fui curiuso e ci vossi spiare
idda m'arrispunniu cu gran duluri
murivi senza un tocco di campani
[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
Si nni eru si nni eru li me anni
si nni eru si nni eru un sacciu unni
ora ca sugnu vecchio di ottant'anni
chiamu la morti i idda m arrispunni
[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
Cunzatimi cunzatimi lu me letto
ca di li vermi su manciatu tuttu
si nun lu scuntu cca lume peccatu
lu scuntu allautra vita a chiantu ruttu
[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
C'è nu giardinu ammezu di lu mari
tuttu ntessutu di aranci e ciuri
tutti l'acceddi cci vannu a cantari
puru i sireni cci fannu all'amuri
[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la
la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la
la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
* Come specificato opportunamente da Michelangelo Verso Jr., il "la la lero" non esisteva nella versione originale della canzone scritta da Franco Li Causi e interpretata dal tenore Michelangelo Verso.
Contributed by Riccardo Venturi - 2006/8/9 - 15:54
Vidi un teschio sopra la torre
Ero curioso e volli domandargli
Lui mi rispose con gran dolore
Sono morto senza rintocchi di campane
Sono andati, sono andati i miei anni
Sono andati, sono andati, non so dove
Ora che sono vecchio di tanti anni
Chiamo la morte e questa mi risponde
Preparatemi, preparatemi il letto
Che già i vermi mi hanno mangiato tutto
Se non lo sconto qui, il mio peccato
Lo sconterò nell'altra vita, a sangue rotto
C'è un giardino in mezzo al mare
Pieno di fiori, di arance e di fiori
Tutti gli uccelli vanno lì a cantare
Anche i pesci vi fanno l'amore
«Sui fatti di Bronte dell'estate 1860, sulla verità dei fatti, gravò la testimonianza della letteratura garibaldina e il complice silenzio di una storiografia che s'avvolgeva nel mito di Garibaldi, dei Mille, del popolo siciliano liberato: finché uno studioso di Bronte, il professor Benedetto Radice, non pubblicò nell'Archivio Storico per la Sicilia Orientale (anno VII, fascicolo I, 1910) una monografia intitolata Nino Bixio a Bronte; e già, a dar ragione delle cause remote della rivolta, aveva pubblicato (1906, Archivio Storico Siciliano) il saggio Bronte nella rivoluzione del 1820. E non è che non si sapesse dell'ingiustizia e della ferocia che contrassegnarono la repressione: ma era come una specie di «scheletro nell' armadio»; tutti sapevano che c'era, solo che non bisognava parlarne: per prudenza, per delicatezza, perché i panni sporchi, non che lavarsi in famiglia, non si lavano addirittura.»
(Leonardo Sciascia, "Nino Bixio a Bronte", 1963)
"[...] Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava:
- Dove mi conducete? - In galera? - O perché? Se non ho avuto nemmeno un palmo di terra! … Se avevano detto che c'era la libertà! ..."
(Giovanni Verga, "Libertà", da "Novelle Rusticane", 1883)
da Bronte insieme
Alessandro - 2006/8/9 - 23:20
Credevo che eravamo solo noi reazionari a contestare la versione ufficiale e i suoi stereotipi.
Willy - 2006/8/11 - 20:16
Già, "...vitti 'na crozza supra 'nu cannuni.....". Tradotto come "Ho visto un teschio su un cannone". Un cannone?....ma no, dai!
Il cannone, la grande canna. Così si chiamavano quasi dovunque, in sicilia, sia le torri dei castelli che quelle di guardia: solo che, distrutti castelli a torri, in certi paesi, la parola è rimasta ad evocare una mitica arma da fuoco puntata a minaccia, sull'altura dove invece era il castello.
Al cannone-torre ci si riferisce nel verso "vitti 'na crozza supra LU ( e non "''nu") cannuni", che, a chi non sa, fa piuttosto pensare ad un cannone (arma da fuoco) decorato del piratesco emblema di un teschio. E invece si tratta del teschio di un giustiziato.
Nelle giustizie feudali - anche in Sicilia - si usava attaccare la testa dell'uomo, su cui era stata eseguita sentenza di morte, alla torre del castello; e, se si trattava di un qualche brigante che aveva terrorizzato anche le terre vicine, i "quarti" (di uomo, non di bue) alle porte del paese.
...spendiamo anche due parole su "crozza". Di "crozza" esiste anche una personalizzazione, in Sicilia. Prende il nome di "Viciu Crozza", traducibile in "Vincenzo Teschio". Ed è il nome ed il cognome della "morte". Non la morte che viene per prendere, bensì quella che appare per ammonire.
"Cu nun diuna lu venniri di marzu
ci agghiorna viciu crozza a lu capizzi"
(chi non digiuna nei venerdì di marzo/
si troverà al mattino con la morte al capezzale).
In quanto a Viciu Crozza, è probabile che abbia origine da qualche immagine di san Vincenzo con accanto un teschio.
Finisco, aggiungendo solo che il distico ammonitore si usava recitarlo in special modo ai bambini. Come "imago mortis"!
Riccardo Venturi - 2006/8/26 - 01:55
Riccardo Venturi - 2007/2/1 - 11:20
(Antonio)
girando in rete alla ricerca delle origini di "Vitti 'na Crozza" ho trovato questo:
Vitti 'na crozza-: un anziano minatore di Favara recitò al regista Pietro Germi i versi che divennero popolari in tutto il mondo.
Vitti 'na crozza supra nu cannuni / fui curiusu e ci vosi spiari / idda m'arrispunniu cu gran duluri / Sinni eru sinni eru li me anni / sinni eru sinni eru e un sacciu / unni ora ca su arrivati a ottant'anni / u vivu chiama e u murtu unn'arrispunni.
Nel film "Il cammino della speranza" di Pietro Germi questa canzone fu utilizzata come colonna sonora attribuendogli una generica potestà popolare. In realtà il motivo, riprodotto in migliaia di dischi e riproposto non si sa quante volte in televisione, alla radio, negli spettacoli popolari e in piazza, ha un autore. Si chiama Franco Li Causi, direttore di una piccola orchestra agrigentina e solista di chitarra. Questi racconta che nel 1950 il regista Pietro Germi gli chiese se, nel suo repertorio di canzoni siciliane, ci fosse un motivo "allegro-tragico-sentimentale" da inserire in un film sugli emigrati siciliani. Le composizioni del musicista però non piacquero al regista che, comunque, invitò il maestro sul set a Favara. In quell’occasione un anziano minatore, Giuseppe Cibardo Bisaccia, recitò al regista un brano poetico che conosceva a memoria e Germi chiese a Li Causi di musicare quei versi. Ma questa paternità non gli sarà riconosciuta nonostante il maestro agrigentino avesse inviato subito la composizione in deposito SIAE. Così molti sono stati i cantanti, i musicisti, le case discografiche che hanno utilizzato la musica di "Vitti 'na crozza" o appropriandosene tout court o attribuendola ad un'equivoca tradizione popolare. L'autore di uno dei più popolari motivi siciliani, dunque, è stato per tanti anni un artista indifeso, che ha strenuamente combattuto per far valere i suoi diritti di unico ed indiscutibile autore della musica, avendo come unici alleati i suoi concittadini che hanno testimoniato a suo favore affinché gli fossero riconosciuti tutti i diritti morali ed economici.[1]
[1] Gabriello Montemagno, VITTI 'NA CROZZA, Sicilia n° 83, Omaggio dell'Assessorato Tursimo, comunicazione e trasporti della Regione Siciliana.
(Pierluigi Monaco)
(Antonio)
(Antonio)
Vi parlo per l'esperienza acquisita nello studio delle Ballate, Cantari, ecc. popolari spesso di anonimo.
Accade spesso che un musicista trascriva lo sparito di una canzone popolare, tramandata oralmente dal popolo: E' il caso del musicista DE MEGLIO,vissuto a Napoli nella prima metà dell'800, che ha trascritto tante musiche popolari, come "Mariannì", "Oilì oilà", Michellemmà" ed altre.
Lo stesso è avvenuto per "Vitti na crozza",abbiamo una ballata popolare, tragica o di memoria antica, ed un DE MEGLIO che la trascrive, in questo caso è il maestro LI CAUSI che la attinge da uno zolfaro di Girgenti.
Questa è la mia ipotesi, a voi il giudizio, che gradirei conoscere, qualsiasi sia.
Aggiungo una considerazione: perchè un canto di dolore di matrice popolare è diventata una marcetta ed, in seguito, un Inno Regionale? Ha perso tutto il suo fascino di un dramma antico ed ancora attuale, chi lo canta comprende anche il significato delle parole? Credo di no!
"Vitti na Crozza" ha fatto la stessa fine di "O Surdato nnammurato" un addio di chi va a morire, per una patria impostagli dalla Storia, non potrà mai essere una marcetta per andare a zonzo in allegria, battendo le mani come si accompagnava un condannato politico alla forca.
Cordialmente, Bafurno
(Salvatore Bafurno)
Certi versi foru misi sulu dopu l'anni '60, quannu stu cantu di morti fu dipositatu a s.i.a.e. comu n'allegra polca cu carattirìsticu riturnellu chi però non havi pricidenti ntê virsioni cchiù tradizziunali.
Li virsioni cchiù famusi sunnu chidda di Rosa Balistreri (senza lu "riturnellu", ntrodottu sulu 'n picca virsioni), chidda sulu tambureddu e dui vuci di Alfio Antico e, chidda 'n modu minuri e cchiù attinenti ô testu, di Carlo Muratori.
Lorenzo Masetti - 2007/6/12 - 12:23
Premetto che capisco, ma non conosco la lingua Siciliana,nè mi interessa studiarla,almeno oggi. Dico "lingua",non "dialetto", parola Sabauda ancora usata dagli epigoni, anche ben pagati, dei Savoia.
Del Resto parlare di "Lingua Siciliana" non è esatto, perchè vi sono almeno sette varianti, che possono classificarsi "Lingua" di cui l'Agrigentina, oggetto della tesi di Laurea di Luigi Pirandello all'Università di Bonn.
