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Piazza Fontana

Daniele Biacchessi
Language: Italian


Daniele Biacchessi

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Related Songs

Notte
(Pietro Valpreda)
17 fili rossi
(Renato Franchi & Orchestrina del Suonatore Jones)
La fontana
(Yo Yo Mundi)


‎[2007]‎
Dallo spettacolo “Il paese della vergogna” realizzato con i Gang

ilpaesedellavergogna
Il 1969 è l’anno degli scioperi, dei cortei di operai e studenti in tutto il paese.

Le rivendicazioni del salario garantito e di un lavoro per tutti degli operai, il diritto allo studio chiesto da milioni di giovani delle scuole medie superiori e delle università.

Torino, Milano, Genova, il triangolo industriale.

E’ lì che le lotte diventano più calde.

7.507.000 persone coinvolte in conflitti di lavoro per 302.597.000 ore di produzione perdute a causa di scioperi.

E’ l’anno delle bombe.

Dal 3 gennaio al 12 dicembre se ne conteranno 145, una ogni tre giorni.

Per 96 la responsabilità accertata è dell’estrema destra.

Il 15 aprile ne scoppia una nell’ufficio del Rettore dell’Università di Padova.

Il 9 aprile a Battipaglia vengono uccisi 2 lavoratori e 119 persone sono arrestati.

Il giorno dopo ci saranno manifestazioni in tutta Italia, accompagnate da violenti scontri con la polizia.

Il commissariato di Battipaglia viene dato alle fiamme.

Il 25 aprile, alla Fiera di Milano,un ordigno ad alto potenziale provoca il ferimento di venti persone.

In agosto vengono piazzati dieci ordigni sui treni:otto esplodono e colpiscono dodici passeggeri.

A Pisa, il 27 ottobre, durante una manifestazione contro i colonnelli greci, uno studente rimane ucciso da un candelotto lacrimogeno lanciato dalla polizia.

Il 19 novembre, a Milano, nel corso di una manifestazione per la casa, due camionette si scontrano; nell’incidente muore il poliziotto Antonio Annaruma.

Un clima incandescente sul piano politico.

Si è appena insediato il secondo governo a guida Mariano Rumor.

Il suo vice è Paolo Emilio Taviani. Ministro degli Esteri Aldo Moro,agli Interni Franco Restivo.

Un monocolore Dc.

Capo del Sid è l’ammiraglio Eugenio Henke.

Al vertice della polizia c’è Angelo Vicari.

Presidente della Repubblica è Giuseppe Saragat.

Il Pci è il più forte partito comunista occidentale.

La Cgil è il sindacato meglio organizzato.

Ti ricordi uomo il 1969?

La tv era in bianco e nero.

Uno strano bussolotto di metallo con un vetro verde e concavo davanti.

Non c’era il telecomando, solo l’interruttore.

Si vedeva un solo canale, il primo.

Quando si vedeva………

Perché non era mica come oggi, con l’antenna centralizzata, con i padelloni per ricevere i satelliti.

A casa mia l’antenna era vicina all’apparecchio.

E ognuno faceva come gli pareva.

Uno si alzava e muoveva l’antenna, le righe orizzontali sparivano.

Poi qualcun altro si alzava, passava accanto al filo e le righe tornavano, più grandi di prima.

Si poteva andare avanti per ore.

Una lotta.

Certe volte la valvola si scaldava e l’immagine si ingrandiva, poi si stringeva, e ancora si ingrandiva.

Ci voleva tanta pazienza.

E c’erano le manopole del contrasto e del volume, quelle di plastica, quelle che a furia di girarle ti restavano in mano e non si vedeva, né sentiva più niente.

Una lotta impari.

Per farli funzionare quegli strani aggeggi bisognava essere dei veri esperti.

Roba da scuola Radioelettra Torino.

Di pomeriggio, alle 17,30, si vedeva La tv dei ragazzi.

I rulli dei tamburi introducevano una marcetta che scandiva una sfilata di bambini stilizzati che si tenevano per mano, come a comporre uno straordinario girotondo.

