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Ballo del matto (per Franco Mastrogiovanni)

Luca Ricatti
Langue: italien


Luca Ricatti

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Canzone per Francesco
(Davide Gastaldo)
Ottantadue ore
(Pierpaolo Capovilla)
87 ore
(99 Posse)


2015
Il ballo del matto
il ballo del matto

2015
Fumo al vento
Fumo al vento

Ogni volta che eseguo dal vivo il Ballo del Matto, mi prendo un paio di minuti per riassumere la vicenda di Franco Mastrogiovanni. Prima di tutto perché in effetti, se non si conosce la storia, la canzone risulta un tantino oscura. E poi perché è una vicenda che deve essere raccontata.
Allora era giusto che scrivessi qualche riga anche qui.

Tanto per cominciare, Francesco Mastrogiovanni, detto Franco, non era affatto un matto. Di mestiere faceva il maestro elementare. Di lui i suoi alunni dicevano che era il maestro più alto del mondo. Doveva essere una persona di intelligenza vivace, curiosa, molto sensibile. Sua nipote, la giornalista Grazia Serra, mi ha scritto di essere felice che si scrivano canzoni per ricordare suo zio, perché lui «viveva di musica». E amava i libri. E poi aveva da sempre simpatie anarchiche. Per le forze dell’ordine in effetti era un «noto anarchico», definizione che per loro equivale a dire che era una sorta di portatore di peste. La peste del libero pensiero. Forse proprio la sua libertà di pensiero è all’origine delle brutte disavventure che hanno segnato la sua vita.

Nell’estate del ’72, a Salerno, finisce involontariamente insieme a due compagni anarchici in una rissa con alcuni militanti del FUAN, associazione giovanile del Movimento Sociale Italiano (per i più giovani: il MSI era un partito di estrema destra, guidato da Giorgio Almirante). Com’è come non è, la rissa finisce molto male: il suo amico Giovanni Marini accoltella a morte Carlo Falvella, secondo alcuni per difendere lo stesso Mastrogiovanni, che si è beccato una coltellata. Pur non avendo nessuna responsabilità nella morte del neofascista, Franco si fa diversi mesi di carcere, prima di essere assolto. Per le forze dell’ordine resterà sempre un pericoloso sovversivo.
Nel 1999 finisce di nuovo in carcere per l’indicibile colpa di aver contestato una multa. Ci vuole il processo di secondo grado perché venga assolto e risarcito per ingiusta detenzione. E tanto per non farsi mancare niente, subisce due Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), nel 2002 e nel 2005.
Per tutto quello che ha passato, pare che Franco abbia sviluppato una vera fobia per le divise. Nonostante alcuni periodi di depressione, comunque, vive una vita normale, lavora durante l’anno, va in vacanza d’estate.

Nel 2009 va a trascorrere le ferie in Cilento. La notte del 30 luglio attraversa con l’automobile l’isola pedonale del comune di Pollica. I vigili urbani segnalano che ha provocato un incidente, cosa che non è vera. Ma tanto basta affinché il Sindaco, Angelo Vassallo, firmi l’autorizzazione all’ennesimo TSO. Viene da pensare che se uno è bollato come «noto sovversivo» e ha già subito ben due TSO, sia fin troppo facile pensare che ha dato di matto, anche se magari ha solo sbagliato strada.

La mattina successiva Franco Mastrogiovanni è al mare, nello stabilimento balneare che frequenta. I vigili urbani arrivano subito dopo di lui, lo hanno avvistato per strada e si sono lanciati nell’inseguimento. Rifiuta di consegnarsi e dice alla titolare dello stabilimento: «se mi portano all’ospedale di Vallo della Lucania mi ammazzano.» Poi scappa e si getta in mare. A riva ci sono forze dell’ordine, Guardia Costiera e non so quanti infermieri.
Quando alla fine, sfinito, esce dall’acqua e si consegna agli uomini in divisa, la sua unica forma di protesta consiste nel cantare delle canzoni anarchiche.

Lo portano all’ospedale San Luca di Vallo della Lucania, lo sedano, lo legano mani e piedi a un letto e lo lasciano lì. Per circa novanta ore. Franco scalcia, chiede aiuto, sanguina dai polsi. Ma niente, per quasi quattro giorni rimane in questo stato. Sua nipote Grazia – racconta – va a chiedere di poterlo vedere, le rispondono che no, non si può.
Nella stanza dove è stato messo Franco c’è una telecamera di sicurezza. La telecamera filma tutto. Filma l’agonia, filma il personale medico che gli passa accanto, filma la pozza di sangue sotto il letto. E filma la sua morte.

