Rivers bloody red, silence shouting “ Threat !”
Beast has led its’ war to Deir Ez-Zor
Noble people fight for their Human Rights
For their Christian faith they were killed, raped.
And all I hear is: “ Shh!”
They were my blood my flesh
What do I pray for? For Deir Ez-Zor
And all I hear is: “ Shh !”
The world has closed its’ ears
Why do I cry for?
For Deir Ez-Zor.
Once expensive clothes to the holes were worn
Like their souls they’re torn at Deir Ez-Zor
Women threw themselves into river near by
Followed by their kids, no more shame, fear!
And all I hear is: “ Shh!”
They were my blood my flesh
What do I pray for? For Deir Ez-Zor
And all I hear is: “ Shh !”
The world has closed its’ ears
Why do I cry for?
For Deir Ez-Zor.
Many of them died, looking at Euphrates
Not allowed to drink from it, not a soul, not a sip,
Hungry child has said:
“Mother! When I am dead, don’t give out my flesh to Turks,
you eat it, you need food!”
And all I hear is: “ Shh!”
They were my blood my flesh
What do I pray for? For Deir Ez-Zor
And all I hear is: “ Shh !”
The world has closed its’ ears
Why do I cry for?
What do I pray for?
Why do I live for?
For Deir Ez-Zor.
Beast has led its’ war to Deir Ez-Zor
Noble people fight for their Human Rights
For their Christian faith they were killed, raped.
And all I hear is: “ Shh!”
They were my blood my flesh
What do I pray for? For Deir Ez-Zor
And all I hear is: “ Shh !”
The world has closed its’ ears
Why do I cry for?
For Deir Ez-Zor.
Once expensive clothes to the holes were worn
Like their souls they’re torn at Deir Ez-Zor
Women threw themselves into river near by
Followed by their kids, no more shame, fear!
And all I hear is: “ Shh!”
They were my blood my flesh
What do I pray for? For Deir Ez-Zor
And all I hear is: “ Shh !”
The world has closed its’ ears
Why do I cry for?
For Deir Ez-Zor.
Many of them died, looking at Euphrates
Not allowed to drink from it, not a soul, not a sip,
Hungry child has said:
“Mother! When I am dead, don’t give out my flesh to Turks,
you eat it, you need food!”
And all I hear is: “ Shh!”
They were my blood my flesh
What do I pray for? For Deir Ez-Zor
And all I hear is: “ Shh !”
The world has closed its’ ears
Why do I cry for?
What do I pray for?
Why do I live for?
For Deir Ez-Zor.
envoyé par Bernart Bartleby - 18/1/2015 - 13:58
La ninna nanna citata nell’introduzione, come tradotta in italiano da Antonia Arslan, è probabilmente quella intitolata “Nazei Oror”.
Mi riservo di contribuirne il testo nei prossimi giorni perchè il mio programma di scrittura domestico non supporta i caratteri armeni.
Nazei Oror
Nazei Oror
Mi riservo di contribuirne il testo nei prossimi giorni perchè il mio programma di scrittura domestico non supporta i caratteri armeni.
Nazei Oror
Nazei Oror
Bernart Bartleby - 18/1/2015 - 17:03
“Uomini, anni, vita”, di Yervant Gianikian ed Angela Ricci Lucchi, Italia, 1990
Dagli archivi zaristi riemergono le immagini del massacro degli armeni del 1915, nella Turchia Orientale, il primo genocidio di massa del secolo. È la carica, l’andare violento, dell’esercito turco a cavallo. Nelle città, nei villaggi, nei monasteri. Il fuoco, il fumo, la polvere, la distruzione. Elenchi di atrocità, di contemplazione del dolore. Ai sopravvissuti non rimane che la via dell’esilio. È l’inizio del vagare di un popolo per i quattro angoli della terra. E non vi è ritorno.
Yervant Gianikian ed Angela Ricci Lucchi - lui di origine armena, lei romagnola - lavorano insieme dagli anni 70 e sono registi “archelogi delle immagini”.
