El alquiler se cumplió:
te tienes que mudar;
ay, pero el problema es serio,
muy serio,
pero el problema es muy serio,
porque no hay con qué pagar.
Si encuentras cuarto vacío,
te tienes que mudar,
y si acaso no lo encuentras,
te tienes que mudar.
Si el dueño dice: «Lo siento»,
te tienes que mudar;
pero si no dice nada,
te tienes que mudar.
Como quiera, como quiera,
te tienes que mudar;
con dinero, sin dinero,
te tienes que mudar;
donde sea, como sea,
te tienes que mudar,
te tienes que mudar,
¡te tienes que mudar!
Calma, mi compadre, calma,
vamos los dos a cantar,
que llegue el casero ahora,
él nos podrá acompañar.
—Escuche, amigo casero,
ayer me citó el Juzgado,
y dije que no he pagado
porque no tengo dinero,
y estoy parado.
Yo no me voy a la calle,
porque la lluvia me moja;
venga usted, casero, y diga,
diga,
venga usted, casero, y diga,
diga,
si va a curarme el catarro,
si va a curarme el catarro,
después que el agua me coja.
Conozco hoteles vacíos
y casas sin habitantes:
¿cómo voy a estar de pie,
con tantos puestos vacantes?
Calma, mi compadre, calma,
vamos los dos a cantar;
que llegue el casero ahora,
él nos podrá acompañar.
¿Es que a usted lo achica el miedo?
No, señor;
a mí no me achica el miedo,
y aquí me quedo,
sí, señor,
y aquí me quedo,
sí, señor,
y aquí me quedo…
te tienes que mudar;
ay, pero el problema es serio,
muy serio,
pero el problema es muy serio,
porque no hay con qué pagar.
Si encuentras cuarto vacío,
te tienes que mudar,
y si acaso no lo encuentras,
te tienes que mudar.
Si el dueño dice: «Lo siento»,
te tienes que mudar;
pero si no dice nada,
te tienes que mudar.
Como quiera, como quiera,
te tienes que mudar;
con dinero, sin dinero,
te tienes que mudar;
donde sea, como sea,
te tienes que mudar,
te tienes que mudar,
¡te tienes que mudar!
Calma, mi compadre, calma,
vamos los dos a cantar,
que llegue el casero ahora,
él nos podrá acompañar.
—Escuche, amigo casero,
ayer me citó el Juzgado,
y dije que no he pagado
porque no tengo dinero,
y estoy parado.
Yo no me voy a la calle,
porque la lluvia me moja;
venga usted, casero, y diga,
diga,
venga usted, casero, y diga,
diga,
si va a curarme el catarro,
si va a curarme el catarro,
después que el agua me coja.
Conozco hoteles vacíos
y casas sin habitantes:
¿cómo voy a estar de pie,
con tantos puestos vacantes?
Calma, mi compadre, calma,
vamos los dos a cantar;
que llegue el casero ahora,
él nos podrá acompañar.
¿Es que a usted lo achica el miedo?
No, señor;
a mí no me achica el miedo,
y aquí me quedo,
sí, señor,
y aquí me quedo,
sí, señor,
y aquí me quedo…
envoyé par Bernart - 17/4/2013 - 08:47
Torino, una mattina nell'aula degli sfratti
di Federica Cravero, da La Repubblica del 17 aprile 2013
Le storie di chi rischia di perdere la casa scorrono via alla velocità di una al minuto o giù di lì nell'aula al pian terreno del Palazzo di giustizia dove si affrontano le sentenze di sfratto.
Avvolti dalla boiserie color ciliegio che ovatta qualunque eccesso, gli avvocati dei padroni di casae gli inquilini si scambiano senza acrimonia poche battute davanti al giudice civile, che decide se convalidare lo sfratto, se rinviare la decisione a una successiva udienza o se prendere atto che le parti si sono accordate perché il debito è stato sanato e nessuno sarà allontanato. Così si passa alla pratica successiva. Ogni giorno due sessioni di udienze, alle 9 e alle 11, una quarantina di casi o anche di più passano di qui. A fine anno nel distretto di competenza del tribunale di Torino (oltre al capoluogo parte della provincia, escluso pinerolese ed eporediese) il conto sale a tremila esecuzioni fissate.
