E tutti va in Francia
in Francia per lavorare …
E tutti va in Francia,
in Francia per lavorà …
Ma come debbo fare
se tutti vanno via,
oh che malinconia,
da sola resterò !
La la la la ....
Torneremo sulla neve ,
coi marenghi nel taschino,
torneremo a San Martino
per venirti a ritrovar.
Torneremo, torneremo,
suonerà la banda in testa,
sarà proprio un gran festa
ed andremo a fare l’amor !
E tutti va in Francia
in Francia per lavorare …
E tutti va in Francia,
in Francia per lavorà …
Si va a girare il mondo
in cerca di fortuna,
ma non ho più nessuna,
a te io penserò !
La la la la ....
Torneremo sulla neve ,
coi marenghi nel taschino,
torneremo a San Martino
per venirti a ritrovar.
Torneremo, torneremo,
suonerà la banda in testa,
sarà proprio un gran festa
ed andremo a fare l’amor !
E tutti va in Francia,
in Francia per lavorar
in Francia per lavorare …
E tutti va in Francia,
in Francia per lavorà …
Ma come debbo fare
se tutti vanno via,
oh che malinconia,
da sola resterò !
La la la la ....
Torneremo sulla neve ,
coi marenghi nel taschino,
torneremo a San Martino
per venirti a ritrovar.
Torneremo, torneremo,
suonerà la banda in testa,
sarà proprio un gran festa
ed andremo a fare l’amor !
E tutti va in Francia
in Francia per lavorare …
E tutti va in Francia,
in Francia per lavorà …
Si va a girare il mondo
in cerca di fortuna,
ma non ho più nessuna,
a te io penserò !
La la la la ....
Torneremo sulla neve ,
coi marenghi nel taschino,
torneremo a San Martino
per venirti a ritrovar.
Torneremo, torneremo,
suonerà la banda in testa,
sarà proprio un gran festa
ed andremo a fare l’amor !
E tutti va in Francia,
in Francia per lavorar
envoyé par Dead End - 12/3/2013 - 11:29
I nomi degli italiani uccisi nel massacro di Peccais / Aigues-Mortes, Provenza, 17 agosto 1893:
Carlo Tasso, di Alessandria
Vittorio Caffaro, di Pinerolo, Torino
Bartolomeo Calori, di Torino
Guiseppe Merlo, di Centallo, Cuneo
Lorenzo Rolando, di Altare, Savona
Paolo Zanetti, di Nesso, Como
Giovanni Bonetto
Secondo Torchio, il cui corpo non fu mai ritrovato
Un altro non identificato morì un mese più tardi in seguito alle ferite riportate.
Lo storico Gérard Noiriel parla anche di 15 dispersi, mai ritrovati e dati per morti.
Carlo Tasso, di Alessandria
Vittorio Caffaro, di Pinerolo, Torino
Bartolomeo Calori, di Torino
Guiseppe Merlo, di Centallo, Cuneo
Lorenzo Rolando, di Altare, Savona
Paolo Zanetti, di Nesso, Como
Giovanni Bonetto
Secondo Torchio, il cui corpo non fu mai ritrovato
Un altro non identificato morì un mese più tardi in seguito alle ferite riportate.
Lo storico Gérard Noiriel parla anche di 15 dispersi, mai ritrovati e dati per morti.
Dead End - 12/3/2013 - 11:48
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In “Le canzoni degli emigranti, Vol. 2” a cura di Anton Virgilio Savona, I Dischi dello Zodiaco, 1971
Poi anche nel CD di Gualtiero Bertelli e La Compagnia delle Acque intitolato “Povera gente”, 2004.
di Zeno Leoni, da Megachip
In questi giorni di caccia allo zingaro e pulizia etnica d’oltralpe, viene da parafrasare così il libro, poi opera teatrale, di Gian Antonio Stella: “Quando i Rom eravamo noi”. Già. Fra le rotte più ambite dai milioni d’italiani emigrati tra il 1890 e il secondo conflitto mondiale, v’era stata innanzitutto la vicina Francia dello sceriffo Sarkozy e del suo ministro all’emigrazione Eric Besson. Dove certamente, anche allora, l’accoglienza non era una specialità della casa. Tornando indietro di un secolo, è pacifico ricordare come la geografia indirizzò la transumanza di molti verso regioni quali la Provence-Alpes-Côte d’Azur e il Rhône-Alpes. E pure dalle parti dell’Aquitaine, che a Merignac, vicino Bordeaux, ospitava un vecchio campo di concentramento nazista, trisavolo del moderno Cpt, utilizzato dalle autorità locali per trattenere i nuovi arrivi. La storia si ripete.