Il Maestro LI CAUSI ha trascritto la ballata "Vitti na Crozza" come l'ha sentita dal minatore citato in link precedenti, ma è la versione di Girgenti.
Sarebbe interessante trovare le altre versioni, pulite, ossia scremate dagli interventi di "esperti" o cantanti. Succede, infatti, nelle canzoni che la simbiosi testo e musica abbia due destini diversi. Il testo resta intatto, come un'opera di pittura o scultura, salvo vandalismi, ma la melodia, la musica, si alteri per interpretazioni di "esperti" o "cantanti" anche estranei alla lingua o la cultura in cui la ballata o canzone è nata, come avviene per i capolavori di architettura.
"Vitti na Crozza" ha subito questa sorte.
Poiche penso che essa appartenga alla storia dei popoli dell'Italia, come argomento,mi permetto di suggerire:
Chi è in grado di farlo, ricerchi e produca la versione conosciuta nella sua Zona. Si confronteranno le versioni trovate e si potrà ricostruire parte della storia dei popoli della Sicilia. Qualcosa sto facendo per le Lingue Osca-napoletana e Ligure,e si scopre la vera storia, quella scritta dal popolo,ignorato dagli storiografi, e si comprende le ragioni dei comportamenti odierni, perchè il popolo si esprime nelle Ballate e Cantari spesso anonime, per ovvi motivi.
Cordialmente saluto, Bafurno
Salvatore Bafurno - 2007/6/13 - 20:37
Riccardo Venturi - 2007/8/7 - 21:50
mi sto occupando in questo periodo di sapere qualcosa in più su questa canzone stupenda, sul significato e sulle origini. Devo dire che siete eccellentemente esaustivi.
L'interesse in me lo ha suscitato il gruppo di canzoni popolari "MATTANZA" di Reggio Calabria, il quale esegue una versione "vitti na crozza" di altissima qualità artistica, ripulendo inoltre il pezzo dal ritornello "tirullallero ecc". Vi invito vivamente a fornirvi di questa versione e non ve ne pentirete davvero.
Per quanto riguarda le origini e la paternità mi sento di poter dire, alla luce delle testimonianze da parte delle persone più anziane, di essere in piena sintonia con Bafurno ed in più aggiungo che, secondo me, Li Causi ha attribuito degli accordi ad una melodia. In pratica ha armonizzato una melodia preesistente su una poesia preesistente.
Pasquale Mercuri
pasquale - 2007/10/7 - 02:03
Vitti na crozza
Giacomino ARGENTO - 2007/10/14 - 03:02
Da oggi (15.10.2007), stanti i risultati della discussione svoltasi su questa pagina per oltre un anno, è stato deciso di cambiare l'attribuzione della canzone e di riportarla a "Autori Vari" (si veda l'introduzione) per salvaguardare sia la natura popolare della canzone, sia gli interventi autorali su di essa. Naturalmente la discussione può liberamente proseguire in attesa di nuovi elementi che possano contribuire a fare maggiore luce sulla sua reale origine e storia. [RV]
CCG/AWS Staff - 2007/10/15 - 10:16
Con questo, se ritieni che la traduzione presentata in questa pagina debba essere corretta, ti invitiamo a segnalarci i punti dove a tuo parere ci sarebbe da intervenire, oppure a prepararne una ex novo tu stessa, che ti sarebbe senz'altro pubblicata.
PS. Ci perdonerai se abbiamo riportato nella grafia italiana corrente il tuo messaggio che abbiamo dovuto prima tradurre dalla lingua messagginese. Guarda di non scrivere a quel modo l'eventuale traduzione di questa canzone! :-PP [RV]
CCG/AWS Staff - 2007/12/11 - 18:20
La storia del "teschio sopra il cannone" è di solito l'intepretazione che si dà di quel verso, ma sicuramente avrai letto l'introduzione alla canzone dove la cosa viene spiegata da un siciliano, Francesco Senia, con le sue considerazioni. Insomma, che ci farebbe un "teschio sopra il cannone"? Ciononostante, è bene tenere conto di tutte le interpretazioni.
Il significato di "cannuni" come "torre" o "torre di guardia di un maniero", devi sapere, è molto antico e forse non più molto comune; lo si trova in dizionari siciliani antichi, sebbene l'accezione della parola sia ancora conosciuta. Ho sottomano il dizionario siciliano di un famoso studioso, Giuseppe Pitrè, dove la cosa viene riportata esattamente; ma probabilmente, già nel linguaggio dei tuoi nonni la cosa si era un po' persa e interpretavano "cannuni" nel suo senso comune, ovvero quello di "cannone".
A risentirci prestissimo...e se ci permetti vorremmo ringraziarti davvero di cuore.
CCG/AWS Staff - 2007/12/12 - 00:11
A mio modesto parere, la canzone interessa per due motivi:
- E'un documento storico scritto dal popolo che subisce gli eventi, quindi utile per capire la storia e riscriverla ignorando la storia ufficiale scritta dai vincitori. In pratica questa ballata popolare dimostra che la Sicilia è stata sempre "liberata" da chi l'ha conquistata, ma il popolo, la povera gente, ha solo cambiato il padrone per cui sgobbare (ricordate il 1860 e Bronte!). Parlo della Sicilia a causa della canzone, ma altrove è avvenuta la stessa cosa, basta cercare per trovare canzoni simili.
- E'una valida testimonianza di come si dimentica la storia patria in uno stato unitario la cui cultura ufficiale è impostata sull'annullamento delle realtà precedenti.
Infatti la canzone dei solfari e dei braccianti è diventata una marcetta ballabile non adatta al testo, anzi.... e la colpa non è del Li Causi bensì di chi ha contribuito alla denaturalizzazione della canzone, guardacaso, estranei alla Regione in cui essa è nata e che l'ha adottata ad suo inno ufficiale nella versione trasformata.
Sono curioso di sentire il parere di Pirandello, di cui sono un appassionato anmmiratore.
Saluti a tutti - Bafurno
Bafurno Salvatore - 2007/12/29 - 22:21
posso unirmi a voi nella ricerca dell'autore perduto???
francesco ct - 2008/2/11 - 03:32
giuseppe maniglia - 2008/3/1 - 21:50
giuseppe maniglia - 2008/3/15 - 21:21
Che nessuno si azzardi più a dire che vitti na crozza non è
di Franco Li Causi perche io ho un modulo originale del deposito del 1950
quindi per ora vi chiedo molto gentilmente di non insinuare il falso
non vorei incaz...... e fare scattare delle denunce a tutti quelli che sostengono il contrario senza essere per niente documentati.
grazie a priore .
Franco Li causi detto Bellini . Da Agrigento
(Franco Li Causi)
(Lorenzo)
Franco Li Causi - 2008/4/13 - 17:32
Giuseppe Maniglia (Peppy Maniglia) - 2008/4/14 - 18:27
Giuseppe Maniglia - 2008/4/23 - 20:17
Giuseppe maniglia (Peppy Maniglia) - 2008/5/8 - 23:22
Fulvio da siracusa - 2008/5/13 - 22:58
Possibile che nessuno riesca, in questo sputo di Paese così scelleratamente avviato verso un nuova stagione di rivolte xenofobe e baracche di poveracci date alle fiamme sotto la sapiente regia di Media perenemente sbilanciati verso la stessa fazione, nessuno riesca dicevo a sottrarsi all'imperativo categorico ormai dominante da lungo tempo, ovvero: "Penso prima di tutto ai 'azzacci miei, a dispetto della verità storica, qualunque essa sia..."
Di canzoni saccheggiate alla tradizione popolare è piena la Storia della Musica, mi sovvengono al momento due su tutte, We shall overcome e The house of the rising sun; queste, come altre altrettanto famose, hanno avuto la ventura di essere "accolte" benevolmente da coloro, musicisti o compositori, che per primi ne hanno intuito le potenzialità espressive nonché la presa immediata di una sia pur abbozzata melodia ed hanno avuto la scaltrezza e l'immediatezza di comporre, ma mi verrebe meglio dire "appoggiare" loro un giro armonico ad hoc che le rendesse presentabili al grande pubblico...
Francamente le diatribe giocate sulla presenza o meno di un pezzo di carta depositato chissà dove e sulla lapalissiana mancanza di un qualche riscontro scritto di una tradizione che più orale non si potrebbe come quella dei canti popolari mi sembra più materia da avvocati che non giusto motivo di rivendicazione da parte di un qualsivoglia erede, finanche provvisto di altisonante soprannome, che voglia in qualche modo rinfrancare il suo genitore da un qualcosa di cui egli ritiene sia stato privato: le Memorie ed i giusti riconoscimenti si esaltano non già rivendicando lauti compensi non corrisposti con i rispettivi interessi, bensì facendo proprio il lavoro di riscoperta che nella fattispecie il Licausi senior aveva evidentemente svolto riguardo al brano "Vitti 'na crozza" e magari aiutando per quanto possibile i ricercatori a rinvenire quelle pochissime tracce ancora esistenti, magari dalla viva voce di qualche arzillo centenario in qualche sperduto paesino dell' amatissima Trinacria.
Scusandomi con tutti voi per essermi dilungato anche oltre il consentito, vi auguro un ottimo ascolto della splendida canzone palesandovi il mio personalissimo gusto riguardo la versione che maggiormente mi è piaciuta fra le varie ascoltate, ovvero quella di Otello Profazio. Vostro...
TheEntertainer
(Un nostalgico non di lei ma di quei tempi e di tanti altri brani popolari; Pippo se lo mena, Sunfoitetes oudenos, il Signor Casini, l'Acciuga. un saluto a Riccardo Venturi
Paolo
NB per gli amici siciliani che magari, su questa pagina dedicata a una canzone della loro terra, si ritroveranno espressioni non riguardose verso una loro conterranea di Favara (Agrigento). Posso soltanto loro dire che tali espressioni sarebbero a suo tempo state usate anche se fosse stata di Belluno, di Cividale del Friuli o di Ventimiglia. Era semplicemente la Bosco, e altro non si può dire...! [RV]
Giuseppe Maniglia - 2008/6/14 - 21:10
Questa mia dichiarazione solo per chiarezza ed onor di cronaca.
