Lavoratore oppresso, schiavo ed avvilito
che il campo altrui fecondi col rude tuo lavor,
se della tirannia il regno vuoi finito,
solleva il curvo capo, calpesta l'oppressor.
Sei tu che produci, sei tu che lavori,
dannato agli stenti, dannato al soffrir;
sei tu che ad ingordi, rapaci signori
procuri l'ebbrezza di un empio gioir.
Garzon che gli anni sciupi in opra faticosa
se vuoi dell'esistenza distruggere il dolor,
infrangi il duro giogo, che vil progenie oziosa
t'avvinse al giovin fronte dannandoti al sudor.
Distruggi, compagno, la tetra officina,
già troppo ha durato il tuo lungo servir,
accorri, ché l'ora solenne è vicina
di vincer pugnando o in armi morir.
E tu che rassegnata al tuo crudel destino,
pel ricco fannullone strumento di piacer,
trascini i tristi giorni sperando nel divino
compenso che promette un prete menzogner.
Deh, vien che già spunta fiorito l'aprile
di vita novella, di mite stagion;
deh vieni a far coro compagna, gentile,
cantando ribelle, gagliarda canzon.
Manipolo noi siamo d'oppressi e senza pane
che demmo all'avvenire il braccio ed il pensier:
ribelli ad ogni giogo, vogliam le genti umane
chiamar alla conquista del diritto di goder.
Stringiamo, stringiamo le nostre coorti;
sorgiamo compatti contr'ogni oppression:
se forte è il nemico, noi siamo più forti,
poiché siam pel giusto nell'aspra tenzon.
Monarchi sanguinari, politicanti astuti,
preti bugiardi e ladri ci voglion dominar;
privi d'ogni diritto viviamo al par dei bruti,
siam carne da macello, strumenti da sfruttar.
Oppressi, fiaccati nel turpe servaggio
subimmo pur l'onta d'insulto villan;
ma or che siam sorti, lavare l'oltraggio
nel sangue borghese, ribelli, saprem.
Non ci trattenga il braccio
del vil borghese il pianto,
è dopo l'uragano terribile soltanto
che più fulgente il sole in ciel radioso appar.
Alfine redente, le plebi gioconde
un'alba di pace spuntare vedran;
e alfin spenti gli odi, all'opre feconde
verranno cantando nel lieto diman.
che il campo altrui fecondi col rude tuo lavor,
se della tirannia il regno vuoi finito,
solleva il curvo capo, calpesta l'oppressor.
Sei tu che produci, sei tu che lavori,
dannato agli stenti, dannato al soffrir;
sei tu che ad ingordi, rapaci signori
procuri l'ebbrezza di un empio gioir.
Diserta il supplizio, diserta fratello,
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
Garzon che gli anni sciupi in opra faticosa
se vuoi dell'esistenza distruggere il dolor,
infrangi il duro giogo, che vil progenie oziosa
t'avvinse al giovin fronte dannandoti al sudor.
Distruggi, compagno, la tetra officina,
già troppo ha durato il tuo lungo servir,
accorri, ché l'ora solenne è vicina
di vincer pugnando o in armi morir.
Diserta il supplizio, diserta fratello,
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
E tu che rassegnata al tuo crudel destino,
pel ricco fannullone strumento di piacer,
trascini i tristi giorni sperando nel divino
compenso che promette un prete menzogner.
Deh, vien che già spunta fiorito l'aprile
di vita novella, di mite stagion;
deh vieni a far coro compagna, gentile,
cantando ribelle, gagliarda canzon.
Diserta il supplizio, diserta fratello,
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
Manipolo noi siamo d'oppressi e senza pane
che demmo all'avvenire il braccio ed il pensier:
ribelli ad ogni giogo, vogliam le genti umane
chiamar alla conquista del diritto di goder.
Stringiamo, stringiamo le nostre coorti;
sorgiamo compatti contr'ogni oppression:
se forte è il nemico, noi siamo più forti,
poiché siam pel giusto nell'aspra tenzon.
Diserta il supplizio, diserta fratello,
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
Monarchi sanguinari, politicanti astuti,
preti bugiardi e ladri ci voglion dominar;
privi d'ogni diritto viviamo al par dei bruti,
siam carne da macello, strumenti da sfruttar.
Oppressi, fiaccati nel turpe servaggio
subimmo pur l'onta d'insulto villan;
ma or che siam sorti, lavare l'oltraggio
nel sangue borghese, ribelli, saprem.
Diserta il supplizio, diserta fratello,
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
Non ci trattenga il braccio
del vil borghese il pianto,
è dopo l'uragano terribile soltanto
che più fulgente il sole in ciel radioso appar.
Alfine redente, le plebi gioconde
un'alba di pace spuntare vedran;
e alfin spenti gli odi, all'opre feconde
verranno cantando nel lieto diman.
Diserta il supplizio, diserta fratello,
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
ché già la riscossa ti chiama all'appello;
l'appello che suona ai vili fatal
segnando il trionfo d'un grande ideal.
envoyé par Riccardo Venturi - 24/7/2013 - 00:35
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Sull'aria dell'Inno di Garibaldi
Composto dall'anarchico sanremese Domenico Zavattero sull'aria dell'Inno di Garibaldi di Luigi Mercantini. La composizione dovrebbe essere del 1898, ma la prima pubblicazione a stampa proviene dal Canzoniere dei ribelli pubblicato a Barre (VT) dalle "Edizioni della Critica Sovversiva" nel 1903. Il testo proviene da Catanuto/Schirone, p. 132 (ed. 2009); contiene però parecchi refusi che qui sono stati corretti. Su Domenico Zavattero si veda anche l'assai dettagliato articolo di Anarcopedia.