Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
Allarmi allarmi curriti cristiani
alla Marina c'è genti strània
genti strània venuta pe’ mari
Curriti genti nta li pertusi
lumeri astutati e porti chjusi
lumeri astutati e porti chjusi...
Notti di luna alla muntagna
briganti e regnanti si strinseru a manu
briganti e regnanti si strinseru a manu...
Notti di luna nta li hjumari
ciarameda chi sona e briganti abballari
ciarameda chi sona e briganti abballari...
Brilla u curtedu, sangu chi cula,
gridu di lupu, briganti chi mori
gridu di lupu, briganti chi mori
Allu Finocchju briganti di razza,
A Castanìa lu 'ncuntri pe’ via
u Bersaglieri è u cchjù feroci
si lu 'ncuntrati facitiv’a cruci
si lu 'ncuntrati facitiv’a cruci
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
E Cavallaru, u profissuri,
omu di pursu e d'intellettu
Genti armata nta lu pajisi
rivoluzioni rivoluzioni
Genti chi grida, genti chi fuji
omani e fimmani d'ogni cuntrada
Stranu, Cufò, Gozza e Migghjusu
Ursini, Campuli e San Nicola
Allu mercatu genti 'ncazzata
‘nta li catoji 'gnuri ammucciati
Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni
Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni
E Cavallaru, u profissuri,
omu di pursu e d'intellettu
Genti armata nta lu pajisi
Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni
Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
Allarmi allarmi curriti cristiani
alla Marina c'è genti strània
genti strània venuta pe’ mari
Curriti genti nta li pertusi
lumeri astutati e porti chjusi
lumeri astutati e porti chjusi...
Notti di luna alla muntagna
briganti e regnanti si strinseru a manu
briganti e regnanti si strinseru a manu...
Notti di luna nta li hjumari
ciarameda chi sona e briganti abballari
ciarameda chi sona e briganti abballari...
Brilla u curtedu, sangu chi cula,
gridu di lupu, briganti chi mori
gridu di lupu, briganti chi mori
Allu Finocchju briganti di razza,
A Castanìa lu 'ncuntri pe’ via
u Bersaglieri è u cchjù feroci
si lu 'ncuntrati facitiv’a cruci
si lu 'ncuntrati facitiv’a cruci
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
Castrum vetus mari nostrum
E Cavallaru, u profissuri,
omu di pursu e d'intellettu
Genti armata nta lu pajisi
rivoluzioni rivoluzioni
Genti chi grida, genti chi fuji
omani e fimmani d'ogni cuntrada
Stranu, Cufò, Gozza e Migghjusu
Ursini, Campuli e San Nicola
Allu mercatu genti 'ncazzata
‘nta li catoji 'gnuri ammucciati
Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni
Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni
E Cavallaru, u profissuri,
omu di pursu e d'intellettu
Genti armata nta lu pajisi
Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni
Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni Rivoluzioni
envoyé par Bernart Bartleby - 20/7/2014 - 14:43
L'impossibile Repubblica di Caulonia
di Gabriele Pedullà
Da Il Sole 24 Ore del 22 febbraio 2011
Il 23 giugno 1947, presso il tribunale di Locri, in provincia di Reggio Calabria, si aprì il più grande processo politico del dopoguerra. Per contenere tutti i 365 imputati il magistrato fu costretto a spostare le udienze in un ex pastificio appositamente trasformato in corte di giustizia. Ma presto venne stabilito che il reato di cui i 365 erano accusati, la sollevazione armata del piccolo centro di Caulonia (all'epoca quindicimila abitanti), ricadeva nei crimini prescritti dall'amnistia di Togliatti dell'anno precedente. Solo tre persone vennero condannate: Ilario Bava e Giuseppe Menno, responsabili dell'uccisione di un prete, e Pasquale Cavallaro, sindaco comunista del paese e - secondo la magistratura - mandante diretto dell'omicidio.
