απ' αγιασμένο κώλο
ένα διαυγές πρωινό,
εμοίαζε με βόλο.
Φώναζ' η κότα του
κοκó κοκορικό,
ωραίε! Ωραίε γιε μου!
Είσ' ένα Χρυσό Αυγό.
Πολύ χρυσό δεν ήταν,
με σκατά βρομερό,
αντιθέτως φαινόταν
μια κουράδα θαρρώ.
Αλλά για τη μανούλα
ήταν το πιο καλό,
για την άγια κοτούλα
ήταν το Χρυσό Αυγό.
Τι όνομα να σου δώσω;
Μεγάλο, γιε, σου πρέπει.
Δεν ξέρω τώρα πόσο,
αλλ' o Θεός μας βλέπει.
Εύρηκα! Γιε, σα δράκο
με τέραστιο βρυχηθμό
θα σε λέν' Μιχαλολιάκο,
είσαι το Χρυσό Αυγό!
Τα χρόνια χωρίς παύση
περάσανε για τ' αυγό,
που με πολλή απολαύση
δε γινόταν πετεινός.
Δε γινόταν κοτόπουλο
μα δούλευε ρε γαμωτό
για τον κυρ-Παπαδόπουλο,
ήταν το Χρυσό Αυγό.
Του άρεσαν πολύ πολύ
οι αυγίδες χεϊλί χεϊλό,
αλλ' ακόμα πιο πολύ
ο ναζιφασισμός.
Είχαν πολλές ελπίδες
να κάνουν κοκορικό
αυτοί οι Χρυσαυγίδες
με το Χρυσό Αυγό.
Μια μέρα έφτασ' η κρίση,
δεν είχε ψωμί ο λαός.
Κι αυτό ήταν φύσει
του λαού ο οδηγός.
'Eξω όλα τα αδικούντα
και μεταναστευμέν' αυγά!
'Oλα για τα πεινούντα
αυγά Ελληνικά!
Και για να δώσει ψωμί
σ' όλα τα πεινούντα αυγά
τα κάλεσ' όλα μαζί
να γίνουν όλα Χρυσά.
Είπε, Ναι είμαι φασίστας
μα έχω χέρια καθαρά!
Ψηφίστε τη Χρυσή Λίστα
θα γίνετ' όλα σκατά!
Ν' αυξήσει όλες τις ελπίδες
και ζήτω η δημοκρατία,
έβαλ' ωραίες Χρυσαυγίδες
να κάνουν την Αστωονομία.
'Ολα με το Χρυσό Αυγό
Κι αυτά είναι μεγάλα νέα,
Δε φώναζαν πια κοκορικό
μα “κορκονέα κορκονέα”.
Μια μέρα να την εκδίκηση,
τελείωσε η ιστορία,
τώρα θα σας δώσω εξήγηση
τι έγινε σε μια πλατεία.
Μίλαγε το Χρυσό Αυγό
μα έφτασαν οι Πεινούντες,
'Eλληνες σε οργισμό
και μετανάστες θρηνούντες.
Κι ήλθ' ένας που τον αδελφό του
τον σκότωσε ένας Χρυσαυγίτης,
κι άλλος που τον παππού του
τον εκτέλεσ' ένας Χίτης.
Κι άλλη που τον άντρα του
τον κλείσανε στον Ωρωπό,
και μάνες που τα παιδιά τους
φυλάγονται στο Κορυδαλλό.
Κι άλλοι που φωνάζανε
Θάνατος στο φασισμό !
Και ομελέτα ας κάνουμε
Με το Χρυσό Αυγό !
Το παίρνει κάποιος με βία
με το ισχυρό του μπράτσο,
το πετά στην Αστωονομία,
τσακίζεται πάνω σε μπάτσο.
Τέλος κι ήταν γραμμένο
ότι δε βγήκε χρυσός
απ' το τσόφλι σπασμένο
αλλά μαύρος εμετός.
Και στην Ελλαδούλα
ήταν το πιο αηδιαστικό,
αυτή η σκατούλα,
ήταν το Χρυσό Αυγό.
Nacque bello caldo
da un culo benedetto
una mattina chiara,
somigliava a una pallina.
Urlava la sua gallina
“Coccodè, coccodè!
Bello! Bel figlio mio!
Sei l'Uovo Dorato.”
Tanto dorato non era
tutto sporco di merda,
anzi sembrava proprio
uno stronzo, mi sa.
Ma per la sua mammina
era il più bello,
per la santa gallinella
era l'Uovo Dorato.
“Che nome ti darò?
Grande, figlio mio, ti occorre.
Non so adesso quanto,
ma Iddìo ci vede.
Eureka! Figlio, come un drago
dal mostruoso ruggito
ti chiamerò Michaloliakos,
tu sei l'Uovo Dorato!”
E gli anni senza sosta
passarono per l'uovo
che con molto piacere
non diventava gallo.
Non diventava pollo
ma lavorava, porca puttana,
per il sor Papadopoulos,
era l'Uovo Dorato.
E gli piacevan tanto
le ovette heilì-heilò,
però ancor di più
gli garbava il nazifascismo.
Avevan grosse speranze,
tutte quelle Ovette Dorate
di fare coccodè
con l'Uovo Dorato.
Un giorno arrivò la crisi,
il popolo non aveva pane.
E lui era, naturalmente,
del popolo il führer.
“Fuori tutte le uova
delinquenti immigrate!
Tutto per le uova
Elleniche affamate!”
E per dare il pane
a tutte le uova affamate
le chiamò tutte assieme
a diventar tutte dorate.
Disse, “Sì, sono un fascista
ma ho le mani pulite!
Votate Lista Dorata,
diventerete merda!”
Per accrescer le speranze
-evviva la democrazia-
mise belle Ovette Dorate
per fare l'Ovopolizia.
Tutti con l'Uovo Dorato,
e sono grandi notizie;
non gridavan più “coccodè”
ma “korkonea korkonea”.
Un giorno, ecco la vendetta
e qui finì la storia;
ora vi spiegherò
quel che accadde in una piazza.
Parlava l'Uovo Dorato
ma arrivaron gli affamati,
Greci belli incazzati
e immigrati disperati.
Ne venne uno che suo fratello
lo aveva ammazzato un Albadorista,
e un altro che uo nonno
lo aveva fucilato un “Hites”.
E un'altra che suo marito
lo avevan rinchiuso a Oropòs,
e madri che i loro figli
stanno in galera a Korydallòs.
E altri che gridavano:
Morte al fascismo!
Facciamo una frittatina
con l'Uovo Dorato!
Qualcuno lo acchiappa di forza
con il suo possente braccio
e lo tira all'Ovopolizia
spiaccicandolo addosso a uno sbirro.
Fine. Stava proprio scritto
che non usciva oro
dal guscio spiaccicato
bensì vomito nero.
E nella nostra Grecetta
era il più schifoso,
questa merdina qui
era l'Uovo Dorato.
Ο Ρικάρντο ...έγραψε ... Απίστευτο..! Με την αυθεντικότητα της προσπάθειας να αποδοθούν οι πιο πικρές αλήθειες, σε μια γλώσσα που δεν είναι μεν μητρική, αλλά έχει ίσως μεγαλύτερο πάθος από αυτούς που την μιλάνε, από εμάς τους Έλληνες. Η σατυρική διάθεση κάνει το αποτέλεσμα ακόμα πιο πικρό, αλλά στο τέλος, αφήνει ένα αμυδρό χαμόγελο αισιοδοξίας και ελπίδας, από λαούς που ξεπερνούν τις διαφορές τους και ενώνουν τη φωνή τους, για να σώσουν τη δημοκρατία και την ελευθερία... ΜΠΡΑΒΟ ΠΑΙΔΙΑ...
"Lo ha scritto...Riccardo...incredibile! Un autentico sforzo affinché siano rese le verità più amare, in una lingua non materna ma che ha forse un maggiore pathos di coloro che la parlano, di noialtri greci. La disposizione satirica rende il risultato ancora più amaro, ma alla fine lascia un leggero sorriso di ottimismo e di speranza da parte di popoli che oltrepassano le loro differenze e uniscono la loro voce per salvare la democrazia e la libertà...BRAVI, RAGAZZI..."
Naturalmente un grosso ringraziamento a "Fra' Dolcino" e un abbraccio che spero Gian Piero gli estenda; e mi preparo oggi a andarne a dire e urlare quattro davanti al consolato ellenico di Firenze. Con la speranza che in questo 17 novembre sia detta anche qualcosa su quel che sta avvenendo, per l'ennesima volta, a Gaza.
Riccardo Venturi - 2012/11/17 - 11:44
(Gian Piero Testa)
Grecia: leader neonazista di Alba Dorata gettato in mare da immigrati e comunisti
Quanto a Αβγό/αυγό, hai pienamente ragione. Anche il Babiniotis registra le due grafie, che invece non valgono per αυγή (da cui il mio equivoco)
Gian Piero Testa - 2013/4/7 - 14:35
Riccardo Venturi - 2013/4/7 - 23:19
Riccardo Venturi - 2013/4/7 - 23:32
A (s)proposito: avevo una mezza idea di occuparmi dei Pomachi, di cui esistono canzoni del genere folk, mentre ancora non ne ho trovate che accennino alle discriminazioni di cui sono vittime in Grecia e forse anche in Bulgaria; ma la loro lingua - slava con molti prestiti ellenici e turchi - mi è di insuperabile ostacolo. Tu non ci hai mai messo il naso? C'è nel web un loro sito, una loro cantante che parla il greco, e un vocabolarietto anglo-pomaco. Un'occhiatina non ce la daresti?
Gian Piero Testa - 2013/4/8 - 07:03
Riccardo Venturi - 2013/4/8 - 11:40
Gian Piero Testa - 2013/4/8 - 13:34
L'assassinio freddamente premeditato del trentaquattrenne rapper antifascista Pavlos Fyssas, che, sulle prime, la stampa e gli scoliasti politici greci avevano cercato di banalizzare, presentandolo come la conclusione di uno scazzo tra tifosi di squadre calcistiche rivali, è venuto alla luce per quello che è stato, cioé un agguato organizzato con forze e tempistica tali da non lasciare scampo all' "obiettivo". Dall'uovo d'oro di cui parla il testo di Riccardo non potevano non nascere che serpenti velenosi: il problema è però di sapere chi l'abbia covato, quell'uovo. Che sia stato cacato dal sistema capitalistico, è cosa che va da sè. Ma il sistema è un Briareo dalle molte mani, che usa via via a seconda delle circostanze e delle fasi che attraversa. Usa la mano che sa blandire, quella che sa indicare la via, quella che tiene il timone, quella che copre gli occhi di chi non deve vedere, anche quella caritatevole che distribuisce e soccorre, eccetera eccetera: ma, siccome conosce e teme le proprie debolezze e le proprie contraddizioni, perché la sua mano maestra e irrinunciabile è pur sempre quella prensile, non trascura di tenere in serbo qualche mano di ferro, che sia pronta all'uso quando, prendi e prendi, sono troppi quelli che si scoprono in brache di tela e incominciano a sussurrare qualche "adesso basta". Siccome, prendi di qua e prendi di là, il sottosistema greco ha negli ultimi tempi preso qualcosa anche da altri più ricchi prenditori, che sono allenati a fingere di dare per poi riprendere nel momento opportuno con lauti interessi, arrivato il momento di pagare e non potendo fare la voce grossa con prenditori troppo più forti di lui, la sta facendo con i soliti poveri diavoli, ma anche - questa è la novità - con tutti quelli che avevano leccato la sua mano benevola, quella, dico, affidata in gestione alla politica affinché il gioco del dai e del prendi si perpetuasse con l'immancabile vittoria del banco.
