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Mr. President

Jean Marie Benjamin
Language: Italian


Jean Marie Benjamin

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Qual è stato il costo della presidenza Bush per l'America e per il mondo? E a chi mandare il conto?

In otto anni, dal 2001 al 2009, ci siamo intrappolati in un tunnel dal quale ancora non siamo usciti, e restandoci a lungo, si rischia di morire asfissiati dai gas.

La miscela altamente tossica e nociva è fatta di quel macroscopico intreccio tra big business ed esecutivo, tra quell'attacco al sistema pensionistico e la diffidenza verso contro gli immigrati, tra i troppi scandali e i muri che si vogliono costruire, per arrivare a imporre un'egemonia neoconservatrice sulla Casa bianca e quindi nel mondo intero.
Per otto anni americani e non hanno assistito impotenti ai disastri di questa strategia, che oggi, anno 2016, si vuole riproporre e rischia di affermarsi, visti i candidati alla presidenza americana. Si chiamino Trump o Clinton, poco conta e cambia.

Nella versione neocon il primato della politica ha lasciato ferite profonde che persistono immutate anche otto anni dopo, poiché facile non era riparare ai danni di Bush, ma nemmeno ci si è sforzati per farle. Forse non si aveva interesse a farlo, magari non conveniva farlo.

La prima ferita, è il potenziamento della presidenza e con esso le leggi che decurtano le libertà civili e culturali del paese. Sono state create condizioni che rendono imperiale il governo federale e senza limiti il controllo sociale.
Benché la speranza, come peraltro da spot elettorale, con quelle immagini del candidato Obama stile Andy Wharol riportanti la dicitura 'Hope', non sia certo mancata, era realisticamente irragionevole aspettarsi che il prossimo presidente vi avrebbe rinunciato in nome dell'open society, e infatti il bilancio dell'amministrazione Obama in questo senso è ben magro e assai deludente.

Il secondo lascito dei neocon è stato il deterioramento dell'immagine dell'America. La dissennata politica della guerra preventiva, ispirata dal disprezzo per le norme internazionali, dal presupposto dell'omertà degli alleati e dalla certezza dell'invincibilità della super potenza militare, ne ha fortificato la sua immagine di squalo predatore. Quel trattare come carta straccia, da parte degli Stati Uniti, le leggi e le norme internazionali, ha indebolito le fondamenta delle relazioni tra stati sovrani, con l'unico e disastroso risultato di aver favorito il diffondersi degli integralismi più risentiti e facinorosi in quei paesi e popoli dove si asseriva di 'portare la democrazia' e che erano privi di tradizioni politico - statuali improntati al modello occidentale.

Altro aspetto non marginale, riguarda la coesione e la collaborazione: che gli alleati stessero al gioco Usa sic et simpliciter era illusorio. Il fronte dei governi alleati si è diviso tra gli aperti scontenti e quelli tacitati e comprati con lusinghe ed elargizioni. La divisione ha inoltre denudato l'inverecondo stato di dipendenza della parte del mondo 'amica' verso Washington, l'Inghilterra in primis. E se non ai governi, ai loro popoli non è gradita la condizione di liberti. Infine, trentanni dopo il Vietnam, si è ri-affermato il senso di perdita del mito dell'invincibilità militare. E' la più cocente delle ferite provocate dall'azzardata avventura irachena, la cui responsabilità ricade sulla Casa Bianca 'bushista' infestata dai neocon.

La sconfitta a Baghdad ha di fatto obbligato il successore Obama a un profilo basso con Iran e Corea del Nord, ridimensionando la credibilità strategico - militare della grande potenza. E, come insegna il Vietnam, la perdita del prestigio militare ha conseguenze gravi sia all'interno che all'estero. All'interno del paese alimenta la diffidenza per il governo federale e la politica estera. All'esterno grava sulle relazioni internazionali.

Insomma, nell'arco di nemmeno un decennio è stata persa la scommessa sulla transizione alla democrazia che doveva sgorgare come il latte e il miele, e il nazionalismo religioso o etnico che predomina oggi nei regimi politici dei nuovi stati - nazione ne è la prova del nove. E persa è anche la scommessa sulla globalizzazione, data vincente sul protezionismo. E' il vecchio e noto mercantilismo a resistere nei luoghi del potere economico che contano.

Certo, vista la cocente delusione obamiana, forse si pecca di esagerazione imputando la colpa di tutto ciò al texano Bush, e mandare a lui solo il conto di questo inferno, ma vero è che lui ne ha posto le solide fondamenta.
Tutto questo, è puntualmente narrato nella canzone di padre Jean Marie Benjamin, 'Mr. President'.
Dodici anni che li stai bombardando,
morir di fame i suoi bambini a migliaia
e se ancora non fosse abbastanza, l'inquinamento delle armi all'uranio

Hey, Mr. President,
ma come fai a parlare di pace?
Di libertà e democrazia, diritti umani, ma come fai...
Cinquanta gradi all'ombra in mezzo al deserto,
niente trasporti, luce ed acqua potabile,
bambini che non vanno più a scuola,
ridotti a mendicare il pan dell'Unicef

Hey, Mr. President,
ma come fai ad invocare dio?
poi mandi i bombardieri ad annientare
questa povera gente

Duecentomila ad essere inquinati
radioattivi figli dell’America
li hai usati come cavie senz'anima,
ridotti al silenzio e presi in giro
Hey, Mr. President,
abbiamo ben capito
Che siamo tutti schiavi di Wall Street,
lobby e multinazionali

L'Onu e il Consiglio di Sicurezza
tutti a guardare e contare i morti
a stare zitti ignari e complici
di un genocidio criminale
Hey, Mr. President,
non serve più la propaganda
ai cirenei servi del potere
non ci crediamo per niente

Le tasse dei cittadini inglesi
e della brava gente Usa
per sterminare un popolo intero
colonizzare l’Iraq e i Kurdi
Hey, Mr. President,
questo si chiama olocausto
No fly zone unilaterale
e diritto internazionale

Contributed by Alessandro Carènzan - 2016/3/15 - 13:32




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