uno la fabbrica, l'altro la riveste d'oro,
Il terzo ci mette sopra una mela d'oro.
La culla va di città in città,
In ognuna riceve qualcosa di buono.
A Istanbul viene foderata di seta,
A Sarajevo [2] tagliata e cucita a patchwork. [3]
La culla va al mio caro bambino,
In quella culla fa una bella nanna.
E la sua mamma fa dei panieri,
Fa dei panieri e conta gli anni:
Quanti fili ci son nel paniere,
Tanti son gli anni che vivrò!
Quanti grani ci sono d'oro,
Tanti amanti io ho avuti!
[1] Nota linguistica. Il termine qui utilizzato, kujundžija, serve bene a dare un'idea degli intrecci linguistici balcanici. E' propriamente di origine turca (kuyumcu “orafo, gioielliere”) ma, a sua volta, il termine turco si basa su una radice slava (kuyu- è la radice del verbo kovati “forgiare”, “fabbricare”, presente tra l'altro in varie sue forme nel medesimo testo: kuje, kovala). Si tratta quindi di un cosidetto “Rückpferd”, o “cavallo di ritorno”. Il termine si diffonde nella forma turca evidentemente grazie allo splendore dell'arte orafa ottomana; e così, passa non solo in serbocroato bosniaco (o meglio, nello standard musulmano basato sul sistema serbocroato), ma anche in greco (κουγιουμτζής o κοεμτζής: qualcuno si ricorda dove ne abbiamo parlato qua una volta, di questa parola...?). A loro volta, i derivati slavi di kovati passano in mezze lingue balcaniche, specialmente kovač “fabbro” (che diventa, come “Fabbri” in Italia, come “Smith” in Inghilterra o come “Schmidt” in Germania, anche un diffusissimo cognome); e così, “fabbro” si dice kovács anche in ungherese, ad esempio.
[2] Tanto che siamo a parlare di intrecci, specifichiamo anche (come è certamente notissimo) che il nome di Sarajevo è una parola turca (saray, ovvero il famoso "Serraglio") munita di un suffisso slavo, -evo appunto.
[3] Dilbom corrisponde qui a diobom, da dioba "suddivisione, ripartizione, spezzettamento" (derivato da dio "parte"). Il verbo pokrojiti significa "tagliare diversi vestiti". La traduzione che ho usato non è forse molto adatta, ma rende l'idea: a Sarajevo la culla viene rivestita di qualcosa tagliata e cucita con pezzi diversi (il che può essere benissimo una metafora della suddivisione della città tra diverse religioni, culture, etnie, ma che formano un "unico tessuto" come il patchwork).
[2] Tanto che siamo a parlare di intrecci, specifichiamo anche (come è certamente notissimo) che il nome di Sarajevo è una parola turca (saray, ovvero il famoso "Serraglio") munita di un suffisso slavo, -evo appunto.
[3] Dilbom corrisponde qui a diobom, da dioba "suddivisione, ripartizione, spezzettamento" (derivato da dio "parte"). Il verbo pokrojiti significa "tagliare diversi vestiti". La traduzione che ho usato non è forse molto adatta, ma rende l'idea: a Sarajevo la culla viene rivestita di qualcosa tagliata e cucita con pezzi diversi (il che può essere benissimo una metafora della suddivisione della città tra diverse religioni, culture, etnie, ma che formano un "unico tessuto" come il patchwork).
envoyé par Gaspard de la Nuit - 25/3/2016 - 05:18
Io ho provato a verificare il testo all'ascolto, ma se Riccardo tu avessi voglia di dargli una controllata...
Grazie!
Saluti
Grazie!
Saluti
B.B. - 24/3/2016 - 23:15
Il testo va benissimo come lo hai messo, Bernart. Ma ora qui ci deve pensare Gaspard de la Nuit, lo vado a chiamare immediatamente...
Riccardo Venturi - 25/3/2016 - 03:13
Per Bernart. Come puoi vedere, il buon Gaspard ha dato decisamente una controllatina a questa pagina. Ora va giustamente a dormire, mentre si sveglia Riccardino. Buongiorno!
PS. Come da te suggerito, la pagina è stata messa anche nel percorso delle colonne sonore. Poi, per suggerimento sempre del Gaspard, anche tra le "Bisnonne", il percorso sulle più antiche. Ma qui, più che di antichità, si deve parlare di qualcosa anche di più.