Si concludeva così una piccola vicenda locale che per qualche giorno, appena due anni prima, aveva attirato l'attenzione di tutta Europa, quando si raccontava che persino Stalin avesse dichiarato: «Ci vorrebbe un Cavallaro in ogni città». Ma chi era questo eroe di un giorno, destinato a pagare la propria bravata con otto anni di carcere? La storia della Repubblica di Caulonia ha i tratti, eccezionali e tipici al tempo stesso, del suo ispiratore. Compagno di scuola di Corrado Alvaro, maestro elementare di origine contadina, volontario decorato alla prima guerra mondiale e poi, dopo una lite con un ufficiale, disertore, infine organizzatore di un'associazione a difesa dei braccianti in cui aveva cercato di coinvolgere anche alcuni membri della 'ndrangheta locale, Pasquale Cavallaro aveva 31 anni e una grande esperienza al momento della marcia su Roma. Prevedibilmente, l'ascesa del fascismo lo aveva visto fin da subito tra i più fieri oppositori: picchiato dagli squadristi, privato del lavoro e inviato al confino dal 1933 al 1937, quando nel 1942 ricominciò l'attività segreta di proselitismo per il Partito comunista, Cavallaro era già un leader riconosciuto.
La vita politica ufficiale di Cavallaro inizia al principio del 1944, allorché il prefetto di Reggio Calabria lo nomina quasi a furor di popolo sindaco del comune di Caulonia. In un clima di esasperata contrapposizione con i notabili locali, U professuri, come lo chiamavano i contadini, si lancia subito in una ambiziosa politica di riforme: dalle perquisizioni per sottrarre le armi e il grano incettato dagli agrari alla richiesta rivolta al perito istruttore del comune di condurre una ricerca sulle usurpazioni delle terre demaniali.
Allo stesso tempo Cavallaro organizza di nascosto per il Pci il traffico delle armi alleate verso i partigiani del Nord, intercettando una parte delle spedizioni in vista di una insurrezione filosovietica che in quel momento nessuno si sentiva di escludere del tutto. All'inchiesta del comune il 75% dei terreni demaniali risulta usurpato dalle grandi famiglie del luogo, e la tensione cresce giorno dopo giorno tra le provocazioni degli ex fascisti (spalleggiati apertamente dai carabinieri) e le ansie di riscossa dei contadini. Ma Togliatti, nell'unico incontro con Cavallaro, è stato irremovibile: «Per ora niente». La via italiana al socialismo non deve passare per le armi. Almeno per il momento. E Cavallaro aspetta.
La bomba esplode un mese prima della Liberazione. Per il 6 marzo è prevista a Caulonia la ridistribuzione ai contadini delle terre occupate, ma la sera del giorno prima, con un tempismo un po' sospetto, i carabinieri arrestano con un pretesto il figlio di Cavallaro, Ercole. Di fronte alla provocazione Cavallaro si decide a rompere gli indugi. La mattina del 6 si raccolgono a Caulonia tra i cinque e i diecimila volontari, in gran parte armati con i moschetti, le pistole e i mitra sottratti ai partigiani del Nord; sono presenti anche diversi 'ndranghetisti, che nella zona di Caulonia, a differenza delle altre parti della Calabria, sono schierati con i contadini. L'Italia è ancora una monarchia, ma sul modello delle esperienze partigiane del Nord (come la repubblica della Val d'Ossola o di Alba, raccontate rispettivamente da Franco Fortini e da Beppe Fenoglio in pagine indimenticabili) Cavallaro decide che è il momento di proclamare la repubblica: la Repubblica di Caulonia.
Da questo momento sembra di leggere una versione aggiornata di Libertà: la novella che Giovanni Verga volle dedicare all'insurrezione scatenata a Bronte dalla notizia che in Sicilia era sbarcato Garibaldi e repressa nel sangue dal suo emissario Nino Bixio. Tempestivamente viene aperto un campo di concentramento per i nemici di classe, mentre si forma un Tribunale del popolo, che comincia subito a lavorare a pieno ritmo. Gli ex fascisti, che qui si identificano quasi tutti con i latifondisti, vengono chiamati a uno a uno e sottoposti al giudizio popolare e poi a una serie di punizioni esemplari: baciare la scarpa di un contadino, camminare a piedi nudi, restare nudi nel freddo, intonare a comando l'allora celebre canzone "Mamma son tanto felice", in qualche caso estremo bastonate e scudisciate. La sera i carabinieri liberano Ercole, accolto tra i festeggiamenti generali. L'insurrezione rimane ancora nei limiti tollerabili, finché la mattina dopo avviene l'imprevisto: nel clima di generale resa dei conti, mentre sta compiendo una perquisizione, insieme con Giuseppe Menno, Ilario Bava si imbatte nel parroco Gennaro Amato, che da tempo ha una relazione clandestina con sua moglie, e nel corso di un alterco lo uccide con una fucilata all'inguine carica di allusioni.