Al tempo, molti di noi erano bollati con l’epiteto di “français de Coni” (francesi di Cuneo), italiani che si spacciavano per transalpini; altri con quello di “orso” per ricordare gli “orsanti”, mendicanti-circensi partiti dall’Appennino parmense, che si esibivano in tutta Europa con scimmie, cammelli e quindi orsi. Espressioni per nulla offensive, se paragonate al “carcamano” – non ha bisogno di spiegazioni – in voga nell’allora giovanissima repubblica del Brasile, o al “black dago” – accoltellatore negro – diffuso in Louisiana e altri stati della civilissima America. Tuttavia, nel sud-est della Francia, i più erano “rital”. R-ital, voce del gergo popolare francese dall’ingiuriosa connotazione, poteva evidenziare la difficoltà dei nostri nel pronunciare la “r” moscia, ma anche la personificazione della figura di Arlecchino nei nuovi immigrati, coperti di vestiti rammendati con pezze e stracci. Ritagli, per l’appunto.
Piemontesi, lombardi, liguri ed emiliani, pur di lavorare, avevano accettato di appartenere a un mondo difficile. Fatto di bocche affamate e schiene spezzate, dove il bistrot era veramente una bettola sporca e non il ristorantino chic sugli Champs-Élysées. Quel mondo, c’è stato raccontato in prima persona da Pierre Milza e François Cavanna. L’attualità di “Voyage en Ritalie” e de “Le ritals”, è racchiusa in un emblematico confronto di punti di vista. Fra come l’opinione pubblica francese dipingeva gli italiani negli anni delle prime ondate e come li considerava poi, alla vigilia della prima guerra mondiale.
Soprattutto dal resoconto storico di Milza, ne emergono due punti di vista agli antipodi. Se a fine novecento l’italiano era il manesco capofamiglia che alloggiava in case lerce da cui “provenivano odori di puzzolenti intingoli”, vent’anni dopo diventava, secondo i francesi, padre modello e gran lavoratore, affezionato alla nuova madrepatria e pronto a difenderla – come accadde – anche di fronte alla guerra. Solo la follia di Mussolini e le violenze del fascismo riuscirono per un attimo a scalfire la nuova figura del cittadino italiano modello, dividendo la massa francese tra favorevoli e contrari.
Siamo di fronte a uno scherzo del destino? No. Ma guardando quegli anni da così lontano, sembra impossibile capire. Gl’italiani erano i pericolosi straccioni di fine novecento o, piuttosto, gli “italiani brava gente” delle successive ondate migratorie? Nessuno dei due. Oggi in Italia non si parla più degli albanesi, eppure una volta li perseguitavamo. Gli albanesi sono diventati buoni, o non sono mai stati cattivi? La storia si ripete ovunque. Qualcuno fa finta di non capirlo.
Sempre a proposito di “pulizia etnica d’Oltralpe” voglio qui ricordare un episodio quasi del tutto dimenticato.
Il 17 agosto del 1893 a Aigues-Mortes, in Provenza, accadde quello che storici anche francesi (come Gérard Noiriel) considerano «Il più grande pogrom della storia francese contemporanea, un emblema della xenofobia di tutti i tempi». Quel giorno gli immigrati italiani, quasi tutti piemontesi, che lavoravano nelle saline della zona furono attaccati da una folla inferocita composta da giornalieri francesi e dagli abitanti del paese. La presenza di scarse forze di polizia non fermò gli aggressori. Gli italiani, alcuni già feriti da lanci di pietre, furono scortati a piedi verso la stazione del paese, con la promessa che sarebbero stati caricati su di un treno per essere espulsi. Ma durante il tragitto i francesi continuarono ad insinuarsi nel triste corteo e a colpire i malcapitati. Giunti in vista della città, quando sembrava che lo cose volgessero per il meglio, un gruppo di abitanti si unì ai lavoratori francesi attaccando ancora gli italiani a colpi di pietre e randelli. Alla fine della caccia all’uomo si contarono 9 morti accertati, oltre cinquanta feriti e una quindicina di dispersi i cui corpi non vennero mai ritrovati.
Scoppiò un caso diplomatico e vi fu pure un processo ma poi, per non guastare i rapporti commerciali tra i due paesi, la vicenda fu insabbiata e tutti gli imputati finirono assolti nonostante le prove schiaccianti a loro carico.