P.S. anchio mi incazzo quando qualcuno si attribbuisce una paternità che non è sua, riconosco solo che noi figli abbiamo sbagliato a non intraprendere un'azione legale nei confronti di chi allora e ancora a tutt'oggi si aggiudica qualcosa che non e SUO.
Pietro Li Causi
Pietro Li Causi - 2008/8/17 - 13:57
Contributed by francesco - 2008/9/14 - 21:52
supra nu cannuni non significa nulla e non fila con la canzone, inutile dire poi che nasce chissà da quali tempi, 1951 è troppo recente.
Perche' di minatori? La crozza ha a che fare coi minatori, con la miniera, in qualche modo.
Ho l'impressione che la storia sia un'altra, e che ci sita sfuggendo.
Mi viene in mente la canzone catalana
Santa barbara bendida,
Patrona de los mineros
mira
mira marucina, mira
mira como vengo yo
Tengo la camicia roja
(anche qui c'è un dubbio lallaralala, lallala)
del sangre de un compañero
Tengo la cabeza rota
y me la rumpió un marreno
Eventualmente posso essere piu' precisa e ritrovare le altre parole
A me sembra che si debba cercare in questa direzione.
perche' infatti e' una canzone bellissima, ed e' vero che I Mattanza sono quelli che l'hanno raccolta nel modo piu' egregio, a mio musicale parere.
Un saluto
Karagoz - Musica nomade
Toti O'Brien - 2009/1/27 - 01:02
Attendo commenti
Alessandro - 2009/3/22 - 17:12
Paolo Tortorici
(Ribera)
Senti li trona di lu mungibeddu*
ca jetta focu e fiammi di tutti i lati.
*Mungibeddu = Mongibello, antico nome dato al monte Etna.
Si potrebbe perciò supporre una contaminazione dell'antico testo diventato quindi un mix di due testi diversi il secondo dei quali giustificherebbe il ritornello tralallallero lallero ecc.trattandosi questo si di un testo allegro.
()
Diego Vitello - 2009/5/17 - 02:01
"chiamu la murti e idda marrispunni"
"idda" e` traducibile con "lei" non con "vita"
come aveva gia' fatto notare qualcuno
quindi
"chiamo la morte e lei mi risponde"
Francesco - 2009/5/31 - 02:20
"chiamu la vita e a morti m'arrispunni"
Saluti.
Dato che il testo risale al tempo delle zolfatare, anche la parola "cantuni" ha un suo senso.
Arnaldo - 2009/10/16 - 13:29
La sua versione di "Vitti 'na crozza", cantata solo dal vivo, è frutto dei ricordi di adolescenza e del testo cantato da suo padre e dagli altri minatori siciliani. A questo duro lavoro credo che si riferisca la terza strofa. Poi lui ci avrà messo la sua pennellata di artista più che competente. Quindi sarebbe così confermato che la canzone sia stata patrimonio canoro di minatori siciliani.
La versione della canzone registrata in un concerto è in mio possesso e la posso inviare a chi me la richiede. Chi vuole conoscere qualcosa in più di Salvatore può andare sul suo sito; nella Tribuna Italiana, alla voce Cenni di Biografia, ci sono molte notizie sulla sua vita.
http://www.adamosalvatore.com/
Saluti
Giovanni Bellomo
(Salvatore Adamo)
Vitti na crozza supra nu cannuni
e co sta crozza mi misi a parlari
idda m'arrispunniu cu gran duluri
morsi senza nu tocco di campani
lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala
Si nni eru si nni eru li mi anni
si nni eru si nni eru e nu sacciu unni
sta vita è fatta tutta di duluri
u vivu parla e u morti m’arrispunni
lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala
Che nagghe fari cchiù de la mia vita
nu socciu buonu cchiù pe travagghiari
sta vita è fatta tutta di duluri
e accusì nu vogghe cchiù campari
lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala
C'è nu giardinu immezu di lu mari
tuttu ntessutu di aranci e ciuri
unni l'acceddi vannu a cantari
e tutti i pisci cci fannu l'amuri
lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala
Contributed by Giovanni Bellomo - 2009/11/5 - 19:48
ho letto molti interventi che condannano l'inserimento
del tra lla llero.
non concordo è la parte più bella della canzone
se è un falso è fatto benissimo
credo che tutti i frequentatori di questo sito internet
sanno che le canzoni di protesta potevano essere veicolate
solo se divulgate in modo mascherato è la storia della musica (cito il film riso amaro) cioè tutti gli studiosi di musica popolare conoscono queste tecniche penso alla capoera brasiliana alla musica popolare italiana è normale
aggingere (se di aggiunta si tratta)un trallà 'llero
anzi bilancia il brano che diventa quasi dark viceversa sarebbe (musicalmente con rispetto)lagnoso.grazie
enrico
Giustamente sull'etichetta del disco Cetra si legge 'trascrizione' di F. Li Causi. E la trascrizione di un brano musicale non implica anche la composizione.
Aurelio Zuzzi - 2010/3/13 - 15:04
Nino - 2010/3/13 - 19:14
Daniela
daniela - 2010/3/14 - 19:48
di Aldo Migliorisi
La storia di "Vitti 'na crozza"
Com’è strano a volte, il destino di una canzone. C’è un pezzo antichissimo della tradizione siciliana che parla della Morte. In questo canto (alcuni dicono che sia originario dei minatori di Favara, per i quali il termine “cannuni” non significherebbe “cannone”, bensì l’ingresso della miniera) un teschio - na crozza supra nu cannuni- risponde così, “con gran dolore”, alle domande di chi è ancora illuso, vivo: “Morii senza tocco di campana / I miei anni se ne sono andati / andati non so più dove / Se non li sconto qua i miei peccati / li sconterò nell’altro mondo / Oh scellerato! Preparatemi il letto che ormai sono tutto mangiato dai vermi / Ora che sono arrivato agli ottant’anni / chiamo la vita e la morte mi risponde”.
Com’è che una canzone che ha questi versi può diventare una marcetta per carillon da carrettino siciliano?
Una delle prime volte che questo canto popolare esce dal suo contesto “regionale” è nel 1950, grazie al film “Il cammino della Speranza” di Germi, sceneggiatura di Fellini e Pinelli. In questo film Renato Terra interpreta un personaggio che era stato inventato da Fellini: Mommino il chitarrista, quello che canta “Vitti na crozza”. Ma Renato Terra era doppiato: a cantare veramente era un certo Peppino Ferrara. Il film fu anche girato in Sicilia, e - tutto torna - tra i minatori di Favara.
“Il cammino della speranza”, pur rimanendo uno dei films più amati dallo stesso Germi, ebbe accoglienze tiepide e subì vari tentativi di censura politica. Ma ciò nonostante, quella canzone, cantata (si fa per dire) da Renato Terra, incominciò a girare. E i discografici non persero tempo: la prima incisione di questo canto popolare risale al 1951 e nell’etichetta del 78 giri si legge testualmente “Vitti na crozza trascrizione F. Li Causi - canzone siciliana inserita nel film Il cammino della speranza - Quartetto Francesco Li Causi - Canta Michele Verso”.
Cercando il colpaccio, grazie anche al ritorno promozionale dovuto al film di Germi - diligentemente sfruttato nell’etichetta del disco - la canzone fu arrangiata con un 2/4 “allegro andante” (e già qua si può intravedere il peccato originale: quanto di questo testuale “allegro andante” imposto alla prima versione discografica contribuì a snaturare la percezione futura di questo brano?). Gli strumenti musicali impiegati furono tre: chitarra, mandolino e basso suonato da un musicista dell’Orchestra Angelini (secondo indizio: cosa c’entrava un turnista dell’orchestra Angelini con quest’antica canzone di minatori siciliani, tutta intrisa di Morte?). Terzo indizio, estremamente speculativo: la registrazione fu effettuata a Torino negli studi della “Cetra” (e questo risponderebbe alla domanda precedente: l’incisione nasceva in un contesto assolutamente estraneo per intenti ed habitat allo spirito della composizione originale).
Nonostante sia vero solo nel breve termine, c’è da dire che il delitto paga: l’operazione biecamente commerciale andò bene e subito dopo quell’incisione, Michelangelo Verso fu ingaggiato da managers italo-americani e partì per l’America. “Vitti na crozza”, col suo tralallallero da cartolina era ormai diventata un successo internazionale, nonché simbolo della Sicilia. Tanto successo venne però accompagnato da diverse interpretazioni sia della musica che del testo: ci fu chi trasformò il ritmo, chi il testo, chi tentò di registrarla alla SIAE a proprio nome. Negli anni ‘60 e ‘70 molti la incisero: da Domenico Modugno che la trasformò in un canto da carrettieri, al napoletanissimo Toni Bruni, ad Amalia Rodriguez, a Rosanna Fratello che nel 1973 ne fece un suo successo personale, per finire ai giorni nostri con Carmen Consoli, con una versione a mò di cazzeggio/omaggio alla sicilianità. Contenta lei...
Ma tutte queste versioni furono, e sono tuttora, altrettante coltellate piantate nella schiena della canzone in questione, lame distrattamente affondate fino al manico da prezzolati interpreti di passaggio. Tutti (arrangiatori e cantanti) guardando “Vitti na crozza” con il paraocchi del luogo comune folkloristico - tanto simile al pregiudizio - e correndo tutti, allo stesso tempo, dietro alla facile carota dell’”allegro andante” scritto abusivamente sull’etichetta della prima incisione. Contenti loro...
Quello che invece non era contento era l’agrigentino Francesco Li Causi, il trascrittore dal tralallalero facile: odorato l’affare, il nostro aveva subito (1950, stesso anno d’uscita del film di Germi) inviato alla SIAE la trascrizione della canzone, accompagnandola con la sua firma.
Vent’anni dopo, negli anni settanta, Li Causi mise sfacciatamente su un’azione giudiziaria invocando la “usurpazione di paternità” (traduz: i diritti d’autore) di questa canzone. La registrazione presso la SIAE bastava, a suo dire, a dargli il diritto di paternità su “Vitti na crozza”.
