Rencontrant la chaîne des bagnes,
Le plus grand héros des Espagnes,
Don Quichotte, accourt, lance au poing !
Sancho voudrait n’en être point !
L’argousin fuit ; le fou sublime
Des fers arrache une victime.
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Ami Sancho, je fais mon œuvre,
Ce vieux forçat, c’est le manœuvre,
Outil dans sa rouille ébréché
Et d’un vil salaire emmanché.
L’argent, ce maître sans entrailles,
L’use, puis le jette aux ferrailles. »
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Sancho, je délivre et protège
Ce petit forçat du collège,
Nourri d’un savoir recraché
Par les pédants qui l’ont mâché.
Cet esprit dont ils font un cancre
N’est qu’un cahier barbouillé d’encre…»
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Sors aussi, forçat de caserne,
Ta cervelle est une giberne,
Ta conscience, un mousqueton ;
Tu n’es plus qu’un homme à piston.
Pour ce métier de cannibales
On vous fond dans un moule à balles…»
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Et toi, forçat des sacristies,
Jette la soutane aux orties,
Le cloître a fait pousser en toi
Les moisissures de la Foi.
Rome lymphatique propage
Les scrofules du moyen âge…»
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Toi, surtout, femme infortunée,
Incomparable Dulcinée,
Qui gémit aux mains des géants
Et des enchanteurs mécréants,
Du cœur la loi rompt l’équilibre,
Il demande l’union libre. »
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
Ô fleur de la chevalerie !
Dis-je alors dans ma rêverie,
Attaque ces géants de front
Malgré ton écuyer poltron.
Car, jusqu’au jour où ton épée
Aura clos la grande Épopée,
« ― Monsieur, dira Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
Le plus grand héros des Espagnes,
Don Quichotte, accourt, lance au poing !
Sancho voudrait n’en être point !
L’argousin fuit ; le fou sublime
Des fers arrache une victime.
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Ami Sancho, je fais mon œuvre,
Ce vieux forçat, c’est le manœuvre,
Outil dans sa rouille ébréché
Et d’un vil salaire emmanché.
L’argent, ce maître sans entrailles,
L’use, puis le jette aux ferrailles. »
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Sancho, je délivre et protège
Ce petit forçat du collège,
Nourri d’un savoir recraché
Par les pédants qui l’ont mâché.
Cet esprit dont ils font un cancre
N’est qu’un cahier barbouillé d’encre…»
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Sors aussi, forçat de caserne,
Ta cervelle est une giberne,
Ta conscience, un mousqueton ;
Tu n’es plus qu’un homme à piston.
Pour ce métier de cannibales
On vous fond dans un moule à balles…»
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Et toi, forçat des sacristies,
Jette la soutane aux orties,
Le cloître a fait pousser en toi
Les moisissures de la Foi.
Rome lymphatique propage
Les scrofules du moyen âge…»
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
« ― Toi, surtout, femme infortunée,
Incomparable Dulcinée,
Qui gémit aux mains des géants
Et des enchanteurs mécréants,
Du cœur la loi rompt l’équilibre,
Il demande l’union libre. »
« ― Monsieur, disait Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
Ô fleur de la chevalerie !
Dis-je alors dans ma rêverie,
Attaque ces géants de front
Malgré ton écuyer poltron.
Car, jusqu’au jour où ton épée
Aura clos la grande Épopée,
« ― Monsieur, dira Sancho Pança,
Laissez donc la chaîne au forçat ! »
Contributed by Dead End - 2012/12/27 - 17:31
Language: Italian
Traduzione italiana di Riccardo Venturi
28 dicembre 2012
28 dicembre 2012
DON CHISCIOTTE
Nell'incontrar la catena di galera
il più grand'eroe delle Spagne,
Don Chisciotte, accorre lancia in resta!
Sancho proprio non ci vuol stare.
Fugge l'aguzzino; il sublime folle
una vittima strappa dai ceppi.
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“Amico Sancho, io faccio il mio lavoro;
Questo vecchio forzato è il manovale,
un attrezzo di ruggine incrostato
cui s'ammannisce un salario di merda.
