Eravamo nel centro di Imperia, negli anni quaranta
protestavamo contro il governo e contro la guerra
i Badogliani in camicia nera ci hanno portato in prigione
tra di noi c’era un dottore Felice Cascione
L’otto settembre ci han liberato, e a Diano Castello
abbiamo imbracciato le armi per la nostra regione
in uno scontro con i fascisti a Montegrazie
abbiam catturato un tenente e lo avremmo ammazzato
Ho studiato per più di 20 anni per salvare la vita di un uomo
Non uccideremo il fascista, cercheremo di fargli capire
Abbiam portato con noi i nemici, e condiviso il mangiare
si son scaldati con le nostre coperte e coi nostri bicchieri
fin da bambini eran cresciuti con un abito nero
le loro madri non gli parlavano di libertà
Il prigioniero è riuscito a scappare un mattino d’inverno
per tornare coi suoi camerati al nostro rifugio
U Megu venne ferito, con lui sono restato
ci han catturato e volevan capire chi comandava
Ho studiato per più di 20 anni per salvare la vita di un uomo
Non uccideremo il fascista, cercheremo di fargli capire
Mi son voltato ed alle mie spalle ho sentito uno sparo
U Megu mi aveva salvato, dichiarandosi il capo
sventoleremo le nostre bandiere, nella libertà
a conquistare la primavera il vento del Megu ci porterà
protestavamo contro il governo e contro la guerra
i Badogliani in camicia nera ci hanno portato in prigione
tra di noi c’era un dottore Felice Cascione
L’otto settembre ci han liberato, e a Diano Castello
abbiamo imbracciato le armi per la nostra regione
in uno scontro con i fascisti a Montegrazie
abbiam catturato un tenente e lo avremmo ammazzato
Ho studiato per più di 20 anni per salvare la vita di un uomo
Non uccideremo il fascista, cercheremo di fargli capire
Abbiam portato con noi i nemici, e condiviso il mangiare
si son scaldati con le nostre coperte e coi nostri bicchieri
fin da bambini eran cresciuti con un abito nero
le loro madri non gli parlavano di libertà
Il prigioniero è riuscito a scappare un mattino d’inverno
per tornare coi suoi camerati al nostro rifugio
U Megu venne ferito, con lui sono restato
ci han catturato e volevan capire chi comandava
Ho studiato per più di 20 anni per salvare la vita di un uomo
Non uccideremo il fascista, cercheremo di fargli capire
Mi son voltato ed alle mie spalle ho sentito uno sparo
U Megu mi aveva salvato, dichiarandosi il capo
sventoleremo le nostre bandiere, nella libertà
a conquistare la primavera il vento del Megu ci porterà
Contributed by adriana - 2006/8/12 - 18:25
Inserisco qui questo commento, in onore di quanti si sono impegnati, anche col sacrificio della loro vita, a contrastare il malcostume, il malgoverno, la mafia, il malaffare che anche in questi giorni perseguitano, nel disinteresse generale, la nostra povera nazione.
Nel primo dopoguerra Maria Boiardo si impegnava per dare un sollievo alle famiglie che cercavano i familiari dispersi, caduti chissaddove.
Così scriveva la madre di Felice Cascione al padre di un altro partigiano.
Io sona una madre sventurata, perché anch'io l'unico figlio che avevo, buono, bello, dottore in Medicina, a ventiquattro anni è caduto, il 17 gennaio 1944. Egli è Felice Cascione, del quale ha preso nome la sua divisione. La mia vita è spezzata perché già vedova avendo perduto mio marito nell'altra guerra. Io dico a lei, coraggio, coraggio, i nostri cari morti pregheranno per noi affinché possiamo attìngere dalla loro gloriosa morte un poco di forza per sopportare tanto dolore. Mio figlio andò sui monti l'8 settembre, proprio il primo giorno, e mi mancò il 27 gennaio 1944; egli amava la sua fede, la più bella fede che esiste, quella fede che sempre predicò il grande Gesù Nazzareno e per la quale Lui, il primo, fu messo in croce, io trascorro delle giornata nere di disperazione e poi... mi devo fare una ragione.
dal libro "Felice Cascione e il canto dei Ribelli" di Donatella Alfonso, 2014 www.castelvecchieditore.com
Nel primo dopoguerra Maria Boiardo si impegnava per dare un sollievo alle famiglie che cercavano i familiari dispersi, caduti chissaddove.
Così scriveva la madre di Felice Cascione al padre di un altro partigiano.