C’era Angelo Lombardi, “L’amico degli animali”.

Parlava con cani, gatti, leoni, serpenti.

Aveva la faccia da buono.

E Paolo Poli raccontava fiabe per bambini.

Poi c’erano I viaggi di Gulliver.

La sigla iniziava così:

“…….voglio girare tutte le strade del mondo …”

Come si può scordare Giovanna la nonna del corsaro nero?

“Nonnetta sprint, più forte di un bicchiere di gin”.

Lei che viveva bizzarre avventure nei mari del Sud insieme al suo maggiordomo Battista e all’irresistibile mozzo Nicolino, con quei fondali finti, fatti di cartapesta.

Poi c’erano i telefilm.

Ivanhoe, cavaliere senza macchia e senza paura che si batteva contro gli uomini di Giovanni Senza Terra e lo Sceriffo di Nottingham, aspettando il ritorno di re Riccardo Cuor di Leone.

Thierry La Fronde giustiziere francese ai tempi della guerra dei cento anni. Come Robin Hood rubava ai ricchi per dare ai poveri.

I Compagni di Baal, fantomatica setta che agiva nella malavita francese.

E chi può dimenticare le commedie musicali?

Il Quartetto Cetra di Non cantare spara? Eh…?

Il Quartetto eseguiva le sue canzoni tra saloon, banditi, sparatorie e cazzotti vari in un vero clima da spaghetti western.

E gli sceneggiati?

Tino Buazzelli era Nero Wolf, Gino Cervi Il commissario Maigret, Ubaldo Lay il mitico Tenente Sheridan.

E i quiz? Lo sport preferito degli italiani.

Chissà chi lo sa di Febo Conti.

Non si vinceva niente.

Ogni sabato pomeriggio si sfidavano due classi delle medie inferiori.

Mi ricordo quella che veniva da Valmadrera.

C’erano sempre loro.

“Squillino le trombe, entrino le squadre”, gridava Febo Conti.

Ad un certo punto, mia madre mi guardava e diceva:

“Dopo Carosello….. a letto”

Ma come fai a perderti certe cose…

“A letto ……che domani si va a scuola”

Avveniva tutte le sere, tranne il sabato e la domenica, quando alle 20,30 andava in onda La freccia nera.

“La freccia nera fischiando si scaglia e la sporca canaglia il saluto ti dà”.

D’estate si poteva guardare la tv fino a tardi.

Ricordo che c’era uno strano tipo di nome Gennaro, in completo azzurro, una sorta di Mago Zurlì napoletano, travestito da arbitro internazionale.

Ma non di calcio.

Era l’arbitro di Giochi senza frontiere, un guazzabuglio di corse a ostacoli, giochi a base di acqua e sapone dove i concorrenti scivolavano e si andavano a schiantare contro castelli di polistirolo, cuscini, piume.

Le squadre venivano da ogni parte d’Europa.

E ti chiedevi..

Come sarà fatto un francese, e un tedesco, e un olandese?

Che vita faranno? Quali sono le loro abitudini?

E il calcio, eh..?

C’era la gara per chi conosceva a memoria le formazioni.

Quella del Milan era come una antica filastrocca…

Cudicini, Anquilletti, Schnellinger, Rosato, Malatrasi, Trapattoni, Hamrin, Lodetti, Sormani, Rivera, Prati.

Poi c’era quella dell’Inter:

Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Peirò, Suarez, Corso.

Le formazioni le si imparava a scuola o all’oratorio, quando si scambiavano le figurine con gli amici.

Lo scudetto della Fiore, la Fiorentina, era introvabile.

Per averlo un giorno dovetti sborsare dieci Pizzaballa, cinque Chiarugi, tre Bulgarelli e due De Sisti.

Mi indebitai per sempre.

C’è ancora gente che mi rincorre chiedendomi dov’è finito Pizzaballa?

Peggio di un mutuo suprime.