C’è stato un processo di primo grado con delle condanne. Ora stanno facendo il processo d’appello. L’avvocato della difesa ha sostenuto che Mastrogiovanni doveva essere contenuto per tutelare la sua salute. Giudicate voi.

Di questa storia i mass media hanno parlato pochissimo. Vuoi perché Franco era anarchico e gli anarchici, si sa, sono impresentabili. Vuoi perché di TSO e malattie mentali non sta bene parlare in TV. Vuoi perché l’autorizzazione al TSO l’ha firmata Angelo Vassallo, il quale è considerato un eroe, e non sta bene raccontare storie che macchino la memoria degli eroi. Per questi o chissà quali altri motivi, del caso Mastrogiovanni si è parlato pochissimo. E allora ogni tanto qualche cantastorie gli dedica una canzone. L’ho fatto pure io.

Luca Ricatti



Francesco "Franco" Mastrogiovanni


Canzoni dedicate a Franco Mastrogiovanni:

Mastrogiovanni di Alessio Lega
Ottantadue ore di Pierpaolo Capovilla
Canzone per Francesco di Davide Gastaldo
Ballo del matto (per Franco Mastrogiovanni) di Luca Ricatti
87 ore dei 99 Posse


Di bianco veste la morte
è una bugia dalla gambe corte
indossa un camice stretto
e uno stetoscopio che pende sul petto

Di bianco veste la morte
che lega e stringe forte
in tasca un foglio timbrato
che rinchiuda lì chi è dimenticato

Di bianco veste la morte
prescrive la malasorte
impone la contenzione
mette una firma alla persecuzione

E' una pratica obbligatoria
è l'arroganza è la boria
è colui che ti abuserà
col permesso dell'autorità

Dov'è il matto
ma che ha fatto?
è scappato tra le onde del mare
Ecco il matto
ma che ha fatto?
Non lo so ma lo devo arrestare

Che venga un'onda a fare da boia
che ancora libero possa annegare
meglio così che pensare che muoia
prigioniero in un ospedale

Che venga un'onda a fare da boia
che ancora libero possa annegare
meglio così che pensare che muoia
ammazzato in un ospedale

Di bianco veste la morte
che piega anche il più forte
ha un cartellino sul petto
e droghe per farti restare sul letto

E' una pratica obbligatoria
dimenticarsi di questa storia
e chiunque invece lo fa
in ossequio dell'autorità

Dov'è il matto
ma che ha fatto?
è scappato tra le onde del mare
Ecco il matto
ma che ha fatto?
Non lo so ma lo devo arrestare

Che venga un'onda a fare da boia
che ancora libero possa annegare
meglio così che pensare che muoia
prigioniero in un ospedale

Che venga un'onda a fare da boia
che ancora libero possa annegare
meglio così che pensare che muoia
ammazzato in un ospedale

Di bianco veste la morte
è una bugia dalla gambe corte
indossa un camice stretto
e uno stetoscopio che pende sul petto

envoyé par dq82 - 26/10/2015 - 12:00



Langue: français

Version française – DANSE DU FOU (POUR FRANCO MASTROGIOVANNI) – Marco Valdo M.I. – 2015
Chanson italienne – Ballo del matto (per Franco Mastrogiovanni) – Luca Ricatti – 2015
Francesco Mastrogiovanni, dit Franco<br />
 Le maître (d'école) le plus haut du monde <br />
Assassiné à l'hôpital
Francesco Mastrogiovanni, dit Franco
Le maître (d'école) le plus haut du monde
Assassiné à l'hôpital


Toutes les fois que je chante en public «  Il ballo del matto » (le Bal du Fou), je prends quelques minutes pour raconter l'aventure de Franco Mastrogiovanni. Avant tout parce qu'en effet, si on ne connaît pas l'histoire, la chanson paraît un brin obscure. Et ensuite car c'est un événement qui doit être raconté.
Dès lors, il est juste que j'écrive quelques lignes ici.