PS. Come da te suggerito, la pagina è stata messa anche nel percorso delle colonne sonore. Poi, per suggerimento sempre del Gaspard, anche tra le "Bisnonne", il percorso sulle più antiche. Ma qui, più che di antichità, si deve parlare di qualcosa anche di più.
Riccardo Venturi - 25/3/2016 - 05:44
Merci Gaspard! Muchas gracias Ricardito!
Davvero una bella pagina per una splendida canzone, grazie di averla cosi ben valorizzata.
E in culo a Karadžić e a tutti i vigliacchi massacratori di ieri e di oggi!
Un abbraccio
Davvero una bella pagina per una splendida canzone, grazie di averla cosi ben valorizzata.
E in culo a Karadžić e a tutti i vigliacchi massacratori di ieri e di oggi!
Un abbraccio
Bernart Bartleby - 25/3/2016 - 10:27
Incredibile! Ma "Pati majka, udova ostala" è quasi italiano: "Patisce madre, vedova rimasta"...
B.B. - 25/3/2016 - 10:41
Caro Bernart, ti do il mio benvenuto ner màggico mondo della linguistica storica indoeuropea. E certamente che quelle parole “sembrano italiane”: sono tra le più antiche del patrimonio linguistico indoeuropeo e venivano già usate in un punto imprecisato dell'Asia centrale facciamo, fra ninnoli e nannoli, un settemila e rotti anni fa. E così udova è quasi l'italiano “vedova” (in russo si dice vdovà), ma ancor più quasi il latino vidua, quasi l'inglese widow, quasi il tedesco Witwe; pati (infinito: patiti) è sì quasi l'italiano “patire” (e il latino patior), ma anche quasi il greco πάσχω (da *path-sko), aoristo ἔπαθον, sostantivo πάθος “sofferenza, pena, pathos”. Ostala è il passato femminile (un tempo un participio, però) del verbo ostati “restare, rimanere”, derivato dal verbo stati che, toh, significa “stare” (tedesco stehen, aoristo greco ἔστην “io stetti” ecc.). E non solo: nota bene che il vocativo serbocroato termina in -e (sine “o figlio!”) come quello latino e greco. A proposito: sin “figlio” è quasi l'inglese son, quasi il tedesco Sohn, quasi il gotico sunus, quasi il lituano sūnus eccetera. Majka “mamma” è il comune termine affettivo, ma “madre” in senso ufficiale e non affettivo si dice, in serbocroato, mati, genitivo matere. E così via. Tu pensa alla faccia del mercante e viaggiatore fiorentino Filippo Sassetti che fu tra i primi europei a conoscere e studiare il sanscruto, come lo chiamava: si accorse che “dio” si diceva deva, che “sette” (7) si diceva sapta, che “9” si diceva nava e che “serpe” si diceva sarpa. E usò praticamente la tua stessa espressione nel suo diario di viaggio del 1585: "Le parole del sanscruto le sembran toscane". Da vecchio e incallito indoeuropeista, mi fa sempre piacere notare la meraviglia di fronte a queste cose; la stessa, magari, di chi scoprì che, in lingua ittita, “acqua” si diceva watar e che “100” si dice känt in lingua tocaria, idioma indoeuropeo parlato verso il IX secolo d.C. nel Turkestan cinese. Salud e un abbraccio a te Bernart!