Io sona una madre sventurata, perché anch'io l'unico figlio che avevo, buono, bello, dottore in Medicina, a ventiquattro anni è caduto, il 17 gennaio 1944. Egli è Felice Cascione, del quale ha preso nome la sua divisione. La mia vita è spezzata perché già vedova avendo perduto mio marito nell'altra guerra. Io dico a lei, coraggio, coraggio, i nostri cari morti pregheranno per noi affinché possiamo attìngere dalla loro gloriosa morte un poco di forza per sopportare tanto dolore. Mio figlio andò sui monti l'8 settembre, proprio il primo giorno, e mi mancò il 27 gennaio 1944; egli amava la sua fede, la più bella fede che esiste, quella fede che sempre predicò il grande Gesù Nazzareno e per la quale Lui, il primo, fu messo in croce, io trascorro delle giornata nere di disperazione e poi... mi devo fare una ragione.
dal libro "Felice Cascione e il canto dei Ribelli" di Donatella Alfonso, 2014 www.castelvecchieditore.com
gianfranco - 2014/12/4 - 14:46
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Felice Cascione, medico, partigiano, è l'autore del testo di Fischia il vento. Nella Liguria degli anni '40 si è consumata la sua vita, questa è la sua storia.
Nato ad Imperia il 2 maggio 1918, morto in Val Pennavaira (Savona) il 27 gennaio 1944, medico chirurgo, Medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
Attivo antifascista sin dal 1940, Cascione si era laureato a Bologna nel 1942. L’anno dopo, mentre stava crescendo la sua fama di medico sensibile e generoso, "U megu" (il dottore), fu alla testa, insieme alla madre, delle manifestazioni popolari ad Imperia per la caduta del fascismo. Ciò gli valse il carcere, governava Badoglio, sin quasi all’armistizio.
Con l’8 settembre, raccolto con sé un piccolo numero di giovani, Cascione organizzò in località Magaletto Diano Castello la prima banda partigiana dell’Imperiese. Le azioni vittoriose contro gli occupanti e contro i fascisti si alternavano all’assistenza che quel giovane medico – "bello e vigoroso come un greco antico", com’ebbe a descriverlo Alessandro Natta – prestava ai montanari delle valli da Albenga ad Ormea.
Fu proprio la sua generosità di medico a tradire Cascione. In uno scontro con i fascisti, in quella che si ricorderà come "la battaglia di Montegrazie", i partigiani catturano un tenente e un milite della Brigate nere, tal Michele Dogliotti. I due prigionieri rappresentano un impaccio e, dopo un sommario processo, si decide di eliminarli. Interviene "U megu": "Ho studiato venti anni per salvare la vita di un uomo e ora voi volete che io permetta di uccidere? Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire". Così i due fascisti seguono la banda in tutti i suoi spostamenti. Cascione si prende particolarmente cura di Dogliotti, che è piuttosto malandato, e divide con lui le coperte, il rancio, le sigarette. A chi diffida e tenta di metterlo sull’avviso replica: "Non è colpa di Dogliotti, se non ha avuto una madre che l’abbia saputo educare alla libertà".
Passa circa un mese e il brigatista nero fugge. Pochi giorni dopo, Dogliotti guida alcune centinaia di nazifascisti verso le alture intorno ad Ormea, che sa occupate da unità garibaldine. All’alba la battaglia divampa dal versante di Nasino di Albenga. "U megu", con i suoi, tenta un colpo di mano per rifornirsi di munizioni. Il tentativo fallisce; Cascione, gravemente ferito, rifiuta ogni soccorso e tenta di coprire il ripiegamento dei suoi uomini. Ma due di loro non se la sentono di abbandonarlo e tornano indietro: Emiliano Mercati e Giuseppe Castellucci incappano nei fascisti. Mercati sfugge alla cattura; Castellucci, ferito, è selvaggiamente torturato perché dica dov’è il comandante. Cascione, quasi agonizzante, sente i lamenti del suo uomo seviziato, si solleva da terra e urla: "Il capo sono io!". Viene crivellato di colpi.
Il 27 aprile 2003, sulle alture alle spalle di Albenga è stato inaugurato un monumento, dedicato alla pace e alla resistenza ligure, in memoria di Felice Cascione, che a suo tempo, tra l’altro, compose le parole dell’inno partigiano "Fischia il vento". La stele, opera donata dallo scultore tedesco Rainer Kriester, era stata sfregiata, tre giorni prima dell’inaugurazione, da neofascisti che avevano anche tentato inutilmente di scalzarla dalle fondamenta.