Il ventinove luglio
del mille e novecento,
a Monza gran subbuglio,
caldo da far spavento.
C'era un sovrano
a festeggiar,
e un'arma in mano
pronta a sparar.
C'era un sovrano
a festeggiar,
e un'arma in mano
pronta a sparar.
Quell'arma era tornata
insieme alla sua mano
da terra un dì sognata,
dal suolo americano.
E per il mare
con lei viaggiò,
pronta a mirare
no, non sbagliò.
E per il mare
con lei viaggiò,
pronta a mirare
no, non sbagliò.
Mano di tessitore
che un giorno fu forgiata
dal lavoro ore e ore
per tutta la giornata.
Tessé il sudario
vendicator
d'un sanguinario
re oppressor.
Tessé il sudario
vendicator
d'un sanguinario
re oppressor.
Maggio del Novantotto,
le strade di Milano
risonan d'urlo rotto,
di grido disumano.
Vogliono il pane,
spara il cannon,
Beccaris cane,
la repression.
Vogliono il pane,
spara il cannon,
Beccaris cane,
la repression.
Sale allora Gaetano
su quella nave e parte
come un dì da Cojano
a esercitare l'arte,
l'arte disdetta
dall'oppressor,
della vendetta,
tre colpi al cuor.
L'arte disdetta
dall'oppressor,
della vendetta,
tre colpi al cuor.
Cade l'Umberto e muore
sopra la sua carrozza,
e la festa in suo onore
d'un tratto la si strozza
come strozzato
fu tosto un dì
l'urlo straziato
di chi perì.
Come strozzato
fu tosto un dì
l'urlo straziato
di chi perì.
(Frase musicale)
Allor con precauzione
Gaetano fu legato,
a un tavolo in prigione
fu stretto e incatenato.
E poi sentenza
lo condannò
all'inesistenza,
lo cancellò.
E poi sentenza
lo condannò
all'inesistenza,
lo cancello.
Però quell'esistenza
oltre cent'anni dopo
sempre è viva presenza,
non fu giunto allo scopo.
S'attende ancora
che torni ognor
che c'è tuttora
tanto lavor.
S'attende in fila
che torni ancor
sì nel Duemila,
vendicator.
Il ventinove luglio
di quest'anno di merda
mi sento un po' in subbuglio,
che il vento vi disperda.
Forse lontano,
forse già qui,
forse a Cojano,
forse partì.
Forse riesci
sempre a sognar
Gaetano Bresci
pronto a sparar.
del mille e novecento,
a Monza gran subbuglio,
caldo da far spavento.
C'era un sovrano
a festeggiar,
e un'arma in mano
pronta a sparar.
C'era un sovrano
a festeggiar,
e un'arma in mano
pronta a sparar.
Quell'arma era tornata
insieme alla sua mano
da terra un dì sognata,
dal suolo americano.
E per il mare
con lei viaggiò,
pronta a mirare
no, non sbagliò.
E per il mare
con lei viaggiò,
pronta a mirare
no, non sbagliò.
Mano di tessitore
che un giorno fu forgiata
dal lavoro ore e ore
per tutta la giornata.
Tessé il sudario
vendicator
d'un sanguinario
re oppressor.
Tessé il sudario
vendicator
d'un sanguinario
re oppressor.
Maggio del Novantotto,
le strade di Milano
risonan d'urlo rotto,
di grido disumano.
Vogliono il pane,
spara il cannon,
Beccaris cane,
la repression.
Vogliono il pane,
spara il cannon,
Beccaris cane,
la repression.
Sale allora Gaetano
su quella nave e parte
come un dì da Cojano
a esercitare l'arte,
l'arte disdetta
dall'oppressor,
della vendetta,
tre colpi al cuor.
L'arte disdetta
dall'oppressor,
della vendetta,
tre colpi al cuor.
Cade l'Umberto e muore
sopra la sua carrozza,
e la festa in suo onore
d'un tratto la si strozza
come strozzato
fu tosto un dì
l'urlo straziato
di chi perì.
Come strozzato
fu tosto un dì
l'urlo straziato
di chi perì.
(Frase musicale)
Allor con precauzione
Gaetano fu legato,
a un tavolo in prigione
fu stretto e incatenato.
E poi sentenza
lo condannò
all'inesistenza,
lo cancellò.
E poi sentenza
lo condannò
all'inesistenza,
lo cancello.
Però quell'esistenza
oltre cent'anni dopo
sempre è viva presenza,
non fu giunto allo scopo.
S'attende ancora
che torni ognor
che c'è tuttora
tanto lavor.
S'attende in fila
che torni ancor
sì nel Duemila,
vendicator.
Il ventinove luglio
di quest'anno di merda
mi sento un po' in subbuglio,
che il vento vi disperda.
Forse lontano,
forse già qui,
forse a Cojano,
forse partì.
Forse riesci
sempre a sognar
Gaetano Bresci
pronto a sparar.
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Da cantarsi sull'aria de
La ballata di Franco Serantini
Non ero affatto nel mio candido lettino, anche perché non è “ino” ed è tutt'altro che candido, quando ho sentito una voce che mi ha detto: “Riccardo!” “Eh!?!?” “Riccardo, svegliati, sono Gaetano.” Mi son trovato davanti un giovanotto ben vestito, con un bel paio di baffi, che parlava con accento di Prào; eh beh, da Prato a qui dove sto io ci vorrà mezz'ora scarsa, del resto, basta fare dieci minuti d'autostrada e il Ponte dell'Indiano... Insomma, avrete tutti capito di chi si tratta. Era venuto, il Bresci, a redarguirmi: “Ora va bene, di canti e canzoni me ne avranno dedicati chissà quanti... ma che te, proprio te, 'un tu ti sia mai messo di buzzo buono a scriverne uno te, di canto, mica mi sfagiola! Sempre bòni voialtri raccoglitori, ma quando si tratta di cimentarsi in prima persona...!” Naturalmente mi son dichiarato immediatamente d'accordo; anche perché il Bresci ci aveva, come dire, un argomento assai convincente che impugnava con decisione (quanto alla perizia, la aveva già ampiamente dimostrata qualche anno fa). Su questo mi ha subito rassicurato: non era venuto a spararmi. Stava facendo, mi ha detto, un piccolo tour in questi tempi, per vedere se putacaso c'era qualcosina da fare; e mi sono affrettato a dirgli che di occasioni non ne mancherebbero, sebbene di re ne siano (fortunatamente) rimasti pochini. “Vabbè, vabbè”, mi ha detto; “tu intanto mettiti al lavoro e fai quel che sai fare, che a quest'altra cosina (e ha indicato, strizzando l'occhio, quel che teneva in mano) 'e ci penso io.” Nessun dubbio al riguardo; è scomparso in una nuvoletta e, naturalmente, mi guardo bene dal dire in quale direzione. State attenti ché è sempre in giro; nel frattempo, colto dall'ispirazione, ho scritto questa canzoncina parecchio modellata sulla cara, vecchia ballata anarchista ma, a differenza di questa, non del tutto projettata sul passato. Dev'essere cantata sull'aria precisa del Sedici di agosto, ma nella variante che fu utilizzata per la Ballata di Serantini da Piero Nissim e dal Canzoniere del Proletariato. Ve la fo risentire, così magari la cantate e Gaetano Bresci appare pure a voi. Il che è molto, molto meglio della solita Madonna. E non piange làgrime di sangue, lui; lui spara ai re. [RV]