Riccardo Venturi - 25/3/2016 - 12:03
E come non ricordare un cognome come Kowalski, strapolacco e a stesso tempo transgalattico! È il secondo cognome più diffuso in Polonia e cede il primo posto solo al più transnazionale Nowak (che si potrebbe spiegare semplicemente come Novetto, Novo e a sua volta testimonia la mobilità frenetica delle popolazioni antiche). Il cognome Kowalski deriva dal nome dato a diversi paesi, i quali Kowale, Kowalskie ed è stato creato aggiungendo al codesto nome un affisso (o formante) -ski. Mi incuriosiva sempre il fatto che anche certi cognomi albanesi in Albania e Macedonia portano lo stesso formante alla fine. Va bene, ma torniamo al dunque. Ovviamente, gli antichi nomi di paesi prendevano la sua forma dalla figura di "kowal", ovvero "maniscalco", "fabbro". E qua ci agganciamo alla dinastia dei Piast, chiamata all'appello da Rick in uno degli suoi interventi recenti, la quale (ho controllato :), comincia a immporsi nel IX secolo d.c., governando inizialmente i territori della odierna Grande Polonia (in latino: Polonia Maior). Ebbene, il mitico fondatore della casa regnante fu Piast Kołodziej, come dice la leggenda, che sia nel nome Piast (secondo alcuni storici), che nel sopranome Kołodziej(e qui andiamo sul sicuro) richiama il mestiere, l'arte, la professione di fabbro, visto che nella libera traduzione "kolo-zziei" significa "colui che faccia, fa funzionare le ruote". Ecco un'altra testimonianza molto significativa, nel IX secolo LA RUOTA era già conosciuta dalle parti nostra :)
Chiederete però, come mai ho insinuato la presunta "transgalatticità" di questo, così popolare e riconosciutissimo cognome, che ritorna con una invidiabile frequenza nei diversi immaginari colletivi legati alla cultura di massa sopratutto con la forza di un boomerang? Ecco, cosa ho scoperto giusto oggi, preparando il mio commento. Richard A. Kowalski è un astronomo statunitense dilettante, un "acchiappacomete" e molto altro.
Basta sapere che:
On October 6, 2008, while observing with the CSS 1.5 meter (60") telescope at the peak of Mount Lemmon, he discovered 2008 TC3. Approximately 20 hours after its discovery this asteroid entered the Earth's atmosphere over Sudan, becoming the first asteroid discovered before impact with the earth. Kowalski was honored with a small piece of 2008 TC3.
On January 1, 2014 Kowalski found another impacting asteroid, this was designated 2014 AA. The impact zone for this asteroid was in the middle of the Atlantic Ocean.
Asteroid 7392[8] is named in his honor.
Kowalski is a FAA certified commercial pilot holding Instrument and flight instructor ratings. He also runs a free-lance photography studio in Tucson, Arizona.
Scritto questo Vi saluto serenamente da quel microcosmo che si trova al centro della regione della Bassa Slesia approssimativamente.
Vostro Krzysiu
Chiederete però, come mai ho insinuato la presunta "transgalatticità" di questo, così popolare e riconosciutissimo cognome, che ritorna con una invidiabile frequenza nei diversi immaginari colletivi legati alla cultura di massa sopratutto con la forza di un boomerang? Ecco, cosa ho scoperto giusto oggi, preparando il mio commento. Richard A. Kowalski è un astronomo statunitense dilettante, un "acchiappacomete" e molto altro.
Basta sapere che:
On October 6, 2008, while observing with the CSS 1.5 meter (60") telescope at the peak of Mount Lemmon, he discovered 2008 TC3. Approximately 20 hours after its discovery this asteroid entered the Earth's atmosphere over Sudan, becoming the first asteroid discovered before impact with the earth. Kowalski was honored with a small piece of 2008 TC3.
On January 1, 2014 Kowalski found another impacting asteroid, this was designated 2014 AA. The impact zone for this asteroid was in the middle of the Atlantic Ocean.
Asteroid 7392[8] is named in his honor.
Kowalski is a FAA certified commercial pilot holding Instrument and flight instructor ratings. He also runs a free-lance photography studio in Tucson, Arizona.
Scritto questo Vi saluto serenamente da quel microcosmo che si trova al centro della regione della Bassa Slesia approssimativamente.
Vostro Krzysiu
Krzysiek Wrona - 25/3/2016 - 20:07
CCG/AWS Staff - 25/3/2016 - 20:20
C'è molto di più, vi assicuro :)
Da Marlon Brando della versione cinematografica della piece "A Streetcar Named Desire" di Tennessee Williams a uno dei pinguini dell'animato "Madagascar" (si veda qui).
Da Marlon Brando della versione cinematografica della piece "A Streetcar Named Desire" di Tennessee Williams a uno dei pinguini dell'animato "Madagascar" (si veda qui).
Krzysiek - 25/3/2016 - 20:32
Okkei, okkei, adesso va bene la linguistica, ma finchè si rimane aderenti all’argomento...
Francamente lo scopritore d’asteroidi, Marlon Brando e i pinguini del Madagascar mi riescono stucchevoli a commento di una canzone, antica, dolente e contribuita per via della condanna (in primo grado, purtroppo) del boia di Srebrenica e di Sarajevo!
Restiamo umani, prima di tutto, e poi cerchiamo anche di restare nel seminato!