«Mi creda signor giudice, non so più dove sbattere la testa, ho due bimbi piccoli». È un ragazzo giovane quello che si appoggia al banco della corte mostrando le ricevute dei versamenti: «Ho dato diecimila euro ma ne sono arrivati subito altri tremila da pagare». Il giudice comprende e lo incoraggia: «Lo sfratto devo convalidarlo ma lei porti subito questo documento in Comune e le dà punti per la casa popolare, mi creda. Me lo promette? Lo porti subito. Passeranno dei mesi prima che il provvedimento diventi esecutivo, probabilmente non sarà prima di dicembre e nel frattempo le avranno trovato un'altra sistemazione». Le tutele ci sono, le proroghe pure. Prima che l'ufficiale giudiziario arrivi con il fabbro e metta le valigie sul marciapiede ci sono tante avvisaglie. Ma a volte non bastano e lo sfratto diventa un'umiliazione enorme.
Una signora anziana parla dei suoi tre figli, due disoccupati e una invalida. «Vuole vedere lo stato di famiglia?» Non c'è il caso, le credo, la ringrazia il giudice.
Non è morosa ma il proprietario dell'appartamento rivuole la sua casa e lei non sa dove andare. In un angolo una donna piange, aspettando il suo turno. Seduti tra i banchi padre e figlio falegnami parlano di commesse che devono arrivare, di speranze che «possono cambiare le cose».
Ma passa da quest'aula anche la normalità di una coppia di trentenni che da sette anni paga puntualmente e poi si trova a fare i conti con un momento di crisi.
Lui è artigiano, pare imbarazzato a trovarsi lì. «Lavoro molto per la pubblica amministrazione - racconta - Dicono che sono soldi sicuri e che prima o poi arrivano, ma passano mesi e con alcuni enti addirittura un paio d'anni prima di vedere un bonifico». La moglie è una scrittrice e pure brava, è appena uscito un romanzo per una grande casa editrice. «Ma per due anni è stata ferma a lavorare al libro - spiega il marito - E ci siamo trovati in brutte acque: per qualche mese non siamo riuscitia pagare l'affitto. Lo abbiamo spiegato alla signora, ma ha messo ugualmente un avvocato e ci ha fatto arrivare la lettera di sfratto». Ieri lui era in aula, con un assegno da 4703 euro. Debito saldato, non dovrà lasciare la casa. «Non ho neanche messo un avvocato, tanto avevo torto e sarebbe stato un costo inutile - dice - L'unica mia preoccupazione, oggi, era sapere quanto mi sarebbe costato di spese tutto ciò». Quanto? «650 euro». Rinvio al 7 maggio per vedere se avrà pagato anche le spese. Saluta educatamente il giudice e l'avvocato della controparte e se ne va.
Nella quasi totalità dei casi si tratta di udienze di sfratti per morosità, pochi quelli per finita locazione. Molti di più i contratti residenziali che quelli commerciali.
Chi ha debiti da cinquemila e chi da trentamila euro. Chi non paga da tre mesi e chi da un anno. Chi ha sempre saldato con puntualità ogni canonee chi, versato il primo mese, non si è più fatto vivo. Per i casi disperati ci vuole qualche minuto in più per ascoltare le loro storie. Qualcuno prova a impietosire la corte portando in aula anziani in sedia a rotelle o tenendo in braccio la prole. Quando invece gli inquilini sono contumaci basta meno di un minuto per segnare i nomi delle parti sul registro. Ma è un peccato per loro: non presentandosi in aula non possono godere del "termine di grazia", una forma di tutela che dà all'inquilino ulteriori 90 giorni per saldare un debito. Qualche volta ci riescono, anche se è raro.