Come invece andarono le cose ce lo racconta Alfieri Canavero, classe 1927, un pezzo di storia del cinema italiano. Ne “Il cammino della speranza”, Canavero è operatore di seconda macchina, al fianco del direttore di fotografia Leonida Baroni ma, di fatto, le macchine da presa Debrie e Arriflex sono in mano sua. “Abbiamo iniziato le riprese ad Agrigento, nelle miniere di zolfo. Ricordo che i minatori erano in sciopero da due giorni. Erano sottoterra, nudi per il caldo insopportabile. Stavano cantando “Vitti na crozza” quando la troupe scese giù con il regista Pietro Germi. Registrammo quel canto, che andava perfettamente a tempo con la biella della pompa dell’aria. Con quella registrazione iniziammo il film”, ricorda Canavero.
Il processo sull’ “usurpazione di paternità” fu celebrato a Catania, inizio anni ‘70, e si concluse una decina d’anni dopo con un’asinesca sentenza che riconosceva Li Causi come “‘il padre” di “Vitti na crozza”. Si sa: i giudici non capiscono niente di musica, né tantomeno conoscono il cinema neorealista. E il delitto, a lungo termine, non paga: Li Causi morì prima del verdetto. I minatori Favaresi ringraziano...
"Rosa Balistreri non aveva mai voluto cantarla, questa canzone..."
Rusidda ‘a licatisa e la sua chitarra (così si faceva chiamare nei suoi primi 45 giri degli anni ‘60 incisi per la Tauro Records) “Vitti na crozza”, invece, non aveva mai voluta cantarla in pubblico, consapevole com’era delle storpiature che man mano l’avevano stravolta. Troppo forte ed evidente lo scempio che era stato fatto di tutto quello che questa canzone rappresentava: un testo che parla di morte, della vita come inferno che c’imprigiona e che nonostante tutto si cerca mentre si sente sfuggire, trasformato in un canto da gita fuoriporta. Quanta amarezza, dentro queste parole. Tutto però azzerato, travisato da versioni offensive, umilianti, ad uso d’irresponsabili canterini dediti al ballo del qua-qua spacciato per tarantella. Tutto, fuorché il rispetto per l’anima imprigionata in quei versi dolorosi.
Rosa Balistreri c’era abituata, a queste cose: nascere in Sicilia alla fine degli anni ‘20, nascere povera e nascere donna, sintetizzavano dolorosamente la condizione di vinti, ed abituavano ad una frequentazione invasiva con il dolore. E chissà, forse la confidenza con il dolore fa meglio capire quello che si canta, quando si cantano certe parole. Lei questi On li aveva già tutti sospesi al momento della nascita, ma non per questo si deve cedere alla tentazione Romantica del Dolore che crea l’Arte. C’è dolore e dolore. C’è il dolore dell’artista, che magari attraverso libri che sono solo riverberi, sente intellettualmente su di sé il dolore del mondo e c’è poi il dolore di chi, ad esempio, per sopravvivere è costretto a fuggire. Fuggire dalla propria dolorosissima storia personale che non si è scelta -soltanto subita- per diventare quello che si è. Al di là delle violenze, della fame, del carcere, degli omicidi, dei suicidi: ribellarsi all’inferno al quale si è condannati. C’è dolore e dolore. E c’è il dolore che quasi ci ara, scavando solchi profondi, e da questi solchi possono nascere timbri di voce, modi di cantare, di scrivere, idee, fatti. Dignità.
Nei primi anni sessanta, dopo che nel 1949 era fuggita - più che emigrata - a Firenze dove per la prima volta aveva trovato anche rispetto e serenità, la Balistreri incontra Ignazio Buttitta e Ciccio Busacca. Dopo aver assistito al concerto di Busacca, Rosa è come folgorata: “Anch’io ero una cantastorie, come Busacca, e in lui mi sono rispecchiata”, così ricorda quest’incontro in un’intervista raccolta da Giuseppe Cantavenere nel libro “Rosa Balistreri” (La Luna edizioni, 1992). Impara a suonare la chitarra - “Canta, Rò!” le diceva Buttitta, “Tu devi imparare a suonare la chitarra, perché tu sarai la cantatrice del Sud” - e inizia le prime serate in Toscana, grazie alle quali conoscerà Dario Fo.
Ed ecco come la Balistreri, nel libro di Cantavenere, racconta il suo esordio con Fo, nello spettacolo “Ci ragiono e ci canto” del 1966: “La prima sera alla Pergola. In sala c’erano mia madre, le mie sorelle, Manfredi, gli amici fiorentini. Mi sono detta: Rò, ricordati del porcile di via Martinez, di Iachinuzzu, della violenza della vetreria, del prete malandrino di Palermo. La fame, le ingiustizie, il carcere... Le ho gridate, queste cose. (...) Quella sera sono diventata Rosa Balistreri”.
E così c’era stato un periodo, tra la fine degli anni sessanta e i primi settanta, che Rosa era divenuta qualcuno. Prima l’incontro con Dario Fo e con Ciccio Busacca; poi era ritornata in Sicilia e i suoi amici erano Marcello Carapezza, Guttuso, Sciascia, Buttitta, Cesare Terranova, Pio La Torre, Roberto Leydi. La Balistreri partecipa a Sanremo nel 1973 (la canzone che presentava, “Terra ca nun senti”, fu esclusa perché non inedita; ma in compenso, per la gioia di Mike Bongiorno che presentava quell’edizione, vinse Peppino Di Capri con “Un grande amore e niente più”); prende parte anche ad una contestatissima edizione di Canzonissima nel 1974; esegue concerti nei teatri di grandi città. Nonché tournée all’estero: Svezia, Germania, Stati Uniti. Tournée che le facevano dire, a proposito delle comunità di emigranti che incontrava: “Pareva di essere in Sicilia. Ma non la Sicilia che avevo conosciuto da ragazza, quella che ti sfrutta. Una Sicilia generosa, dal cuore grande”.
In quegli anni Rosa aveva cantato cose belle, e importanti: in parte prese dalle raccolte di Alberto Favara, musicologo trapanese della fine ottocento; altre ripescate da vecchie canzoni dell’entroterra siciliano, canti del carcere, ma anche proprie composizioni, alternate a quelle -uno tra tanti- di Ignazio Buttitta. La Balistreri aveva anche fatto teatro: con Maurizio Scaparro, e poi “La lupa” con Anna Proclemer, “La lunga notte di Medea” con Piera Degli Esposti ed altro ancora. Era stata paragonata ad Amalia Rodriguez, era diventata la voce della Sicilia e nel suo canto intravedevi colori, odori; sentivi il sale, lo zolfo, il fuoco dell’Etna e del mare che lo circonda. Furono quegli anni in cui le tradizioni popolari, anzi il “folk”, come si diceva allora, era diventato di moda, nonché argomento e scusa per intellettuali con la coscienza sporca. Attenzione di massa pelosa, che dopo pochi anni sarebbe scemata, abbandonando tradizioni ed interpreti per rivolgersi ad altre voghe.
Rosa, negli ultimi anni della sua vita, quella dimenticanza la stava pagando tutta. Alla fine degli anni ottanta i suoi amici palermitani erano morti quasi tutti, così come era scomparsa la madre alla quale era legatissima. Era rimasta senza più soldi, e aveva bisogno di lavoro ed amici.
A quel periodo risale la registrazione della sua prima ed unica versione di “Vitti na crozza” e di quello che lei stessa definiva il suo testamento spirituale : “Quannu moru”. Rosa non aveva mai voluto neanche inciderla quella canzone, fino a quel Capodanno - uno dei suoi ultimi -, trascorso a casa di Felice Liotti, uno dei pochi amici rimastole. Solo allora, dopo il pranzo - lei come al solito non aveva mangiato quasi niente e aveva fumato tanto - prese la chitarra, chiese di mettere in funzione il registratore e cantò “Vitti na crozza”.
Anzi: la rielaborò. Innanzi tutto tagliò quel ritornello da carrettino siciliano, il tralallallero da cartolina. Poi rallentò il tempo e si lasciò andare ad un’interpretazione da brividi. Il respiro che spezzava il verso, le modulazioni quasi arabe del canto, la sua voce scura, profonda, antica, vibrante, ridavano finalmente dignità e significato a quella canzone, restituendola a se stessa. Domanda sul dolore e sulla vita cioè, e nessuna risposta: solo la consapevolezza della violenza dell’inferno sulla terra. “Vitti na crozza” ritornava così di nuovo un canto di dolore, di sconfitta per la morte che si avvicina.
Quel Capodanno Rosa sembrava avesse incontrato per la prima volta quella canzone e da come la cantava, sembrava che quelle parole disperate le risuonassero dentro quasi da presagio.
Da lì a poco, nel settembre del novanta, a causa di un ictus cerebrale che la colpisce durante uno spettacolo in Calabria, la Balistreri muore in un ospedale a Palermo, spegnendosi a sessantatre anni, dietro ad un vetro che gli negò per sempre gli sguardi attoniti dei pochi amici presenti.
“Quannu iu moru / pinsatimi ogni tantu / ca pi sta terra ncruci / iu moru senza vuci”.
Posseduta dalla voce della sua terra, così cantava Rosa Balistreri, siciliana ribelle al proprio destino di schiava.
Alessandro - 2010/4/18 - 11:20
Un saluto!
Silvia - 2010/6/14 - 10:55
Quasi sempre rispondo che non mi sembra il caso di cantare una canzone che parla di morte e sofferenza in situazioni del genere, quindi attacco con "ciuri ciuri".. e se canto "vitti na crozza" tutti stanno lì ad aspettare il lalallallerollalla.. che non faccio mai! xD Ma tornando agli argomenti di discussione affrontati su questa pagina, volevo segnalare questa versione rifatta totalmente in chiave moderna che ho trovato girovagando su youtube che, oltre a tenere conto delle origini e del vero senso di quei versi, rispecchia più o meno nel testo quella che da piccolo sentivo intonare dalle mie parti, fatta eccezione per gli ultimi due versi che anch'io conosco come:
<
come già segnalato nei post precedenti da Diego Vitello.
D'altro canto mi sembra alquanto logico pensare che ci siano piccole o grandi varianti del testo tante quante ce ne siano nei vari dialetti della nostra bella Sicilia.