Le agenzie di stampa riportano parecchie imprecisioni sulla condanna di Radovan Karadžić.
La cosa migliore è leggersi quanto meno il comunicato stampa sul sito del Tribunale dell’Aja, in inglese, francese e bosniaco (ma quest’ultimo più stringato).
In italiano, la sintesi migliore che ho trovato (insieme a quella un po’ autoreferenziale di Amnesty International) è quella di Marina Landi su Gariwo, la foresta dei giusti, che riporto integralmente:
Francamente lo scopritore d’asteroidi, Marlon Brando e i pinguini del Madagascar mi riescono stucchevoli a commento di una canzone, antica, dolente e contribuita per via della condanna (in primo grado, purtroppo) del boia di Srebrenica e di Sarajevo!
Restiamo umani, prima di tutto, e poi cerchiamo anche di restare nel seminato!
Le agenzie di stampa riportano parecchie imprecisioni sulla condanna di Radovan Karadžić.
La cosa migliore è leggersi quanto meno il comunicato stampa sul sito del Tribunale dell’Aja, in inglese, francese e bosniaco (ma quest’ultimo più stringato).
In italiano, la sintesi migliore che ho trovato (insieme a quella un po’ autoreferenziale di Amnesty International) è quella di Marina Landi su Gariwo, la foresta dei giusti, che riporto integralmente:
Il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, con sede all’Aja, ha ritenuto Radovan Karadžić colpevole per il genocidio di Srebrenica. La Corte ha assolto Karadžić, per insufficienza di prove, da una delle accuse di genocidio riguardante crimini commessi in alcuni villaggi della Bosnia Erzegovina. Per queste stesse vicende, l'imputato è stato giudicato invece colpevole di crimini contro l'umanità, omicidio e persecuzione. Karadžić è stato inoltre ritenuto responsabile anche per i reati contestati in relazione all'assedio di Sarajevo - durato dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996 - e dell'utilizzo di 284 caschi blu dell'Onu come scudi umani. Nonostante la richiesta dell'ergastolo da parte del Procuratore, il Tribunale ha condannato Karadzic a 40 anni di carcere.
La sentenza ha una grande rilevanza storica, in quanto Karadžić è il leader di più alto livello a ricevere un verdetto definitivo dal Tribunale - dal momento che il presidente serbo Slobodan Milošević è deceduto in cella nel 2006 prima che i giudici giungessero a sentenza contro di lui. Il processo è durato sei anni e mezzo, con oltre 600 testimoni, 11mila reperti e decine di migliaia di documenti.
Karadžić era fondatore e presidente del Partito Democratico Serbo (Srpska Demokratska Stranka, SDS) della Repubblica Socialista della Bosnia-Erzegovina. Il 13 maggio 1992 - dopo che il governo prevalentemente musulmano della capitale Sarajevo votò per l’uscita dalla Federazione Jugoslava - divenne il primo Presidente dell'amministrazione serbo-bosniaca, assumendo tra i suoi poteri anche il comando dell'esercito. Egli era quindi la massima autorità civile e militare della Republika Srpska.
Incriminato nel 1995, Karadzic fu arrestato solo il 21 luglio 2008 [si travisava da guru della medicina alternativa, con studi a Belgrado e Vienna, ndr]. Il processo a suo carico è iniziato nell’ottobre 2009, con 11 capi di accusa - tra cui due per genocidio, cinque per crimini contro l’umanità e quattro per violazioni delle leggi e degli usi della guerra. Nel dettaglio, Karadzic è stato accusato di aver compiuto, in concerto con altri componenti delle forze armate - tra cui il generale Ratko Mladic, a sua volta sotto processo all’Aja - atti volti allo sterminio della popolazione croata e musulmana, con lo scopo di rimuovere tali gruppi etnici dalla Bosnia-Erzegovina. Tra tali episodi, il più noto è il massacro di Srebrenica dell’11 luglio 1995, emblema del conflitto balcanico, durante il quale le truppe di Mladic uccisero più di 8mila tra uomini e ragazzi.
Una volta alla sbarra, Karadzic ha continuato a dichiararsi innocente, nonostante le testimonianze dei sopravvissuti. “Non provava dolore, né rimorso - hanno raccontato diversi testimoni - ma anzi cercava ancora di incolpare noi. È arrivato a dire che le vedove e le mogli di Srebrenica avevano seppellito delle bare vuote solo per danneggiare la sua immagine”.