Il banco, in realtà, non salterebbe, se i debiti li pagasse tutti lui (in Svizzera ne sanno qualcosa, ma non lo dicono volentieri): però un principio di quelli sacri e non negoziabili vieta che qualcosa del genere possa mai accadere. Per questo, tre o quattro anni fa, quando i vari sottosistemi del capitalismo occidentale cominciarono a traballare per l'insipienza loro, quello greco cominciò ad allertare le mani di ferro, che si trovassero pronte, perché non si sa mai che cosa può succedere nella vita.
In Grecia le mani di ferro sono sostanzialmente due.
Una è quella dello Stato (che in greco, come sa tutto il mondo civile, si dice "kratos"). Si chiama Astinomìa, che più o meno vuol dire "Regola della Città". L'altra , o meglio: le altre ( perché in questo campo vige una discreta libertà di iniziativa e di concorrenza), si chiamano "parakratos": "parastato" dovremmo dire, ma da noi la parola ha un altro significato.
La Astinomia fa il suo lavoro quasi alla luce del sole: è la mano della Legge, mantiene l'ordine con i mezzi legali anche se, come tutte le polizie del mondo, si lascia spesso e volentieri prendere la mano. Il popolo basso e, ancora, coralmente alcuni quartieri della capitale e delle grandi città hanno per tradizione un pessimo rapporto con la polizie dello stato greco. Alle sue spalle il popolo basso ha una o due generazioni di gente profuga e immigrata dalle campagne e dall'Asia Minore, confinata a lungo in baraccopoli invivibili, stretta tra la malavita, con cui facilmente si confondeva perché ci conviveva, e le velleità d'ordine delle classi agiate dirigenti, che reclutavano gli agenti anche tra i malavitosi, così come nelle campagne avevano reclutato le guardie rurali tra i briganti, e li usavano per controllare e vessare, corrompere e intimorire quella gran massa misera, ma capace di una sua autonoma cultura e di una radicata solidarietà. Tra "batsi" (così vengono per disprezzo chiamati i poliziotti) e plebe urbana non è mai corso buon sangue: ma solo sangue. E questa reciproca ostilità si trasmise attraverso le generazioni, anche quando i nuclei omogenei dei quartieri furono dispersi e le piccole abitazioni di fortuna furono sostituite dai casamenti della speculazione fondiaria.
Il fatto è che nelle svolte storiche cruciali del Paese le forze di polizia hanno puntualmente fatto il lavoro più sporco: così nel fascismo di Metaxas, così nell' occupazione, così nel periodo della guerra civile, così nella reazione dei Colonnelli, così nelle lotte sociali seguite alla democratizzazione. Molti giovani di estrazione plebea, anche quando hanno potuto studiare e collocarsi nella piccola borghesia impiegatizia dello Stato e dei servizi, non hanno dimenticato cosa abbiano significato le "forze dell'ordine" per i loro padri e per i loro nonni e, molto spesso, anche per loro stessi.
Tra parakratos e astinomia - è quasi superflo dirlo - la simbiosi è praticamente un luogo comune, che però non costituisce una leggenda metropolitana: è la pura e semplice realtà. Qualcuno ha di recente studiato i risultati elettorali nelle sezioni coincidenti con le caserme della polizia: il successo di Chrysì Avghì è a dir poco spettacoloso. Il deputato Kassidiaris, oggi in stato di arresto, ma già noto per avere malmenato durante un dibattito elettorale televisivo due signore candidate dei partiti della sinistra, ha studiato all'Università, ma si è formato militarmente nella Polizia. Un paio di giorni fa è finito dentro un poliziotto di Rodi che addestrava i nazisti locali. La contiguità - e lo scambio di assistenza "tecnica" e di coperture - tra Polizia greca ed Albadorata è stata a sufficienza documentata, e credo si possa dare per incontrovertibile.
Alba Dorata, però, presenta qualche carattere nuovo rispetto al tradizionale "parakratos" che in varie forme fu attivo nelle crisi del passato. Oggi agisce esplicitamente su tre livelli. Ha cioè ambizioni più grandi di quelle che muovevano un tempo le sue squadre armate, quando fiancheggiavano i Tedeschi, e poi gli Inglesi, o quando eliminavano nottetempo gli avversari politici, o li provocavano nei locali pubblici alla ricerca di esiti cruenti. A queste imprese, cui come si è visto non rinuncia, si sono aggiunti altri due livelli di iniziativa: uno "sociale" e uno politico praticato in prima persona.
Al primo si devono, credo, sia i successi elettorali di questa organizzazione (che un poco corrisponde alla "nostra" Forza Nuova e, in parte al versante più chiuso e provincialmente razzista della "nostra" Lega, e anche, per stile e imprese, ai vari skin-head europei) sia la sua penetrazione anche nell'elettorato popolare; al secondo - questa è la mia impressione - le difficoltà giudiziarie in cui in questo momento sta versando. Cerco di spiegarmi.
La crisi del debito pubblico e le misure imposte dalla Troika hanno messo in difficoltà drammatiche la maggior parte della popolazione, sia gli strati tradizionalmente poveri, sia quelli che erano ascesi a una certa disponibilità di beni e servizi e di posti di lavoro stabili che, da un mese all'altro, hanno perso reddito, sicurezza e prospettive per il futuro. Lo scambio di vantaggi tra partiti ed elettorato si è come congelato, e la crisi dei tradizionali partiti è emersa in modo vistosissimo.
Siccome il nodo cruciale (chi deve pagare? ) deve comunque essere eluso, fa gioco al sistema che si parli d'altro: della corruzione e del costo della politica, dell'esaurimento delle vecchie forme di resistenza sociale e di organizzazione del consenso, della fine delle ideologie, e bla bla bla. Cose che sappiamo benissimo anche noi. Di fronte alla caduta verticale e simultanea della disponibilità di lavoro e reddito e del welfare, gli Albadorati hanno giocato su due livelli: dapprima attivandosi sul piano sociale come paladini dei più deboli - da difendere dalle sanguisughe di partito e dalla concorrenza degli immigrati - offrendo elementari servigi ai pensionati, agli infermi e ai disperati e perseguitando visibilmente e violentemente gli stranieri; e quindi capitalizzando la simpatia così guadagnata per incunearsi nelle istituzioni: una ventina di parlamentari su 300 non sono proprio un'inezia.
E' a questo punto che, credo, ha incominciato a formarsi una contraddizione tra Alba Dorata e partiti di governo. Ottima cosa che, a corroborare la Polizia di stato ci sia una mano di ferro più duttile, delle cui azioni non debbono rispondere direttamente i ministri: nei momenti acuti, in Grecia, si è sempre fatto così. Ma contendere lo spazio ai partiti e soprattutto a quello di centro-destra, qui sinceramente si sta andando troppo in là. Se l'azione "sociale" degli Albadorati contende voti alla sinistra - e va bene - quella politica ridimensiona le prospettive di recupero di Nea Dimokratia, e questo è male, molto male.
Alba Dorata aveva bisogno di consolidare la sua presa nel sociale, presupposto di futuri successi elettorali; i partiti al governo e soprattutto ND avevano bisogno che qualcosa accadesse per ridimensionare e ridurre al suo ruolo di strumento del sistema l'utile concorrente, diventato però troppo ingombrante.
Il fatto che Fyssas, nella sua veste artistica di Killa P, riuscisse a parlare ai giovani nel loro linguaggio; e che il messaggio che diffondeva fosse sì contrario al sistema, ma in un'inequivocabile chiave antifascista, doveva avere preoccupato assai gli strateghi di Alba Dorata: eliminarlo poteva rappresentare un vantaggio di per sè, una intimidazione per chi si mettesse ancora di traverso e una dimostrazione di forza e di impunità. Perché allora non farlo?
Io non so se i partiti di governo si aspettassero un passo falso di Alba Dorata. Immagino però che lo desiderassero. Avevano ormai un bisogno estremo di ridimensionare questo concorrente insidioso e protervo.
Dopo un momento di incertezza, la macchina capace di rimettere nel suo recinto Alba Dorata è scattata, sul piano giudiziario e su quello politico.
Sei grossi serpenti e trenta serpentelli minori, ma tutti velenosi e tutti usciti dall'Uovo d'Oro tanto amorosamente covato, sono attualmente al fresco: così imparano a non passare il limite assegnato.
Il serpente principale ha già strillato una litania che a noi sembra di avere sentito anche dalle nostre parti: magistrati politicizzati, persecuzione giudiziaria, fine dello stato di diritto, mortificazione del voto dei cittadini, colpo di stato...
Forse per parentela, forse per solidarietà tra rettili, qui da noi c'è una Pitonessa, una Biscionessa meglio dire, che sembra specializzata in questo genere di litanie. Forse è il caso che parta d'urgenza per la Grecia: anche là c'è del pane - nero - per i suoi denti. Vada, strilli, sibili: c'è ampio spazio perché sia ascoltata.
Mica si crederà che davvero in Grecia vogliano farla finita con l'Uovo d'Oro.
***
Note all'illustrazione
Scritte, dall'alto e da sx a dx.
ΔΙΚΑΙΟΣΥΝΗ - GIUSTIZIA
ΕΛΛΑΣ - GRECIA
Ο ΜΑΚΡΥΓΙΑΝΝΗΣ Ο ΚΑΠΕΤΑΝΙΟΣ ΑΡΗΣ - MAKRIYANNIS IL CAPITANO ARIS (Velouchiotis)
Μ.Α.ΑΤ. Χ.Α. Μ.Α.Τ. - MAT (Unità anti terrorismo) , X.A. Chrisì Avghì (Alba D'Oro) , MAT
ΕΛΕΥΘΕΡΙΑ Η ΘΑΝΑΤΟΣ - LIBERTA' O MORTE
Μπαρμπαγιάννη - Barba Ghiannis
Μακρυγιάννη - Makrighiannis
πάρε μαύρο - prendi un bruno
γιαταγάνι - yatagan
κι έλα στη ζωή μας - e vieni dietro
πίσω το στραβό - alla nostra vita per rendere diritto
να κάνεις ίσο - quello che è storto
Ν. Γκατσος - Nikos Gatsos
Της Δικαιοσύνη ήλιε νοητέ - Sole ideale della Giustizia
και μυρσίνη σύ δοξαστική - e tu mirto dell'encomio
μη παρακαλώ σας μή λησμονάτε - no vi prego non dimenticate
τη χώρα μου! - il mio paese!