E' normale che un catanese non canterà mai "cantuni" se nel suo dialetto questa parola non esiste. Così come "murivi" diventa "murivu" a Palermo e "Ca mossi" a Catania.
Totalmente daccordo invece con il verso "chiamu la morti e idda m'arrispunni", giacchè dagli altri s'evince che il narratore desidera la morte: sarebbe illogico che ad ottant'anni, ormai neanche più buono per lavorare, mentre chiede che gli venga "cunzatu" il letto, egli chiami ancora la vita...
Spero non essermi dilungato troppo e di non avervi annoiato con le mie osservazioni.. ciao a tutti e fozza Trinacria!
Dino Ritch - 2010/6/23 - 06:24
Un saluto a tutti i posters
<< cunzatimi cunzatimi lu lettu,
ca vinni l' ura di lu me 'rrizzettu>>
e da queste parole io intendo che dopo anni in cui il protagonista cerca disperatamente "refrigerio" nella morte, soltanto adesso che egli è un vecchio di ottant'anni, la morte risponde finalmente al suo richiamo..
Dino Ritch - 2010/6/28 - 04:47
p.s. Questa scena di Baaria del maestro Tornatore può aiutarmi a comunicare ciò che avrei voluto esprimere più chiaramente:
(purtroppo il video e' stato cancellato e non sappiamo a quale scena si riferisse f.m.)
f.m. - 2010/7/22 - 01:00
Analisi storica di una canzone
Marcello - 2010/9/13 - 15:20
Gef - 2010/11/11 - 11:37
giuseppe - 2010/11/13 - 19:30
ecco perche si riferisce a un minatore.E non c'era il ritornello.
Chiedo scusa per l'errore precedente.
Giuseppe - 2010/11/14 - 07:50
Diego Verdegiglio - 2012/6/24 - 13:19
Occi fi spieco il principio di Archimete.
Archimete è famoso per tre cose:
1) il principio di Archimete
2) la tavoletta di Archimete
3) gli scpecchi a usctione
la fisica era il suo forte... accidenti!
Per quanto riguarda vitti na crozza... non è un canto di guerra ma il canto di un vecchio che guarda in faccia sé stesso e vede che la vita gli è passata davanti senza speranza di ritrovarla.
Riccardo Venturi, altro sopravvissuto della Bosco - 2012/9/18 - 02:10
Occorre sapere che quando Pietro Germi venne in Sicilia, a Favara (Ag) si stava verificando lo sciopero dei minatori che lavoravano nella miniera Ciavolotta, perchè il proprietario, un certo Giambertone di Palermo, non solo li malpagava, ma li pagava una tantum, lasciando nella miseria molte famiglie favaresi. Spesso i minatori trascorrevano le feste, Natale, Pasqua, San Giuseppe, San Calogero, nella miseria e nelle ristrettezze. Noi bambini poi vivevamo quelle feste con estrema tristezza perchè non potevamo ricevere i dolci nè i giocattoli che "u Bammineddru" ci faceva trovare in occasione del Natale. Ad aggravare la situazione economica dei minatori spesso si aggiungeva la chiusura della miniera con la muratura dell'ingresso per lo scoppio di un incendio nelle viscere e gli scioperi continui perchè i minatori ricevevano spesso la paga ogni tre-quattro mesi e forse più.
In quel periodo, tra il 1949 e il 1950, il Sig. Giambertone minacciò la chiusura definitiva della miniera e il licenziamento dei minatori.
A causa della chiusura della miniera molti minatori pensarono di volersi recare in Francia clandestinamente, unica "speranza" forse lontana di un lavoro e di un futuro tranquillo all'estero. Saputa quella situazione Pietro Germi, sicuramente uno dei maggiori esponenti del neorealismo, venne proprio a Favara per girare il film "Il cammino della speranza". Qull'anno io avevo l'età di sette anni e ho personalmente assistito alla ripresa di alcune scene del film come "La cerimonia del matrimonio nella chiesa di san Calogero e la partenza dei minatori verso la terra straniera con l'aiuto della guida, Saro Urzì, che, come tante altre guide nella realtà, abbandonavano i poveri emigranti clantestini alla frontiera e spesso venivano fatti rimpatriare dopo qualche giorno di carcere.
Durante le riprese del film, tra auna pausa e l'altra, Pietro Germi, amante del buon vino, si recava in una bettola sita in via Belmonte, una strada di accesso alla piazza Cavour. In quella bettola tutti i pomeriggi si recavano molti minatori a bere un bicchiero di vino e proprio lì "u zi Peppi Cibardo Bisaccia" e un gruppo di minatori cantavano spesso la canzone "Vitti 'na crozza". Pietro Germi, sentendola cantare non potè non innamorarsene e farla registrare su disco per farne la colonna sonora del suo film.
Nelle varie versioni che sono seguite, (l'originale è solo quella che si ascolta all'inizio del film quando scorrono i titoli di testa), sono da rilevare alcuni errori. La canzone originale è la seguente:" Vitti 'na crozza supra nu cannuni"
fui curiusu e ci vonsi spiari, iddra m'arrispunnì cu un gran duluri, muriri senza toccu di campaaaaaani. (Non estiste il "Trallallaleru, llalleru llalleru, llalleru,llalleru, llalleru, llallà" dopo le strofe).
Si 'nnieru, si 'nnieru li me aaaanni(proprio così aaaanni), si 'nnieru si 'nnieru e un sacciu uuuunni. Ora ca su arrivatu a ottant'anni lu vivu chiamu e la morti arrispuuuuuunni.
Cunzatimi, cunzatimi stu lettu, ca di li vermi su mangiatu tuuuuttu. O nun lu scuttu ccà lu me difeeeeettu, lu scuttu a beddra vita a sangu ruuuuuttu.
E' questa la verità sulla canzone "Vitti 'na crozza" e, senza presunzione, sono certo che nessuno mi possa smentire.
Salvatore Sferrazza - 2012/9/24 - 00:55
Cercando in giro ho trovato tantissime versioni e fra le versioni tante strofe sostituite da altre
- Cunzatimi, cunzatimi stu lettu, ca di li vermi su mangiatu tuuuuttu. O nun lu scuttu ccà lu me difeeeeettu, lu scuttu a beddra vita a sangu ruuuuuttu. -
-Cunzatimi cu ciuri lu me lettu - Picchi' alla fine già sugnu arriduttu - Vinni lu tempu di lu me rizzettu -
Lassu stu beddu munnu e lassu tuttu
Forse i vermi sono peggio dei fiori no?
Cordiali saluti e viva la Trinacria
Rosaria
Cordiali saluti
Rosaria Russo - 2012/9/24 - 19:49
non sono siciliana (solo di lontana origine), ma mia madre mi cantava vitti 'na crozza e anche lei ci aggiungeva dei fiori nel letto da cunzare
viva l'inventiva popolare (e anche gi autori che poi codificano, archiviano e diffondono)
Livia - 2012/11/13 - 11:43
→ Verbo: arrisittàri: riassettare, rimettere in ordine, ritrovare la pace.
Attenzione: ha spessissimo un significato ironico indicante tutto l'opposto:
Viri comu m'arrisittàvi! Guarda tu come mi sono sistemato !
E accussì t'arrisittàsti.. Ti hanno conciato per le feste..
giorgio - 2012/11/19 - 16:13
Miei cari fratelli che non ho il privilegio di conoscere, vogliate perdonare la mia stucchevole tirata, ma giusto a quel momento son giunto e so che se fosse qui fra noi lo spirito fiammeo del "deportato" Dostoevskij, che per una vita intera ho maldestramente frequentato, Vi benedirebbe tutti!...
Davide Valenti-Kirevskij - 2012/12/2 - 23:37
ho cercato di sentire il siciliano e il castigliano contemporaneamente; forse ho rubato qualcosina alla grammatica, ma è una traduzione senza pretese...
me puse curioso y quise preguntar porqué
ella me contestó muy dolorida
'me fui sin oir ni un toque de campana'
[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
Se fueron, ya se fueron los años míos
se fueron, ya se fueron no sé donde
ahora que soy viejo de ochenta años
llamo a* la muerte y ya la oigo contestar
[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
Parad mi cama, ustedes, paradmela
porqué ya me carcomieron los gusanos
qué si no me voy a pagar mi pecado para acá
me iré a quebrar mis lágrimas de allá
[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
Hay un jardín en alta mar
enriquecido por flores y naranjos
todos los pájaros se van allí cantando
y las sirenas también ya hacen el amor.
[la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la
la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la
la la la lero
la lero la lero
la lero la lero
la lero la la]*
Contributed by cataldo antonio amoruso - 2013/1/3 - 01:48
cataldo antonio amoruso - 2013/1/3 - 01:49
me-pu-se curió-so y pregun-té-é-e-e
ella-me contestó, muy dolórí-i-í-ídá
que sin tocár campá-nas yà-había í-í-í-do...
...suona?
cataldo antonio amoruso - 2013/1/3 - 14:50
p.s. la prossima volta fatela tradurre da un vero siciliano
Vidi uno scheletro sopra un cannone
Ero curioso e volli domandargli
lei mi rispose con gran dolore
Sono morto senza rintocchi di campane
Sono andati, sono andati i miei anni
Sono andati, sono andati, non so dove
Ora che sono vecchio di tanti anni
Chiamo la morte e lei mi risponde
Preparatemi, preparatemi il letto
Che già i vermi mi hanno mangiato tutto
Se non lo sconto qui, il mio peccato
Lo sconterò nell'altra vita, a pianto rotto
C'è un giardino in mezzo al mare
Pieno di fiori, di arance e di Sole
Tutti gli uccelli vanno lì a cantare
Anche i pesci vi fanno l'amore
Contributed by Roberto - 2013/1/22 - 16:31
zummo.angelo@virgilio.it - 2013/3/12 - 21:52
armando,carruba@libero.it - 2013/4/10 - 12:34
Fabrizio - 2013/8/15 - 18:41
Claudia - 2014/4/27 - 09:39
Concetta - 2014/5/4 - 04:23
Per quanto riguarda la versione antica, quella che ho sempre conosciuto fin dagli anni '50(fosse o non fosse stata già rimaneggiata) è vicina a quella espressa il 22/1/2013 da Roberto, ma do un altro senso al dialogo tra il vivo e il morto, nel quale mi sembra ci possa essere anche un significato religioso:
(IL VIVO:) Vidi un teschio sopra un cannone,
fui curioso e gli volli domandare,
lui mi rispose con gran dolore:
(IL MORTO:)“Sono morto senza tocco di campane”.