Il confine che doveva rimanere invalicabile è stato superato. Cavallaro intuisce subito la gravità dell'accaduto e persuade i due uomini a costituirsi la mattina del giorno dopo alla polizia, ma non basta. A sua volta, Cavallaro viene convinto a mettere fine all'insurrezione dal segretario del Pci della provincia di Reggio, Musolino, e dal prefetto di Reggio, Priolo, che è socialista e che, in cambio della consegna delle armi, promette clemenza per i rivoltosi. Ma la notizia dell'uccisione del prete percorre in poche ore tutta l'Italia. Sono ancora troppo freschi i ricordi della guerra civile spagnola, con le esecuzioni sommarie di parroci, perché tutti, a destra come a sinistra, non vedano il pericolo di una insurrezione generalizzata. Per qualche giorno la stessa alleanza delle forze antifasciste è in pericolo, con i liberali che si dicono pronti a lasciare la maggioranza se Togliatti non condannerà i fatti di Caulonia: cosa che in effetti avviene prontamente.
L'intervento del Pci
L'unico colpevole è Cavallaro. Il trionfalistico telegramma da lui inviato a Togliatti la mattina del 9 è la prova migliore che il sindaco di Caulonia non ha ancora capito cosa sta succedendo attorno a lui: "Insurrezione, come non mai in Calabria, con centro Caulonia, dopo superba soddisfazione ottenuta, est fermata. Solo un morto. Fascisti et reazionari, tutti intendano il basta". Per prudenza il Pci lo convince a lasciare il posto di sindaco e a nascondersi per qualche tempo a Napoli ma di fatto lo consegna ai carabinieri. E poche ore dopo l'arresto di Cavallaro, il 13 aprile, scatta un capillare rastrellamento pianificato da giorni con l'impiego di oltre seicento carabinieri: un'operazione che si conclude con 387 fermi, numerosi feriti tra i contadini e il sequestro di una parte dell'arsenale clandestino.
Alla fine Cavallaro avrebbe pagato per tutti: con una sentenza contraddittoria, che riformulava l'accusa da insurrezione armata ad associazione per delinquere così da poterlo punire come mandante (politico) di un delitto comune, non protetto dunque dall'amnistia. In aggiunta agli otto anni di prigione, da quel momento Cavallaro avrebbe incarnato nel suo partito il tipo del cattivo rivoluzionario: l'uomo che con la sua insurrezione velleitaria aveva dato un nuovo significato alla condanna di Trotsky contro chi si illude di poter fare la rivoluzione "in un solo paese"... E uscito di prigione, Cavallaro dovette sperimentare l'ostracismo dei vecchi compagni, quando lui immaginava che sarebbe stato accolto a braccia aperte per non aver tradito il segreto della rete paramilitare clandestina. Dopo la scelta irreversibile della legalità quelle erano storie che i comunisti preferivano dimenticare, e Umberto Terracini si adoperò a lungo affinché il deriso Cavallaro non aprisse bocca sulla scia del risentimento.
Gli storici non sarebbero stati da meno nella loro condanna. Se le repubbliche partigiane del Nord - comprese quelle fondate in Piemonte nell'estate del 1946 contro l'amnistia di Togliatti - andavano spiegate con categorie politiche, perché evidenziavano la presenza di due linee opposte nella Resistenza (riformista o rivoluzionaria), per Caulonia gli strumenti adatti erano quelli delle ricerche folkloriche. Che cos'era stata infatti l'insurrezione di marzo se non una riedizione della "festa popolare"? Né, da allora, è mancato chi ha evocato la memoria ancestrale dei moti antiborbonici di Caulonia del 1848 (su Il Ponte di Calamandrei, nel 1950) o chi, sulla base di una facile parentela geografica, non ha resistito alla tentazione di attribuire agli insorti il progetto di applicare a Caulonia la lezione della Città del Sole di Campanella. Lo stesso eterno irrazionalismo politico del comportamento delle masse meridionali che nel 1970 sarebbe evocato per spiegare l'insurrezione neofascista di Reggio Calabria, provocata dalla scelta di Catanzaro come capoluogo della regione.