Negli anni sono cambiati parecchio gli interlocutori che si presentano alle udienze. Una volta i proprietari immobiliari erano soprattutto famiglie abbienti o società immobiliari che disponevano di diversi alloggi. Ora invece il mercato è parcellizzato e composto anche di operai che con i risparmi hanno acquistato un piccolo immobile da affittare come rendita. Non solo: sempre di più sono i proprietari stranieri, cinesi e nordafricani soprattutto, che in genere affittano a connazionali. E in questi casi un affittuario moroso può significare la rovina di chi su quel canone contava per far quadrare il bilancio familiare.
Tecnicamente per chiedere uno sfratto basta non pagare una mensilità o spese condominiali pari a due mesi di canone. Ma di solito i crediti accumulati sono di più. Crediti che permangono anche se l'inquilino sfrattato se ne va, anche se è spesso impossibile recuperarli da chi non ha nulla.
Arriva il turno di un carrozziere, il giudice si premunisce di capire: «Stanno pagando poco per volta?». L'intenzione non basta, ma dare un acconto su un debito è un buon modo per convincere il padrone di casa a concedere ancora un po' di tempo. Altri non ce la fanno e il giudice li mette di fronte al fatto compiuto: «Deve dare 8 mensilità più le spese. Fanno 3744,20 euro. Lei lavora? No. E allora dove li prende? Non ce la farà mai se non ha parenti o amici che l'aiutano». La voce del giudice è monotona, per non tradire emozioni. La leggeè legge, se però si trova un accordo, tanto meglio per tutti. Un locale deve 39 mila euro al proprietario dei muri, per ora stacca un assegno da 32. «Intanto accettate questi?», si assicura la corte. E come no.
di Federica Cravero, da La Repubblica del 17 aprile 2013
Le storie di chi rischia di perdere la casa scorrono via alla velocità di una al minuto o giù di lì nell'aula al pian terreno del Palazzo di giustizia dove si affrontano le sentenze di sfratto.
Avvolti dalla boiserie color ciliegio che ovatta qualunque eccesso, gli avvocati dei padroni di casae gli inquilini si scambiano senza acrimonia poche battute davanti al giudice civile, che decide se convalidare lo sfratto, se rinviare la decisione a una successiva udienza o se prendere atto che le parti si sono accordate perché il debito è stato sanato e nessuno sarà allontanato. Così si passa alla pratica successiva. Ogni giorno due sessioni di udienze, alle 9 e alle 11, una quarantina di casi o anche di più passano di qui. A fine anno nel distretto di competenza del tribunale di Torino (oltre al capoluogo parte della provincia, escluso pinerolese ed eporediese) il conto sale a tremila esecuzioni fissate.
«Mi creda signor giudice, non so più dove sbattere la testa, ho due bimbi piccoli». È un ragazzo giovane quello che si appoggia al banco della corte mostrando le ricevute dei versamenti: «Ho dato diecimila euro ma ne sono arrivati subito altri tremila da pagare». Il giudice comprende e lo incoraggia: «Lo sfratto devo convalidarlo ma lei porti subito questo documento in Comune e le dà punti per la casa popolare, mi creda. Me lo promette? Lo porti subito. Passeranno dei mesi prima che il provvedimento diventi esecutivo, probabilmente non sarà prima di dicembre e nel frattempo le avranno trovato un'altra sistemazione». Le tutele ci sono, le proroghe pure. Prima che l'ufficiale giudiziario arrivi con il fabbro e metta le valigie sul marciapiede ci sono tante avvisaglie. Ma a volte non bastano e lo sfratto diventa un'umiliazione enorme.
Una signora anziana parla dei suoi tre figli, due disoccupati e una invalida. «Vuole vedere lo stato di famiglia?» Non c'è il caso, le credo, la ringrazia il giudice.