A più di vent’anni dalla fine della guerra, il Paese è ancora diviso, e la sentenza ai danni di Karadzic rischia di esacerbare ulteriormente le tensioni. Le fratture tra gruppi etnici che hanno portato al conflitto non si sono sanate con la fine delle ostilità. Al contrario, il trattato di pace di Dayton del 1995 ha di fatto cristallizzato tale frammentazione, dividendo la Bosnia in due principali entità, la Federazione croato-musulmana e la Repubblica Srpska, serba. A livello politico, vengono eletti un presidente croato cattolico, uno serbo ortodosso e uno bosniaco musulmano.
Il congelamento delle divisioni etniche è stato solidificato anche dal censimento della popolazione del 15 ottobre 2013, il primo dopo la guerra - i cui dati ufficiali non sono ancora stati resi pubblici. Ai cittadini veniva infatti richiesto di specificare la propria appartenenza etnica, sbarrando una delle tre caselle a disposizione o scrivendo per esteso il proprio gruppo in un apposito spazio, ma non esisteva una casella che indicasse la semplice cittadinanza “bosniaco erzegovese”.
Se la politica risulta così divisiva, la memoria non segue una strada diversa. Se per musulmani e croati Karadzic è un criminale di guerra, per i serbo bosniaci continua ad essere uno dei fondatori della Repubblica. Proprio per questo, pochi giorni prima della sentenza dell’Aja, il presidente serbo bosniaco Milorad Dodik ha inaugurato un dormitorio universitario dedicato a Karadzic, invitando la moglie e la figlia dell’ex presidente serbo a scoprire la targa in suo onore.
“Radovan Karadzic è stato processato - dicono molti attivisti - ma non lo è stato il suo progetto, ovvero la Repubblica Srpska”. Se oggi è infatti fallito il sogno di dominio militare dell’ex leader serbo bosniaco, il suo progetto politico è ancora reale, e anzi è rafforzato da un sistema educativo che prevede programmi scolastici diversi per i vari gruppi etnici, soprattutto nell’insegnamento della storia.
La sentenza ha una grande rilevanza storica, in quanto Karadžić è il leader di più alto livello a ricevere un verdetto definitivo dal Tribunale - dal momento che il presidente serbo Slobodan Milošević è deceduto in cella nel 2006 prima che i giudici giungessero a sentenza contro di lui. Il processo è durato sei anni e mezzo, con oltre 600 testimoni, 11mila reperti e decine di migliaia di documenti.
Karadžić era fondatore e presidente del Partito Democratico Serbo (Srpska Demokratska Stranka, SDS) della Repubblica Socialista della Bosnia-Erzegovina. Il 13 maggio 1992 - dopo che il governo prevalentemente musulmano della capitale Sarajevo votò per l’uscita dalla Federazione Jugoslava - divenne il primo Presidente dell'amministrazione serbo-bosniaca, assumendo tra i suoi poteri anche il comando dell'esercito. Egli era quindi la massima autorità civile e militare della Republika Srpska.
Incriminato nel 1995, Karadzic fu arrestato solo il 21 luglio 2008 [si travisava da guru della medicina alternativa, con studi a Belgrado e Vienna, ndr]. Il processo a suo carico è iniziato nell’ottobre 2009, con 11 capi di accusa - tra cui due per genocidio, cinque per crimini contro l’umanità e quattro per violazioni delle leggi e degli usi della guerra. Nel dettaglio, Karadzic è stato accusato di aver compiuto, in concerto con altri componenti delle forze armate - tra cui il generale Ratko Mladic, a sua volta sotto processo all’Aja - atti volti allo sterminio della popolazione croata e musulmana, con lo scopo di rimuovere tali gruppi etnici dalla Bosnia-Erzegovina. Tra tali episodi, il più noto è il massacro di Srebrenica dell’11 luglio 1995, emblema del conflitto balcanico, durante il quale le truppe di Mladic uccisero più di 8mila tra uomini e ragazzi.
Una volta alla sbarra, Karadzic ha continuato a dichiararsi innocente, nonostante le testimonianze dei sopravvissuti. “Non provava dolore, né rimorso - hanno raccontato diversi testimoni - ma anzi cercava ancora di incolpare noi. È arrivato a dire che le vedove e le mogli di Srebrenica avevano seppellito delle bare vuote solo per danneggiare la sua immagine”.