Nel 1969, lo stipendio di un operaio specializzato era di 110mila lire al mese.

L’affitto medio di un appartamento a Milano e Roma ammontava a 35 mila lire al mese.

La Fiat 500 lusso costava 525 mila lire.

Una tazza di caffè al bar costava 50 lire.

Un litro di benzina 75 lire.

Il 27 del mese era un miraggio.

12 dicembre 1969, mancano tredici giorni a Natale.

È quasi sera ma Milano è illuminata a giorno.

I grandi magazzini sono sfavillanti. Le compere e gli acquisti.

Le luminarie addobbano il centro che sembra un carnevale.

Migliaia di persone stipate in pochi metri tra corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo e piazza San Babila vanno su e giù, osservano le vetrine.

Ci sono gli zampognari e i venditori di caldarroste.

Ai bar del Barba e Haiti servono espressi in continuazione, cinquanta lire a tazza.

La gente transita nei pressi del Teatro alla Scala.

Quella sera rappresentano Il barbiere di Siviglia.

C’è ressa davanti al Rivoli per Un uomo da marciapiede e all’Excelsior per Nell’anno del Signore.

Il freddo entra nelle ossa, con il bavero alzato e i guanti presi da Crippa, quel morbido pullover di cachemire comprato da Schettini e quella cravatta acquistata poco prima da Avolio.

Magari un cappello, un Barbisio, un Borsalino.

I giovani stanno tutti in Galleria Passerella da Fiorucci per gli ultimi arrivi alla moda. Tutti noi italiani ci sentiamo felici, immortali, allegri, innocenti.

A un tratto un forte e dirompente boato rompe quella strana ubriacatura invernale. Giunge dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana.

Sette chilogrammi d’esplosivo vengono compressi in una cassetta metallica, poi inseriti dentro una valigetta nera, tipo ventiquattro ore.

E’ collocata proprio al centro del salone dove gli agricoltori contrattano i loro affari.

La gelignite è attivata da un timer.

12 dicembre 1969, piazza Fontana, il giorno dell’innocenza perduta.

Diciassette morti, ottantotto feriti.

Alle 16.37 siamo già vecchi.

Il paese è attonito, martoriato.

Nessuno crede a quelle immagini che la televisione trasmette.

Frammenti di guerra, scene che sembrano venire da lontano, da un altro paese.

Cosa contengono i minuti dopo una strage ?

Esistono silenzi che spesso sono fin troppo densi di rumori che si annullano a vicenda.

Silenzi, attimi, tempo che sembra non passare mai.

Frasi, azioni, gesti, sguardi, la vita degli agricoltori di Piazza Fontana si è fermata, ibernata. Statue di sangue e dolore che non hanno più un’anima, impietrite ti guardano come per chiedere un aiuto, come vite sospese che non sono più carne e parole.

Quelle statue che paiono di gesso non sono più vive ma parlano.

E raccontano una storia che parte da lontano, proprio da quella banca, a Milano.

Gli ultimi gesti di Pietro Dendena, Eugenio Corsini, Giulio China, Carlo Gaiani, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni.

Gli sguardi di Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Luigi Perego, Oreste Sangalli, Carlo Silva.

Le parole di Attilio Val, Angelo Scaglia, Calogero Galarioti.

Il dolore dei feriti, di quelli mutilati, di quanti si sono poi lasciati morire e non hanno pi� trovato un identità.

Frasi che risuonano nel cervello, chiare e rotonde, pizzicano in gola, rintoccano sul fondo della lingua, e premono forte sulla laringe e schioccano, sonore e senza voce, più volte, nel corso del tempo, contro il palato. Silenzi fatti di rumori che si trasformano in urla ingoiate di traverso.

E compiono il giro del mondo.

In molti le percepiscono, forti e chiare, acute e potenti come bombe.

12 dicembre 1969.

Pochi minuti dopo la strage di piazza Fontana.

Un’altra bomba viene collocata nella sede della Banca Commerciale di Milano.