Pour commencer, Francesco Mastrogiovanni, dit Franco, n'était pas du tout un fou. Il était instituteur. De lui, ses élèves disaient qu'il était l’instituteur le plus haut du monde. Ce devait être une personne à l’intelligence vive, curieuse, très sensible. Sa nièce, la journaliste Grazia Serra, m'a écrit qu'elle était heureuse qu'on écrive des chansons pour se remémorer son oncle, parce qu'il « vivait de musique ». Et il aimait les livres. Et ensuite il avait de toujours des sympathies anarchistes. Pour les forces de l'ordre c'était un « anarchiste reconnu », définition qui pour eux équivaut à dire qu'il était une sorte de pestiféré. La peste de la libre pensée. C'est peut-être vraiment sa liberté de pensée qui est à l'origine des mésaventures qui ont marqué sa vie.

À l'été de 1972, à Salerne, il se retrouva involontairement avec deux copains anarchistes Les Anarchistes dans une bagarre avec quelques militants de FUAN, association de jeunesse du Mouvement Social Italien (pour les plus jeunes : le MSI était un parti d'extrême droite, guidé par Giorgio Almirante Almirante). Par malheur, la bagarre finit très mal : son ami Giovanni Marini poignarde à mort Carlo Falvella, pour défendre Mastrogiovanni, qui s'était pris un coup de couteau. En n'ayant aucune responsabilité dans la mort du néofasciste, Franco fit plusieurs mois de prison, avant être absous. Pour les forces de l'ordre, il restera toujours un dangereux subversif.
En 1999, il finit de nouveau en prison pour l'indicible faute d'avoir contesté une amende. Il fallut le procès en appel pour qu'il soit absous et dédommagé pour injuste détention. Et pour ne rien manquer, il subit deux Traitements Sanitaires Obligatoires (TSO), en 2002 et en 2005.
Suite à tout ce qui a subi, il semble que Franco ait développé une vraie phobie pour les uniformes. Malgré quelques périodes de dépression, de toute façon, il vit une vie normale, travaille pendant l'année, va en vacances, l'été.

En 2009, il va passer les vacances dans le Cilento. La nuit du 30 juillet, il traverse en voiture la zone piétonnière de la commune de Pollica. Les agents de police signalent qu'il a provoqué un incident, ce qui n'est pas vrai. Mais cela suffit pour que le maire, Angelo Vassallo, signe l'autorisation d'une énième TSO (internement psychiatrique). Il pense que si quelqu'un est qualifié de « subversif bien connu » et a déjà subi deux TSO (internements), il est finalement très facile de penser qu'il a fait un acte fou, même s'il s'est seulement trompé route.

Le matin suivant Franco Mastrogiovanni est à la mer, à l'établissement de bains qui fréquente. Les agents de police arrivent subitement sur lui, ils l'ont aperçu en route et ils se sont lancés à sa poursuite. Il refuse de se livrer et dit au gérant de l'établissement : « S'ils me conduisent à l'hôpital de Vallo della Lucania, ils me tuent. » Ensuite il s'enfuit et il se jette à la mer. À terre, il y a les forces de l'ordre, les Gardes Côte et je ne sais pas combien d'infirmiers.
Lorsque à la fin, épuisé, il sort de l'eau et se rend aux hommes en uniforme, son unique forme de protestation consiste à chanter des chansons anarchistes.

Ils l'emmènent à l'hôpital San Luca de Vallo della Lucania, le sédatisent, ils le lient à un lit et le laissent là. Pour environ quatre-vingt-dix heures. Franco se regimbe, demande de l'aide, saigne des poignets. Mais rien à faire, pendant presque quatre jours, on le laisse dans cet état. Sa nièce Grazia – raconte-t-elle – va demander pouvoir le voir, ils refusent, on ne peut pas.
Dans la chambre où il a été mis Franco, il y a une caméra de sécurité. La caméra filme tout. Elle filme son agonie, elle filme le personnel soignant qui passe à côté de lui, elle filme la mare de sang sous le lit. Et elle filme sa mort.

Il y a eu un procès de premier degré avec des condamnations. Maintenant, c'est le procès d'appel. L'avocat de la défense a soutenu que Mastrogiovanni devait être contenu pour défendre sa santé. Jugez vous-mêmes.

De cette histoire, les mass media ont très peu parlé. Car Franco était anarchiste et les anarchistes, on le sait, sont imprésentables. Car des TSO (internements psychiatriques) et des maladies mentales, il n'est pas bien de parler à la TV. Car l'autorisation à TSO (d'internement), c'est Angelo Vassallo , qui l'a signée, lequel est considéré comme un héros (lorsqu'il fut assassiné à son tour par des tueurs inconnus), et qu'il n'est pas bien de raconter des histoires qui font tache sur la mémoire des héros. Pour tout ceci ou peut-être d'autres raisons, du cas Mastrogiovanni, on a parlé très peu. Et alors de temps en temps, quelque chanteur lui dédie une chanson. Je l'ai fait aussi.