Loro è anche una spendida trilogia - anch’essa risultante dal montaggio artistico di rare immagini di repertorio - dedicata alla Grande Guerra: “Prigionieri della guerra 1914-18” (1995), “Su tutte le vette e pace” (1999) e “Oh, uomo!” (2004)
Dagli archivi zaristi riemergono le immagini del massacro degli armeni del 1915, nella Turchia Orientale, il primo genocidio di massa del secolo. È la carica, l’andare violento, dell’esercito turco a cavallo. Nelle città, nei villaggi, nei monasteri. Il fuoco, il fumo, la polvere, la distruzione. Elenchi di atrocità, di contemplazione del dolore. Ai sopravvissuti non rimane che la via dell’esilio. È l’inizio del vagare di un popolo per i quattro angoli della terra. E non vi è ritorno.
Yervant Gianikian ed Angela Ricci Lucchi - lui di origine armena, lei romagnola - lavorano insieme dagli anni 70 e sono registi “archelogi delle immagini”.
Loro è anche una spendida trilogia - anch’essa risultante dal montaggio artistico di rare immagini di repertorio - dedicata alla Grande Guerra: “Prigionieri della guerra 1914-18” (1995), “Su tutte le vette e pace” (1999) e “Oh, uomo!” (2004)
Bernart Bartleby - 18/1/2015 - 17:22
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Il 24 aprile scorso gli Armeni hanno ricordato il “Medz Yeghern”, il “Grande Crimine”, così loro chiamano il genocidio che il loro popolo subì tra il 1915 ed il 1916 (al culmine di una persecuzione iniziata già alla fine dell’800) ad opera dell’Impero ottomano allora guidato dal movimento politico dei “Giovani Turchi”, quello che avrebbe poi dato vita alla moderna Turchia.
Le cifre dell’olocausto armeno restano controverse, ma il numero dei morti è comunemente ritenuto vicino ai 3 milioni, tra primo (1894-1896) e secondo massacro (1915-1916).
Deir ez-Zor, nell’est della Siria, divenne la tappa finale del cammino della morte imposto dai turchi ai prigionieri armeni. Deir ez-Zor è la Auschwitz degli armeni. A Deir ez-Zor il popolo armeno ha il suo Yad Vashem. O, meglio, lo aveva, perchè è stato distrutto dai combattenti dello Stato Islamico nel settembre scorso.
Vi lascio alle parole di Antonia Arslan, famosa scrittrice italiana di origine armena, che riporta anche una canzone, una straziante ninna nanna, composta proprio 100 anni fa durante quel genocidio ancora oggi spesso negato o negletto. Purtroppo non sono riuscito per il momento a rintracciarne il testo originale.
“Per concludere vi leggerei poche righe che sono una ninna nanna delle deportate che ho ritrovato (è un documento storico) e ho inserito ne "La strada di Smirne" perché trovo che sia un testo di straordinario impatto emotivo. E' una canzone che le deportate nel deserto siriano cantavano per tenersi in piedi, con quella forza consolatrice che ha sempre il canto, e che racconta proprio di queste madri che, ad un certo punto, vedevano i loro bambini morire di fame. Le madri d'altra parte non mangiavano che erba. Nel primo verso sentite parlare del luogo, chiamato Deir ez-Zor. Deir ez Zor nel deserto siriano è per gli armeni quello che per gli ebrei è Auschwitz, il luogo della fine delle deportazioni, il luogo dove gli ultimi sopravvissuti sono stati seppelliti vivi in enormi buche di tipo carsico, presenti nel terreno, coperti di terra e di foglie e dati alle fiamme. I bambini sono stati uccisi nello stesso modo. Per gli armeni questo era Deir ez-Zor. E allora mi permetto di chiudere leggendovi questa piccola ninna nanna:
nel mezzo del fuoco, nel dolore.
Non c'è speranza, non una luce.
Canto una ninna nanna al mio bambino.
Io la canto e lui dorme.
Dormi dormi dormi,
non pensare che la strada è lunga
e il tuo cuore innocente non sarà turbato.
Noi siamo esiliate, non abbiamo una casa,
siamo deportate, non abbiamo un luogo,
non abbiamo nemmeno Dio a giudicare.
La nostra pena è senza fine.
Hai pianto e sei sfinito.
Goccia a goccia ti sei disseccato
succhiando il mio seno asciutto.
La tua anima giusta era turbata,
eri stanco, stanco di piangere.
Goccia a goccia te ne sei andato.
Non ho più latte da darti,
solo sangue esce dai miei occhi.”