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Un sogno americano

Michele Gazich
Langue: italien


Michele Gazich

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Album: "Una storia di mare e di sangue"
Una storia di mare e di sangue

Natale 1963. Vincenza (Vizze) Buliumbassich, la mia bisnonna, consegna al maggiore dei suoi figli le sue memorie, scritte in veneto, su un quaderno comune. Le importanti testimonianze sono poi state consegnate a mio padre, che, a sua volta, le ha passate a me, qualche anno fa. Parole di mare e di sangue, scritte senza nessuna pretesa letteraria e dunque perfette e ardenti nella volontà di preservare una storia di famiglia. Una storia insieme particolarissima e comune, come tutte le storie della gente povera. Una storia di mare e di sangue è stata ispirata e guidata da quel quaderno; è un omaggio a quella grazia preziosa e involontaria. La scrittura e la composizione di Una storia di mare e di sangue mi ha accompagnato per tanti anni. Con il mio violino sempre in spalla, sono tornato in tutti i luoghi dove la mia famiglia ha vissuto: ho studiato tradizioni musicali, colte e popolari, di queste terre. Ho incontrato altri strumenti, altri stili musicali, ma soprattutto luoghi e persone. Ho cantato in lingue che credevo di avere dimenticato e ho ripercorso la storia del mio sangue”.

Lo scenario cambia con la  migrazione della famiglia verso il Nuovo Mondo in cerca di fortuna con Un sogno americano (29 agosto 1911), che con l’aggiunta di mandolino e banjo e un bravo Marco Fecchio alla chitarra acustica, ci regala una splendida  ballata ricca di sonorità folk, country, irish,  “… il sogno che comincia e non finisce …”

La struttura di “Un Sogno Americano” è invece ispirata a quella delle disaster songs. Come si è indirizzato il tuo lavoro compositivo e musicale per questo brano? 
Volevo narrare la storia del mio bisnonno, la sua improvvisa cecità per lo scoppio di una mina in una miniera a Saint Louis attraverso una modalità americana, a partire dalla musica, costruita come una “disaster song” americana inizio Novecento (Una interessante e facilmente raggiungibile collezione di questi brani è “People take warning – Murder ballads & disaster songs, 1913-1938”): canzoni che parlavano di omicidi, infortuni sul lavoro e incidenti anche maggiori, come l’affondamento del Titanic. È volutamente sconvolgente, nell’ascoltare l’album, il passaggio dalla grazia e dalle dinamiche dolci e cangianti di “Preghiera de la zente zaratina”, costruita su sonorità veneziane, a “Un sogno americano”, dove ogni strofa segue l’altra inesorabilmente, con l’incedere bruto della ballata americana: uno può anche morire nelle parole del testo, ma la musica procede sempre uguale a se stessa. Ho trovato poesia e verità, tuttavia, in questa brutalità che ho desiderato ripercorrere: la brutalità, la spietatezza del mondo e della natura che continuano a vivere intorno a noi sempre uguali a se stessi, senza mai “partecipare” in alcun modo alle nostre disgrazie. Marco Fecchio ha suonato su questo brano una Gibson del 1914, che ha commentato il tappeto srotolato dai miei fiddles, dalla chitarra stile Carter Family di Paolo Costola e dal banjo di Marco Lamberti. Un orchestrina di folk americano per narrare il sogno americano: un sogno americano fu quello fatto a Saint Louis dalla mia bisnonna che le preannunciava la disgrazia del marito; un sogno americano fu quello, infranto, del mio bisnonno; un sogno americano è stato il mio, altrettanto fatto a pezzi nel conoscere davvero l’America e l’avidità spietata di questa presunta “Land of Plenty”. 
Ieri notte ho fatto un sogno, ve lo voglio raccontare
Vicino al letto c'era Cristo Signore
Accanto a lui San Pietro con le chiavi in mano
Ieri notte ho fatto un sogno americano
Gesù Cristo si avvicina a passi lenti
E mi dà 3 pezzi d'oro tutti lucenti
Io li prendo e poi li stringo al mio petto piano piano
Ieri notte ho fatto un sogno americano

Perché il sogno americano è tutto d'oro
Il sogno americano è stelle e strisce
Il sogno americano tu lo puoi cantare in coro
Il sogno che comincia e non finisce
Perché il sogno americano è latte e miele
Il sogno americano è l'orizzonte
Il sogno americano è sempre il sogno di Babele
La torre che comincia e non finisce

Il sole sorge e scende ogni sera
Ma non per Niccolò laggiù in miniera
Oggi mi sentivo sola in modo strano
Ripensando al mio sogno americano
Un pezzo d'oro aveva la forma del cuore
L'altro pezzo un'ancora in fondo al mare
L'ultimo pezzo era una stella e brillava da lontano
Ieri notte ho fatto un sogno americano

Perché il sogno americano è tutto d'oro
Il sogno americano è stelle e strisce
Il sogno americano tu lo puoi cantare in coro
Il sogno che comincia e non finisce
Perché il sogno americano è latte e miele
Il sogno americano è l'orizzonte
Il sogno americano è sempre il sogno di Babele
La torre che comincia e non finisce

Poi lo scoppio e Niccolò non ha più gli occhi
In America non c'è posto per i ciechi e per gli storpi
È un attimo e torni slavo, turco, nero o italiano
E tramonta il grande sogno americano
"Dolce stella, ti prego, portami a casa
Ancora conducimi al porto di Zara
Cuore mio, se batti ancora io non ho vissuto invano
Ieri notte ho fatto un sogno americano"

Perché il sogno americano è tutto d'oro
Il sogno americano è stelle e strisce
Il sogno americano tu lo puoi cantare in coro
Il sogno che comincia e non finisce
Perché il sogno americano è latte e miele
Il sogno americano è l'orizzonte
Il sogno americano è sempre il sogno di Babele
La torre che comincia e non finisce

envoyé par Donquijote82 - 17/6/2014 - 18:19


Sono quasi certo che non canti "ma non per chi volò laggiù in miniera", anche se non capisco cosa dica esattamente. Forse "ma non per Niccolò laggiù in miniera" (ma chi è Niccolò?). Provate ad ascoltare.

Alberto Scotti - 21/4/2021 - 21:40


Alla fine ho capito, c'erano diversi errori qua è là. Niccolò è un minatore reso cieco da uno scoppio, come si capisce nel penultimo verso. Così la storia ha senso.
Ecco il testo corretto.

Grazie, abbiamo sostituito il testo.

Alberto Scotti - 21/4/2021 - 21:45




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