Luca Ricatti

Chansons dédiées à Franco Mastrogiovanni:

Mastrogiovanni d'Alessio Lega
Ottantadue ore de Pierpaolo Capovilla
Canzone per Francesco de Davide Gastaldo
Ballo del matto (per Franco Mastrogiovanni) de Luca Ricatti
DANSE DU FOU
(POUR FRANCO MASTROGIOVANNI)

La mort s'est vêtue de blanc
Sans vergogne, elle ment.
Elle porte une blouse étroite
Et un stéthoscope pend sur sa poitrine.

La mort s'est vêtue de blanc
Qui lie et serre fortement
En poche un papier timbré
Qui enferme là celui qui est oublié.

La mort s'est vêtue de blanc.
Elle prescrit le tourment,
Elle impose la contention,
Elle signe la persécution.

C'est un abus de puissance,
C'est l'arrogance, c'est la suffisance
De celui qui sait en user
Sous couvert d'autorité.

Où est-il le fou,
Mais qu'a-t-il fait ?
Dans les vagues de la mer, il s'est réfugié.
Voilà le fou
Mais qu'a-t-il fait ?
On ne sait pas, mais il faut l'arrêter.

Vienne une vague faire le bourreau ;
Que libre encore, il puisse se noyer.
J'aime mieux penser qu'il meurt dans l'eau
Que dans un hôpital enfermé.

Vienne une vague faire le bourreau
Que libre encore, il puisse se noyer.
J'aime mieux le penser mort dans l'eau
Que dans un hôpital assassiné.

De blanc se vêt la mort
Qui écrase même le plus fort.
Elle a un badge sur la poitrine
Et dispense la morphine.

Il est maintenant obligatoire
D'oublier cette histoire
Et beaucoup s'y sont pliés
Par respect de l'autorité.

Où est-il le fou,
Mais qu'a-t-il fait ?
Dans les vagues de la mer, il s'est réfugié.
Voilà le fou
Mais qu'a-t-il fait ?
On ne sait pas, mais il faut l'arrêter.

Vienne une vague faire le bourreau
Que libre encore, il puisse se noyer.
J'aime mieux le penser mort dans l'eau
Que dans un hôpital prisonnier.

Vienne une vague faire le bourreau
Que libre encore, il puisse se noyer.
J'aime mieux le penser mort dans l'eau
Que dans un hôpital assassiné.

La mort s'est vêtue de blanc
Sans vergogne, elle ment.
Elle porte une blouse étroite
Et un stéthoscope pend sur sa poitrine.

envoyé par Marco Valdo M.I. - 26/10/2015 - 21:57


Vitaliano Trevisan: il calvario di un dissidente
Gianni Sartori

Vitaliano Trevisan


Di Trevisan, pur conoscendolo di fama (inevitabile a Vicenza), in passato non mi ero voluto interessare più di tanto. A parlarmene erano state persone - buone, brave, colte, di sinistra e beneducate - ma, dal mio punto di vista, comunque “borghesi”. Scherzando, ma non troppo, lo definivo un “Mauro Corona” di pianura. Ossia un “personaggio” folcloristico, pittoresco e deviante quanto basta. Falsamente “autentico” e “genuino” come in genere piace appunto a certa borghesia progressista.

Solo pochi mesi fa, intervistando un vecchio compagno, impegnato da una vita non solamente nel “sociale”, ma nella lotta di classe (Luciano Orio), mi era stato citato in relazione agli incidenti (omicidi) sul lavoro. Nel suo “Works” (Einaudi editore) Trevisan denunciava apertamente quello che magari conoscono in molti, ma su cui in genere si preferisce stendere un velo pietoso. Ossia sul fatto che dai macchinari di lavorazione (laminatoi, presse, macchine utensili…) - per aumentarne la produzione ovviamente - spesso viene disinnescato il sistema di sicurezza. Con le ovvie conseguenze: arti amputati quando va bene, corpi maciullati nell’altro caso. In quantità - e qui ci sta - industriale.

Lessi il libro e verificai quanto mi aveva segnalato Luciano.

Ma scoprii anche altro.

Intanto il fatto che - come il sottoscritto anche se in anni diversi - Vitaliano Trevisan aveva lavorato come facchino alla Domenichelli nei turni di notte.