Grazie allo sguardo di Medusa dell'antropologia, Cavallaro sarebbe diventato così sempre più spesso il simbolo delle eterne, ingenue aspirazioni di giustizia del mondo contadino, ovvero l'immagine di una cultura popolare antica quanto immobile. E poco importava che nel leader della Repubblica di Caulonia quelle suggestioni ancestrali convivessero tranquillamente con lo zelo organizzativo di un apprezzato funzionario di partito. Attribuirgli propositi secessionistici e vocazioni da profeta sarebbe stato da quel momento un modo per esorcizzare a posteriori - assieme alla imbarazzante vicinanza con la figura di Cavallaro - un evento ormai scomodo.
Tra universalismo e localismo
Dalla nostra distanza storica possiamo vedere finalmente le cose in maniera diversa. Per comprendere quel misto di universalismo e localismo che ha caratterizzato i fatti di Caulonia non è escluso che convenga rileggere un bell'intervento alla Costituente del comunista calabrese Fausto Gullo, ministro dell'Agricoltura dall'aprile del 1944 e responsabile di alcune delle leggi più avanzate contro il latifondo: una difesa appassionata dello stato unitario contro le ricorrenti tentazioni separatiste (ma anche regionaliste) che ci aiuta, forse, a orientarci meglio tra le contraddizioni e le identità multiple di Cavallaro (il rivoluzionario, il profeta, la testa calda, lo 'ndrangetista, il patriota decorato, il disertore, il dirigente di partito...), proprio perché cerca di interpretare la lunga storia delle insurrezioni meridionali con categorie finalmente politiche. «È contro la Storia, contro la verità colui che osa affermare che il Mezzogiorno d'Italia, entrando a far parte della famiglia unitaria, ha perduto tutto e nulla guadagnato. Nelle rivolte contadinesche che seguirono alla unificazione d'Italia qual è sempre stato il segno verso cui si appuntarono tutte le ire, verso cui si volsero tutti gli odi delle masse? I poteri locali: quei poteri che, essi soli, mozzavano il respito alle popolazioni \. Uno solo è il pericolo: che le classi possidenti meridionali possano tornare, attraverso una larga autonomia regionale, a dominare la nostra vita». Oltretutto, parole sul valore dell'unità nazionale che oggi, a più di sessant'anni di distanza, non hanno perso nulla della loro attualità.
Quell'utopia violenta nata sul modello del Nord Italia
Il sindaco Pasquale Cavallaro è il protagonista della nascita della Repubblica rossa di Caulonia (sopra, il paese oggi). Il 6 marzo 1945, dopo l'ennesima provocazione, davanti a 5-10mila persone - sono contadini e 'ndranghetisti armati di tutto punto - il sindaco proclama la Repubblica di Caulonia, sul modello di quelle del Nord Italia. Viene aperto un campo di concentramento e nasce un tribunale del popolo che giudica i latifondisti (tutti ex fascisti). Ma, il giorno dopo, l'uccisione del parroco Amato fa precipitare la situazione: il sindaco è convinto dal Pci a far terminare l'insurrezione in cambio della promessa di clemenza per i rivoltosi. Cavallaro si dimette e si nasconde a Napoli, intanto la storia della Repubblica si chiude con 387 fermi, numerosi feriti e il sequestro di una parte dell'arsenale clandestino.
di Gabriele Pedullà
Da Il Sole 24 Ore del 22 febbraio 2011
Il 23 giugno 1947, presso il tribunale di Locri, in provincia di Reggio Calabria, si aprì il più grande processo politico del dopoguerra. Per contenere tutti i 365 imputati il magistrato fu costretto a spostare le udienze in un ex pastificio appositamente trasformato in corte di giustizia. Ma presto venne stabilito che il reato di cui i 365 erano accusati, la sollevazione armata del piccolo centro di Caulonia (all'epoca quindicimila abitanti), ricadeva nei crimini prescritti dall'amnistia di Togliatti dell'anno precedente. Solo tre persone vennero condannate: Ilario Bava e Giuseppe Menno, responsabili dell'uccisione di un prete, e Pasquale Cavallaro, sindaco comunista del paese e - secondo la magistratura - mandante diretto dell'omicidio.