A più di vent’anni dalla fine della guerra, il Paese è ancora diviso, e la sentenza ai danni di Karadzic rischia di esacerbare ulteriormente le tensioni. Le fratture tra gruppi etnici che hanno portato al conflitto non si sono sanate con la fine delle ostilità. Al contrario, il trattato di pace di Dayton del 1995 ha di fatto cristallizzato tale frammentazione, dividendo la Bosnia in due principali entità, la Federazione croato-musulmana e la Repubblica Srpska, serba. A livello politico, vengono eletti un presidente croato cattolico, uno serbo ortodosso e uno bosniaco musulmano.
Il congelamento delle divisioni etniche è stato solidificato anche dal censimento della popolazione del 15 ottobre 2013, il primo dopo la guerra - i cui dati ufficiali non sono ancora stati resi pubblici. Ai cittadini veniva infatti richiesto di specificare la propria appartenenza etnica, sbarrando una delle tre caselle a disposizione o scrivendo per esteso il proprio gruppo in un apposito spazio, ma non esisteva una casella che indicasse la semplice cittadinanza “bosniaco erzegovese”.
Se la politica risulta così divisiva, la memoria non segue una strada diversa. Se per musulmani e croati Karadzic è un criminale di guerra, per i serbo bosniaci continua ad essere uno dei fondatori della Repubblica. Proprio per questo, pochi giorni prima della sentenza dell’Aja, il presidente serbo bosniaco Milorad Dodik ha inaugurato un dormitorio universitario dedicato a Karadzic, invitando la moglie e la figlia dell’ex presidente serbo a scoprire la targa in suo onore.
“Radovan Karadzic è stato processato - dicono molti attivisti - ma non lo è stato il suo progetto, ovvero la Repubblica Srpska”. Se oggi è infatti fallito il sogno di dominio militare dell’ex leader serbo bosniaco, il suo progetto politico è ancora reale, e anzi è rafforzato da un sistema educativo che prevede programmi scolastici diversi per i vari gruppi etnici, soprattutto nell’insegnamento della storia.
Bernart Bartleby - 25/3/2016 - 22:09
In primo luogo ti volevo ringraziare personalmente per questo contributo. È una canzone veramente bella, secondo me.
Se poi non trovo troppo gusto nel guardare un'ennesima volta la faccia di 'sto boia, e un altro fatto.
Vorrei ricordare, comunque, che qua non sono mica io a accettare o meno eventuali commenti. Se i miei, come i tuoi del resto, vengono ammessi o gestiti in questo o un altro modo, dipende dagli nostri "radiosi" admin's :)
Un salutone
Krzysiek
Se poi non trovo troppo gusto nel guardare un'ennesima volta la faccia di 'sto boia, e un altro fatto.
Vorrei ricordare, comunque, che qua non sono mica io a accettare o meno eventuali commenti. Se i miei, come i tuoi del resto, vengono ammessi o gestiti in questo o un altro modo, dipende dagli nostri "radiosi" admin's :)
Un salutone
Krzysiek
Krzysiek - 25/3/2016 - 22:29
Oggi ho sentito in radio una testimonianza di Giovanna Botteri, la giornalista che è corrispondente RAI dagli USA... Tra il 1992 ed il 1996 è stata inviata speciale a seguire il conflitto in Bosnia. Ha coperto anche l’assedio di Sarajevo ed il massacro di Srebrenica... Uno dei cineoperatori con cui lavorava allora era Miran Hrovatin, poi ucciso nel 1994 a Mogadiscio insieme ad Ilaria Alpi... E come Hrovatin anche la Botteri è di Trieste, e in più è di madre montenegrina e i Balcani li conosce come le sue tasche...
Lei diceva che aver lasciato allora soli i musulmani di Bosnia è stato uno dei più gravi errori (e tanti sono, imperdonabili) fatti dai nostri “leader”, e oggi li sta pagando la nostra gente che viene fatta saltare in aria a Parigi e Bruxelles...
Lei diceva che aver lasciato allora soli i musulmani di Bosnia è stato uno dei più gravi errori (e tanti sono, imperdonabili) fatti dai nostri “leader”, e oggi li sta pagando la nostra gente che viene fatta saltare in aria a Parigi e Bruxelles...