(IL VIVO:)Sono andati, sono andati i miei anni
Sono andati, sono andati … non so dove,
ora che sono arrivato agli 80 anni
chiamo la morte e lei mi risponde:
(IL MORTO:)“Preparatemi, preparatemi questo letto
ormai i vermi mi hanno mangiato tutto”.
(IL VIVO:)Se non lo sconto qua, il mio peccato,
lo sconto nell'altra vita, in modo atroce.
(IL MORTO:)“C'è un giardino messo in mezzo al mare,
pieno di fiori, di arance e di sole,
tutti gli uccelli ci vanno a cantare,
anche i pesci ci fanno l'amore”.
Per quanto riguarda il ritornello, se proviamo a cantarlo in modo sommesso, non troppo allegro, ne esce fuori una ninna nanna perfetta con cui ci possiamo addormentare i bambini! Non è che, allora, in questo canto siciliano non ci sia anche un significato rivolto alla vita?
Nicola - 2014/7/5 - 19:13
Lo Porto Giuseppe - 2014/11/16 - 18:31
È la locandina del film “Il cammino della speranza” le cui riprese cominciarono a Favara, in provincia di Agrigento, nel 1950. Per chi non ricorda o non ha mai visto il film – e a tanti farebbe un gran bene vederlo, visto che parla dei nostri nonni, poveri e disperati emigranti in cerca di lavoro fuori dal proprio Paese - diciamo subito che la nostra canzone ne “ Il cammino della speranza” è indiscussa protagonista sonora. E diciamo anche che senza questo film ‘ Vitti ‘na crozza’ forse non sarebbe mai nata. Ma andiamo con ordine: è il 1950 quando Pietro Germi, già conosciuto e apprezzato regista, viene in Sicilia per iniziare le riprese del suo film, inizialmente intitolato ‘ Terroni’. Ad Agrigento gli viene presentato il Maestro Franco Li Causi, chitarrista, compositore, nonché Direttore di una sua orchestra, a cui chiede (e usiamo le parole del Maestro tratte dalla lunga intervista concessa al giornalista Gabriello Montemagno nel 1978) “ un motivo allegro-tragico-sentimentale “ da inserire nel film. Nessuna delle tante composizioni del Maestro soddisfa il regista, che però invita il Li Causi ad assistere alle riprese nella vicina Favara. E proprio sul set comincia la nostra storia: il 16 marzo del 1950, il minatore Giuseppe Cibardo Bisaccia (che avrà poi una particina nel film) recita a Germi una poesia popolare che ricorda a memoria; questi sono i versi recitati quel giorno:
fui curiusu e ci vosi spiari
idda m’arrispunniu cu gran duluri
muriri senza toccu di campani
Si ‘nni eru si ‘nni eru li me anni
si ‘nni eru si ‘nni eru e nun sacciu unni
ora ca su arrivati a ottant’anni
u vivu chiama e u mortu unn’arrispunni
Cunzatimi cunzatimi stu lettu
ca di li vermi su manciatu tuttu
si nun lu scuttu cca lu me piccatu
lu scuttu a chidda vita a sangu ruttu
(Vidi un teschio sopra un cannone/fui curioso e gli volli chiedere/esso mi rispose con gran dolore/morire senza tocco di campane Se ne sono andati i miei anni/se ne sono andati non so dove/ora che sono arrivati a ottant’anni/il vivo chiama e il morto non risponde Preparatemi il letto/perché dai vermi sono tutto divorato/se non lo espio qua il mio peccato/ lo espierò in quella vita col mio sangue)
Germi resta affascinato dai versi e chiede a Li Causi se può musicarli; Li Causi si apparta sotto un albero, un piede appoggiato a un muretto per sostenere la sua chitarra, e compone la musica che tutti conosciamo. E subito capisce che ha creato una melodia orecchiabile, di impatto positivo e immediato, piacevole e cantabile. Il giorno stesso spedisce alla Società che tutela il diritto d’autore, la SIAE, il deposito della sua composizione. In futuro, come vedremo, questo atto burocratico sarà di vitale importanza.
La nuova ‘antica’ canzone si diffonde subito: testimonia Alfieri Canavero – allora giovane operatore cinematografico oggi vispo ottantaduenne – che, sempre nel corso delle riprese, scesero un giorno in miniera dove, immersi in un caldo insopportabile, praticamente senza vestiti addosso, i minatori stavano cantando ‘ Vitti ‘na crozza’ , accompagnandosi col ritmo … della pompa dell’aria. E lì il Canavero realizzò la prima registrazione della canzone, con un piccolo registratore a cavo che aveva con sé.
La canzone entra di diritto nella colonna sonora del film così da essere conosciuta in breve tempo in tutta Italia. Verrà conosciuta la canzone, non l’autore della musica, non citato né sulla locandina del film, né nei titoli di testa o di coda: autore delle musiche, di tutte le musiche, risulta Carlo Rustichelli, famoso autore di colonne sonore. Fu per rispetto nei suoi confronti che regista e produzione evitarono di citare il Li Causi come autore? O c’era in atto un tentativo di appropriarsi di un probabile successo discografico? Oggi non possiamo rispondere a questa domanda; è certo che il successo ci fu e varcò i confini della Sicilia e dell’Italia. Non solo per merito del film, ma anche perché nel 1951 il Maestro Li Causi fa incidere ‘Vitti ‘na crozza’ al tenore Michelangelo Verso in un disco della CETRA e l’etichetta, dopo il titolo, recita ‘ trascr. F.Li Causi ‘. Il disco avrà un grande successo e farà conoscere in America questo pezzetto sonoro di Sicilia. Il motivo per cui l’autore risulta semplicemente ‘trascrittore’ è presto detto: all’epoca la SIAE non prevedeva la possibilità che un testo antico di anonimo potesse essere musicato successivamente e avere così un autore della melodia.
Ma è uno dei pochi casi in cui il nome di Li Causi figura; in tanti, successivamente, incideranno la canzone, senza mai citare l’autore della musica. La canzone, anzi, passa per ‘tradizionale’ e va acquistando un passato, una storia che in verità non ha mai avuto e non poteva avere. A titolo d’esempio vogliamo citare una pubblicazione dei primi anni ’60: “ Un secolo di canzoni” a cura di F.Rocchi, Roma, Parenti 1961. È una raccolta di ‘fogli volanti’, di quei fogli a stampa, cioè, venduti dai cantastorie quando ancora non c’erano o non avevano larga diffusione i dischi: ne riporta ben 377, copie perfette degli originali, recuperati in tutte le regioni d’ Italia; e a pagina 378, a chiusura del volume si può leggere:
Qui termina la nostra raccolta perché riteniamo non solo che abbia inizio un nuovo ciclo della storia, ma anche un nuovo gusto per la poesia popolare e per la sua musica.
<< Vittì >> (sic!) è un vecchio canto di guerra siciliano: lo cantarono gli insorti di Garibaldi nella spedizione dei Mille, lo cantarono i fanti siciliani, sul Carso, sul Pasubio, sul Piave; è bello nel suo tragico linguaggio come nel ritmo della musica e può chiudere degnamente la lunga catena qui presentata.
E a pagina 379 viene pubblicata ‘Vitti ‘na crozza’ – ovviamente non il suo foglio volante, che non può esistere – un po’ storpiata nel testo e nel dialetto, ma indiscutibilmente lei. Nel disco allegato un famoso cantante – Domenico Modugno – canta per la prima volta ‘Vitti ‘na crozza’, canto tradizionale siciliano! E’ ovvio che pubblicazioni di questo genere o meglio invenzioni di questo genere non fanno altro che alimentare gli equivoci: basta pensare che anche il nostro Andrea Camilleri è stato tratto in inganno dalla presunta ‘anzianità’ della composizione, e la fa figurare nel repertorio dei due suonatori che nel romanzo “Il casellante” (ambientato nei primissimi anni ’40) allietano i clienti del barbiere del loro paese.
Ma in verità prima del film e del disco CETRA nessuno aveva mai sentito questa canzone; e purtroppo le raccolte di canti popolari siciliani – dove sono riportati circa 20.000 canti – sono appunto raccolte di canti, non di poesie. L’unica vaga rassomiglianza con la nostra canzone la troviamo nel ‘ Corpus di musiche popolari siciliane’ di Alberto Favara: dal numero 175 al 178 sono trascritte quattro varianti di un canto dove il protagonista sogna una crozza e con essa si mette a parlare; ma la somiglianza finisce qui. Tra l’altro la raccolta del Favara – compilata a cavallo tra ‘800 e ‘900 – viene pubblicata solamente nel 1957.
Ma altre questioni ha fatto sorgere la nostra canzone: cosa vuol dire esattamente? Di cosa parla? A chi vanno attribuite correttamente le varie parti del dialogo? Sempre che di dialogo si tratti! Ogni versione in prosa proposta finora ha sempre lasciato gli stessi interrogativi iniziali. È corretto allora avanzare qualche ipotesi: e tra le più fondate c’è quella che possiamo chiamare ‘dei pezzi mancanti’. In ogni trasmissione orale, affidata cioè alla memoria di chi trasmette l’informazione, occorre fare i conti con la possibilità che l’informatore non ricordi esattamente quello che, a sua volta, ha ascoltato e di cui vuole riferire; abbiamo allora delle lacune, ma anche delle aggiunte del tutto originali o estrapolate da altra fonte. Se pensiamo poi che la canzuni siciliana – e per canzuni si deve intendere un componimento non necessariamente con musica – è formata da otto endecasillabi a rima alternata, Vitti ‘na crozza potrebbe essere una ballata formata da tre o più canzuni di cui si sono perse varie componenti.
