Heels of children running wild in the sun
like a forest is your child growing wild in the sun
Doomed in his innocence in the sun.
Gather your children to your side in the sun
tell them all they love will die, tell them why, in the sun
tell them it's not too late for today one by one
tell them to harvest and rejoice --- in the sun.
like a forest is your child growing wild in the sun
Doomed in his innocence in the sun.
Gather your children to your side in the sun
tell them all they love will die, tell them why, in the sun
tell them it's not too late for today one by one
tell them to harvest and rejoice --- in the sun.
envoyé par Bernart Bartleby - 5/8/2014 - 16:39
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Parole di Diane Lampert (1924-2013), songwriter newyorkese
Musica del compositore Peter Schickele
Nella colonna sonora del film fantascientifico a tema ambientalista intitolato “Silent Running” (uscito in Italia con un solito orribile titolo, “2002, la seconda odissea”) diretto nel 1972 da Douglas Trumbull
“[…] Nelle immagini iniziali si è immersi in una natura dalle forme e dai colori splendidi. La sensazione di essere in un luogo della Terra dove la vita è rimasta indisturbata, è perfetta. Ma non è così: la Terra ha subito un processo di urbanizzazione totale che ha annientato ogni traccia degli ecosistemi naturali. Perfino delle aree protette, dei grandi parchi di un tempo non resta nulla, e gli ultimi brandelli di essi sono stati esiliati in grandi cupole trasparenti agganciate ad astronavi che orbitano nelle zone esterne del sistema solare.
È a bordo di una di queste astronavi che ci troviamo; quattro uomini la pilotano. Uno di essi, il botanico Freeman Lowell, vive in simbiosi con le piante e gli animali ospitati nelle cupole. Dei rimanenti tre è meglio tacere. Guardatevi intorno, nelle strade di una qualsiasi città, cercateli fra i giovani che ciondolano per ore con l’espressione inebetita davanti all’ingresso di un Mc Donalds o di una discoteca, dopo giornate trascorse ad assorbire valanghe di televisione spazzatura e videogiochi necrofili, convinti che quell’orgia di vuoto plastificato sia il migliore dei mondi possibili. È lì, in questo presente, che li troverete.
Ciò che per Lowell è «cibo vero» per gli altri membri dell’equipaggio è «quella roba che tiri fuori dalla terra sporca», mentre l’unico cibo degno di questo nome è quello dall’aspetto e dal sapore standardizzato che viene fuori automaticamente dalle macchine dell’astronave. Non dobbiamo fare un gran volo di fantasia per immaginarcelo: non è altro che il cibo preconfezionato, precotto, precolorato, preconservato che ben conosciamo dai banconi dalla “grande distribuzione” i quali sono già adesso l’unica fonte alimentare che il cosiddetto “uomo medio” è in grado di concepire.
Quando dalla Terra giunge l’ordine di abbandonare il progetto, distruggere le cupole con il loro carico di vita e far tornare le astronavi al traffico commerciale, Lowell rifiuta di obbedire, anche se per far ciò è costretto a ricorrere a mezzi estremi, ovvero uccidere gli altri membri dell’equipaggio e dirottare l’astronave, con l’unica cupola superstite, su un’orbita ancora più esterna. Il suo tentativo fallisce: quando viene rintracciato, fa esplodere l’astronave e se stesso dopo aver sganciato la cupola e affidato la cura delle piante e degli animali a un piccolo automa. È questa l’ultima immagine, che unisce desolazione e struggente speranza: l’unica supersite isola di vita della Terra, sperduta nello spazio e sempre più piccola e lontana, in attesa di un improbabile ritorno […]” (da Silent Running, una profezia sul presente, di Filippo Schillaci)