Non è morosa ma il proprietario dell'appartamento rivuole la sua casa e lei non sa dove andare. In un angolo una donna piange, aspettando il suo turno. Seduti tra i banchi padre e figlio falegnami parlano di commesse che devono arrivare, di speranze che «possono cambiare le cose».
Ma passa da quest'aula anche la normalità di una coppia di trentenni che da sette anni paga puntualmente e poi si trova a fare i conti con un momento di crisi.
Lui è artigiano, pare imbarazzato a trovarsi lì. «Lavoro molto per la pubblica amministrazione - racconta - Dicono che sono soldi sicuri e che prima o poi arrivano, ma passano mesi e con alcuni enti addirittura un paio d'anni prima di vedere un bonifico». La moglie è una scrittrice e pure brava, è appena uscito un romanzo per una grande casa editrice. «Ma per due anni è stata ferma a lavorare al libro - spiega il marito - E ci siamo trovati in brutte acque: per qualche mese non siamo riuscitia pagare l'affitto. Lo abbiamo spiegato alla signora, ma ha messo ugualmente un avvocato e ci ha fatto arrivare la lettera di sfratto». Ieri lui era in aula, con un assegno da 4703 euro. Debito saldato, non dovrà lasciare la casa. «Non ho neanche messo un avvocato, tanto avevo torto e sarebbe stato un costo inutile - dice - L'unica mia preoccupazione, oggi, era sapere quanto mi sarebbe costato di spese tutto ciò». Quanto? «650 euro». Rinvio al 7 maggio per vedere se avrà pagato anche le spese. Saluta educatamente il giudice e l'avvocato della controparte e se ne va.
Nella quasi totalità dei casi si tratta di udienze di sfratti per morosità, pochi quelli per finita locazione. Molti di più i contratti residenziali che quelli commerciali.
Chi ha debiti da cinquemila e chi da trentamila euro. Chi non paga da tre mesi e chi da un anno. Chi ha sempre saldato con puntualità ogni canonee chi, versato il primo mese, non si è più fatto vivo. Per i casi disperati ci vuole qualche minuto in più per ascoltare le loro storie. Qualcuno prova a impietosire la corte portando in aula anziani in sedia a rotelle o tenendo in braccio la prole. Quando invece gli inquilini sono contumaci basta meno di un minuto per segnare i nomi delle parti sul registro. Ma è un peccato per loro: non presentandosi in aula non possono godere del "termine di grazia", una forma di tutela che dà all'inquilino ulteriori 90 giorni per saldare un debito. Qualche volta ci riescono, anche se è raro.
Negli anni sono cambiati parecchio gli interlocutori che si presentano alle udienze. Una volta i proprietari immobiliari erano soprattutto famiglie abbienti o società immobiliari che disponevano di diversi alloggi. Ora invece il mercato è parcellizzato e composto anche di operai che con i risparmi hanno acquistato un piccolo immobile da affittare come rendita. Non solo: sempre di più sono i proprietari stranieri, cinesi e nordafricani soprattutto, che in genere affittano a connazionali. E in questi casi un affittuario moroso può significare la rovina di chi su quel canone contava per far quadrare il bilancio familiare.
Tecnicamente per chiedere uno sfratto basta non pagare una mensilità o spese condominiali pari a due mesi di canone. Ma di solito i crediti accumulati sono di più. Crediti che permangono anche se l'inquilino sfrattato se ne va, anche se è spesso impossibile recuperarli da chi non ha nulla.
Arriva il turno di un carrozziere, il giudice si premunisce di capire: «Stanno pagando poco per volta?». L'intenzione non basta, ma dare un acconto su un debito è un buon modo per convincere il padrone di casa a concedere ancora un po' di tempo. Altri non ce la fanno e il giudice li mette di fronte al fatto compiuto: «Deve dare 8 mensilità più le spese. Fanno 3744,20 euro. Lei lavora? No. E allora dove li prende? Non ce la farà mai se non ha parenti o amici che l'aiutano». La voce del giudice è monotona, per non tradire emozioni. La leggeè legge, se però si trova un accordo, tanto meglio per tutti. Un locale deve 39 mila euro al proprietario dei muri, per ora stacca un assegno da 32. «Intanto accettate questi?», si assicura la corte. E come no.