Ma forse si deve proprio a questa possibilità di interpretazioni varie, a questo mistero, a questa serie di allusioni proprie di ‘Vitti ‘na crozza’ se il canto ha subito affascinato. Riporto qui qualche possibilità di interpretazione, che chi naviga in internet già conosce: il cannuni non è un cannone, ma una torre a cui venivano appese le gabbie coi condannati, fino alla loro riduzione in ossa consunte dalle intemperie e dal sole, perchè servissero da monito ed esempio. Ma in nessun dialetto della nostra Isola cannuni ha il significato di torre, torrione o simili; certo, possiamo trovare - per esempio a Mazzarino – l’uso di chiamare la torre del castello ‘u cannuni (il cannone); ma è quella torre a essere ‘u cannuni , non tutte le torri e, in ogni caso, la ‘crozza’ sarebbe ‘mpisa e non supra.
Il cannuni non è cannuni, bensì cantuni, che, nelle pirrere del trapanese – cioè nelle miniere, nelle cave – è un concio di tufo, di arenaria, ed anche il luogo di lavoro dei minatori; ricordiamo qui che il Cibardo Bisaccia era proprio minatore, ma dell’agrigentino. È possibile che, imparata la poesia nella provincia di Trapani o da qualcuno proveniente dal trapanese, abbia poi sostituito, in maniera del tutto automatica, il termine per lui senza significato con un termine più familiare. Ipotesi affascinante – sposta l’attenzione dalla guerra a un disastro in miniera, frequente fino a qualche decennio fa in Sicilia – ma, proprio per l’assenza di raccolte di componimenti poetici, ormai difficilmente verificabile.
In ogni caso, sia che la poesia alluda a fatti di guerra o a disastri minerari o a condannati a morte, stona parecchio quell’assurdo ritornello, il famigerato tirollalleru che nei primi anni ’60 qualcuno infilò tra una strofa e l’altra, consegnando il canto al filone più ‘turistico’ del folklore siciliano Ritornello che male si accorda con l’impianto generale del canto, e che induce ad un accompagnamento che si discosta nettamente dalle prime esecuzioni, quelle per intenderci presenti nel film o registrate dal tenore Michelangelo Verso, più vicine agli intendimenti del Maestro Li Causi. Il quale – e qui chiudiamo – dovette fare causa alla SIAE per avere riconosciuta la paternità della musica; paternità che infine, grazie a decine di testimonianze (tra cui quella di Cibardo Bisaccia) e a quel deposito alla SIAE del 1950, gli venne riconosciuta ‘a norma di legge’ nel luglio del 1979. Ma, dopo neanche un anno, il Maestro Franco Li Causi moriva.
Francesco 'Ciccio' Giuffrida - 2014/11/18 - 20:35
Suli ca spacchi i petri da chianura , suli ca rumpi l'ossa PA calura, sulu l'a muri di la donna amata po' cunsulari st'arma scunsulata ( arma= anima).
Sempre da mio nonno:
Ora ca su arrivati a l'ottant'anni chiamu la vita e morti m'arrispunni.
Una breve considerazione , mio nonno da bambino mi portava alla'opera dei pupi , 1955 . non conosceva bene il cinema , tantomeno il neorealismo e meno che mai pietro germi.
Conosceva benissimo però la storia di Orlando e Rinaldo e tutti i proverbi siciliani antichi e i canti tradizionali. Ora è vero che porto Empedocle è vicino a Realmonte , ma sinceramente , non ricordo che mio nonno Stefano Gucciardo n'tisu Beatrice mi abbia mai parlato di franco licausi . eppure mi cantava questa canzone e mi diceva che era una canzone contro la guerra e che il teschio era quello di un soldato morto senza ragione e lasciato li con le ossa a sbiancare sotto il sole cocente siciliano. E infatti l'invocazione cunzatimi stu lettu significa forse 'datemi sepoltura perché sono mangiato dai vermi . e alla fine contrappone l'inutilità e la tragedia della morte in guerra con la grandezza dell'amore ' sulu l'amuri di la donna amata po cunsulari st'arma scunsulata. .Potenza dell'amore..
Per quanto riguarda la paternità , se non bastasse la testimonianza di tutti noi , basta guardare attentamente l'etichetta del disco originale porta la scritta. " Trascr. F. Licausi" non autore , il maestro Licausi la ha trascritta , lo dice lui stesso .mi sembra come meucci e bell , il telefono lo ha inventato meucci , il brevetto lo ha depositato il sig. Bell.
Senza nulla togliere nulla al merito del maestro Licausi , sono certo che trattasi di canto tradizionale siciliano che parla dell'avversione dei siciliani verso la guerra e del loro amore per la terra , il sole , i fiori e l'amore per la vita .
Del resto quando mai i siciliani sono scesi in guerra e si sono ribellati? L'ultima volta erano i Vespri , ma sempre per le proprie donne e l'onore.
Scusate se mi sono dilungato ma magari senza andare a cercare logiche troppo sociali possiamo provare a dare un significato coerente a questa poesia che considero la SINTESI DELLA VITA.
Luigi crispino - SICILIANO
luigi crispino - 2015/5/10 - 23:00
vorrei aggiungere che in una versione che sentivo da bambino (circa 45 anni fa) la canzone terminava con :
....o terra di briganti, terra d' unu-u-u-u-u-u-ri
(o terra di briganti terra di onore)
Gio - 2015/10/16 - 13:58
"lu scuntu allautra vita a chiantu ruttu" .. "chiantu ruttu" sta per "pianto a dirotto" e non per "sangue rotto"
"ciuri" è stato tradotto "sole" ma significa "fiori" scritto nel verso "tuttu ntessutu di aranci e ciuri... ossia "tutto intessuto di aranci e fiori".
Grazie per l'attenzione :-)
Aldo Polcini - 2016/9/19 - 20:42
CCG Staff - 2016/9/19 - 21:03
Vìtti ‘na cròzza
"Celebre canzone siciliana, quasi simbolo e bandiera canora dell’Isola. La storia è legata alla pellicola Il cammino della speranza (Pietro Germi, 1950). Vi sono varie ipotesi sulla scoperta del testo e della melodia; la più verosimile appare quella fornita, per testimonianza diretta, da Alfieri Canavero, operatore di macchina nel film di Germi. Questi racconta che iniziarono le riprese nelle miniere di zolfo vicine ad Agrigento; i minatori erano in sciopero da due giorni. Quando la troupe e il regista scesero giù, trovarono i minatori nudi, per il caldo infernale; stavano cantando Vitti ‘na crozza.
Registrarono quel canto con cui inizia il film (su richiesta di Germi, il maestro Franco Li Causi ne scrisse la partitura, che registrò poi alla SIAE a proprio nome).
Il tempo della canzone è un 4/4 lento, quasi una nenia, un lamento; il motivo ricalca la struggente melodia originaria cantata dai minatori, composta da sole quattro quartine; successivamente sono uscite varie versioni, spesso commerciali e snaturate, eseguite da molti cantanti.
Lo stesso Li Causi aggiunse dei versi alla poesia originaria, del tutto stridenti con l’anima del testo, e uno stravolgente, folkloristico, trullallèru da festa paesana.
Testo e traduzione
Vitti na cròzza sùpra nu cannùni (cantuni)
fùi curiùsu e ci vòsi spiari;
ìddra m’arrispunnìu cu gràn dulùri
murìvu senza ‘n tòccu di campani.
Vidi un teschio sopra un cannone
fui curioso e gli volli chiedere;
mi rispose con gran dolore:
sono morto senza un tocco di campana (senza funerale > morte violenta, probabilmente in battaglia).
Sinni èru, sinni èru li me anni
sinni èru, sinni èru un sàcciu ùnni;
ora ca sùgnu vècchiu d’ottant’anni
chiàmu la vita e a morti m’arrispùnni.
Se ne andarono, se ne andarono i miei anni
se ne andarono, se ne andarono non so dove (non so che senso possa avere avuto la mia vita),
ora che sono vecchio di ottant’anni
chiamo la vita e mi risponde la morte.
Chi nn’àiu a ffàri cchiù di li me anni
nun sùgnu bbonu cchiù pi travagghiàri,
sta vita è fatta tutta di dulùri
e accussì nun vògghiu cchiù campàri.
Che me ne debbo fare dei miei anni
non sono più buono per lavorare,
questa vita è fatta tutta di dolore
e così non voglio più vivere.
Cunzàtimi, cunzàtimi lu lettu
ca di li vermi su’ (sùgnu) manciàtu tùttu;
si nun lu scùntu ccà lu me piccàtu
lu scùntu all’àutra vita a chiàntu rrùttu.
Preparatemi, preparatemi il letto
perché sono interamente divorato dai vermi ( sto morendo, preparatemi almeno un letto decoroso),
se non lo sconto qui il mio peccato
lo sconterò nell’altra vita piangendo.
Didascalia
La canzone ha come tema l’immaginario dialogo di un vecchio con un teschio e le sue riflessioni, profuse di malinconia, tristezza, rassegnazione e rimpianto. L’autore è ignoto ed è difficile collocare la canzone nel tempo. L’esibizione del teschio di un nemico ucciso in combattimento sopra un cannone è un’usanza che risale al Medioevo; di sicuro, comunque, è di epoca anteriore al 1950. Rimane un lucido, sintetico e intenso spaccato esistenziale che aderisce profondamente alla storia, ai travagli, alle avversità, per non dire alle tribolazioni, patite dal popolo siciliano per quasi tre millenni.
Taluni scindono la prima strofa dalle altre tre, argomentando che facciano parte di altra canzone; a parer nostro la morte violenta “raccontata” dal teschio e le riflessioni del vecchio si integrano nel più vasto tema fatalistico ed esistenziale della sorte, che profonde la poesia.
