This is a song, not like the others you know from this band
This is a story, not like the others, rageous and sad
But it must be told, though you could say it´s old,
But it happened in the country that I live in
It´s the story of man named Rukelie
Kind of lasts till now, therefore I´m singing:
1907, he was born to a German Sinto family
He became a boxer, when he was older,
and the fans nicknamed him Rukelie
He was known for the show, even during the fight
He communicated with the girls in the first row
And his style was unseen, dance, dodge and speed,
Some thousand came to see him win in the box halls
His roots have always brought him trouble
But then in ´33 the Nazis came to power
Their blond tall heros were hit to k.o.
By a Gypsy, so he became a danger
Only the audience stopped the referees to cheat him
When he won the championship, but some days later
They took the title away again, the tears of victory
Had been miserable behaviour
Next fight, they said to him: "Gypsy if you dare to win,
We´re going to get your family!"
Cause they knew how much he loved them
He entered the ring, hair dyed blond, body dusted with flour
His silent protest, he without defending,
let himself be beaten to the ground
He had to leave his family and hide in the woods,
But they found him, and send him to the frontline
And then to a concentration camp,
when they found him come backe alive
"Show what you can!" said the guards when they trashed
The powerless man, and one night
He was shot to death and sank into the mud,
he had defended himself a last time
In this time was there anybody asking when they heard
Of the fate of Rukelie and a million more?
And what's taking place in today's Nazis
Is there any kind of feeling, a heart, a soul?
My shame for the past and present, my rage,
My violence on you in this song
And now just for you idiots:
La musique de la résistance!
Swing!
This is a story, not like the others, rageous and sad
But it must be told, though you could say it´s old,
But it happened in the country that I live in
It´s the story of man named Rukelie
Kind of lasts till now, therefore I´m singing:
1907, he was born to a German Sinto family
He became a boxer, when he was older,
and the fans nicknamed him Rukelie
He was known for the show, even during the fight
He communicated with the girls in the first row
And his style was unseen, dance, dodge and speed,
Some thousand came to see him win in the box halls
His roots have always brought him trouble
But then in ´33 the Nazis came to power
Their blond tall heros were hit to k.o.
By a Gypsy, so he became a danger
Only the audience stopped the referees to cheat him
When he won the championship, but some days later
They took the title away again, the tears of victory
Had been miserable behaviour
Next fight, they said to him: "Gypsy if you dare to win,
We´re going to get your family!"
Cause they knew how much he loved them
He entered the ring, hair dyed blond, body dusted with flour
His silent protest, he without defending,
let himself be beaten to the ground
He had to leave his family and hide in the woods,
But they found him, and send him to the frontline
And then to a concentration camp,
when they found him come backe alive
"Show what you can!" said the guards when they trashed
The powerless man, and one night
He was shot to death and sank into the mud,
he had defended himself a last time
In this time was there anybody asking when they heard
Of the fate of Rukelie and a million more?
And what's taking place in today's Nazis
Is there any kind of feeling, a heart, a soul?
My shame for the past and present, my rage,
My violence on you in this song
And now just for you idiots:
La musique de la résistance!
Swing!
envoyé par Bernart Bartleby - 6/2/2016 - 14:07
Riprendo quanto segue da una recensione di Cristiano Armati al libro di Roger Repplinger che ho citato in premessa, “Buttati giù, zingaro”. Tra le tante cose che ho letto nelle ultime ore, questa mi sembra la più interessante e precisa:
Nel 2003 la federazione pugilistica tedesca ha restituito formalmente a Johann Trollmann detto “Rukeli” il titolo che gli era stato ingiustamente sottratto nel 1933.
La cintura di campione dei medio-massimi è stata consegnata ai suoi discendenti.