Τα πικρά μου χέρια με τον κεραυνό - Le mie mani afflitte con il fulmine
τα γυρίζω πίσω απ´τον Καιρό - le faccio tornare indietro dal Tempo
ΤΟΥΣ ΠΑΛΙΟΥΣ ΦΙΛΟΥΣ ΚΑΛΩ - CHIAMO I VECCHI AMICI
ΜΕ ΦΟΒΕΡΕΣ ΚΑΙ Μ´ΑΙΜΑΤΑ! - CON MINACCE E SANGUE!
Οδ. Ελυτη - di Odisseo Elytis
Έχεις μπροστά σου - Davanti a te hai
σήμερα τον - oggi
τον καπετάνιο Άρη - il capitano Aris
που γρήγορος σαν τον άνεμο - che veloce come il vento
σαν το γοργò το αγέρι - come il soffio impetuoso
φασίστες ξέκανε πολλούς - ha disfatto molti fascisti
με δίκοπο μαχαίρι - con un coltello a doppio taglio
Ν(αυσικά) Φλέγγα Παπαδάκι - Nausicaa Flenga - Papadaki
η σύλληψη των δολοφόνων - l'arresto degli assassini
(όπως θα έπρεπε) - (come sarebbe necessario)
Σεπτ. 2013 από PIERO - Settembre 2013 - di PIERO
Gian Piero Testa - 2013/10/1 - 16:22
Gian-Piero Testa
Version française - L'ARRESTATION DES ASSASSINS – Marco Valdo M.I. – 2013
de "L'arresto degli assassini" di Gian Piero Testa
L'assassinat froidement prémédité du rappeur antifasciste Pavlos Fyssas (34 ans), que, dans les premiers moments, la presse et les commentateurs politiques grecs avaient cherché à banaliser, en le présentant comme la conclusion d'une algarade entre des supporters d'équipes de football rivales, s'est révélé pour ce qu'il était, c'est-à-dire un guet-apens organisé avec des forces et un minutage qui ne laissaient aucune chance à la « cible ». De l’œuf d'or dont parle le texte de Riccardo ne pouvaient naître que des serpents venimeux ; le problème est cependant de savoir qui l'avait couvé, cet œuf. Qu'il soit pondu par le système capitaliste, la chose va de soi. Mais le système est un Briarée ( dans la mythologie, Briarée est un géant à cent bras) avec de nombreuses mains, qu'il emploie au fur et à mesure selon les circonstances et les phases qu'il traverse. Il use de la main qui sait caresser, qui sait indiquer, qui tient le timon, qui couvre les yeux de celui qui ne doit pas voir, même celle charitable qui distribue et secourt, et cetera et cetera ; mais, comme il connaît et craint leurs faiblesses et leurs contradictions, comme sa main principale et inaliénable est aussi toujours celle qui prend, il ne néglige pas de tenir en réserve une main de fer, qui soit prête à l'emploi lorsque, à force de prendre, deviennent trop nombreux ceux qui se retrouvent dépouillés et commencent à chuchoter « maintenant ça suffit ».Comme, à prendre ici et prendre là, le sous-système grec a dernièrement pris quelque chose même à de plus riches prédateurs, qui sont entraînés à faire semblant de donner pour ensuite reprendre à l'instant opportun avec de considérables intérêts, venu l'instant de payer et en ne pouvant pas élever la voix face à des prédateurs bien plus forts que lui, il s'en prend aux habituels pauvres diables, mais aussi - ceci est la nouveauté - à tous ceux qui avaient léché sa main charitable, celle-là, dis-je, confiée en gestion à la politique afin que le jeu de donner et de prendre se perpétua avec l'immanquable victoire de la banque. La banque, en réalité, ne sauterait pas, si ses dettes elle les payait toutes elle-même (en Suisse, ils en savent quelque chose, mais ils ne le disent pas volontiers) ; cependant, un principe sacré et non négociable défend que quelque chose du genre puisse jamais arriver. Pour cela, il y a trois ou quatre ans, lorsque les divers sous-systèmes du capitalisme occidental commencèrent à tousser en raison de leur insuffisance, le système grec commença à alerter ses mains de fer, qu'on tenait prêtes, car on ne sait jamais ce qu'il peut se passer dans la vie.
En Grèce, les mains de fer sont principalement deux.
Une est celle de l'État (qui en grec, comme le sait tout le monde civilisé, se dit « kratos »). On l'appelle Astinomìa, qui veut dire plus ou moins : « Règle de la Ville ». L'autre, ou mieux, les autres (car dans ce domaine, est en vigueur une discrète liberté d'initiative et de concurrence), on l'appelle « parakratos » : « parastatal » devrions-nous dire, mais chez nous, le mot a une autre signification. L'Astinomia fait son travail presque en plein jour ; elle est la main de la Loi, elle maintient l'ordre avec les moyens légaux même si, comme dans toutes les polices du monde, on laisse souvent et volontiers déborder. Le bas peuple et, maintenant encore, unanimement, quelques quartiers de la capitale et des grandes villes ont pour tradition un très mauvais rapport avec la police de l'État grec. Derrière lui, le petit peuple a une ou deux générations de réfugiés immigrés des campagnes et de l'Asie mineure, confinées longuement dans des bidonvilles invivables, coincées entre le milieu, avec lequel facilement elles se confondaient car ils cohabitaient, et la velléité d'ordre des classes aisées dirigeantes, qui recrutaient leurs agents même parmi les criminels, comme dans les campagnes, ils avaient recruté les gardes champêtres parmi les brigands et les employaient pour contrôler et maltraiter, soudoyer et effrayer cette grande masse pauvre, mais capable de culture autonome et de profonde solidarité. Entre les « batsi » (que par mépris ainsi sont appelés les policiers) et la population urbaine n'a jamais couru du bon sang ; mais seulement du sang. Et cette réciproque hostilité se transmit à travers les générations, même lorsque les noyaux homogènes des quartiers eurent disparus et les petites habitations de fortune furent remplacées par les immeubles de la spéculation foncière.
Le fait est que dans les tournants historiques cruciaux du Pays, les forces de police ont ponctuellement fait le travail le plus sale ; ainsi durant le fascisme de Metaxas, ainsi durant l'occupation allemande, ainsi dans la période de la guerre civile, ainsi dans la réaction des Colonels, ainsi dans les luttes sociales qui ont suivi la démocratisation. Beaucoup de jeunes d'extraction populaire, même lorsqu'ils ont pu étudier et se placer dans la petite bourgeoisie de bureau de l'État et des services, n'ont pas oublié ce qu'avaient signifié les « forces de l'ordre » pour leurs pères et pour leurs grands-pères et, très souvent, aussi pour eux mêmes.
Entre parakratos et astinomia - il est presque superflu de le dire - la symbiose est pratiquement un lieu commun, qui cependant n'est pas une légende urbaine : c'est la pure et simple réalité. Quelqu'un a étudié récemment les résultats électoraux dans les sections proches des casernes de la police ; le succès de Chrysì Avghì (Aube Dorée – le parti fasciste) est, et c'est peu dire, spectaculaire. Le député Kassidiaris, aujourd'hui en état d'arrestation, mais déjà connu pour avoir frappé lors d'un débat électoral télévisé deux dames candidates des partis de gauche, a étudié à l'Université, mais s'est formé militairement dans la Police. Il y a quelques jours, a fini en prison un policier de Rhodes qui entraînait les nazis locaux. La contiguïté - et l'échange d'assistance « technique » et de couvertures - entre la Police grecque et Aube Dorée a été à suffisance documentée, et je crois qu'on peut la donner pour incontestable.
Aube Dorée, cependant, présente un caractère nouveau par rapport au traditionnel « parakratos » qui sous diverses formes fut actif dans les crises du passé. Aujourd'hui, elle agit explicitement sur trois niveaux. Elle a des ambitions plus grandes que celles qui un temps guidaient ces groupes armés, lorsqu'ils secondaient les Allemands, et ensuite les Anglais, ou lorsqu'ils éliminaient de nuit leurs adversaires politiques, ou quand ils les provoquaient dans les établissements publics en cherchant des issues sanglantes. À ces entreprises, auxquelles comme on a vu, elle ne renonce pas, elle a ajouté deux niveaux d'initiative : un « social » et un autre politique, pratiqué directement.
Au premier volet (social), on doit, je crois, les succès électoraux de cette organisation (qui correspond à « notre » Forza Nuova (en France, le Front National...) et, en partie au côté fermé et provincialement raciste de « notre » Ligue (la Ligue du Nord – version italienne de la NVA en Flandre), et même, par le style et les actions, aux divers skins européens) et sa pénétration même dans l'électorat populaire. Au second volet - c'est mon impression – on doit les difficultés judiciaires dans lesquelles dans maintenant elle tombe. Je m'explique.
La crise de la dette publique et les mesures imposées par la Troika ont mis dans des difficultés dramatiques une grande part de la population, soit les couches traditionnellement pauvres, soit celles qui avaient accédé à une certaine disponibilité de biens et services et à de postes de travail stables qui, d'un mois à l'autre, ont perdu revenu, sécurité et perspectives pour le futur. L'échange d'avantages entre partis et l'électorat s'est comme congelé et la crise des partis traditionnels a émergé de manière très visible.
Comme le nœud crucial (qui doit payer ? ) doit de toute façon être éludé, ça fait le jeu du système qu'on parle d'autre chose : de la corruption et du coût de la politique, de l'épuisement des vieilles formes de résistance sociale et d'organisation du consentement, de la fin des idéologies, et de bla bla bla. Toutes choses que nous connaissons très bien nous aussi. Face à la chute verticale et simultanée de la disponibilité de travail, des revenus et de la sécurité sociale, les fascistes d'Aube Dorée ont joué sur deux niveaux : d'abord, en s'activant sur le plan social comme paladins des plus faibles – pour les défendre des sangsues de parti et de la concurrence des immigrés – en offrant des services élémentaires aux retraités, aux malades et aux désespérés et ensuite, en persécutant visiblement et violemment les étrangers ; et en capitalisant la sympathie ainsi gagnée pour s'insinuer dans les institutions : une vingtaine de parlementaires sur 300 ne sont pas vraiment une ineptie.