Si concludeva così una piccola vicenda locale che per qualche giorno, appena due anni prima, aveva attirato l'attenzione di tutta Europa, quando si raccontava che persino Stalin avesse dichiarato: «Ci vorrebbe un Cavallaro in ogni città». Ma chi era questo eroe di un giorno, destinato a pagare la propria bravata con otto anni di carcere? La storia della Repubblica di Caulonia ha i tratti, eccezionali e tipici al tempo stesso, del suo ispiratore. Compagno di scuola di Corrado Alvaro, maestro elementare di origine contadina, volontario decorato alla prima guerra mondiale e poi, dopo una lite con un ufficiale, disertore, infine organizzatore di un'associazione a difesa dei braccianti in cui aveva cercato di coinvolgere anche alcuni membri della 'ndrangheta locale, Pasquale Cavallaro aveva 31 anni e una grande esperienza al momento della marcia su Roma. Prevedibilmente, l'ascesa del fascismo lo aveva visto fin da subito tra i più fieri oppositori: picchiato dagli squadristi, privato del lavoro e inviato al confino dal 1933 al 1937, quando nel 1942 ricominciò l'attività segreta di proselitismo per il Partito comunista, Cavallaro era già un leader riconosciuto.
La vita politica ufficiale di Cavallaro inizia al principio del 1944, allorché il prefetto di Reggio Calabria lo nomina quasi a furor di popolo sindaco del comune di Caulonia. In un clima di esasperata contrapposizione con i notabili locali, U professuri, come lo chiamavano i contadini, si lancia subito in una ambiziosa politica di riforme: dalle perquisizioni per sottrarre le armi e il grano incettato dagli agrari alla richiesta rivolta al perito istruttore del comune di condurre una ricerca sulle usurpazioni delle terre demaniali.
Allo stesso tempo Cavallaro organizza di nascosto per il Pci il traffico delle armi alleate verso i partigiani del Nord, intercettando una parte delle spedizioni in vista di una insurrezione filosovietica che in quel momento nessuno si sentiva di escludere del tutto. All'inchiesta del comune il 75% dei terreni demaniali risulta usurpato dalle grandi famiglie del luogo, e la tensione cresce giorno dopo giorno tra le provocazioni degli ex fascisti (spalleggiati apertamente dai carabinieri) e le ansie di riscossa dei contadini. Ma Togliatti, nell'unico incontro con Cavallaro, è stato irremovibile: «Per ora niente». La via italiana al socialismo non deve passare per le armi. Almeno per il momento. E Cavallaro aspetta.
La bomba esplode un mese prima della Liberazione. Per il 6 marzo è prevista a Caulonia la ridistribuzione ai contadini delle terre occupate, ma la sera del giorno prima, con un tempismo un po' sospetto, i carabinieri arrestano con un pretesto il figlio di Cavallaro, Ercole. Di fronte alla provocazione Cavallaro si decide a rompere gli indugi. La mattina del 6 si raccolgono a Caulonia tra i cinque e i diecimila volontari, in gran parte armati con i moschetti, le pistole e i mitra sottratti ai partigiani del Nord; sono presenti anche diversi 'ndranghetisti, che nella zona di Caulonia, a differenza delle altre parti della Calabria, sono schierati con i contadini. L'Italia è ancora una monarchia, ma sul modello delle esperienze partigiane del Nord (come la repubblica della Val d'Ossola o di Alba, raccontate rispettivamente da Franco Fortini e da Beppe Fenoglio in pagine indimenticabili) Cavallaro decide che è il momento di proclamare la repubblica: la Repubblica di Caulonia.