[...] E se anche il piccolo Rukeli ha appena otto anni quando gli capita di affacciarsi in una palestra (semi-clandestina) di pugilato, in quel momento la boxe non potrebbe certo essere sventolata come un vessillo patriottico considerando che la sua pratica, fino al 1919, è addirittura vietata dalla polizia. Con la caduta del divieto, la prima palestra di Trollmann può trasformarsi in una vera squadra: la BC Heros Hannover. Era il 1922, due anni dopo la fondazione della “Federazione del Reich tedesco per la boxe amatoriale” ma con appena un anno di anticipo rispetto al tentato, e famigerato, putsch di Hitler, datato 9 novembre 1923. Il particolare è determinante non solo in senso generale, considerato che nel breve periodo di detenzione scontato dopo il fallimento del colpo di stato, l’ex caporale austriaco scriverà Mein Kampf esprimendo la sua incondizionata approvazione nei confronti del pugilato: «Se tutta la nostra spirituale alta società non fosse stata educata esclusivamente a raffinate regole di buone maniere, e avesse invece imparato a fare a pugni», sostiene Hitler, «non sarebbe mai stata possibile una rivoluzione tedesca di protettori, disertori e furfanti del genere».
Il vento che spirava sulla boxe, insomma, stava cambiando. Ma mentre Trollmann metteva a punto una tecnica personale, rivoluzionando uno stile pugilistico fino a quel momento rigido e legnoso con tecniche che in futuro si sarebbero potute ammirare nuovamente nel repertorio di un Muhammad Alì, il pugile capace di «danzare come una farfalla e colpire come un ape», il nazionalismo si impossessava anche nel ring, arrivando a parlare di un “pugilato tedesco” che, naturalmente, non è certo ben disposto ad accettare i trionfi di Rukeli, non più un grande campione, ma soltanto uno «zingaro» agli occhi dei nuovi fanatici della purezza della razza.
«Se una disciplina sportiva deve servire all’addestramento militare, all’educazione paramilitare, non può in nessun modo essere “giocosa”, “piacevole”, o soltanto “divertente”», si tuona nel volume La boxe fondamento dello spirito di lotta (1935). Perché: «Lo Stato popolare non ha il compito di allevare una colonia di esteti pacifici e di degenerati fisici. Non ritrova il suo ideale di umanità in piccoli borghesi per bene o in vecchie vergini virtuose, ma nella pugnace incarnazione della forza virile».
Grazie a questa nuova impostazione, il pugilato, da disciplina negletta, diventerà obbligatorio nella scuola di Hitler, mentre a Trollmann servirà a poco vincere incontri su incontri, né, a salvarlo, potrà essere la sua scelta di entrare – alla ricerca di una maggiore tutela – nel Boxclub Sparta Linden, affiliato alla “Lega degli atleti lavoratori tedesca” (AABD), la federazione dello sport popolare che, in quegli anni, rifiutava qualunque contatto con la controparte borghese anche se, proprio come la Federazione imperiale, si opponeva al professionismo.
Trollmann, in realtà, diventa professionista nel 1929, radunando un folto pubblico di ammiratori, incantati, in un periodo in cui gli incontri di boxe tendevano a ridursi a un testa contro testa condito da un diluvio di pugni ai fianchi, dal suo modo di combattere imprevedibile, pirotecnico e, al tempo stesso, terribilmente efficace. Sarebbe stato proprio grazie a questo stile che, il 9 giugno del 1933, Trollmann, insieme ai suoi 71,3 chili di peso, riesce a surclassare il beniamino dei sostenitori del “pugilato tedesco”, Adolf Witt, ammesso a combattere per il titolo dei pesi medi malgrado un peso di 77,9, di molto superiore ai 72,574 fissati come limite della categoria. Trollmann è incontenibile, ma il razzismo non conosce neppure il limite della decenza, malgrado tutti i cartellini dei giudici assegnassero la vittoria al suo avversario è Witt a essere proclamato vincitore. Accade nella Bockbierbrauerei di Berlino, dove si sfiora il tumulto: i sostenitori di Trollmann minacciano di linciare i responsabili dello scandalo, così l’incontro, a posteriori, sarebbe stato annullato. A