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An den Frieden

Karl Wilhelm Ramler
Langue: allemand


Karl Wilhelm Ramler

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[1760]
Versi di Karl Wilhelm Ramler (1725-1798), poeta tedesco
Musica di Linard Bardill, nell’album intitolato“Strampedemi, Lieder gegen den Krieg”, 1991.

Strampedemi


Versi contro la guerra (quella cosiddetta dei Sette Anni?) composti da un poeta altrimenti patriottico e guerresco…
Wo bist du hingeflohn, geliebter Friede?
Gen Himmel, in dein mütterliches Land?
Hast du dich, ihrer Ungerechtigkeiten müde,
Ganz von der Erde weggewandt?

Wohnst du nicht noch auf einer von den Fluren
Des Oceans, in Klippen tief versteckt,
Wohin kein Wuchrer, keine Missethäter fuhren,
Die kein Eroberer entdeckt?

Nicht, wo mit Wüsten rings umher bewehret,
Der Wilde sich in deinem Himmel dünkt?
Sich ruhig von den Früchten seines Palmbaums nähret?
Vom Safte seines Palmbaums trinkt?

O! wo du wohnst, laß endlich dich erbitten:
Komm wieder, wo dein süßer Feldgesang
Von heerdevollen Hügeln, und aus Weinbeerhütten
Und unter Kornaltären klang.

Sieh diese Schäfersitze, deine Freude,
Wie Städte lang, wie Rosengärten schön,
Nun sparsam, nun wie Bäumchen auf verbrannter Heide,
Wie Gras auf öden Mauern stehn.

Die Winzerinnen halten nicht mehr Tänze;
Die jüngst verlobte Garbenbinderin
Trägt, ohne Saitenspiel und Lieder, ihre Kränze
Zum Dankaltare weinend hin.

Denn ach! der Krieg verwüstet Saat und Reben
Und Korn und Most; vertilget Frucht und Stamm;
Erwürgt die frommen Mütter, die die Milch uns geben,
Erwürgt das kleine fromme Lamm.

Mit unsern Rossen fährt er Donnerwagen,
Mit unsern Sicheln mäht er Menschen ab;
Den Vater hat er jüngst, er hat den Mann erschlagen,
Nun fodert er den Knaben ab.

Erbarme dich des langen Jammers! rette
Von deinem Volk den armen Überrest!
Bind' an der Hölle Thor mit siebenfacher Kette
Auf ewig den Verderber fest.

envoyé par Bernart Bartleby - 10/11/2015 - 12:58



Langue: italien

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
10 novembre 2015
ALLA PACE

Dove sei volata via, amata pace?
In cielo, nella tua terra materna?
Sei forse, stanca delle ingiustizie,
scomparsa del tutto dalla terra?

Non abiti più in un vasto fondale
dell'Oceano, nascosta da profonde rocce,
dove non vengono strozzini e malfattori,
dove nessun conquistatore ti scopre?

Non più dove, circondato dai deserti,
il selvaggio si crede nel tuo paradiso,
nutrendosi tranquillo dei frutti della sua palma
e bevendone il succo?

Oh, dovunque tu abiti, noi ti imploriamo:
ritorna dove il tuo dolce canto campestre
risonava di colli ricchi di greggi,
tra vigneti e altari di grano.

Vedi quegli ovili, che eran la tua gioia,
vasti come città, belli come roseti,
come radi alberelli su un prato bruciato
se ne stanno, come erba su nudi muri.

Le vendemmiatrici non danzano più;
la mietitrice, fin da fanciulla promessa,
reca piangendo, senza più strumenti e canzoni,
la sua ghirlanda all'altare da sposa.

Ahinoi! La guerra devasta vigne e seminati,
il grano e il mosto, estirpa frutti e rami;
strozza la devota madre che ci dà il latte,
strangola il piccolo agnello mansueto.

Coi nostri destrieri viaggia come il tuono,
con le nostre falci miete la gente;
il padre da giovane ha abbattuto l'uomo,
e ora è abbattuto dal ragazzo.

Pietà per questo lungo strazio!
Del tuo popolo salva i poveri resti!
Con sette catene lega alla porta
dell'Inferno il perverso malvagio!

10/11/2015 - 20:02




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