I met a traveller from an antique land
Who said: Two vast trunkless legs of stone
Stand in the desert... Near them on the sand,
Half sunk, a shattered visage lies, whose frown
And wrinkled lip, and sneer of cold command
Tell that its sculptor well those passions read
Which yet survive, stamped on these lifeless things,
The hand that mocked them, and the heart that fed.
And on the pedestal these words appear:
"I am Ozimandias, King of Kings.
Look on my works ye Mighty, and despair."
Nothing besides remains. Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare,
The lone and level sands stretch far away.
Who said: Two vast trunkless legs of stone
Stand in the desert... Near them on the sand,
Half sunk, a shattered visage lies, whose frown
And wrinkled lip, and sneer of cold command
Tell that its sculptor well those passions read
Which yet survive, stamped on these lifeless things,
The hand that mocked them, and the heart that fed.
And on the pedestal these words appear:
"I am Ozimandias, King of Kings.
Look on my works ye Mighty, and despair."
Nothing besides remains. Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare,
The lone and level sands stretch far away.
Contributed by Bernart Bartleby - 2014/2/26 - 22:43
Language: Italian
Traduzione italiana di Ferdinando Albeggiani da The Lied, Art Song, and Choral Texts Archive
OZYMANDIAS
Un viaggiatore ho incontrato, giunto da un paese antico,
mi disse: "Due immense gambe di pietra prive di tronco
si ergono nel deserto...Vicino ad esse sulla sabbia,
mezzo sepolto, giace un volto in frantumi, il cui cipiglio
e il corrugato labbro, e il ghigno di freddo comando,
rivelano che lo scultore assai bene colse quelle passioni
che ancora sopravvivono -impresse in quegli oggetti senza vita-
a quella mano che le raffigurò e all'anima che le nutrì.
E sopra il piedistallo stanno incise queste parole:
"Ozymandias è il mio nome, il Re dei Re:
guardate alle mie opere, o potenti, e disperate!"
Null'altro rimane. Attorno allo sfacelo
di quel rudere immenso, sconfinato e nudo,
si stende delle sabbie, solitario, il piano.
Un viaggiatore ho incontrato, giunto da un paese antico,
mi disse: "Due immense gambe di pietra prive di tronco
si ergono nel deserto...Vicino ad esse sulla sabbia,
mezzo sepolto, giace un volto in frantumi, il cui cipiglio
e il corrugato labbro, e il ghigno di freddo comando,
rivelano che lo scultore assai bene colse quelle passioni
che ancora sopravvivono -impresse in quegli oggetti senza vita-
a quella mano che le raffigurò e all'anima che le nutrì.
E sopra il piedistallo stanno incise queste parole:
"Ozymandias è il mio nome, il Re dei Re:
guardate alle mie opere, o potenti, e disperate!"
Null'altro rimane. Attorno allo sfacelo
di quel rudere immenso, sconfinato e nudo,
si stende delle sabbie, solitario, il piano.
Contributed by Bernart Bartleby - 2014/2/26 - 22:43
Language: English
La versione del poeta Horace Smith.
OZYMANDIAS
In Egypt's sandy silence, all alone,
Stands a gigantic Leg, which far off throws
The only shadow that the Desert knows:—
"I am great OZYMANDIAS," saith the stone,
"The King of Kings; this mighty City shows
"The wonders of my hand."— The City's gone,—
Nought but the Leg remaining to disclose
The site of this forgotten Babylon.
We wonder,—and some Hunter may express
Wonder like ours, when thro' the wilderness
Where London stood, holding the Wolf in chace,
He meets some fragment huge, and stops to guess
What powerful but unrecorded race
Once dwelt in that annihilated place.
In Egypt's sandy silence, all alone,
Stands a gigantic Leg, which far off throws
The only shadow that the Desert knows:—
"I am great OZYMANDIAS," saith the stone,
"The King of Kings; this mighty City shows
"The wonders of my hand."— The City's gone,—
Nought but the Leg remaining to disclose
The site of this forgotten Babylon.
We wonder,—and some Hunter may express
Wonder like ours, when thro' the wilderness
Where London stood, holding the Wolf in chace,
He meets some fragment huge, and stops to guess
What powerful but unrecorded race
Once dwelt in that annihilated place.
Contributed by Bernart Bartleby - 2014/2/26 - 22:44
×
Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
Versi del grande poeta inglese Percy Bysshe Shelley (1792 - 1822), pubblicati prima sull’Examiner e quindi inclusi nella raccolta “Rosalind and Helen, A Modern Eclogue; with Other Poems” pubblicata postuma nel 1826.
Messi in musica da un numero elevatissimo di compositori classici. Si veda la pagina di The Lied, Art Song, and Choral Texts Archive dove il testo è stato reperito. Più recentemente da gruppi come i tedeschi Qntal e i finlandesi The Black League.
Il sonetto fu scritto da Shelley nel corso di una competizione con l’amico Horace Smith (1779–1849) per comporre un benvenuto ad una statua del faraone egiziano Ramesses II (conosciuto anche con il nome di Ozymandias), appena acquisita nella collezione del British Museum di Londra.
Ma la poesia fu subito letta - e non v’è dubbio che lo fosse - come un severo monito all’impero britannico proprio nel pieno del suo fulgore, tre anni dopo la batosta inflitta ai francesi a Waterloo e l’anno stesso in cui le truppe della British East India Company consolidavano il dominio inglese in India dopo la battaglia di Koregaon (memorabile ancora oggi per i più fedeli tra i sudditi della Corona: 500 soldati imperiali britannici che sconfissero quasi 30.000 soldati imperiali del Maratha...).
Inutile dire che la poesia non piacque affatto in patria...