nessun costo, insomma, uno «gipsy», questo recitava la scritta che provocatoriamente lo stesso Trollmann recava stampata sui suoi pantaloncini, doveva poter vantare la vittoria del titolo di campione tedesco. Per Trollmann, già capace di sfidare i suoi detrattori nazisti comparendo completamente ricoperto di farina bianca nel corso di un incontro, è l’inizio della fine. Per sopravvivere deve accettare combattimenti improvvisati in luoghi sordidi, poi è la sua stessa vita a essere ogni giorno più a rischio. Il dramma incombe su Trollman come sui 130.000 sinti e sui 1585 rom che vivono in Germania durante l’ascesa di Hitler, giudicati egualmente «Zigeuner» dall’apposito “Istituto di ricerca sull’igiene razziale e sull’eredità biologica”. Ognuno di loro, è a malapena un numero. E il numero 9841 sarà quello che lo stesso Trollman riceverà nel 1942, quando viene arrestato e deportato nel lager di Neuengamme. È qui che succede un episodio che ha dello straordinario. Mentre le SS, infatti, riconoscono nell’internato il campione di pugilato, iniziandolo a usare come un fantoccio per i loro «allenamenti», all’interno del lager si muove un comitato clandestino: «Trollman», pensa André Mandryxcs, capo della resistenza interna, «deve essere strappato al divertimento dei nazisti». Il suo esempio è troppo importante per chi, anche nelle condizioni disumane del campo, si organizza per rispondere alla barbarie hitleriana. Grazie al coraggio degli uomini della resistenza, dunque, Trollmann è fatto passare per morto, scambiato con un altro prigioniero effettivamente deceduto e quindi trasferito in un altro campo, quello di Wittenberge.
Ad aspettarlo, ancora una volta, ci sarà la maledizione di sapere usare i pugni. Perché sarà la colpa di mettere KO un feroce kapò ciò che, nel corso del 1944, costerà la vita al grande campione. Responsabile del suo omicidio, avvenuto a randellate, un individuo di nome Emil Cornelius: criminale di guerra responsabile di molte atrocità all’interno del campo, se la caverà con qualche anno di galera, tornando in libertà nel 1961. Una sorte non troppo diversa da quella a cui, nel dopoguerra, andarono incontro gli innumerevoli nazisti con le mani sporche del sangue versato da milioni di ebrei, sinti, rom, omosessuali, oppositori politici. [...]
Il vento che spirava sulla boxe, insomma, stava cambiando. Ma mentre Trollmann metteva a punto una tecnica personale, rivoluzionando uno stile pugilistico fino a quel momento rigido e legnoso con tecniche che in futuro si sarebbero potute ammirare nuovamente nel repertorio di un Muhammad Alì, il pugile capace di «danzare come una farfalla e colpire come un ape», il nazionalismo si impossessava anche nel ring, arrivando a parlare di un “pugilato tedesco” che, naturalmente, non è certo ben disposto ad accettare i trionfi di Rukeli, non più un grande campione, ma soltanto uno «zingaro» agli occhi dei nuovi fanatici della purezza della razza.
«Se una disciplina sportiva deve servire all’addestramento militare, all’educazione paramilitare, non può in nessun modo essere “giocosa”, “piacevole”, o soltanto “divertente”», si tuona nel volume La boxe fondamento dello spirito di lotta (1935). Perché: «Lo Stato popolare non ha il compito di allevare una colonia di esteti pacifici e di degenerati fisici. Non ritrova il suo ideale di umanità in piccoli borghesi per bene o in vecchie vergini virtuose, ma nella pugnace incarnazione della forza virile».
Grazie a questa nuova impostazione, il pugilato, da disciplina negletta, diventerà obbligatorio nella scuola di Hitler, mentre a Trollmann servirà a poco vincere incontri su incontri, né, a salvarlo, potrà essere la sua scelta di entrare – alla ricerca di una maggiore tutela – nel Boxclub Sparta Linden, affiliato alla “Lega degli atleti lavoratori tedesca” (AABD), la federazione dello sport popolare che, in quegli anni, rifiutava qualunque contatto con la controparte borghese anche se, proprio come la Federazione imperiale, si opponeva al professionismo.