Bernart - 18/4/2013 - 08:53
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Versi del poeta cubano Nicolás Guillén, dalla raccolta poetica “Cantos para soldados y sones para turistas” del 1937.
Musica di Hilario Camacho
Nell’album "Ensayo 2", disco collettivo universitario del 1968, in cui Hilario Camacho propose anche Fusilamiento, un’altra famosa poesia di Guillén.
Situazioni come questa sono ormai all’ordine del giorno qui a Torino, ormai tristemente nota non solo per essere una delle città più inquinate d’Italia ma soprattutto per detenere la “palma d’oro” della città dove viene effettuato il maggior numero di sfratti in rapporto ai residenti.
Come evidenziava già un anno fa il giornalista di Repubblica Paolo Griseri in un suo articolo Torino è diventata la capitale degli sfratti, visto che nel 2011 gli sfratti per “morosità”, cioè di famiglie che non sono più in grado di onorare l’affitto, erano già “quasi il doppio di quelli di Roma e Napoli (uno ogni 600 abitanti) e quasi quattro volte quelli di Milano (uno ogni 1.200 abitanti).” Il trend è ovviamente cresciuto nell’anno passato, visti l’ulteriore acuirsi della crisi, con il suo tremendo portato di licenziamenti e cassa integrazione, e le misure di “austerity” del governo Monti.
Sicchè qui la situazione è davvero grave, grave in sé stessa e ancora più grave perché, essendo nel frattempo inevitabilmente diventata la resistenza agli sfratti un cavallo di battaglia degli “inconformi”, le istituzioni rispondono al solito con la militarizzazione…. Ieri mattina in corso Racconigi pare che fossero un centinaio gli agenti di polizia e i carabinieri intervenuti per consentire lo sgombero di una famiglia di cinque persone (padre, madre e tre bambini) che, già sfrattata, un mese fa aveva occupato un alloggio dell’ATC sfitto (si legga qui il comunicato dello sportello “Diritto alla casa” del CSOA Gabrio)
Ora, se da una parte penso che sia giusto che un piccolo proprietario che non riceve il pagamento di un equo affitto si rivolga alla giustizia e ne riceva tutela, dall’altra l’esistenza in una città come questa di centinaia di alloggi ATC e di migliaia di alloggi privati sfitti, magari in mano a colossi bancari ed immobiliari che hanno interesse a mantenerne l’indisponibilità per non consentire un abbassamento generalizzato dei prezzi, l’incapacità delle istituzioni di colpire chi specula sui bisogni primari della gente, incurante dell’immiserimento generalizzato, e di calmierare i prezzi degli affitti, la svendita del patrimonio immobiliare pubblico ad imprenditori che ne ricavano ipermercati o favolosi insediamenti per i soliti ultraricchi, la destinazione di sempre meno risorse per far fronte alla morosità incolpevole di chi ha perso il lavoro (e anche la speranza di ritrovarne uno), bene, penso che tutto questo urli semplicemente vendetta e semplicemente in nome degli articoli 1, 2, 3, 4, 31, 35, 36, 38 (e forse anche altri) della nostra Carta Costituzionale.
Questa poesia del cubano Nicolás Guillén trasformata in canzone dallo spagnolo Hilario Camacho ha 75 anni ma sembra che parli di questi giorni, di quello che è successo ieri in corso Racconigi a Torino, di quello che succede oggi in tante città italiane e in Spagna, in Portogallo, in Grecia e chissà in quanti altri paesi dove tante famiglie, impoverite da una crisi di cui non sono responsabili, rischiano ogni giorno di essere private con la forza di un loro diritto fondamentale, un posto dove vivere.