C'est à ce point, je crois, qu'a commencé à se former une contradiction entre Aube Dorée et les partis de gouvernement. Pour ces derniers, c'était cependant une excellente chose que, pour renforcer la Police d'État, il existe une main de fer plus flexible, dont les actions n'impliquent pas directement les ministres ; dans les moments tendus, en Grèce, cela s'est toujours fait ainsi. Mais disputer l'espace aux partis et surtout à celui de centre-droite, sincèrement, c'est aller trop loin. Si l'action « sociale » d'Aube dorée dispute des votes à la gauche - ça va bien ; mais son action politique redimensionne les perspectives de récupération de Nea Dimokratia (Nouvelle Démocratie - ND), et ça, c'est mal, très mal.
Aube Dorée avait besoin de consolider son emprise sur le social, fondement de ses futurs succès électoraux ; les partis au gouvernement et surtout ND avaient besoin que quelque chose se passe pour redimensionner et réduire à son rôle de moyen du système l'utile concurrent, devenu cependant trop encombrant. Le fait que Fyssas, dans son rôle artistique de Killa P, réussissait à parler aux jeunes dans leur langage et que le message qu'il répandait fut si opposé au système, mais dans une tonalité antifasciste, devait avoir préoccupé beaucoup les stratèges d'Aube Dorée. L'éliminer pouvait représenter un avantage en soi, une intimidation pour qui se mettrait encore en travers de leur route et une démonstration de force et d'impunité. Pourquoi alors ne pas le faire ?
Je ne sais pas si les partis de gouvernement s'attendaient un faux pas d'Aube Dorée. J'imagine cependant qu'ils le désiraient. Ils avaient maintenant un besoin extrême de redimensionner ce concurrent insidieux et arrogant.
Après un moment d'incertitude, la machine capable de remettre à sa place Aube Dorée s'est enclenchée, sur le plan judiciaire et sur celui politique.
Six gros serpents et trente serpentins mineurs, mais tous vénéneux et tous sortis de l'Oeuf d'Or très amoureusement couvé, sont actuellement au frais : ils apprennent ainsi à ne pas passer la limite assignée. Le serpent principal a déjà crié une litanie qu'il nous semble avoir entendu chez nous : magistrats politisés, persécution judiciaire, fin de l'État de droit, humiliation du vote des citoyens, coup d'État… Peut-être par parenté, peut-être par solidarité parmi les reptiles, ici chez nous, on a une femme-python, une Vipère vaudrait-il mieux dire, qui semble spécialisée dans ce genre de litanies. Peut-être est-ce l'occasion pour qu'elle parte d'urgence pour la Grèce ; même là il y a du pain - noir - pour ses dents. Qu'elle y aille, crie, siffle : il y a un assez vaste espace pour qu'elle soit écoutée.
On ne peut croire qu'en Grèce, ils veuillent vraiment en finir avec l'Oeuf d'Or.
Marco Valdo M.I. - 2013/10/3 - 21:22
A morire crivellati dai colpi di un kalashnikov sono stati due giovani militanti di “Alba Dorata”, due “camerati” che sostavano davanti ad una sezione del partito neonazista greco. Una terza persona risulta gravemente ferita.
Se ad essere colpiti fossero stati due giovani di sinistra, o di un centro sociale, due “compagni”, probabilmente avrei subito postato un commento al fulmicotone contro fascisti & polizia...
In questo caso, siccome si tratta invece di “camerati”, mi sono sorpreso istintivamente più cauto: chissà che non si tratti di criminalità comune, di un regolamento di conti - mi sono detto - oppure di una provocazione per far ricadere la colpa sulla sinistra...
Sbagliavo.
Questa è una feroce esecuzione di due giovani di vent’anni ed è molto facile che si tratti proprio di un omicidio politico e, se sono dei “compagni” ad aver fatto una cosa del genere, io penso che siano dei grandissimi bastardi e che vadano presi, processati e messi in condizione di non fare mai più del male a chicchessia...
Sbaglio?
Bernart - 2013/11/1 - 23:50
Riccardo Venturi - 2013/11/2 - 01:27
La Grecia, l'Italia non sono attualmente sotto occupazione straniera nè sotto una sanguinaria dittatura e allora i fascisti si devono combattere a viso aperto, nelle strade, nelle piazze, nella vita di tutti i giorni...
Coloro che pensano di farlo nascondendosi dietro ad un casco da motociclista e ad un kalashnikov, secondo me, non sono solo "compagni" che sbagliano ma assassini, gente che fa il gioco proprio dei fascisti...
Perchè noi non siamo come loro, non siamo delle bestie...
Bernart - 2013/11/2 - 09:16
gian piero testa - 2013/11/2 - 09:48
Riccardo Venturi - 2013/11/2 - 12:31
Riccardo Venturi - 2013/11/2 - 12:43
Rileggiti il mio primo intervento: è pieno di "se" e di virgolette...
Chiedo comunque venia, perchè mi rendo conto che quel che ho scritto era più che altro una riflessione personale sulle reazioni a caldo di fonte alla violenza politica, molto condizionate dal "colore" di vittime e/o carnefici...
Avrei comunque dovuto tenermela per me in quanto di scarso interesse per la collettività...
Bernart - 2013/11/3 - 19:19
E intanto Alba Dorata vola nei sondaggi: secondo alcuni, oggi sarebbe addirittura il primo partito in Grecia, davanti alla sinistra rappresentata da Syriza e cancellando i partiti tradizionali: la destra perderebbe 10 punti percentuali ed il Pasok (il PD greco) sarebbe ridotto a poco più del 5%...
Un sentito ringraziamento per questo splendido risultato, in primis, all’Unione europea, in secondo luogo alla classe dirigente greca dei Papandreu e dei Karamanlis (che oltre a portare il paese allo sfascio ha coltivato i nazifascisti nel suo stesso grembo) e in ultimo alle “Squadre rivoluzionarie popolari combattenti”, chiunque esse siano, a qualunque gioco stiano giocando e indipendentemente da chi siano al soldo...
Bernart - 2013/11/19 - 00:55
Riccardo Venturi - 2013/11/19 - 09:42
Bernart - 2013/11/19 - 10:17
Riccardo Venturi - 2013/11/19 - 11:36
Così, ancora una volta, i "ragazzi" di Iannone si disvelano per quello che sono: nazifascisti.
In Grecia i nazisti sono stati (tardivamente) espulsi dalle istituzioni e perseguiti per essere un'organizzazione criminale... E Casa Pound?
Bernart - 2013/11/28 - 09:42
Riccardo Venturi - 2013/11/29 - 01:05
Raccontino natalizio di Riccardo Venturi
La fila cominciava poco prima dell'angolo tra la via Georgiou e il corso Lambrakis; ed era proprio quel Lambrakis, il deputato socialista ammazzato dai fascisti nel '62, quello di “Z-L'orgia del potere”. A quell'ora, verso le nove della sera del ventiquattro dicembre, la coda non solo non accennava a diminuire, ma si era addirittura ingrossata. Del resto, da giorni e giorni tutte le principali piazze e strade del Pireo erano state tappezzate di manifesti con quel simbolo inconfondibile, il Meandro di Alba Dorata, e la bandiera ellenica: Grande distribuzione gratuita di cibo, giocattoli e farmaci di prima necessità per i bisognosi Greci – Un Natale Greco per i Greci cristiani – Alba Dorata aiuta la Patria in difficoltà. Nei manifesti, in caratteri notevolmente più piccoli, era contenuta la condizione necessaria per il Natale greco dei Greci cristiani: la presentazione della carta d'identità. Il documento che attestasse la cittadinanza greca e il nome greco. Fin dalle dieci del mattino, di fronte alla chiesa dell'Evangelistria, erano stati sistemati quindici banchi contenenti ogni bendiddìo accumulato dai militanti albadoristi per la distribuzione natalizia; una fila enorme e ordinata di persone, uomini e donne di tutte le età, che si svolgeva per tutto il lunghissimo corso Lambrakis, aveva atteso pazientemente il proprio turno per ritirare ciò di cui aveva bisogno presentando la carta d'identità, il deltio taftòtitas; e bisogno c'era di tutto. C'era un silenzio apparente; ma, chi si fosse avvicinato alla fila soltanto per curiosità, avrebbe sentito ognuno parlare sottovoce al vicino di coda, e qualcuno fra sé e sé. Tutti avevano da dire qualcosa senza che nessuno gliela avesse chiesta, e ognuno sembrava provare un desiderio irrefrenabile di giustificarsi. Chi aveva sempre votato per il Pasok, chi non s'era mai interessato di politica, chi si era visto sbattere fuori dal posto di lavoro da un giorno all'altro; chi non aveva mai lavorato, chi aveva quattro figli di cui due piccoli, chi aveva fame. Chi io non sono razzista però, chi ci rubano il lavoro e il mangiare, chi se ne tornino tutti a casa loro. Chi, infine, non li ho mai votati ma stavolta; chi loro almeno fanno qualcosa; e chi si vergognava semplicemente di stare in quella fila umiliante, di poveri, di vecchi e banali benesseri fracassati, di che altro potevo fare. Ai banchi, giovanotti muscolosi e qualche bella ragazza con indosso dei giubbotti neri nella fredda serata dicembrina; a Atene non si creda che faccia caldo, sotto Natale.
Era arrivato, quell'uomo un po' strano, alle nove e trentacinque. Intabarrato in un cappotto grigio che aveva visto tempi migliori, con un cappello floscio che doveva essere stato nuovo cinquant'anni prima, dei pantaloni di fustagno marrone e un paio di scarpe da ginnastica tendenzialmente bianche, sebbene qua e là. Sotto il cappotto aveva un maglione grigio a girocollo, sotto il quale, in alto, si notava una specie di rigonfio; con tutta probabilità si trattava di una sciarpa tenuta completamente sotto l'indumento. Era un uomo parecchio anziano, dalla carnagione piuttosto scura; aveva, però, una barba disordinata ma bianchissima. Le mani erano screpolate, callose e grinze come quelle di chi avesse per tutta la vita fatto un ruvido mestiere di fatica; ma erano coperte da dei guanti di lana senza dita. Fumava una sigaretta puzzolente e mezza rincignata, forse raccattata per terra da qualcuno che la aveva gettata via appena accesa. Non aveva borse o altri contenitori, ma le tasche del cappotto erano piene di roba imprecisata.
