[Bei der vordersten Linie in den Karpathen. Es ist alles ruhig. In den Schützengräben stehende Leichname, Mann neben Mann, das Gewehr im Anschlag.]
Kalt war die Nacht.
Wer hat diesen Tod erdacht!
Oh die ihr schlieft in Betten –
daß euch das Herz nicht bricht!
Die kalten Sterne retten uns nicht.
Und nichts wird euch erretten!
[Die Erscheinung verschwindet.]
Kalt war die Nacht.
Wer hat diesen Tod erdacht!
Oh die ihr schlieft in Betten –
daß euch das Herz nicht bricht!
Die kalten Sterne retten uns nicht.
Und nichts wird euch erretten!
[Die Erscheinung verschwindet.]
Contributed by Bernart Bartleby - 2014/10/27 - 10:46
Language: Finnish
Traduzione finlandese / Finnish translation / Suomennos: Juha Rämö
JÄÄTYNEET SOTILAAT
[Etummaisessa linjassa Karpaattien vuorilla. Kaikki on rauhallista. Juoksuhaudoissa seisaalleen kuolleita, vieri vieressä, kiväärit tanassa.]
Yö niin kylmä kuin jää.
Kenen työtä lie kuolema tää!
Te, jotka nukuitte vuoteissanne, oi,
eivätkö jo sydämenne verta vuoda!
Ei pelastusta meille tähdet kylmät voi tuoda.
Ei mikään teitä pelastaa voi!
[Näky katoaa.]
[Etummaisessa linjassa Karpaattien vuorilla. Kaikki on rauhallista. Juoksuhaudoissa seisaalleen kuolleita, vieri vieressä, kiväärit tanassa.]
Yö niin kylmä kuin jää.
Kenen työtä lie kuolema tää!
Te, jotka nukuitte vuoteissanne, oi,
eivätkö jo sydämenne verta vuoda!
Ei pelastusta meille tähdet kylmät voi tuoda.
Ei mikään teitä pelastaa voi!
[Näky katoaa.]
Contributed by Juha Rämö - 2015/9/22 - 10:01
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Versi di Karl Kraus (1874-1936), austriaco, scrittore, giornalista, autore satirico, saggista, aforista e poeta, dalla tragedia intitolata “Die letzten Tage der Menschheit” (“Gli ultimi giorni dell’umanità”), scritta in reazione all’ecatombe della Grande Guerra.
Musica composta da Hanns Eisler nel 1928 (“Zwei Männerchöre Op. 35”, l’altro brano è Kohlen für Mike di Bertolt Brecht), poi nella “Chöre” pubblicata nella DDR nel 1976.
Per giungere a tanto, Kraus dovette abbandonarsi a un rovente delirio, a una perenne peregrinazione sciamanica attraverso le voci, sui mille teatri della guerra, dalle trincee ai Quartier Generali, dai luoghi di villeggiatura ai palazzi imperiali, dagli interni borghesi ai caffè. Il risultato si presenta come un imponente «masso erratico» nella letteratura del Novecento e spezza ogni categoria: prima fra tutte quella della «tragedia», a cui allude il sottotitolo con dolorosa ironia. Perché la tragedia presuppone almeno la coscienza della colpa: mentre qui centinaia di personaggi – fra i quali incontriamo i due imperatori, Francesco Giuseppe e Guglielmo II e vari Potenti maligni, ma anche una loquace giornalista e tanti di quei liberi lettori di giornali che compongono la voce delle masse – in un solo carattere concordano: una spaventosa comicità, data dalla loro comune inconsapevolezza di ciò che provocano e che subiscono, paghi come sono di trasmettersi frasi fatte e di «portare la loro pietruzza» sull’altare dove si attendono le sacre nozze fra la Stupidità e la Potenza. Come Kraus aveva già visto tutte le atrocità della guerra nella affabile vita viennese dei primi anni del Novecento, così nella prima guerra mondiale vide con perfetta chiarezza non solo il nazismo (che qui appare mirabilmente descritto prima ancora che il nome esistesse), ma gli anni in cui viviamo: l’età del massacro. Perciò a noi, come ai lettori di allora, si rivolgono le parole con cui Kraus introduceva gli Ultimi giorni: «I frequentatori dei teatri di questo mondo non saprebbero reggervi. Perché è sangue del loro sangue e sostanza della sostanza di quegli anni irreali, inconcepibili, irraggiungibili da qualsiasi vigile intelletto, inaccessibili a qualsiasi ricordo e conservati soltanto in un sogno cruento, di quegli anni in cui personaggi da operetta recitarono la tragedia dell’umanità».
(Dal risvolto di copertina dell’edizione Adelphi, 1980)