Il denaro, padrone senza viscere,
lo utilizza e poi lo rottama.”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“Sancho, io libero e proteggo
il piccolo forzato della scuola,
nutrito d'un sapere risputato
dai pedanti che l'hanno masticato.
Questi qui sono il cancro della mente,
che è solo un quaderno scarabocchiato...”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“Esci anche tu, forzato della caserma,
il tuo cervello è una giberna,
un moschetto la tua coscienza;
un automa, questo e non altro sei.
Per questo mestiere da cannibali
vi fondono in uno stampo da munizioni...”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“E tu, forzato delle sagrestie,
butta la sottana alle ortiche!
Il chiostro t'ha fatto crescer dentro
tutto il marciume della Fede.
Roma linfatica propaga
la scrofola del medioevo...”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“Tu soprattutto, donna sventurata,
incomparabile Dulcinea
che gemi nelle mani de' giganti
e di quei ciarlatani miscredenti,
del cuor la legge spezza l'equilibrio
che richiede la libera unione.”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
O fior della cavalleria!
Dico nel mio sogno ad occhi aperti,
I giganti assalta a viso aperto
malgrado il tuo poltrone di scudiero.
Perché fino a quando la tua spada
non avrà chiuso la grande Epopea,
“Signore”, dirà Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
Nell'incontrar la catena di galera
il più grand'eroe delle Spagne,
Don Chisciotte, accorre lancia in resta!
Sancho proprio non ci vuol stare.
Fugge l'aguzzino; il sublime folle
una vittima strappa dai ceppi.
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“Amico Sancho, io faccio il mio lavoro;
Questo vecchio forzato è il manovale,
un attrezzo di ruggine incrostato
cui s'ammannisce un salario di merda.
Il denaro, padrone senza viscere,
lo utilizza e poi lo rottama.”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“Sancho, io libero e proteggo
il piccolo forzato della scuola,
nutrito d'un sapere risputato
dai pedanti che l'hanno masticato.
Questi qui sono il cancro della mente,
che è solo un quaderno scarabocchiato...”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“Esci anche tu, forzato della caserma,
il tuo cervello è una giberna,
un moschetto la tua coscienza;
un automa, questo e non altro sei.
Per questo mestiere da cannibali
vi fondono in uno stampo da munizioni...”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“E tu, forzato delle sagrestie,
butta la sottana alle ortiche!
Il chiostro t'ha fatto crescer dentro
tutto il marciume della Fede.
Roma linfatica propaga
la scrofola del medioevo...”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
“Tu soprattutto, donna sventurata,
incomparabile Dulcinea
che gemi nelle mani de' giganti
e di quei ciarlatani miscredenti,
del cuor la legge spezza l'equilibrio
che richiede la libera unione.”
“Signore”, diceva Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
O fior della cavalleria!
Dico nel mio sogno ad occhi aperti,
I giganti assalta a viso aperto
malgrado il tuo poltrone di scudiero.
Perché fino a quando la tua spada
non avrà chiuso la grande Epopea,
“Signore”, dirà Sancho Panza,
“Il forzato lasciatelo in catene!”
Quanto alla questione della musica, escluderei a priori che possa essere di Pottier. Pottier non conosceva la musica; usualmente, e come avveniva quasi sempre, le sue composizioni dovevano cantarsi "sull'aria di" qualche canzone (d'autore o popolare) conosciuta da tutti. Persino l' Internazionale era cantata, in origine, sull'aria della Marsigliese prima che, nel 1888, Pierre Degeyter scrivesse la musica con la quale è diventata il canto politico più famoso del mondo.
Riccardo Venturi - 2012/12/28 - 10:59
Mi sono accorto che oramai le canzoni sulla figura (diretta o indiretta) di Don Chisciotte sono abbastanza per metterci su un bel percorso. Mi sembra doveroso, visto che un Don Chisciotte ce lo abbiamo addirittura fra gli amministratori del sito; si chiamerà infatti, il percorso, "Don Chisciotte tra l'Eternità e l'82".
Riccardo Venturi - 2012/12/28 - 11:32
La data che ho indicato (1867) è sbagliata. Però anche quella riportata su "Chants révolutionnaires" lo è: se la dedica è "À Flourens, assassiné." non può essere il 1869 visto che “le chevalier rouge” fu ucciso all'inizio di aprile del 1871...