Quando era arrivato, l'ultima della fila, che avrebbe dovuto aspettare ancora ore per ricevere gli aiuti di Alba Dorata presentando la carta d'identità greca, era una donna sui cinquant'anni, piuttosto alta e bella dritta su se stessa; si chiamava Samaritha Kalitsounaki, e era arrivata a Atene nel '71, ancora bambina, da Porto Heli nell'Argolide assieme alla sua famiglia. Era stata per qualche tempo commessa in un negozio di articoli sportivi, poi aveva lavorato in una tabaccheria ben fornita nella via Kanellopoulou, sempre al Pireo ma dall'altra parte del Porto. Nel '79, quando aveva sedici anni, era stata violentata dal suo primo grande amore, un ragazzo di diciannove anni di Drapetsona, di nome Mihalis; ma non lo aveva mai saputo nessuno. Del resto, fortunatamente, non era rimasta incinta e questo era già tanto; pensare che lo aveva fregato alla sua migliore amica, la Diamandina Pesmazoglou, che gli sbavava dietro. Nell'86 si era sposata con un trentaduenne dell'Akti, tale Vassilis Ventouris, che le aveva promesso la classica vita tranquilla e senza problemi; e lei si era lasciata sposare nonostante il marito fosse decisamente brutto come la fame. Dopo due anni di gelosia ossessiva e di botte, Samaritha se n'era andata via di casa con un marmocchio di otto mesi, di nome Efstathios, ché così si chiamava il nonno paterno. Efstathios era ora un giovanotto di ventisei anni, che non aveva mai lavorato e che, all'insaputa della madre, era diventato una specie di picchiatore in un partito di estrema destra che è stato già nominato qui, di assoluta sfuggita. Quanto a Samaritha, di lavori ne aveva fatti parecchi prima che la ditta di import-export nella quale lavorava ultimamente fosse stata, più che costretta a chiudere, spazzata via. Una mattina era andata a lavorare e non aveva trovato più nemmeno la targa sul portone; da cinque mesi, del resto, non vedeva un soldo e aveva campato di espedienti.
“Niente incertezze. Niente incertezze. Niente incertezze.” Pensava questo il vecchio, prima di decidersi a aprire bocca. Poteva, naturalmente, stare zitto; ma era meglio esercitarsi a parlare. Nessuno lo avrebbe mai detto, ma nella sua vita aveva parlato molte lingue diverse da quella materna; aveva viaggiato per tutto il Mediterraneo, e in Grecia non si ricordava nemmeno come c'era arrivato. Per un lavoro, forse; un giorno era passato di casa e aveva detto alla giovane moglie, che sarà stata la sua sesta o settima, di fare i bagagli e di partire con lui. Sì che era per un lavoro; si era portato dietro un po' di attrezzi, che gli altri occorrenti li avrebbe trovati lì. Era andata a finire che, lavorando come un mulo, il greco lo aveva imparato alla svelta, e molto bene; ma un greco di merda, da bassifondi, con qualche preziosismo della “lingua pura” usato a sproposito e quintali scomposti di laikì, di kaliardà e di altri gerghi della strada. Ultimamente, da quando gli avevano detto che al Pireo si parla già diverso che nel resto di Atene, si era sforzato di prendere l'accento per diventare davvero uno della zona; e la zona dove si era sistemato con la moglie era un bel cumulo di rovine, ma che non avevano nulla a che vedere con l'Acropoli. Stava in una stradaccia con un nome qualsiasi dietro l'Akti Koundouriotou, che dopo qualche anno di crisi pareva fosse stata bombardata; avevano trovato un fondo vuoto, che doveva essere stato di un qualche negozio di qualche cosa inutile, e ci si erano infilati dentro. Il bandone non c'era più; con dei pezzi di legno e altri rottami trovati in una discarica, visto che il suo mestiere lo sapeva fare, aveva messo su una specie di porta-finestra e poi aveva cominciato a fare il falegname ambulante per pochi soldi. Il lavoro per il quale era arrivato in Grecia? Due giorni dopo l'arrivo si era presentato all'indirizzo che gli avevano dato e ci aveva trovato la Polizia che stava sgomberando a forza della gente, mentre dalle finestre sopra la gente stava buttando sotto di tutto. Un poliziotto, a un certo punto, era stato centrato in pieno da un bidé; un altro, per non essere da meno, aveva ricevuto sul casco una pesante riproduzione in acciaio temperato della Coppa Europa di calcio vinta dalla Grecia nel 2004, finale Grecia-Portogallo 1-0, goal di Charisteas al 12' del secondo tempo. Aveva capito subito che aria tirava.
La strada era formata da qualche palazzo molto alto che cadeva a pezzi; tra i palazzi, però, erano rimaste delle case più basse, alcune delle quali solo col pianterreno. C'erano parecchi terreni incolti, quelli che i francesi chiamano terrains vagues, dove presto erano venute su delle baracche insolite. Quanto alla fauna che ci viveva, era la crema, l'élite del lastrico di questi anni: poveracci, straccioni, emarginati, accattoni che facevano a gara di tare e di storie schifose. Avanzi di galera, buoni a nulla e, chiaramente, immigrati da paesi che potevano stare anche su Marte tanto erano fuori dal mondo. Il nome della strada proprio non me lo ricordo; tanto è inutile. Nel quartiere, comunque, nessuno la chiamava col suo nome ufficiale, ché tanto la targa stradale era stata divelta chissà quando; la chiamavano tutti Pachni, che in greco vuol dire “Mangiatoia”. E così la chiameremo pure noi; inutile dire che nella zona dell'Akti Koundouriotou, che pure non scoppiava di ricchezza, dire di venire dalla Mangiatoia era sinonimo di miseria nera. In uno dei terreni incolti qualcuno aveva sistemato persino due o tre pecore smagrite; in un altro, peraltro vicino al fondo dove abitavano il falegname straniero e la moglie, c'erano invece un asino e un bue, che tutti si domandavano come mai ancora qualcuno non se li fosse mangiati. Ma anche loro erano pelle e ossa.
La vigilia di Natale, girando per le strade, il vecchio aveva letto i manifesti di Alba Dorata. Il fatto è che, qualche mese prima, aveva combinato un bel casino con la moglie; vecchio sì, ma ancora bello in gamba in certe cosine, la aveva messa incinta. Di figlioli, a dire il vero, ancora non ne avevano avuti sebbene al suo paese ne avesse una masnada dalle mogli precedenti, e anche un paio da legittime spose altrui. Un figliolo alla sua età, si era detto, era una benedizione dal Cielo; però non aveva scelto né il momento e né il posto più adatto. Ora la moglie stava per sgravare, e in casa non c'era nulla; certo, quelli là oramai li conosceva bene e sapeva anche cosa avevano fatto al suo amico pakistano e a decine di altri come lui. Però doveva tentare. Senza dire nulla alla moglie, era tornato a casa e aveva detto alla moglie che sarebbe tornato molto tardi; assieme a lei c'era una vicina di casa greca, una ex prostituta di settant'anni di nome Elettra, che le stava preparando una zuppa di non si sa cosa -ed è meglio non saperlo.
I manifesti parlavano estremamente chiaro: greci e con carta d'identità greca. E greco non era proprio, il vecchio, nonostante un po' di greco lo avesse imparato già da ragazzo al suo paese. Il greco era lingua diffusa e di gran prestigio. Si chiamava Yosef ben Eliyahu e veniva dalla Palestina, da un paese con un nome strano che, mi sembra, comincia per “N”; la moglie, invece, si chiamava Maryam. Correvano strane voci su quella ragazza; alcuni dicevano persino che l'avesse vinta a una specie di lotteria, dato che non si capiva come mai una ragazza così giovane e bella si fosse impuntata per sposare un uomo di quell'età. Tant'è; si erano sposati, e siccome durante la cerimonia aveva giurato dinanzi a Dio (non uno qualsiasi) di seguire il marito nella cattiva e nella cattiva sorte, e dovunque, da quel paese palestinese che comincia per “N” si erano ritrovati nella Mangiatoia al Pireo, mentre la Grecia affondava e Dio c'era sì, ma parlava soltanto il greco e si era visto rilasciare anche lui una regolare carta d'identità ad usum Albae Auratae. Yosef, invece, se la doveva procurare; e ci doveva pensare alla svelta.
La cosa era stata risolta grazie a quel delinquente di Christos. Christos era un altro della Mangiatoia, un ex tipografo che aveva stabilito un record difficilmente battibile. La Crisi era cominciata da due ore circa, che lui era stato uno dei primi ad essere licenziato dal posto dove lavorava; in realtà era stata tutta una scusa, dato che Christos, in tipografia, rubava da secoli tutto quel che c'era da rubare: carta, inchiostri, toner, detersivi dal bagno, birre dal frigorifero. Ricevuta la comunicazione dal direttore, che lo aveva mandato in culo dandogli del ladro fottuto e augurandogli di crepare di fame, Christos era tornato nottetempo con un paio di amici e aveva svuotato la tipografia di tutti i macchinari, trasportandoli in un posticino che conosceva lui e basta; si era messo quindi a realizzare il sogno della sua vita, quello di falsificare il falsificabile e di metterlo a gentile disposizione di chi ne avesse bisogno. Facendosi pagare un occhio della testa, naturalmente; però, a modo suo, si mostrava anche generoso. Una carta d'identità falsa, fatta a regola d'arte, costava duecento euro; ma se gli stavi simpatico, si poteva ovviare con due o tre serque di uova, con un lavoro a gratis, con una trombatina alla moglie. Non si sa bene cosa gli avesse promesso Yosef, posto che di uova non ne aveva. Christos aveva detto a Yosef di portare una fototessera, e di tornare alle due del pomeriggio; e alle due gli aveva consegnato una perfetta carta d'identità ellenica a nome di Iosifos Iliopoulos, nato a Rethymnon (Creta) il 17 novembre 1928 e residente al Pireo, via Qualcosa n° 92, statura m 1,73, peso kg 64, segni particolari nessuno, di religione ortodossa e di professione artigiano. Come cazzo avesse fatto a mettere tutti i timbri e le marche da bollo con la dea greca, non si sa. Yosef era esterrefatto.
"Senti, ma perché sarei nato a Creta...?"
"Demente, ma ti sei visto? Hai la faccia di un palestinese, e più che altro sei scuro come un palestinese. Ti dovevo scrivere che eri nato a Stoccolma...?
"E Creta che c'entra?"
"A Creta sono parecchio più scuri che qui, gamotò. Ho conosciuto uno di Rethymnon che era scuro come te, magari era tuo nonno..."
Christos si mise a ridere sguaiatamente, poi continuò:
"Ascolta, con questa qui, dammi retta, sei un cretese perfetto oltre che un cretino, perché solo un cretino ingravida la moglie sotto questi bei chiardiluna. Alla tua età poi ne potevi anche fare a meno, anche se ti capisco con quel bel pezzo di....lasciamo perdere, vah. Però una cosa te la consiglio: se vuoi andare a prendere la roba da quei pezzi di merda, comunque, vacci a buio, stasera. Tanto sai che te ne frega del Natale a te, te lo dice uno che si chiama Christos; ma a proposito, te di che religione sei per davvero?.."