Da questo momento sembra di leggere una versione aggiornata di Libertà: la novella che Giovanni Verga volle dedicare all'insurrezione scatenata a Bronte dalla notizia che in Sicilia era sbarcato Garibaldi e repressa nel sangue dal suo emissario Nino Bixio. Tempestivamente viene aperto un campo di concentramento per i nemici di classe, mentre si forma un Tribunale del popolo, che comincia subito a lavorare a pieno ritmo. Gli ex fascisti, che qui si identificano quasi tutti con i latifondisti, vengono chiamati a uno a uno e sottoposti al giudizio popolare e poi a una serie di punizioni esemplari: baciare la scarpa di un contadino, camminare a piedi nudi, restare nudi nel freddo, intonare a comando l'allora celebre canzone "Mamma son tanto felice", in qualche caso estremo bastonate e scudisciate. La sera i carabinieri liberano Ercole, accolto tra i festeggiamenti generali. L'insurrezione rimane ancora nei limiti tollerabili, finché la mattina dopo avviene l'imprevisto: nel clima di generale resa dei conti, mentre sta compiendo una perquisizione, insieme con Giuseppe Menno, Ilario Bava si imbatte nel parroco Gennaro Amato, che da tempo ha una relazione clandestina con sua moglie, e nel corso di un alterco lo uccide con una fucilata all'inguine carica di allusioni.
Il confine che doveva rimanere invalicabile è stato superato. Cavallaro intuisce subito la gravità dell'accaduto e persuade i due uomini a costituirsi la mattina del giorno dopo alla polizia, ma non basta. A sua volta, Cavallaro viene convinto a mettere fine all'insurrezione dal segretario del Pci della provincia di Reggio, Musolino, e dal prefetto di Reggio, Priolo, che è socialista e che, in cambio della consegna delle armi, promette clemenza per i rivoltosi. Ma la notizia dell'uccisione del prete percorre in poche ore tutta l'Italia. Sono ancora troppo freschi i ricordi della guerra civile spagnola, con le esecuzioni sommarie di parroci, perché tutti, a destra come a sinistra, non vedano il pericolo di una insurrezione generalizzata. Per qualche giorno la stessa alleanza delle forze antifasciste è in pericolo, con i liberali che si dicono pronti a lasciare la maggioranza se Togliatti non condannerà i fatti di Caulonia: cosa che in effetti avviene prontamente.
L'intervento del Pci
L'unico colpevole è Cavallaro. Il trionfalistico telegramma da lui inviato a Togliatti la mattina del 9 è la prova migliore che il sindaco di Caulonia non ha ancora capito cosa sta succedendo attorno a lui: "Insurrezione, come non mai in Calabria, con centro Caulonia, dopo superba soddisfazione ottenuta, est fermata. Solo un morto. Fascisti et reazionari, tutti intendano il basta". Per prudenza il Pci lo convince a lasciare il posto di sindaco e a nascondersi per qualche tempo a Napoli ma di fatto lo consegna ai carabinieri. E poche ore dopo l'arresto di Cavallaro, il 13 aprile, scatta un capillare rastrellamento pianificato da giorni con l'impiego di oltre seicento carabinieri: un'operazione che si conclude con 387 fermi, numerosi feriti tra i contadini e il sequestro di una parte dell'arsenale clandestino.
Alla fine Cavallaro avrebbe pagato per tutti: con una sentenza contraddittoria, che riformulava l'accusa da insurrezione armata ad associazione per delinquere così da poterlo punire come mandante (politico) di un delitto comune, non protetto dunque dall'amnistia. In aggiunta agli otto anni di prigione, da quel momento Cavallaro avrebbe incarnato nel suo partito il tipo del cattivo rivoluzionario: l'uomo che con la sua insurrezione velleitaria aveva dato un nuovo significato alla condanna di Trotsky contro chi si illude di poter fare la rivoluzione "in un solo paese"... E uscito di prigione, Cavallaro dovette sperimentare l'ostracismo dei vecchi compagni, quando lui immaginava che sarebbe stato accolto a braccia aperte per non aver tradito il segreto della rete paramilitare clandestina. Dopo la scelta irreversibile della legalità quelle erano storie che i comunisti preferivano dimenticare, e Umberto Terracini si adoperò a lungo affinché il deriso Cavallaro non aprisse bocca sulla scia del risentimento.