A meno che Pottier avesse l'abitudine di attribuire le dediche posteriormente alla composizione dei canti...
A meno che Pottier avesse l'abitudine di attribuire le dediche posteriormente alla composizione dei canti...
Dead End - 2013/1/6 - 20:05
Language: Italian
Versione italiana di Salvo Lo Galbo
DON CHISCIOTTE
A sciogliere i ceppi ed a porre
la fine alla prigionia, corre
l’eroe Don Chisciotte. Però,
però Sancho dice di no.
E sull’uscio delle galere,
c’è Sancho che dice: “Messere,
per loro non può far di più.
Lasciamoli in schiavitù.”
“Buon Sancho, questo è il mio lavoro.
Sono i manovali, costoro,
vecchi arnesi ai quali si dà
un salario da far pietà;
spremuti e buttati a marcire...”
Ma Sancho diceva “Messere,
per loro non può far di più.
Lasciamoli in schiavitù.”
“Io libero dalla tagliola
il piccolo oppresso che a scuola
è costretto a mandare giù
la guasta cultura che fu
sputata dal loro potere...”
Ma Sancho diceva “Messere,
per lui non può fare di più.
Lasciamolo in schiavitù.”
“E tu, oppresso della caserma,
la tua mente è una giberna,
la coscienza, un moschetto; no,
non ti han reso più che un robot
costretto a morir per mestiere...”
Ma Sancho diceva “Messere,
per lui non può fare di più.
Lo lasci alla sua schiavitù.”
E tu, oppresso a cui il chiostro diede
il carcinoma della Fede,
forzato della sagrestia,
butta la tua sottana via
e sputa alle acquesantiere...”
Ma Sancho diceva “Messere,
per lui non può fare di più.
Lo lasci alla sua schiavitù.”
“E tu, Dulcinea sventurata,
comprata, spogliata, abusata
dagli orchi più forti di te,
dai maghi nascosta, dal re
bandita e dal carabiniere...”
Ma Sancho diceva: “Messere,
per lei non può fare di più.
Lasciamola in schiavitù.”
“Cavalleria, il compito vada
a te di calar la tua spada
a chiuder la grande epopea.
Non badare alla melopea
di Sancho che dice “Messere,
sono, ad occhi aperti, chimere.
Che può fare, al mondo, di più?
Lasciamolo in schiavitù.”
A sciogliere i ceppi ed a porre
la fine alla prigionia, corre
l’eroe Don Chisciotte. Però,
però Sancho dice di no.
E sull’uscio delle galere,
c’è Sancho che dice: “Messere,
per loro non può far di più.
Lasciamoli in schiavitù.”
“Buon Sancho, questo è il mio lavoro.
Sono i manovali, costoro,
vecchi arnesi ai quali si dà
un salario da far pietà;
spremuti e buttati a marcire...”
Ma Sancho diceva “Messere,
per loro non può far di più.
Lasciamoli in schiavitù.”
“Io libero dalla tagliola
il piccolo oppresso che a scuola
è costretto a mandare giù
la guasta cultura che fu
sputata dal loro potere...”
Ma Sancho diceva “Messere,
per lui non può fare di più.
Lasciamolo in schiavitù.”
“E tu, oppresso della caserma,
la tua mente è una giberna,
la coscienza, un moschetto; no,
non ti han reso più che un robot
costretto a morir per mestiere...”
Ma Sancho diceva “Messere,
per lui non può fare di più.
Lo lasci alla sua schiavitù.”
E tu, oppresso a cui il chiostro diede
il carcinoma della Fede,
forzato della sagrestia,
butta la tua sottana via
e sputa alle acquesantiere...”
Ma Sancho diceva “Messere,
per lui non può fare di più.
Lo lasci alla sua schiavitù.”
“E tu, Dulcinea sventurata,
comprata, spogliata, abusata
dagli orchi più forti di te,
dai maghi nascosta, dal re
bandita e dal carabiniere...”
Ma Sancho diceva: “Messere,
per lei non può fare di più.
Lasciamola in schiavitù.”
“Cavalleria, il compito vada
a te di calar la tua spada
a chiuder la grande epopea.