"Boh, me ne sono dimenticato. Però ci ho il cazzo conciato strano, ho un certo sospetto..."
"Allora vacci a buio il doppio, a quelli piacciono poco i monsummani o come si chiamano, ma mi sa che non gli vadano a genio tanto nemmeno gli ebrei. Col buio la tua carnagione si nota di meno. Menomale che parli il greco come se tu fossi nato qui, questo è un bel vantaggio. Tanti auguri, vecchiaccio, ma stai attento; se ti riconoscono e si accorgono che hai fatto il furbo, sono cazzi tuoi."
"Lo so, lo so. E li protegge anche la polizia."
"Io quel che potevo fare l'ho fatto. Ma tua moglie a che punto è con la pancia?"
"Ha finito il tempo il venti, potrebbe scodellarlo da un momento all'altro..."
"E' un maschio?"
"Secondo te ci ho i soldi per andare all'ospedale privatizzato e farle fare la morfologica? Sarà quel che sarà..."
"Se è maschio come lo chiamate?"
"Mah, a me sarebbe piaciuto chiamarlo come te, sai. Te lo giuro. Il tuo nome mi piace parecchio, ma lei vuole chiamarlo diverso. Un cavolo di nome che a me piace zero..."
"Sarebbe?.."
"Iesous."
"Iecosa?... E che minchia di nome è...??"
"Si chiamava così un suo zio materno che la faceva giocare da bimba. A dire il vero nella lingua nostra suona un po' differente, ma qui mi sono impuntato. Voglio la forma greca, ora come ora qui non è bene chiamarsi da immigrato..."
"Capisco, capisco. Certo che è un nome bello strano, io non l'ho mai sentito in Grecia. Vabbè, bando alle ciance. Stai in campana, Yosef, anzi Iosifos. Iosifos Iliopoulos, ricorda."
"Me ne ricordo, tranquillo. Ci vado verso le nove di stasera."
"Bravo. E vacci vestito ammodino, ché Dio ti vede!"
Christos si mise di nuovo a sghignazzare sguaiatamente, mentre Yosif, anzi Iosifos, si allontanava. Ora stava in coda tra la Georgiou e il corso Lambrakis; faceva un freddo da pelare e continuava a ripetersi fra sé: “Niente incertezze. Niente incertezze”. Fu la donna che lo precedeva a attaccare bottone, all'improvviso; sembrava averci una gran voglia di parlare, a bassa voce.
“Freddo eh.”
Iosifos alzò leggermente la testa; prima di rispondere, sempre a bassa voce, si controllò automaticamente la tasca sinistra del cappotto. La carta d'identità era lì, e quel demonio di Christos la aveva pure plastificata a dovere. Un gioiellino; era diventato greco cristiano in due ore, e senza pagare in uova. Ogni tanto, per la strada, si vedeva qualche giovanotto di Alba Dorata che controllava la coda interminabile; qua e là passavano anche dei tipi in motocicletta, con dei caschi che non promettevano nulla di buono.
“Fa freddo sì, signora. Siamo il ventiquattro di dicembre.”
“Già. Buon Natale.”
A questo Iosifos non si era preparato. Di natali ne aveva già passati qualcuno in Grecia; solo che, alla Mangiatoia, non andava particolarmente farsi gli auguri. Non si facevano né l'albero e né i regali. Il ventiquattro c'era la stessa miseria del venticinque, e il ventisei ce n'era ancora di più. Si trovò subito a biascicare:
“B...buon Natale a lei signora. Kalà Christoùyena.”
Non poté fare a meno di pensare che Christoùyena significa “nascita di Christos” e si ritoccò la tasca sinistra.
“Anche lei in fila, eh.”
“Già.”
“E non si vede la fine...”
“La fine è alla chiesa dell'Evangelistria, credo.”
“Lo sa quanto c'è alla chiesa?”
“No...”
“Due chilometri. 'Sto cazzo di corso non finisce più.”
“Prima o poi ci toccherà, signora...”
“Speriamo. Lei vota per loro?”
Iosifos deglutì. Doveva scegliere alla svelta se fare il poveraccio che aveva votato per il Pasok, o addirittura per i comunisti, se proclamarsi apolitico o se essere diventato nel giro di poche ore prima greco e poi fascista. Optò per la terza ipotesi.
“Signora, voto per loro. Non mi vergogno a dirlo. Anzi!”
Aveva, senza essersene accorto, alzato un po' la voce. Qualcuno più avanti nella fila si voltò senza dire nulla; altri fecero finta di non avere sentito. Iosifos continuò:
“Voto per loro ma votavo per Nuova Democrazia quando stavo a Creta...”
“Ah, viene da Creta”, disse la signora. “Nemmeno io sono di qui. Vengo dall'Argolide.”
“Bel posto, l'Argolide”, rispose Iosifos che non sapeva nemmeno dov'era, l'Argolide. La signora Kalitsounaki sorrise.
“Io non ho mai votato per loro, ma lei non si deve vergognare. Non è detto che non lo faccia anch'io alle prossime elezioni, perdiana. Certo che a Creta siete tutti belli scuri di pelle...ci picchia forte laggiù, eh!”
Si intromise un giovane magrissimo, che li precedeva di tre posti nella fila; anche lui sottovoce, ma tutto sembrava come amplificato.
“Io invece mi vergogno eccome, cari miei. Come un ladro. Ma non c'è più nulla in casa mia, accidenti alla puttana dell'eva. Tutti sulla stessa barca, se la roba la dava Pol Pot ero in fila lo stesso.”
La fila avanzava lentissima; erano quasi le dieci, quando riuscirono finalmente a passare l'angolo della Georgiou e a svoltare sul marciapiede del corso Lambrakis. La coda era impressionante; si cominciava a sentire qualche campana, forse per fare le prove per la messa. A Iosifos prese la voglia di piantare tutto quanto e di tornarsene a casa; Maryam, del resto, poteva partorire da un momento all'altro. Maledizione. Sarebbe tornato a casa in tempo, magari, per vedere nascere suo figlio; ma in casa non c'era più nemmeno una briciola di pane. Non poteva andarsene. Tanto, la carta d'identità la aveva; era tutto al sicuro. Lui era Iosifos Iliopoulos, fascista cretese. Uno dei loro.
“Io manco per il cazzo ero in fila da Pol Pot”, disse Iosifos al giovane. “Io sto coi miei, con la Patria greca in difficoltà. Contro quei musi neri che ci rubano il pane e il lavoro...ma loro sanno come trattarli!”
“Nonno, non mi sembri particolarmente chiaro, tu!”
Aveva parlato un altro ragazzo, coi capelli cortissimi; Iosifos si sentì raggelare.
“Certo che voi cretesi ci credo che ce l'avevate coi turchi nel '21! Siete uguali!”
Dalla fila partì una salva di risate, mentre la fila avanzava lenta ma costante; Iosifos cominciò a sentirsi come ubriaco, e pensare che non toccava un goccio da giorni.
“Bella battuta, bravo! Ma noi cretesi siamo l'anima della Grecia, voi qui a Atene eravate un branco di selvaggi, allora! Ma siamo tutti greci, fratelli, la Patria è nostra e sappiamo cosa fare!”
Successe a quel punto una cosa parecchio inattesa. Proprio in quel momento la coda cominciò a avanzare molto più rapidamente, senza nessun motivo apparente; la signora Samaritha disse al vecchio: “O stai a vedere che hanno finito la roba e succede casino”. Tutti sembravano camminare a passo normale ora, come in una processione di spettri sul marciapiede d'una grande città; avevano smesso di parlare. Erano i poveri, gli sfrattati, i diseredati, i buttati fuori, i piccoli borghesi morti dentro, i nipoti del partigiano, i tifosi dell'Olympiakos, le studentesse senza mangiare ma col telefonino, gli impiegati della televisione ammazzata, quelli che il ventuno aprile si erano girati dall'altra parte, quelli che il ventuno aprile li avevano rinchiusi nell'ippodromo di Nea Faliro che è pure lì vicino, quelli che il ventuno aprile non erano manco nati, i precari mangiaerbe, i pensionati senza pensione, un paio di anarchici e forse anche tre, i vergognosi, gli orgogliosi, gli ex volontari delle Olimpiadi, sedici fannulloni inveterati, un cantante fallito, Mikis Theodorakis, diversi insegnanti che avevano insegnato i valori della democrazia, diversi insegnanti che non insegnavano un bel nulla, un'intera squadra amatoriale di pallacanestro, otto preti poco ortodossi, un numero imprecisato di bambini e bambine e la signora Samaritha che sembrava sostenere il vecchio Iosifos che la seguiva. Tutti con la loro carta d'identità ellenica. Non si vedeva neanche un negro, nel corso Lambrakis. Neanche un indiano. Nulla. Era una strada greca nel Natale greco.
“Tranquilli! E' arrivata ancora roba!”
Aveva parlato un giovanotto gigantesco, vestito col giubbotto nero, da un motorino scassato che era passato di lì.
“Tu, vecchio, vieni qui, ché ti voglio abbracciare!”
Iosifos non si era reso conto che il giovanotto stava parlando proprio a lui; quest'ultimo, allora, scese dal motorino proprio mentre la fila era arrivata, velocemente, quasi al capolinea. Vicinissimi si vedevano i banchi coi militanti, davanti alla chiesa dell'Evangelistria, mentre le campane cominciavano a suonare a distesa e un'altra fila di persone, vestite da festa, entrava dentro per la messa. I banchi erano davvero pieni di ogni cosa; militanti albadoristi indaffaratissimi confezionavano sacchetti e li davano alla gente che passava davanti esibendo la carta d'identità sfilando poi via chi a testa bassa, chi a testa alta e chi senza testa. Degli altoparlanti diffondevano ora canzoni patriottiche, ora inni sacri della tradizione.
“Dico a te, vecchio. Ti ho sentito prima, sai. Ti voglio abbracciare per questo, camerata!”
Iosifos si toccò per l'ennesima volta la tasca sinistra. Il giovanotto si avvicinò, e lo abbracciò convinto. Un vero greco che non si vergognava, finalmente. Magari un povero lavoratore cui quei maledetti immigrati aveva rubato il lavoro o la pensione, costretto a far la fila la notte di Natale per avere qualcosa da mangiare. Ma tutti oramai sapevano quale fine avrebbero fatto, con l'Alba Dorata al potere. Nell'abbraccio di quel marcantonio al povero vecchio, dal collo del maglione spuntò fuori qualcosa. La sciarpa. Aveva degli strani peneri. Giusto giusto quando la signora Samaritha era stata servita e si era allontanata con la sua carta d'identità di greca cristiana, e com'è bello essere cristiani quando Cristo sta nascendo e suonano le campane a distesa. Magari avrebbe fatto pure un salto alla messa, e domani ci sarebbe stato qualcosa da mettere sotto i denti per lei e anche per quello di Pol Pot.