Possiede le stesse caratteristiche della prima ma non scoppia.

Altri ordigni vengono piazzati nel passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro a Roma. Tredici feriti.

Ordigni di elevata potenza colpiscono l’Altare della Patria e l’ingresso del Museo del Risorgimento a Roma. Quattro feriti.

Gli inquirenti indirizzano le indagini verso gli anarchici.

Ottanta fermati e arrestati.

Tra loro ci sono il ferroviere Giuseppe Pinelli e il ballerino Pietro Valpreda.

Pinelli cade dal quarto piano della Questura di Milano durante un interrogatorio.

E anni dopo i giudici scriveranno che Pinelli fu colpito da un “malore attivo”.

Valpreda viene rinchiuso in carcere fino al 1972. Innocente.

Passano gli anni e la magistratura imbocca la pista giusta.

Le valigette che contengono l’esplosivo del’69 sono state acquistate da Franco Freda e Giovanni Ventura, fascisti di Padova.

Emerge un piano che deve sfociare in un tentativo di colpo di Stato militare.

E qualcuno lo organizza davvero, la notte dell’8 dicembre 1970.

E’ il principe Junio Valerio Borghese.

Il 22 luglio 1970 esplode una bomba sul treno Freccia del Sud a Gioia Tauro ma gli inquirenti dicono che è stato un incidente.

Non si faranno indagini fino al 1993.

La bomba è stata invece collocata da due criminali calabresi simpatizzanti del MSI.

E ancora.

31 maggio 1972. Vincenzo Vinciguerra è un militante di Ordine Nuovo.

Organizza un attentato contro i carabinieri.

Chiama i militari al telefono: sta andando a fuoco una macchina.

I carabinieri giungono a Peteano di Sagrado.

Si avvicinano ad una cinquecento imbottita di tritolo.

Aprono la portiera ..e tre carabinieri saltano in aria.

7 aprile 1973. Il fascista Nico Azzi si fa scoppiare tra le gambe un ordigno sul treno Torino-Roma.

Alcuni testimoni lo avevano visto girare tra le carrozze con in mano una copia del quotidiano Lotta continua.

17 maggio 1973. Gianfranco Bertoli, vi ricordate dice di essere anarchico ma appartiene ai servizi segreti.

Lancia una bomba a mano davanti alla Questura di Milano. 4 morti.

A oggi, nessuna giustizia

Brescia, 28 maggio 1974.

Entrano in Piazza della Loggia diecimila sindacalisti, operai, studenti, disoccupati, giovani e vecchi, volti di gente comune.

Parla Franco Castrezzati della Cisl.

Sono le 10 e 12 minuti.

“Amici e compagni, lavoratori, studenti, siamo in piazza perché questi ultimi tempi una serie di attentati di chiara marca fascista ha posto la nostra città all’attenzione preoccupata di tutte le forze antifasciste. Sono così venuti alla luce uomini di primo piano che hanno rapporti con gli attentatori di Piazza Fontana e del direttissimo Torino- Roma, vengono pure alla luce bombe, armi, tritolo, esplosivi di ogni genere. Ci troviamo di fronte a trame intessute segretamente da chi ha mezzi e obietti precisi. A Milano…. State fermi…state calmi, state calmi. State all’interno della piazza, il servizio d’ordine faccia cordone intorno alla piazza, state all’interno della piazza. Invitiamo tutti a portarsi sotto il palco, venite sotto il palco, state calmi, lasciate il posto alla Croce Bianca, lasciate il passo, lasciate il passaggio delle macchine, tutti in piazza della Vittoria, tutti in piazza della Vittoria”.

Piazza della Loggia, 28 maggio 1974.

Otto morti.

Novantaquattro feriti, alcuni gravi.

A oggi nessuna giustizia.

4 agosto 1974.

Dentro un vagone di seconda classe del treno Italicus scoppia una bomba ad alto potenziale.

Avviene proprio nel tunnel ferroviario di San Benedetto Val di Sambro.

