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La mia generazione

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[2011]
Testo e musica: Davide Giromini
Arrangiamenti: Redelnoir
Voce di Tiziano Ferri
Voce recitante di Matteo Procuranti
Basso di Leonardo Palmierini
Album: Ballate postmoderne

redl fuxia


"L'ispirazione di questo lavoro arriva dalla lettura del testo di Jean-François Lyotard del 1979 La condizione postmoderna. Caratteristica della società postmoderna è il venir meno delle grandi narrazioni metafisiche (illuminismo, idealismo, marxismo) che hanno giustificato ideologicamente la coesione sociale e ispirato le utopie rivoluzionarie. Negli anni '80, in Italia, queste cosiddette grandi narrazioni cominciano a diventare un fenomeno di mercato, gettando le basi della società attuale. Gli anni '80 sono il decennio cruciale in cui la mia generazione ha vissuto la sua formazione culturale, ed è proprio su questo che le Ballate postmoderne vogliono riflettere. " - Davide Giromini.


janufa


Non lasciatevi incantare dallo sfavillio rosa fuxia della cover. “Ballatepostmoderne” ha anima neropece, e un’aria decisamente poco raccomandabile. Sotto la patina bubble gum della copertina è l’analisi più lucida e disillusa sugli Ottanta che sia mai stata messa in canzone. Questo cd è un porto-franco per fantasmi scomodi, per ideologues non pacificati, anime alla deriva, collassi interiori, e altri sociali.

Il de profundis della generazione-Vasco Rossi, intonato senza commiserazione e nemmeno un briciolo di compiacimento. I prodromi del collasso della civiltà in dodici stazioni, quelle di una via crucis senza redentori, né false promesse di salvezza.

La verità nuda e cruda in bella mostra, signore e signori: nemmeno un refolo di speranza in questo (post)disco di Davide Giromini-Redelnoir. Tutto è transustanziato in “poi”, superato, mercificato: ideologie (socialismo, craxismo-reaganismo), miti (Lorella Cuccarini, Rambo, Obi Wan Kenobi), modernismo, punk (certi influssi del primo Ruggeri), con il coraggio di una scrittura anti-melodica che sbrindella pillole di saggezza ontologica (“siamo soltanto pidocchi attaccati alla terra/ pidocchi coi calli alle mani”), accenni di j’accuse, ironia, filosofia, cronaca, storie artificiali, crittogrammi della serie “bravo chi riesce a scovarci tra le righe citazione alte e basse”.

Come una corsa notturna sulle montagne russe della post-modernità, si passa da Nietzsche (non a caso) a Bearzot, da Eraclito a Pasolini a Benjamin a Tarkovskij a Heidegger. Si usa, oggi, nella pop music? “Ballatepostmoderne” va accolto, dunque, come un urlo munchiano nella calma piatta della discografia contemporanea. Come una felice anomalia. Il contraltare atteso e maleducato al sound tuttigusti, “facce da bambino & cuori infranti” di finardiana memoria, per intenderci. Un pugno allo stomaco alla (cattiva) coscienza collettiva, una requisitoria a tinte fosche, di gran lunga più incisiva delle coazioni a ripetersi di alcuni cantautori storici del nostro scontento.

Un concept-album disalienato sull’alienazione, che sin dai cancerogeni Ottanta, ci avvince tutti come l’edera di nillapizziana memoria. Una partitura per voce sola (che grida nel deserto) che assembla piano e suoni campionati, punk duro & puro e accenti cantautorali, in un crossover musicale straniato, ipnotico, irresistibile, balsamo per le nostre orecchie affrante da giusiferrerismo espanso.

Sterile svilire il senso ultimo di un album da assumere nel suo insieme, e addentrarsi nello specifico delle singole tracce (volete essere così bravi da fottervene, per una volta, dei brani-pilota?). Che questo è un cd che va ascoltato e riascoltato tutto. Traccia dopo traccia, capitolo dopo capitolo, se ancora vi è rimasto un poco di coraggio e di amor proprio per guardare alla realtà dal lato peggiore “Ballatepostmoderne” è il disco che fa per voi. - Brigata Lolli


La mia generazione ha visto gli ultimi rampanti contadini del pensiero
stare chiusi negli uffici, nelle sedi di partito
a imparare a menadito stanchi editoriali da portare alle riunioni con ardore battagliero,
la mia generazione ha visto gli ultimi poeti maledetti senza scuola
darsi vanto di un disagio pressappoco esistenziale
tra il miraggio zodiacale e il fascino rubato a certi figli: possedere una pistola.

La mia generazione che rinnega la città,
che non vede da lontano,
che non sente l'astrazione positiva del concetto molto strano:
l'individuo nella collettività,
l'individuo nella collettività.

La mia generazione è stata anni dentro casa ad aspettare di finire l'università,
per capire dopo anni che era l'unico rifugio
per evadere dal lungo purgatorio dell'entrata in società.
La mia generazione è stata al passo con i tempi in senso patologico mentale,
in un serio allineamento la paralisi mediatica, la sovraesposizione matematica culturale e neuronale.

La mia generazione che rinnega la città,
che non vede da lontano,
che non sente l'astrazione positiva del concetto molto strano:
l'individuo nella collettività,
l'individuo nella collettività,
l'individuo nella collettività.

La mia generazione ha caricato sulla schiena il fallimento dell'idea dei propri nonni,
rovinata sull'altare consumistico dei padri
che attendevano in poltrona socialistiche pensioni acquistate e rivendute in pochi anni.
La mia generazione è stata a Genova amputata della sua internazionale volontà,
castigata con i Fini servitori dello stato.
Ai bisogni sconfinati la risposta degli eventi chiede ognuno per le sue capacità.

envoyé par Riccardo Venturi - 7/12/2012 - 19:46


Considero questo brano la più bella, ma anche la più spietata, esatta e commossa, analisi che sia mai stata fatta della generazione degli anni '80. Bella sì, ma anche spietata esatta e commossa proprio perché fatta da chi di quella generazione ha fatto parte vivendola, e non "venendo prima" o "venendo dopo". Una generazione distrutta dal disprezzo congiunto dei padri e dei figli; una generazione perduta negli abissi delle mode e del niente, ma che è andata a trovare il proprio sacrificio e la propria testimonianza a Genova. Proprio per questo inserisco la canzone nel percorso dedicato al G8 di Genova del 2001, che è stato come l'atto finale di un percorso strano, oscuro, straziante per tanti versi e sempre condito dalla più totale mancanza di considerazione, dallo scherno verso chi si era ritrovato a vivere nelle macerie di un fallimento di cui non aveva colpa e che aveva vissuto soltanto una serie di terminazioni dovendo inventarsi un modo per sopravvivere e muoversi nelle pastoie di un tempo vuoto. Ne sono usciti anche i Davide Giromini, i "Redelnoir", i Darmo. Con questo album, sotterraneo, autoprodotto, autotutto, non conosciuto, clandestino quasi, Davide Giromini "Redelnoir" avrebbe stabilito una pietra miliare, se non fosse per il fatto che non fa parte di alcun circuito. Forse, chissà, fra venti o trent'anni qualcuno si accorgerà della sua grandezza, a parte chi se n'è già accorto fin dalla sua prima canzone e gli vuole un bene profondo.

Riccardo Venturi - 7/12/2012 - 20:10




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