“Ma cos'è questo?”
“La mia sciarpa...”
Il ragazzo cominciò a tirargliela fuori, la sciarpa, al vecchio; a grandi manciate. Ne venne fuori una bella keffiah palestinese, bianca e rossa, da combattimento. Yosef se l'era fatta fare a N. da un suo amico arabo, un bravissimo tessitore che in quel momento stava pure lui in coda, da diciotto ore, a un valico tra Israele e i territori, aspettando di poter passare per tornare a casa. Naturalmente Yosef non lo sapeva.
Una ragazza al banco della roba, anche lei col giubbotto e biondissima, disse a Yosef mentre il ragazzo suo camerata guardava la keffiah:
“Me la fai vedere la carta d'identità, tu?”
Yosef tirò fuori dalla tasca sinistra la carta d'identità di Iosifos Iliopoulos, nato a Rethymnon (Creta) eccetera.
“Ma guarda tu!”, disse la ragazza. “Sono anch'io di Rethymnon, lo sai?”
“Incredibile!”, rispose Yosef con una specie di sorriso mentre gli era venuta la pelle d'oca.
“Già, incredibile. Dove stavi a Rethymnon?”
“Ci manco da anni oramai...”
“Sì, Iosifos caro, ma ti ricorderai dove abitavi, no?”
“In via....in via Agiou Nikolaou.”
“Via Agiou Nikolaou a Rethymnon non c'è.”
“Mi sarò sbagliato...forse era Agiou Mihali...”
“Non c'è nemmeno Agiou Mihali, bello. E 'sta carta d'identità è falsa.”
“Come falsa...? Ma che cazzo dici, tu...?”
“E' falsa perché è firmata col nome del sindaco di Salonicco. La hai mai vista una carta d'identità di un comune firmata dal sindaco di un altro comune? Io no.”
Attorno si era fatto il silenzio e il gelo.
Fanculo a Christos. Doveva averci uno stock di firme di sindaci e si era sbagliato. E lui era fregato. Era finita. Telos. Il ragazzo che lo aveva abbracciato con tanto entusiasmo stava calpestando la keffiah sotto gli anfibi, mentre si sentivano provenire dalla chiesa i cori da dietro l'iconostasi: “Brutto arabo di merda, schifoso, lurido verme! Ci volevi fregare, eh! Di Creta, eh!?! Ecco perché ci hai quel muso scuro da latrina! Ora te lo diamo noi un bel po' da mangiare!”
Yosef fu circondato in due secondi da dieci energumeni, mentre alla sua keffiah veniva dato fuoco. La sua carta d'identità era stata gettata pure nelle fiamme; aveva cessato di essere greco, di essere cristiano e anche di essere vivo.
Alla Mangiatoia, la Elettra aveva prima cominciato a sentire Maryam lamentarsi e non sapeva cosa fare; di tutto aveva fatto nella sua vita, fuorché la levatrice. Nonostante il suo mestiere, di figli non ne aveva avuti anche perché s'era fatta chiudere le tube da ragazza; ma tutto s'impara alla svelta, quando occorre. Bisognava, forse, chiamare un'ambulanza; e con cosa la si pagava, poi? Di ambulanze pubbliche dell'ospedale manco a parlarne, anche perché l'ospedale vicino, a ripensarci, non era più pubblico. Quelle private costavano carissime. Nel fondo alla Mangiatoia faceva un freddo boia mentre Maryam aveva rotto le acque; si sentì un raglio dal terreno vicino.
“Cazzo, l'asino...e il bue! Porca troia, magari se li porto dentro, con il fiato e con la merda fanno un po' di caldo...”, pensò l'Elettra; e corse fuori a prendere i due animali, spalancando la porta-finestra e facendoli entrare dentro. Maryam era stranamente tranquilla; era sicura che Yosef sarebbe tornato da un momento all'altro per vedere nascere suo figlio, magari rimediando anche qualcosa da mangiare e una coperta. Da un momento all'altro. Spuntò un testolina.
Il primo cazzotto prese Yosef spezzandogli una costola, mentre proseguiva la distribuzione del cibo ai greci; lui non era più greco, era un morto. Al secondo cazzotto partì un'altra costola, mentre sentì arrivarsi qualcosa sulla testa. Al terzo colpo caddè per terra fra gli sputi; al quarto sentì un calcio nei coglioni, ché tanto suo figlio ormai era nato di sicuro e avevano assolto al loro compito naturale. Al quinto colpo sentì due raffiche di mitra e vide cascare a terra in una pozza di sangue il ragazzo di Alba Dorata che lo aveva scoperto, e anche la ragazza pura cretese di Rethymnon. I colpi erano tutt'altro che cessati, e si vedevano due automobili ferme con tre persone che continuavano a sparare mentre la gente scappava da tutte le parti, chi abbandonando sacchettate di roba, chi arraffandone a più non posso. A terra c'erano otto fascisti, mentre gli altri erano scappati in chiesa; si sentivano urla dappertutto e, più in là, altri cadaveri col giubbotto nero. Le due automobili erano ripartite, nel frattempo, a velocità folle. Yosef si rialzò sanguinante; era mezzanotte in punto. Nella confusione, raccolse tre sacchetti di roba; uno era pieno di latte in polvere multinazionale. Correre. Anche se non ce la faceva. Correre. Correre a casa, mentre nel cielo splendeva una luce.
Arrivò alla Mangiatoia trafelato e ridotto a un ecce homo. Coi suoi sacchetti ridotti a ecce sacchetti, ma la roba ancora era là dentro. Erano quasi le una di notte.
Maryam era distesa sul pagliericcio, vicino alla cucina economica e alla bombola del gas dalla quale il gas mancava da dodici giorni. Sorrideva, con un marmocchio sulla pancia; l'Elettra era seduta, sporca come una fogna; per terra, liquidi, pezzi di placenta, ogni cosa. Il bambino era bellissimo e dava lievissimi vagiti; ci aveva pure un bel pisellino. Maryam non parlava.
“Ce l'hai fatta a tornare a casa, tu”, disse l'Elettra leggermente incazzata. “E ti sei anche perso la nascita di tuo figlio, stronzo.”
“Sì, però ho portato a casa tre sacchettate di roba...”
“E dove le hai prese?”
“Non te lo dico.”
“Non sarai mica...?”
“Andato a rubarle, dici?”
“Se tu le avessi rubate avresti fatto benissimo. Io dicevo...non sarai mica andato da quei merdosi...?”
“Dici quelli di Alba Dorata? Ma sei ammattita? Secondo te danno la roba a un ebreo palestinese?...”
“Appunto...”
“Ma com'è che ti sei conciato così? Sei ferito!”
“Sono stato preso da una macchina qui vicino...”
Non disse più niente, Yosef. Corse dalla moglie e dal bambino. Da Iesous, con quel nome un po' a bischero, di sicuro; ma così era stato deciso. Maryam non parlava, e quel suo non dir nulla era un misto di felicità e di pugni al cielo. Un po' più in là stavano portando via dodici cadaveri di militanti di Alba Dorata ammazzati, secondo il referto che qualcuno avrebbe stilato sicuramente, da svariate raffiche di tre diversi mitra. La roba sui banchi era scomparsa, così come quella abbandonata a terra nel fuggi-fuggi generale; le prime agenzie internazionali stavano passando con la notizia della strage di Natale al Pireo. Nel cielo brillava, inesorabile, il raggio laser proveniente dalla discoteca “Comet”, da poco aperta vicino allo stadio Karaiskaki.
Gian Piero Testa - 2013/12/23 - 10:02
Bello il racconto, fino al pestaggio di Yosef... L'epilogo sanguinoso e sanguinario, con la strage di nazi a colpi di mitraglia mentre una folla è assiepata, mi è piaciuto soltanto dal punto di vista cinematografico, ricordandomi pulp tarantiniani tipo "Le jene" o "Djiango"...
D'altra parte ho la senzazione che proprio nell'epilogo traspaia un tuo "tentennamento", Riccardo, quando scrivi "I colpi erano cessati [...] con tre persone che continuavano a sparare..."
Ma tant'è... Merry Christmas (I Don't Want To Fight Tonight), come cantavano i mitici Ramones...
Bernart Bartleby - 2013/12/23 - 11:58
La tua fai ovviamente bene a dirla, ed hai probabilmente ragione anche sul finale "tarantiniano" (un paragone che non mi spiace affatto! :-P); poi compaiono le nostre ben note divergenze riguardo al trattamento da riservare agli albadoristi. Diciamo poi che, in quel frangente del racconto, non vedevo proprio altra soluzione per salvare il povero Yosef, visto che i "ragazzi" di Alba Dorata non ci hanno mai pensato due volte a ammazzare immigrati come cani. E che si deve sempre pigliarle? Sempre fare le lamentose vittime? Io almeno la penso così, sennò Nostro Signore del Pireo nasceva orfano. Saluti e buon Natale! A proposito dei mitici Ramones: mi ricordo il loro nome e i versi delle loro canzoni pitturati ovunque sui muri distrutti di Mostar nel 1993, dato che c'ero. Serbi, croati, musulmani, tutti quanti si scannavano, ma cantavano tutti quanti i Ramones. Strana cosa la vita.
(NB. Ho appena corretto la discrepanza da te segnalata.)
Riccardo Venturi - 2013/12/23 - 14:41
Riccardo Venturi - 2013/12/23 - 14:56
Lorenzo - 2013/12/23 - 23:23
Riccardo Venturi - 2013/12/23 - 23:58
chel tira a man el nost Bartolamee
contra la scèna de sang e de macell
che l'ha infilaa el Ventura in del mestee
del poer Isepp giudee de Pallastina
stravestì de grècch per no giugass la pell
cont i fascista de la Rabbiadura
che ministren el pan domà ai cristian
e ai alter gent ghe fan tastà el tarell.
El nost amis el gha da vess di quej
che poden no vedé coppà el porscell
quand che Natal l'è chì e i gent fan festa
ma poeu se neghen no ala raspadura
di codegh di costin e di salamm
ch'i gòd anca quij che van senza cortell
e paccen a crepapanscia comè can
basta che veden no l'ambaradan.