12 morti e un centinaio di feriti.

Ad oggi nessuna giustizia

Bologna, stazione.

2 agosto 1980.

Centinaia di metri cubi di terra, travi lunghe duecento metri, pensiline in acciaio, traversine, sassi, binari troncati di netto, frammenti di rotaie, enormi blocchi di cemento armato ridotti a minuscoli pezzetti, con dentro uomini, donne, bambini, ragazzi, anziani, due carrozze del treno straordinario 13534 Ancona-Basilea, il ristorante Cigar, e ancora speranze, discorsi, progetti, sogni di una vacanza promessa solo per un’estate. Un onda lunga di tutto questo si é riversata in meno di un secondo nella piazza della stazione, verso il binario 1, infilata laggiù nel sottopassaggio.

Un mondo compatto, fatto di cose e persone che poco prima erano vive, è venuto giù, sfaldato e si è dissolto.

E in quel macello l’orologio si è fermato.

10,25. 85 morti, 200 feriti.

Strage alla stazione di Bologna.

Sentenza della Corte di Cassazione.

Ergastolo per i neofascisti dei Nar Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Sette tribunali accertano che sono gli autori della strage.

Dai 7 ai 10 anni di carcere per il capo della loggia P2 Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza, i vertici del Sismi, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte.

Sono i personaggi che hanno depistato le indagini.

Sempre in Cassazione condannato il neofascista Luigi Ciavardini.

Provate a chiedermi dove sono queste persone…

Oggi sono tutti sostanzialmente liberi.

Non sono mai stati identificati i mandanti politici di questa strage.

Strage di Piazza Fontana.

Anni di inchieste, depistaggi da parte degli uomini degli apparati dello Stato, processi.

30 giugno 2001, Corte d’Assise di Milano.

I militanti del gruppo neofascista Ordine Nuovo, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, condannati all’ergastolo.

Tre anni a Stefano Tringali, per favoreggiamento nei confronti di Zorzi.

Non luogo a procedere per il collaboratore di giustizia Carlo Digilio.

12 marzo 2004.

La Corte d’Assise di Appello di Milano assolve Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi per insufficienza di prove, Giancarlo Rognoni per non aver commesso il fatto, e riduce da tre anni a uno la pena per Stefano Tringali con la sospensione condizionale e la non menzione della condanna.

3 maggio 2005, il processo si chiude in Cassazione con la conferma delle assoluzioni degli imputati e l’obbligo, da parte dei parenti delle vittime, del pagamento delle spese processuali.

Oltre l’inganno, la beffa. I giudici compiono un vero capolavoro.

Ma resta una verità storica anche dalle sentenze di assoluzione.

Le responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura, ritenuti anche dalla Corte di Cassazione tra gli esecutori della strage di piazza Fontana, anche se non più giudicabili dopo l’assoluzione definitiva nel gennaio del 1987.

Scrive il neofascista Vincenzo Vinciguerra, vi ricordate, reo confesso della strage a Peteano di Sagrato,in Friuli.

Scrive qualcosa che oggi possiamo solo sussurrare, ma non gridare ad alta voce.

Allora sussurriamo……..

“ Le stragi che hanno insanguinato l’Italia a partire dal 1969, appartengono ad un’unica matrice organizzativa. Tale struttura obbedisce ad una logica secondo cui le direttive partono da Apparati inseriti nelle Istituzioni e per l’esattezza in una struttura parallela e segreta del ministero dell’Interno.”.

Per questo ad oggi, per Piazza Fontana e per tutte le altre stragi, ancora nessuna giustizia.

Per non dimenticare, grazie.

Contributed by dq82 - 2015/5/1 - 11:21


1969, Primavera : la prima pista nera

1969 primavera - Pasquale Juliano è capo della squadra mobile di Padova, indaga sugli attentati in città, individua un nucleo di estremisti di destra, scopre traffici di armi ed esplosivi, intuisce per primo la pista nera che avrebbe portato a piazza Fontana.
Ma qualcuno ferma lui e la sua inchiesta : finisce sotto processo, al giudice che lo indaga parla di attentati imminenti.
questa la storia.