Gli storici non sarebbero stati da meno nella loro condanna. Se le repubbliche partigiane del Nord - comprese quelle fondate in Piemonte nell'estate del 1946 contro l'amnistia di Togliatti - andavano spiegate con categorie politiche, perché evidenziavano la presenza di due linee opposte nella Resistenza (riformista o rivoluzionaria), per Caulonia gli strumenti adatti erano quelli delle ricerche folkloriche. Che cos'era stata infatti l'insurrezione di marzo se non una riedizione della "festa popolare"? Né, da allora, è mancato chi ha evocato la memoria ancestrale dei moti antiborbonici di Caulonia del 1848 (su Il Ponte di Calamandrei, nel 1950) o chi, sulla base di una facile parentela geografica, non ha resistito alla tentazione di attribuire agli insorti il progetto di applicare a Caulonia la lezione della Città del Sole di Campanella. Lo stesso eterno irrazionalismo politico del comportamento delle masse meridionali che nel 1970 sarebbe evocato per spiegare l'insurrezione neofascista di Reggio Calabria, provocata dalla scelta di Catanzaro come capoluogo della regione.
Grazie allo sguardo di Medusa dell'antropologia, Cavallaro sarebbe diventato così sempre più spesso il simbolo delle eterne, ingenue aspirazioni di giustizia del mondo contadino, ovvero l'immagine di una cultura popolare antica quanto immobile. E poco importava che nel leader della Repubblica di Caulonia quelle suggestioni ancestrali convivessero tranquillamente con lo zelo organizzativo di un apprezzato funzionario di partito. Attribuirgli propositi secessionistici e vocazioni da profeta sarebbe stato da quel momento un modo per esorcizzare a posteriori - assieme alla imbarazzante vicinanza con la figura di Cavallaro - un evento ormai scomodo.
Tra universalismo e localismo
Dalla nostra distanza storica possiamo vedere finalmente le cose in maniera diversa. Per comprendere quel misto di universalismo e localismo che ha caratterizzato i fatti di Caulonia non è escluso che convenga rileggere un bell'intervento alla Costituente del comunista calabrese Fausto Gullo, ministro dell'Agricoltura dall'aprile del 1944 e responsabile di alcune delle leggi più avanzate contro il latifondo: una difesa appassionata dello stato unitario contro le ricorrenti tentazioni separatiste (ma anche regionaliste) che ci aiuta, forse, a orientarci meglio tra le contraddizioni e le identità multiple di Cavallaro (il rivoluzionario, il profeta, la testa calda, lo 'ndrangetista, il patriota decorato, il disertore, il dirigente di partito...), proprio perché cerca di interpretare la lunga storia delle insurrezioni meridionali con categorie finalmente politiche. «È contro la Storia, contro la verità colui che osa affermare che il Mezzogiorno d'Italia, entrando a far parte della famiglia unitaria, ha perduto tutto e nulla guadagnato. Nelle rivolte contadinesche che seguirono alla unificazione d'Italia qual è sempre stato il segno verso cui si appuntarono tutte le ire, verso cui si volsero tutti gli odi delle masse? I poteri locali: quei poteri che, essi soli, mozzavano il respito alle popolazioni \. Uno solo è il pericolo: che le classi possidenti meridionali possano tornare, attraverso una larga autonomia regionale, a dominare la nostra vita». Oltretutto, parole sul valore dell'unità nazionale che oggi, a più di sessant'anni di distanza, non hanno perso nulla della loro attualità.
Quell'utopia violenta nata sul modello del Nord Italia
Il sindaco Pasquale Cavallaro è il protagonista della nascita della Repubblica rossa di Caulonia (sopra, il paese oggi). Il 6 marzo 1945, dopo l'ennesima provocazione, davanti a 5-10mila persone - sono contadini e 'ndranghetisti armati di tutto punto - il sindaco proclama la Repubblica di Caulonia, sul modello di quelle del Nord Italia. Viene aperto un campo di concentramento e nasce un tribunale del popolo che giudica i latifondisti (tutti ex fascisti). Ma, il giorno dopo, l'uccisione del parroco Amato fa precipitare la situazione: il sindaco è convinto dal Pci a far terminare l'insurrezione in cambio della promessa di clemenza per i rivoltosi. Cavallaro si dimette e si nasconde a Napoli, intanto la storia della Repubblica si chiude con 387 fermi, numerosi feriti e il sequestro di una parte dell'arsenale clandestino.