Nota. Per completezza, si riportano le strofe aggiunte: C’e’ nu giardìnu ammènzu di lu màri / tuttu ‘ntissùtu di aranci e ciùri, / tutti l’acèddi cci vànnu a cantàri / pùru li pìsci ‘cci fannu all’amùri. / Senti li tròna di lu Mungibbèddru, / ca èetta fòcu e làmpi di tutti i lati. / Oh bèddra Matri, Matri Adduluràta / sàrba la vita mia e di la mia amàta (C’è un giardino in mezzo al mare / tutto intessuto di arance e fiori / tutti gli uccelli ci vanno a cantare / pure i pesci ci fanno l’amore. / Senti i tuoni dell’Etna / che lancia fuoco e lampi da tutti i lati / Oh Madre bella, Madre Addolorata / preserva la vita mia e quella della mia amata).
Rosario Sciangola - 2016/10/15 - 18:35
da me composte P. N. Biancavilla
Ora ca s’affaciunu i duluri
spalanca u Paradisu lu Signuri
ca voli fari parti do s’Amuri
ca nalla cruci scoppia e scumparunu i duluri
Rit
Godu di l’Amuri do Signuri
Iddu cancia in amuri li duluri
ca sunu u prezzu ranni di l’Amuri
ca tuttu passa e resta l’Amuri Rit
Godu nallu prisenti di l’Amuri
l’Amuri veru di lu Signuri
ca tuttu duna cu granni splinduri
oggi e dumani e sempri e tutti luri Rit
Sintesi di quest’ultime tre strofe
Ora ca s’affaciunu i duluri
spalanca u Paradisu lu Siguri
ca tuttu duna cu granni splinduri
oggi e dumani e sempri e tutti luri (2v) Rit
P. N. biancavilla - 2017/6/8 - 16:28
In tale versione, nella prima strofa si parla di tale Saro Crozzato, anarchico che, giunto alla vecchiaia e preso dallo sconforto (o dal rimorso) si lamenta, con il curioso che lo vede all'angolo (a lu cantone) e gli va a parlare, del fatto che quando morirà non avrà il conforto del suono di una campana "muriri senza tocco di campane". E una versione razionale che, negli anni fino al 1950, potrebbe essere stata "purgata" dai riferimenti anticlericali per diventare più accettabile e popolare. La razionalità (rispetto ad un cranio parlante appeso ad una torre) della 1^ strofa è peraltro confermata nelle strofe successive. In particolare con il riferimento al pentimento e alla necessità, per il senza-Dio, di scontare il peccato prima di morire per non doverlo fare "a sangu ruttu". Per cui la prima strofa poteva essere stata questa (prima della censura)
io che fui curiusu vo a parlari,
idda mi rispunniu cun gran duluri,
moriri senza tocco de campani"
E poi tutto il resto. In particolare mi ha fatto piacere conoscere le strofe (che non sono note) trascritte da Sciangola nella sua interessante descrizione
Francesco Laricchia - 2019/4/29 - 20:59
da me composte Padre Salvatore Nicoletti Biancavilla
spalanca u Paradisu lu Signuri
ca voli fari parti do s’Amuri
ca nalla cruci scoppia e scumparunu i duluri
Rit
Godu di l’Amuri do Signuri
Iddu cancia in amuri li duluri
ca sunu u prezzu ranni di l’Amuri
ca tuttu passa e resta l’Amuri Rit
Godu nallu prisenti di l’Amuri
l’Amuri veru di lu Signuri
ca tuttu duna cu granni splinduri
oggi e dumani e sempri e tutti luri Rit
Sintesi di quest’ultime tre strofe
Ora ca s’affaciunu i duluri
spalanca u Paradisu lu Siguri
ca tuttu duna cu granni splinduri
oggi e dumani e sempri e tutti luri (2v) Rit
Contributed by Padre Salvatore Nicoletti Biancavilla - 2019/7/6 - 17:49
pompili dino - 2019/8/26 - 14:58
pompili dino - 2019/8/31 - 13:49
Antonio - 2019/10/5 - 15:33
Saluti
B.B. - 2019/10/5 - 23:55
Antonio - 2019/11/4 - 00:56
Saluti
B.B. - 2019/11/4 - 07:33
Andrea Schiavo - 2020/3/19 - 16:21
Qual è la vera storia di" Vitti ‘na crozza", una tra le più celebri canzoni della tradizione siciliana?
Non è una canzone allegra.
Tutt'altro.
Il vero significato delle parole ci riporta al mondo delle zolfare, fatto di faticosissimo lavoro e di sofferenza.
Una canzone che ci ricorda la sofferenza e anche l’ingiustizia di chi passava la maggior parte della propria vita nelle miniere di zolfo della vecchia Sicilia e se aveva la sventura di morire tra le viscere della terra lì restava, sepolto senza nemmeno “un toccu ‘ri campane”.
Protagonista della canzone è ’na crozza, ossia un teschio.
Un teschio che, attraverso il suo racconto, si fa promotore di una forte denuncia sociale, rivolta principalmente contro determinate usanze della Chiesa cattolica di un tempo.
La maggior parte delle persone ha sempre ritenuto che il famoso ‘cannuni’ dove si trova il teschio, protagonista della canzone, fosse il pezzo di artiglieria cilindrico utilizzato per fini bellici, e che la canzone si riferisca ad un evento di guerra.
Ma così non è; Il "cannuni" altro non era che il boccaporto delle miniere.
Il testo ripercorre l’ostracismo perpetrato dalla Chiesa, incredibilmente cessato solo verso il 1940, nei confronti dei minatori morti nelle solfatare.
I loro resti mortali non solo spesso rimanevano sepolti per sempre nella oscurità perenne delle miniere, ma per loro erano precluse onoranze funebri e perfino, insiste la voce del teschio, un semplice rintocco di campana, perché zolfo e sottosuolo erano simboli e dimora del demonio.
La voce del teschio implora che qualcuno riservi anche a lui questa pietas, affinché una degna sepoltura, accompagnata da un’onoranza funebre che lo possa degnamente accompagnare nell’aldilà sia in grado di riscattare i suoi peccati e garantirgli una pace eterna dopo un’esistenza di stenti, contrassegnata da un lavoro massacrante in un’oscurità permanente".
"Storia di vitti 'na crozza", Sara Favarò
Giovanni Sonego - 2022/10/3 - 17:23
Nell'occasione ha raccontato anche l'aneddoto di come Francis Ford Coppola alla ricerca di musiche siciliane per la colonna sonora del film Il Padrino abbia conosciuto Rosa Balistreri, che naturalmente gli ha cantato questa, che è una delle poche canzoni siciliane conosciute all'estero. Finita la strofa il regista ha cominciato a cantare il famigerato tra-lla-lero del ritornello suscitando le ire di Rosa che ha spiegato che la canzone era tragica e che il ritornello non c'entrava niente. Conclusioni della Balistreri: "sarà anche un grande regista ma della Sicilia non ci capisce una minchia". Ovviamente le canzoni di Rosa non finirono nella colonna sonora del film.
Lorenzo Masetti - 2023/6/12 - 10:48
Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
Sull'attribuzione di questa canzone è in corso una discussione. In base ai suoi risultati attuali è stato deciso di attribuirla ad Autori Vari, salvaguardando così sia la sua natura di canzone popolare, sia gli interventi autorali che vi sono stati effettuati. A tale riguardo si prega di consultare tutta la discussione nei commenti. La pagina è comunque costantemente in aggiornamento e potrà subire modifiche, anche sostanziali, in caso di notizie e dati incontrovertibili. [CCG/AWS Staff]
Strofe popolari siciliane
Trascrizione musicale e arrangiamento di Franco Li Causi [1950]
Prima incisione su disco di Michelangelo Verso [1951]
La versione originale di Vitti 'na crozza come e' cantata da Michelangelo Verso e come e' stata composta da Li Causi, non includeva mai quel "lalalalero lalero lalero lalero lalero lalero lala".
Chi vuole informazioni sul tenore Michelangelo Verso e la sua biografia, discografia ecc., puo visitare il sito a lui dedicato: www.geocities.com/miverso
(Michelangelo Verso Jr.)
Ringraziamo ovviamente Michelangelo Verso Jr. per questa preziosissima informazione contenente le notizie biografiche sull'autore. [Riccardo Venturi]
Una delle più famose canzoni popolari italiane, interpretata, tra gli altri, da Domenico Modugno, da Rosa Balistreri...nonché parte della colonna sonora del famoso film Il cammino della speranza di Pietro Germi, con Saro Urzì, Raf Vallone e Elena Varzi (1950). Ma perché nelle CCG? C'entra il "cannuni", come chiarito in un post al newsgroup it.fan.musica.de-andre del 15 dicembre 2001:
Cominciamo dal "cannuni". Il cannone, la grande canna. Così si chiamavano quasi dovunque, in Sicilia, sia le torri dei castelli che quelle di guardia: solo che, distrutti castelli a torri, in certi paesi, la parola è rimasta ad evocare una mitica arma da fuoco puntata a minaccia, sull'altura dove invece era il castello. Al cannone-torre si riferisce il verso "vitti 'na crozza supra lu cannuni", che, a chi non sa, fa piuttosto pensare ad un cannone (arma da fuoco) decorato del piratesco emblema di un teschio. E invece si tratta del teschio di un giustiziato. Nelle giustizie feudali - anche in Sicilia - si usava attaccare la testa dell'uomo, su cui era stata eseguita sentenza di morte, alla torre del castello; e, se si trattava di un qualche brigante che aveva terrorizzato anche le terre vicine, i "quarti" (di uomo, non di bue) alle porte del paese.
Visto che siamo a spendere...spendiamo anche due parole su "crozza". Di "crozza" esiste anche una personalizzazione, in Sicilia. Prende il nome di "Viciu Crozza", traducibile in "Vincenzo Teschio". Ed è il nome e il cognome della "morte". Non la morte che viene per prendere, bensì quella che appare per ammonire.
"Cu nun diuna lu venniri di marzu
ci agghiorna viciu crozza a lu capizzi"
(chi non digiuna nei venerdì di marzo/ si troverà al mattino con la morte al capezzale).
In quanto a Viciu Crozza, è probabile che abbia origine da qualche immagine di San Vincenzo con accanto un teschio.
Finisco, aggiungendo solo che il distico ammonitore si usava recitarlo in special modo ai bambini. Come "imago mortis"!
Leggi anche Vitti na crozza: storia di una canzone di Francesco Giuffrida.