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La prima pista nera

La storia di Pasquale Juliano


vedi anche:

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commissario Juliano – 12 dicembre 1969 Piazza Fontana Strage di Stato

Articoli su commissario Juliano scritti da stragedistato

2019/12/15 - 10:29



Language: Italian


2023
17 fili rossi + 1. Ricordando Piazza Fontana

17 fili rossi


17 fili rossi + 1

L’album si compone di 16 tracce, undici brani musicali e cinque interventi attoriali. Delle canzoni che raccontano la strage nella Banca dell’Agricoltura, la title track, come si è detto, è stata scritta da Renato Franchi partendo da un testo di Fulvio Mario Beretta. Come sovente accade nelle composizioni del cantautore legnanese, un evento tragico come quello dell’esplosione della bomba è raccontato con delicatezza: la canzone si apre infatti rievocando una Milano invernale, avvolta in una fitta nebbia e illuminata dalle luci di Natale, e seguono alcuni “quadretti” che descrivono la quotidianità dei protagonisti, inconsapevoli del proprio crudele destino. In conclusione, vengono ricordati i nomi delle 18 vittime, “17 cuori in cielo con Pino Pinelli”. Dal punto di vista musicale, i timbri di chitarra, pianoforte, violino e percussioni dialogano con la fisarmonica di Roberto Nassini, a cui è affidata la toccante introduzione del pezzo.

Sempre dedicate a Piazza Fontana sono l’omonimo brano scritto da Claudio Bernieri nel 1975, noto anche come Luna rossa ed originariamente interpretato dal gruppo Yu Kung, qui nella rilettura di Come le Foglie, e la versione strumentale del medesimo pezzo da parte della Banda degli Ottoni a Scoppio.
Un’altra canzone d’epoca è Fontana del dolor, conosciuta anche come L’infame strage di Piazza Fontana, composta dal cantastorie meneghino Angelo Cavallini, molto attivo negli anni Settanta come artista di strada. Il pezzo è stato riscoperto dallo stesso Bernieri, che ha anche girato un documentario sull’argomento; nel concept è stato invece affidato all’ensemble piacentino Emily Collettivo Musicale, che ne ha realizzato una versione coinvolgente e trascinante. Altre due canzoni rievocano la strage: La fontana degli Yo Yo Mundi, in cui gli assoli di chitarra nella conclusione del brano sottolineano i versi finali “da un fascio di bugie spunta un germoglio di carezze”, e Oggi no, del cantautore milanese Andreacarlo, che racconta l’inquietudine di un passante dei giorni nostri che, sotto Natale, si ritrova a passare per il centro della città e non può fare a meno di ripensare ai drammatici eventi di mezzo secolo fa.
Dedicate a Giuseppe Pinelli sono La ballata di Pinelli, il tradizionale brano composto sull’aria della canzone popolare Il feroce monarchico Bava, interpretato da Alessio Lega; Quasi soltanto mia, che tratteggia con delicatezza il vissuto di Licia Pinelli, firmata da Filippo Andreani e già contenuta nel suo album “Scritti con Pablo” del 2011, e l’inedita Un ferroviere del cantautore lecchese Daniele Ridolfi, in cui viene data voce allo stesso Pino. Due brani “storici” per due formazioni altrettanto storiche dipingono poi l’oscuro affresco della strategia della tensione (Via Italia, Gang) e la volontà di riscatto dalle ingiustizie (Popolo Unito, Casa del Vento).