Non badare alla melopea
di Sancho che dice “Messere,
sono, ad occhi aperti, chimere.
Che può fare, al mondo, di più?
Lasciamolo in schiavitù.”
Contributed by Salvo Lo Galbo - 2016/5/31 - 09:04
Ché, per altro, è l'evidente canovaccio della "Don Chisciotte" di Guccini. Proprio per questa contrapposizione con lo scudiero che vorrebbe frenarne gli slanci eroici, e tanto più ignorante quanto più è convinto, comunque, di ottenere, a fine di tutto, il suo orticello cui potersi dedicare; il famoso governatorato e il castello che non avrà mai.
Salvo Lo Galbo - 2016/5/31 - 09:15
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Versi di Eugène Pottier, dai Chants révolutionnaires, 1908, seconda edizione.
Ignoro se la musica fu scritta dallo stesso Pottier o se invece il brano si cantasse su di una qualche aria popolare
Con dedica “À Flourens, assassiné”
Il Don Chisciotte di questa canzone non è il celeberrimo cavaliere errante nato dalla penna di Miguel de Cervantes, bensì “le chevalier rouge” Gustave Flourens (1838-1871). Figlio del noto fisiologo Marie-Jean-Pierre Flourens, anche Gustave, come il padre, fu incaricato giovanissimo della cattedra di storia naturale al Collège de France. La prestigiosa docenza gli venne però ben presto revocata a causa del suo approccio positivistico e delle sue idee repubblicane e anti-bonapartiste. Nel 1866 combattè al fianco dei cretesi in rivolta contro l’Impero ottomano. Tornato in Francia fu più volte arrestato e, alla caduta dell’Impero, fu eletto a capo di un battaglione della Guardia nazionale e quindi generale della Comune, incaricato della difesa della Parigi rivoluzionaria. Il 3 aprile 1871, durante un’offensiva dei comunardi contro le truppe del governo di Versailles, Gustave Flourens fu catturato, disarmato e quindi ucciso sul posto.
Tra i tanti testi è degno di nota quel “Propaganda delle canzoni” che rappresentava, all’epoca, il suo manifesto politico: In tempo di pace, l’esercito è una morsa / Nelle mani di chi governa, / Per serrare la gogna al collo / Del popolo senza giberne. / ... Aderì all’Internazionale e nel 1870 organizzò una Camera del lavoro con 500 membri aderenti anch’essi all’Internazionale, fu uno strenuo antimilitarista, oltre che pacifista; partecipò attivamente alla Comune di Parigi nel marzo 1871 ed alla sua caduta venne ricercato e condannato a morte in contumacia ma riuscì ad espatriare rifugiandosi prima in Belgio e poi a Londra e negli Stati Uniti dove soggiornò poi sette anni continuando il suo impegno sociale.
Rientrò in Francia nel 1880, in seguito all’amnistia. La raccolta “Chants révolutionnaires" fu pubblicato per la prima volta solo nel 1887, stampato in 1.500 copie qualche mese prima della scomparsa dell’autore. “Muore il 6 novembre 1887. Seimila persone seguono, il giorno dopo, il suo funerale (tra gli oratori, per gli anarchici, Luisa Michel), la polizia interviene perchè non sopporta la bandiera rossa dietro al feretro ma dovette cedere, di fronte alla protesta di quei vecchi cospiratori ex galeotti, ex garibaldini, poeti e ribelli, che conducevano al finale riposo la salma di tanto battagliero militante”.
Caserne et forêt - Défends-toi, Paris ! - Don Quichotte - Elle n'est pas morte! - En avant la classe ouvrière - Guillaume et Paris - J’ai faim - Jean Misère - L’anthropophage - L’auge - L'abolition de la peine de mort - L'insurgé - L'Internationale - La grève - La grève des femmes - La guerre - La mort d'un globe - Le pressoir - La Terreur Blanche - Laissez faire, laissez passer! - Le chômage - Le défilé de l'Empire - Le grand Krack - Le Moblot - Les classes dirigeantes - Leur bon Dieu - Madeleine et Marie - N’en faut plus - Propagande des chansons - Quand viendra-t-elle ? - Tu ne sais donc rien ?