Trollmann, in realtà, diventa professionista nel 1929, radunando un folto pubblico di ammiratori, incantati, in un periodo in cui gli incontri di boxe tendevano a ridursi a un testa contro testa condito da un diluvio di pugni ai fianchi, dal suo modo di combattere imprevedibile, pirotecnico e, al tempo stesso, terribilmente efficace. Sarebbe stato proprio grazie a questo stile che, il 9 giugno del 1933, Trollmann, insieme ai suoi 71,3 chili di peso, riesce a surclassare il beniamino dei sostenitori del “pugilato tedesco”, Adolf Witt, ammesso a combattere per il titolo dei pesi medi malgrado un peso di 77,9, di molto superiore ai 72,574 fissati come limite della categoria. Trollmann è incontenibile, ma il razzismo non conosce neppure il limite della decenza, malgrado tutti i cartellini dei giudici assegnassero la vittoria al suo avversario è Witt a essere proclamato vincitore. Accade nella Bockbierbrauerei di Berlino, dove si sfiora il tumulto: i sostenitori di Trollmann minacciano di linciare i responsabili dello scandalo, così l’incontro, a posteriori, sarebbe stato annullato. A nessun costo, insomma, uno «gipsy», questo recitava la scritta che provocatoriamente lo stesso Trollmann recava stampata sui suoi pantaloncini, doveva poter vantare la vittoria del titolo di campione tedesco. Per Trollmann, già capace di sfidare i suoi detrattori nazisti comparendo completamente ricoperto di farina bianca nel corso di un incontro, è l’inizio della fine. Per sopravvivere deve accettare combattimenti improvvisati in luoghi sordidi, poi è la sua stessa vita a essere ogni giorno più a rischio. Il dramma incombe su Trollman come sui 130.000 sinti e sui 1585 rom che vivono in Germania durante l’ascesa di Hitler, giudicati egualmente «Zigeuner» dall’apposito “Istituto di ricerca sull’igiene razziale e sull’eredità biologica”. Ognuno di loro, è a malapena un numero. E il numero 9841 sarà quello che lo stesso Trollman riceverà nel 1942, quando viene arrestato e deportato nel lager di Neuengamme. È qui che succede un episodio che ha dello straordinario. Mentre le SS, infatti, riconoscono nell’internato il campione di pugilato, iniziandolo a usare come un fantoccio per i loro «allenamenti», all’interno del lager si muove un comitato clandestino: «Trollman», pensa André Mandryxcs, capo della resistenza interna, «deve essere strappato al divertimento dei nazisti». Il suo esempio è troppo importante per chi, anche nelle condizioni disumane del campo, si organizza per rispondere alla barbarie hitleriana. Grazie al coraggio degli uomini della resistenza, dunque, Trollmann è fatto passare per morto, scambiato con un altro prigioniero effettivamente deceduto e quindi trasferito in un altro campo, quello di Wittenberge.
Ad aspettarlo, ancora una volta, ci sarà la maledizione di sapere usare i pugni. Perché sarà la colpa di mettere KO un feroce kapò ciò che, nel corso del 1944, costerà la vita al grande campione. Responsabile del suo omicidio, avvenuto a randellate, un individuo di nome Emil Cornelius: criminale di guerra responsabile di molte atrocità all’interno del campo, se la caverà con qualche anno di galera, tornando in libertà nel 1961. Una sorte non troppo diversa da quella a cui, nel dopoguerra, andarono incontro gli innumerevoli nazisti con le mani sporche del sangue versato da milioni di ebrei, sinti, rom, omosessuali, oppositori politici. [...]
Nel 2003 la federazione pugilistica tedesca ha restituito formalmente a Johann Trollmann detto “Rukeli” il titolo che gli era stato ingiustamente sottratto nel 1933.
La cintura di campione dei medio-massimi è stata consegnata ai suoi discendenti.
Bernart Bartleby - 6/2/2016 - 15:47
Da quel che sono riuscito a sapere, rukeli (la grafia rukelie sembra piuttosto un tedeschismo) significa "alberello" e sarebbe il diminutivo di ruk "albero". Pare che tale soprannome lo avesse fin da quando combatteva da ragazzino, perché si piantava lì in mezzo al ring, aspettava e poi metteva a segno il colpo. Era un "alberello" anche per il suo aspetto, coi capelli neri, foltissimi e ricci come fosse un albero. Sulla parola che significa "ragazzo" non sono riuscito a sapere nulla, ma non è escluso che -se esiste- abbia proprio la stessa origine.