I cinque interventi attoriali raccontano invece, da diversi punti di vista, non solo l’accaduto del 12 dicembre, ma anche le sue cause, riconducibili al complesso e torbido disegno della già citata “strategia della tensione” che affonda le sue radici già nell’immediato dopoguerra. Daniele Biacchessi, ne Il Paese della vergogna, descrive la festosa atmosfera natalizia, devastata dallo scoppio dell’ordigno, le vite distrutte delle vittime e i silenzi che si trasformano in urla, le stesse urla che purtroppo torneranno a straziare altri luoghi del nostro Paese. Il rumore del silenzio di Renato Sarti ricorda invece i funerali in piazza Duomo, gremita da oltre 300000 persone, la cui massiccia presenza rappresenta un atto “politico”. Scritta da Claudio Ravasi e interpretata da Paolo Raimondi, A Milano vado poco esprime i sentimenti di una persona che, in gioventù, ha vissuto gli eventi dell’epoca stragista in maniera inconsapevole e che a distanza di molti anni ne percepisce il peso e l’importanza. La prima strage di Stato di Silvano Piccardi e Non è finita di Moni Ovadia, infine, risalgono alle origini dell’eversione nera, riconducibili al 1945, e ai rigurgiti fascisti mai sopiti.
marynowhere.com



12 dicembre 1969, mancano tredici giorni a Natale.

È quasi sera ma Milano è illuminata a giorno.

I grandi magazzini sono sfavillanti.
Le compere e gli acquisti.

Le luminarie addobbano il centro che sembra ormai un carnevale.

Piove e la temperatura è molto bassa, comunque migliaia di persone stipate in pochi metri tra corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo e piazza San Babila vanno su e giù e osservano le vetrine.

Ci sono gli zampognari e i venditori di caldarroste.

Ai bar del Barba e Haiti servono espressi in continuazione.

La gente transita nei pressi del Teatro alla Scala, e quella sera rappresentano Il barbiere di Siviglia.

C’è ressa davanti al Rivoli per Un uomo da marciapiede.

Il freddo entra nelle ossa, tutti noi italiani ci sentiamo felici, immortali, allegri, innocenti.

A un tratto un forte e dirompente boato rompe quella strana ubriacatura invernale. Giunge dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana.

Sette chilogrammi d’esplosivo compresso in una cassetta metallica.

La gelignite è attivata da un timer.

12 dicembre 1969, piazza Fontana, il giorno dell’innocenza perduta.

Diciassette morti, ottantotto feriti.

Alle 16.37 siamo già vecchi.

Il paese è attonito, martoriato.

Nessuno crede a quelle immagini che la televisione trasmette.

Frammenti di guerra, scene che sembrano venire da lontano, da un altro paese.

Cosa contengono i minuti dopo una strage?

Esistono silenzi che spesso sono fin troppo densi di rumori che si annullano a vicenda.

Silenzi, attimi, tempo che sembra non passare mai.

Frasi, azioni, gesti, sguardi, la vita degli agricoltori di Piazza Fontana si è fermata, ibernata. Statue di sangue e dolore che non hanno più un’anima, impietrite ti guardano come per chiedere un aiuto, come vite sospese che non sono più carne e parole.

Quelle statue che paiono di gesso non sono più vive ma parlano.

E raccontano una storia che parte da lontano, proprio da quella banca, a Milano.

Gli ultimi gesti di Pietro Dendena, Eugenio Corsini, Giulio China, Carlo Gaiani, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni.

Gli sguardi di Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Luigi Perego, Oreste Sangalli, Carlo Silva.

Le parole di Attilio Valé, Angelo Scaglia, Calogero Galarioti.

E poi il dolore dei feriti, di quelli mutilati, di quanti si sono poi lasciati morire e non hanno più trovato un identità.

Frasi che risuonano nel cervello, chiare e rotonde, pizzicano in gola, rintoccano sul fondo della lingua, e premono forte sulla laringe e schioccano, sonore e senza voce, più volte, nel corso del tempo, contro il palato. Silenzi fatti di rumori che si trasformano in urla ingoiate di traverso.

E compiono il giro del mondo.

In molti le percepiscono, forti e chiare, acute e potenti come bombe.

Negli anni quelle urla si sentiranno ormai in tanti luoghi del paese

Contributed by Dq82 - 2024/3/22 - 12:24




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