Bernart Bartleby - 25/3/2016 - 22:32
Senza sminuire le colpe di mostri come Radovan Karadžić raccomanderei di non credere neanche alla favola dei bosniaci musulmani "buoni". Ho visto un istruttivo documentario sulla morte di Gabriele Locatelli che spiegava come tra i "difensori" di Sarajevo da parte bosniaca figuravano individui come il famigerato comandante Caco, che affamavano la popolazione, trafficavano con i caschi blu e vendevano droga (prima della guerra erano criminali comuni). Il pacifista italiano fu con ogni probabilità ucciso proprio dalla banda di Caco.
Lorenzo - 25/3/2016 - 23:38
Di "buoni", in questa tristissima storia di nazionalismi, di "nuovi ordini", di riassetti geopolitici e quant'altro, infatti non ce n'è proprio nessuno...
Riccardo Venturi - 26/3/2016 - 09:48
Mušan "Caco" Topalović era un piccolo gangster di Sarajevo. Si fece una piccola brigata di gente come lui, rifiutando di sottostare al comando dell’armata bosgnacca. Il suo gruppo si macchiò di ogni genere di efferatezze e brutalità e quando i suoi cercarono di fermarlo lui uccise anche i poliziotti che dovevano trarlo in arresto. Poi si arrese e fu trucidato sul posto da altri poliziotti, tra cui c’erano familiari degli assassinati, bosgnacchi come lui...
Ho riletto l’intervista ad Ontanetti a commento del link da te citato sulla morte di Locatelli e non ho potuto fare a meno di pensare che fu un gravissima imprudenza da parte dei “Beati” consegnare il proprio destino nelle mani di uomini come Caco e i suoi... E Locatelli e i suoi compagni sapevano benissimo di cosa quei bastardi fossero capaci...
Qui c’è un interessante articolo sui signori della guerra nella ex Jugoslavia e sul loro destino... Tagliagole come Caco ce n’erano in tutte la fazioni, tra i serbi, tra i croati, tra i bosgnacchi... Ce ne sono in tutte le guerre, ma non credo che si possa nemmeno lontanamente paragonare le responsabilità di questi “lanzichenecchi” a quelle di un Karadžić, o di un Milošević, o di un Mladić, o di un Tuđman. E Infatti i primi tre sono andati tutti all’Aja, e l’ultimo non c’è andato perchè era paraculato dagli USA e poi comunque è morto nel 1999... L’unico leader a non essere mai internazionalmente perseguito per crimini di guerra è stato il musulmano Izetbegović (morto nel 2003) ma il suo appello ai correligionari per venire in aiuto dei bosgnacchi aggrediti sia dai serbi che dai croati ha fatto sì che la Bosnia sia diventata un ricettacolo di mujahiddin, ponendo le basi di un forte nucleo di radicalisti islamici, ben addestrati al Jihād, nel cuore dell’Europa. Inoltre credo che proprio allora i musulmani di tutto il mondo abbiano corroborato definitivamente la loro convinzione di essere in guerra contro tutti e di doversela cavare da soli, la stessa logica che sta dietro alle migliaia di volontari stranieri nelle milizie dello Stato islamico mentre invece praticamente nessuno dall’Europa parte per andare a combattere coi curdi...
Credo che la Botteri volesse dire proprio questo: impedire Srebrenica, impedire Sarajevo, aiutare allora i musulmani bosniaci forse avrebbe potuto contribuire oggi a risparmiarci un po’ di orrore...
Non so se sono stato chiaro e non so nemmeno se è corretto fino in fondo ciò che ho scritto, il tema delle guerre nella ex Jugoslavia è molto complesso e provare a rapportarlo all’oggi ancora di più... Ho provato semplicemente a dire quello che penso al proposito e perchè condivido quanto affermava la Botteri...
Ho riletto l’intervista ad Ontanetti a commento del link da te citato sulla morte di Locatelli e non ho potuto fare a meno di pensare che fu un gravissima imprudenza da parte dei “Beati” consegnare il proprio destino nelle mani di uomini come Caco e i suoi... E Locatelli e i suoi compagni sapevano benissimo di cosa quei bastardi fossero capaci...