Anzi, avevo anche colto una variante. Da parte sua non considerava il lavoro, notturno ricordo, particolarmente gravoso e parlava di turni di otto ore.

Personalmente, confrontandolo con altre mie esperienze simili (nelle celle frigorifere, alla Veneta- Piombo, traslochi…), lo ricordavo comunque abbastanza pesante. Anche perché all’epoca di giorno cercavo di frequentare l’università, al punto che ricordo di essermi appisolato più di qualche volta in piedi, appoggiato al carrello.

E poi, mi sembra proprio di ricordare, nella prima metà degli anni settanta i turni erano di dieci ore, non di otto. Con una “pausa- pranzo” (un panino portato da casa) di venti minuti, mezz’ora.

E’ possibile naturalmente che in seguito (seconda metà degli anni settanta, quando toccò a Trevisan scaricare e stivare) le cose fossero cambiate. Come avvenne - questo lo avevo verificato di persona - nel settore traslochi (grazie anche all’impiego di elevatori che permettevano, per esempio, di non dover portare sulle spalle, da soli, pesanti frigoriferi per diversi piani di scale).

E poi in “Works” raccontava a sua esperienza in un territorio che conosco bene, il Basso Vicentino.

Quel pezzetto di Riviera Berica sdraiato ai piedi dei Colli Berici che operatori turistici, Pro Loco e amministrazioni comunali si ostinano a descrivere come bucolico, con paesaggi (ormai è un classico, non si nega a nessuno) “mozzafiato”. Nonostante la pianura sia quasi completamente cementificata (oltre che inquinata, vedi la A31) e sui Colli proliferi di giorno in giorno la metastasi delle villette degli “amanti della Natura”. Costruzioni talvolta semiabusive (depositi attrezzi con colonnato e piscina, case di 2-3 cento metri quadri dove prima c’era soltanto “el staloto del mas-cio”…) a spese del paesaggio e degli ecosistemi.

Ma comunque qualcosa c’era - e c’è - a mozzare letteralmente il fiato: gli innumerevoli capannoni dove languiscono segregati a migliaia i polli da allevamento. E la puzza - come scriveva chiaramente Vitaliano - si sente, eccome. Anche da lontano.

Anche senza volersi soffermare sulla sacrosanta compassione per quelle povere creature imprigionate (rileggersi in proposito quanto scriveva Eugenio Turri sugli analoghi allevamenti nei Lessini), pensiamo soltanto a cosa sta accadendo proprio ora in Veneto con l’epidemia di aviaria e lo sterminio di milioni di volatili.

Ma quello che più mi rode è il modo in cui sembra se ne sia andato. Dopo un ricovero psichiatrico formalmente “volontario”, ma in realtà sotto il ricatto di un TSO.

Ora, mi chiedo, è mai possibile che una persona con il suo livello culturale, con un così alto grado di consapevolezza (esistenziale, politica…) derivata dall’esperienza vissuta, non certo dagli studi accademici (anche se la sua preparazione letteraria era ottimale) sia stato trattato in tal modo?

Non so se - come ha scritto in questi giorni un intellettuale vicentino - Trevisan fosse veramente da considerarsi come il maggiore tra gli scrittori attuali della Penisola. Ma sicuramente è lecito interrogarsi in proposito. E uno così, su cui ora tutti spandono lacrime e tessono lodi, è stato rinchiuso come un pericoloso demente?

Non so. In questo momento mi vengono in mente altre persone (Majakóvskij Pavese, Debord, Paolo Finzi…) che hanno compiuto scelte estreme, analoghe forse a quella - almeno sembrerebbe - del Trevisan. Travolte forse dal disgusto per la mediocrità, la miseria spirituale di un mondo che incatena i dissidenti e imbavaglia i poeti (talvolta non solo metaforicamente) imbalsamandoli poi da morti.

Così come mi vengono in mente “Qualcuno volò sul nido del cuculo” e la tragedia (l’assassinio si può dire?) di Mastrogiovanni.

In fondo anche Vitaliano Trevisan era un soggetto scomodo, indigesto, non compatibile. Magari letto, apprezzato, recensito e premiato…ma comunque alla fine segregato e umiliato.

Niente di strano se uno come lui (un intellettuale, ma anche “uomo d’azione”) avesse deciso di mandare il mondo, questo mondo, a fare in culo.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 8/1/2022 - 23:35




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