Riccardo Venturi - 8/2/2016 - 17:17
×
Parole e musica dei Ratatouille, band tedesca da Bochum dedita ad uno stile che è una mescolanza di Ska, Dub, Rocksteady, Polka e Swing
Nel loro disco intitolato “Techno”
Stamattina, mentre sbocconcellavo una pasta di meliga per colazione, ascoltavo senza attenzione la radio. Su Radio2 era in onda la trasmissione “Miracolo italiano” e i due conduttori - Fabio Canino e LaLaura (Laura Piazzi) - avevano invitato Mauro Garofalo, scrittore, giornalista e fotoreporter, a parlare del suo ultimo libro, pubblicato da Frassinelli, che s’intitola “Alla fine di ogni cosa”, un romanzo biografico che racconta la storia di un boxeur tedesco, Johann Trollmann, soprannominato “Rukeli”, una parola in romanes che sull’“Angloromani Dictionary” vedo che ha che fare con la radice di “ruk”, albero, ma anche di “rukkelo”, ragazzo. Comunque, potrà dire meglio Riccardo al proposito... Il sottotitolo del libro è infatti “Storia di uno zingaro”
(Mauro Garofalo)
A dire il vero quello di Mauro Garofalo non è il primo libro pubblicato in Italia su Johann Rukeli Trollmann. Solo un paio di anni fa era già uscito “Buttati giù, zingaro” di Roger Repplinger, ma non si trattava di un romanzo e poi forse l’associazione antirazzista che lo pubblicava, la UPRE di Roma, non ha la stessa forza della potente Frassinelli/Sperling & Kupfer.
E in contemporanea a “Alla fine di ogni cosa” è uscito anche “Razza di zingaro”, l’ultima fatica del vecchio Dario Fo, pubblicata da Chiarelettere.
Molto quindi ciò che è stato scritto sul grande campione tedesco dei medio-massimi, titolo che Rukeli conquistò - ironia della sorte - proprio in quell’infausto 1933, e che gli fu subito tolto con la scusa ufficiale che lo zingaro non combatteva marzialmente, in modo maschio - così come voleva la retorica nazista anche nello sport - ma aveva messo a punto una sua tecnica personale in cui la boxe perdeva completamente la sua staticità e diventava quasi una danza per sottrarsi o per colpire l’avversario: “danzare come una farfalla e colpire come un ape”, avrebbe spiegato Muhammad Alì alcuni decenni dopo...
Dopo essere stato defraudato, dopo aver visto la sua vita professionale e familiare distrutte, dopo essere stato persino strappato al ring per essere mandato a combattere al fronte, Rukeli fu poi arrestato nel 1942 e deportato a Neuengamme dove, subito riconosciuto, rischiò di perdere immediatamente la vita perchè utilizzato dalle SS come zimbello nei combattimenti. Gli altri prigionieri cercarono di proteggerlo, fu fatto passare per morto e trasferito nel sottocampo di Wittenberge, ma anche lì fu riconosciuto e costretto a combattere contro un energumeno, un kapò violento e cattivo, tal Emil Cornelius... Rukeli, nonostante fosse gravemente debilitato dalla prigionia, lo vinse comunque e quello si vendicò sottoponendolo a lavori estenuanti e poi, un giorno del 1944, lo aggredì uccidendolo a colpi di vanga. Johann Rukeli Trollmann, il campione zingaro, aveva appena 35 anni...
Dunque, sul pugile zingaro che si ribellò ed umiliò il Terzo Reich molto si è scritto, a volte anche con approssimazioni e imprecisioni... Chissà - mi sono chiesto - se qualcuno ha pensato di scriverci una canzone... Sì, per fortuna c’è sempre una canzone per tutto e per tutti, e a “Rukelie” ci ha pensato questo gruppo di sciamannati di Bochum, città in quello che fu il cuore produttivo del Terzo Reich, il bacino della Ruhr.