Qui c’è un interessante articolo sui signori della guerra nella ex Jugoslavia e sul loro destino... Tagliagole come Caco ce n’erano in tutte la fazioni, tra i serbi, tra i croati, tra i bosgnacchi... Ce ne sono in tutte le guerre, ma non credo che si possa nemmeno lontanamente paragonare le responsabilità di questi “lanzichenecchi” a quelle di un Karadžić, o di un Milošević, o di un Mladić, o di un Tuđman. E Infatti i primi tre sono andati tutti all’Aja, e l’ultimo non c’è andato perchè era paraculato dagli USA e poi comunque è morto nel 1999... L’unico leader a non essere mai internazionalmente perseguito per crimini di guerra è stato il musulmano Izetbegović (morto nel 2003) ma il suo appello ai correligionari per venire in aiuto dei bosgnacchi aggrediti sia dai serbi che dai croati ha fatto sì che la Bosnia sia diventata un ricettacolo di mujahiddin, ponendo le basi di un forte nucleo di radicalisti islamici, ben addestrati al Jihād, nel cuore dell’Europa. Inoltre credo che proprio allora i musulmani di tutto il mondo abbiano corroborato definitivamente la loro convinzione di essere in guerra contro tutti e di doversela cavare da soli, la stessa logica che sta dietro alle migliaia di volontari stranieri nelle milizie dello Stato islamico mentre invece praticamente nessuno dall’Europa parte per andare a combattere coi curdi...
Credo che la Botteri volesse dire proprio questo: impedire Srebrenica, impedire Sarajevo, aiutare allora i musulmani bosniaci forse avrebbe potuto contribuire oggi a risparmiarci un po’ di orrore...
Non so se sono stato chiaro e non so nemmeno se è corretto fino in fondo ciò che ho scritto, il tema delle guerre nella ex Jugoslavia è molto complesso e provare a rapportarlo all’oggi ancora di più... Ho provato semplicemente a dire quello che penso al proposito e perchè condivido quanto affermava la Botteri...
Bernart Bartleby - 27/3/2016 - 22:42
In origine forma di canto proprio della popolazione musulmana di Bosnia, la sevdah o sevdalinka è diventata in un certo senso un genere nazionale, in quel processo culturale di ‘creazione’ identitaria che ha prodotto la frantumazione della Jugoslavia e ha portato, con le guerre balcaniche di fine Novecento, alla nascita dello stato della Bosnia-Erzegovina. Alla radice della parola c’è forse l’arabo ‘sawda’ (bile nera, responsabile dello spleen, secondo credenze antiche) o ancora il turco ‘sevda’ (che è l’amore passionale, ma anche quello venato di tristezza), termini che rimandano comunque a un mood malinconico. Le sevdalinka si presentano sotto forme diverse di canto e d’accompagnamento; l’uso della voce piena di melismi, il ritmo libero, il rubato, gli elementi microtonali sono il lascito del mondo orientale, mentre l’ambito strumentale, con la presenza di strumenti come fisarmonica, violino e chitarra, che hanno affiancato o sostituito il liuto a manico lungo saz, è riconducibile al portato musicale occidentale. Volendo, forzatamente, sintetizzare, è chiaro che la sevdah è un prodotto sincretico, sedimentatosi nella confluenza tra retaggio multiculturale ottomano (in cui non sono estranei i contributi sefarditi e rom) e mondo europeo, soprattutto di matrice austro-ungarica e slava. Sebbene i temi più comuni abbiano da sempre riguardato l’amore romantico, con tanto di abbandoni e struggimenti e testi pieni di simboli e metafore, molte sevdalinka celebrano luoghi e personaggi.
blogfoolk.com
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dq82 - 1/4/2016 - 18:23
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Bošnjak [*] traditional lullaby
[*] Bosgnacco = musulmano bosniaco
[*] Bošnjak = Bosnian muslim
Nella colonna sonora del film “Ničija zemlja” (“No Man’s Land”) diretto nel 2001 dal regista bosniaco Danis Tanović.
Una ninna nanna interpretata dalla splendida voce di Alma Bandić, cantante bosniaca di Sarajevo che negli anni 90 era membro della corale del locale Conservatorio, la Muzička Akademija Univerziteta u Sarajevu.
Contribuisco questa incredibile canzone nel giorno in cui il tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, dopo un processo durato 6 anni, ha condannato a 40 anni di carcere l’ex Presidente della Repubblica Srpska Radovan Karadžić, riconosciuto colpevole di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra compiuti ai danni delle comunità musulmane e croate bosniache durante il conflitto in Bosnia ed Erzegovina tra il 1992 ed il 1995, in particolare per il massacro di Srebrenica e l’assedio di Sarajevo.