Bernart Bartleby - 20/7/2014 - 15:01
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Parole e musica di Mimmo Cavallaro
Nel disco dei TaranProject (Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea) intitolato “Sonu” (2013)
“Castrum vetus”, Castelvetere è l’antico nome di un paese in provincia di Reggio Calabria. Due anni dopo l’“Unità d’Italia” venne ribattezzato Caulónia, italianizzazione dal greco calabro, perchè lì si pensava che sorgesse l’antica Kaulon fondata dagli Achei (si seppe più tardi che l’insediamento in questione sorgeva invece nel vicino comune di Monasterace).
Mimmo Cavallaro, originario di Caulonia/Castelvetere, ha dedicato al suo paese questa canzone che è una sintesi suprema di storia, che si va dalle scorrerie piratesche al periodo borbonico, con i suoi re e briganti di volta in volta avversari e compari, dalla feroce occupazione piemontese, da cui scaturì quella che impropriamente viene chiamata “Unità d’Italia”, ad un episodio importante ma non molto conosciuto che accadde nel 1945 e che vide come protagonista tal Pasquale Cavallaro (forse un parente dell’autore?)...
Pasquale Cavallaro era un insegnante elementare ed era un comunista. “U profissuri”, come veniva chiamato, era un uomo di polso e di cultura (“omu di pursu e d'intellettu”) e conosceva bene la travagliata storia della sua terra. Sapeva bene, per esempio, che l’ “Unità d’Italia” aveva cambiato solo il nome a Castelvetere, ma per il resto tutto era rimasto come prima: i padroni, gli agrari erano diventati ancora più ricchi, avendo usurpato, con il beneplacito della legge, il 75% delle terre demaniali, e braccianti e contadini erano rimasti in una miseria ancora più nera. Cosa fece allora il nostro professore? Fece intercettare molte delle armi degli Alleati destinate alla Resistenza del nord Italia e le fece nascondere con l’intenzione di tirarle fuori al momento opportuno, se fosse stato necessario fa capire ai proprietari ingordi e ai vecchi fascisti, che già si erano cuciti le giacchette nuove, che almeno a Caulonia la musica era cambiata per davvero.
All’inizio del 1944 Pasquale Cavallaro fu eletto sindaco a furor di popolo e cominciò subito il suo piano di riforme: disarmo dei campieri, gli scagnozzi dei proprietari, sequestro delle derrate di grano stoccate per mantenere alto il prezzo del pane, riforma agraria con distribuzione ai contadini delle terre usurpate... Gli agrari s’incazzarono di brutto e - guarda un po’ - chiamarono in loro aiuto la “legge”... Appena qualche settimana dopo la Liberazione, proprio alla vigilia di una grossa ridistribuzione di terre, i carabinieri arrestarono il figlio di Cavallaro, Ettore. A quel punto “u profissuri”, che aveva fino a quel momento atteso pazientemente da Togliatti un ordine di insurrezione che non era mai arrivato, insorse da solo e, forte di alcune migliaia di volontari armati, dichiarò la “Repubblica di Caulonia” issando la bandiera rossa con falce e martello. I contadini armati, liberi finalmente dopo secoli di vessazioni, si abbandonarono alla violenza contro alcuni dei notabili del paese, arrivando ad uccidere il parroco.
Nonostante la benedizione di Stalin in persona - che avrebbe dichiarato “Ci vorrebbe un Cavallaro in ogni città” - il professore e i suoi furono subito scaricati dal PCI e in breve disarmati dopo l’intervento della polizia da Reggio Calabria. Cavallaro si dimise e fu arrestato con altre centinaia di cauloniesi.
Il processo, celebrato a Locri nel 1947, fu il più importante processo politico del dopoguerra, un maxi-processo che, a causa dei quasi 400 imputati, dovette svolgersi in un impianto industriale appositamente requisito. Alla fine tutti godettero dell’amnistia togliattiana ma non gli esecutori materiali del preticidio e non il Cavallaro, ritenutone ingiustamente il mandante. E nemmeno quei quattro contadini che morirono per le violenze e le torture subite durante la detenzione.
Una vicenda che ricorda molto quella di Bronte del 1860...