(Primo mio tentativo assoluto di scrittura in dialetto più o meno lombardo. Con mille scuse a Bernart Bartleby per il maltrattamento: ma i dialetti si sa sono un po' ruvidi)
Gian Piero Testa - 2013/12/24 - 16:48
Io il racconto l'avrei finito con qualche decina di disperati che, inorriditi e rinsaviti dal gratuito pestaggio, prendono le difese del povero Yusef... Dopo di che, nel giro di qualche secondo, la scena si trasforma in una rissa epocale in cui i nazi populisti prendono mazzate feroci dal "populo" che pretendevano di irretire... Prima che gli amici poliziotti possano intervenire è già tutto finito... Bilancio: due albadorati - il picchiatore e la ragazza bionda - linciati a morte dai "veri greci", gli altri malamente saccagnati e costretti nei vari pronto soccorso, i banchetti saccheggiati e Yusef che se ne torna da Maryam carico di roba, insieme a tre nuovi compagni che al posto dell'oro, dell'incenso e della mirra portano un sacco di roba da mangiare per fare finalmente un Natale coi fiocchi...
Giustizia popolare, al posto di quella delle presunte "avanguardie" dal grilletto facile...
PS Per GPT. Proprio perchè "preferisco di no", proprio perchè sono meno bellicoso di voi (e più vigliacco) ho scelto di contribuire alle CCG sotto svariati pseudonimi (di cui anche a te, anche a voi, devo la paternità)... Ci terrei - vigliaccamente - a rimanere un nickname perduto fra i tanti...
Bernart Bartleby - 2013/12/25 - 00:03
Gian Piero Testa - 2013/12/25 - 02:22
La rivendicazione delle "Forze Popolari Combattenti" può piacere o non piacere, e essere considerata come più aggrada a ognuno; però è notevolmente precisa in diverse sue parti. Ne riporto una che può interessare (fra le altre cose anche per la "genesi del racconto"):
In nessuno di questi casi (e sottolineo: nessuno) si è avuta una "reazione popolare": si sono avute, casomai, reazioni di militanti che hanno un po' dovunque devastato uffici di A.D., formato gruppi di resistenza armata, squadre di vigilanza e addestramento e altre cose del genere. La Grecia si trova costantemente, ed è bene non dimenticarlo mai, in una condizione di guerra civile latente; sembrano scordarselo sempre (e non solo per quel che riguarda la Grecia!) i teorici innamorati del vittimismo, quelli che si lamentano sempre che ci ammazzano, ci opprimono e ci sfruttano per poi inorridire quando qualcuno ammazza un paio di fascisti per mandare loro, finalmente, un messaggino chiarissimo. Come se il nostro destino fosse sempre e solo quello di essere "vittime inermi" in attesa continua che il "popolo" si sollevi e faccia "giustizia".
Diciamo quindi che il finale che ho dato al racconto ha cercato di rispecchiare la realtà dei fatti: quella di un "popolo" che non si solleva affatto, ma che si china a raccattare e a fare razzia dei sacchetti, e non cerca proprio nessuna "giustizia". E' un finale volutamente amaro, perché amara è la realtà; in questo, trovo azzeccato il paragone (immeritato, ovviamente) con Quentin Tarantino, dato che si tratta di un regista, a suo modo, estremamente realista nei suoi svolgimenti. Ma, ripeto, il finale "alternativo" di Bernart Bartleby ha la sua legittimità come lo avrebbe qualunque altro. Rispecchia sicuramente un suo sogno, che ora come ora, però, credo sia destinato a rimanere tale.
Non è questione, quindi, di essere più o meno "bellicosi", ma di leggere nei fatti e solo in essi; se poi, come ho fatto -ovviamente da dilettante della scrittura, non ho nessunissima velleità che vada oltre-, trasporli in forma di narrazione, si deve agire quasi giornalisticamente senza indulgere al "come si vorrebbe che fosse". In una situazione del genere le probabilità che si "sollevi il popolo" sono infinitamente inferiori a quelle che compaiano due o tre persone armate di mitra e ci pensino loro, a fare giustizia. Quanto al desiderio di Bernart Bartleby di rimanere un "nickname perduto fra i tanti", nessuno ovviamente si sogna minimamente di impedirglielo; qui lo vorrei rassicurare "d'autorità".
Buon Natale a tutti.
Riccardo Venturi - 2013/12/25 - 04:38
A differenza di Gian Piero, io non ho da fare dichiarazioni di "mitezza" o roba del genere, così come non ne ho da fare di "bellicosità". Ho conosciuto e conosco tuttora persone dall'indole apparentemente assai mite e disponibile che, nella loro vita, hanno preso sul serio le armi in mano e le hanno puntate addosso a qualcuno (facendosi poi numerosi anni di galera, peraltro); così come ho conosciuto e conosco tuttora persone dall'indole apparentemente "bellicosa" che in mano non sarebbero capaci di prendere nemmeno una cerbottana. Personalmente, di carattere sono piuttosto "cazzoso", come si dice dalle mie parti; ma se non sono certamente un agnellino, non credo di essere nemmeno un lupo. Non è questo il fatto. E' questione, invece, di assumersi delle responsabilità di fronte ai fatti. A mio parere la cosa si esaurisce qui, ed è semplicissima. Ci sono dei fatti, a volte, che impongono delle scelte e delle responsabilità terribili. Ma rifiutarsi o non sentirsela non comporta automaticamente l'etichettà di "vigliacco", che è un termine che adopero sempre con parsimonia ed estrema attenzione. Circa un mese fa mi è capitato di ascoltare e conoscere Barbara Balzerani, e penso che tutti sappiano chi è e chi è stata (tra l'altro, a prima vista, è una signora di una sessantina d'anni gentilissima e "mitissima"); in pratica sto ripetendo le sue parole, a proposito proprio del "coraggio" e della "vigliaccheria".
Il mio "istinto", come lo chiama Gian Piero, mi porta sempre a privilegiare la realtà -che, naturalmente, è la realtà come io la percepisco e che può essere diversa da come la percepisce un altro. Si potrebbe anche dare il caso di qualcuno che percepisce la realtà con l'intervento del "Piccolo Eroe", ed è sempre e comunque realtà. Di fronte alla quale interviene costantemente l'assunzione della responsabilità, che la si accetti crudamente com'è e coi suoi metodi per farvi fronte, o che non la si accetti dandosi al sogno o alla fuga. Quel che mi sento di dire è che non riconosco nessun "sistema migliore", il mio men che tutti. Riconosco soltanto il dovere di prendere sempre una posizione, anche sgradevole. Una posizione chiara e non fraintendibile. Questo cerco sempre di fare, ovunque. Anche nei raccontini natalizi.
Anche in quest'ottica, dico che il componimento di Gian Piero in "Verzee" resterà là dov'è e nessuno si azzarderà a rimuoverlo. Fa parte della discussione di questa pagina, che ritengo importante. Sono abituato a rimuovere i commenti idioti dei bimbiminkia vari, o quelli contenenti insulti razzisti o roba del genere; non quelli di persone che stimo e a cui voglio bene; lo stesso, naturalmente, vale per quelli di Alessandro (uso qui volutamente il suo vero nome). Saluti cari a tutti.
- Non credo che mi abbiate mai sentito invocare la censura su queste pagine (a parte quando ebbi un battibecco con tal Don Curzio, che però Riccardo gestì egregiamente). E anche in questa occasione non ho chiesto affatto la rimozione del "maltrattamento" in lombardo che mi ha riservato GPT e che ritengo molto bello e unico... Mai mi era successo che qualcuno mi dedicasse una poesia, tanto meno in "verzee"!
A questo punto urge però una spiegazione in privata sede.
- Evidentemente non conosco bene come voi la realtà greca di questi ultimi anni. E' chiaro che i metodi siano più crudeli se (davvero?) sono alla guerra civile... Resta il fatto che nessun "vendicatore" armato dotato di un minimo di stategia politica e militare si metterebbe - io credo - a sparare raffiche di mitragliatore dove c'è una folla radunata: tanto varrebbe lanciare delle granate! E fin qui siamo sul piano letterario, che finora una cosa del genere non è - per l'appunto e per fortuna - ancora successa.
Restando su di un piano di realtà, siccome forse vi sono sembrato un po' troppo "cattopacifista", vorrei chiarire che non sono affatto per porgere l'altra guancia, ma credo anche che l'intensità dell' "occhio per occhio e dente per dente" necessiti di una sua graduazione ... Il "messaggino chiarissimo" sarebbe sicuramente arrivato limitandosi a gambizzarli quei due albadorati, che invece sono stati (per me inutilmente) abbattuti come porci (quali peraltro erano); oppure, anzichè colpire a caso, e visto che sembrano avere chiare situazioni, strategie e bersagli, le FPC avrebbero potuto colpire qualche nazi realmente responsabile di violenze, senz'altro qualche noto dirigente... A tirare giù birilli in mezzo alla strada sono buoni tutti: a Firenze due senegalesi, ad Atene due nazi... L'assurdità e l'inconcludenza di gesti come quelli continua - per il sottoscritto - ad essere evidente.
Saluti e Buon Natale (anche se non lo meritereste, che siete propio propio kativi!)
Bernart Bartleby - 2013/12/25 - 11:47
Gian Piero Testa - 2013/12/26 - 11:23
Rispetto alla tua poesia, avevo solo qualche timore, forse infondato, circa la mia privacy, ma ho chiarito la cosa con lo Staff e provvederanno loro, se vogliono e se si ricordano...
Ciao!
Bernart Bartleby - 2013/12/26 - 13:28
PS. Mi spiace moltissimo di averti dato preoccupazioni di privacy. Davvero non ci ho pensato. Ho pronta una soluzione, tra l'altro assai migliore sul piano "tecnico" della composizione, che adesso chiedo agli admin di adottare. Ti abbraccio, Piero.
Gian Piero Testa - 2013/12/26 - 18:24
«Italia, povertà a livelli record. Dal 2005 i poveri in senso assoluto sono raddoppiati, triplicati nelle regioni del nord. Colpito quasi il 30% della popolazione, soglia superata solo dalla Grecia. Nel 2012, si legge nel rapporto su lavoro e coesione sociale redatto dall’ISTAT, INPS e Ministero del Welfare, nel 2012 si trovava in condizione di povertà relativa il 12,7% delle famiglie residenti in Italia e il 15,8% degli individui: sono i valori più alti dal 1997. A tinte fosche anche la situazione del lavoro: posto fisso sempre più un miraggio e disoccupazione giovanile in aumento del 14% dal 2008 ad oggi. Retribuzioni praticamente ferme dal 2011: l’aumento medio è stato di 4 (quattro) Euro. Quasi un pensionato su due ha un reddito da pensione sotto i 1.000 Euro (lordi) al mese, solo il 15.1% supera i 2.000 Euro.
Situazione ben diversa per le Borse, che brindano al 2013 come un anno fortunato e carico di guadagni, soprattutto in Oriente, con Tokio davanti a tutte con un rialzo del 57% che anticipa la ripresa dell’economia dopo 6 anni di crisi, un risultato mai visto da 40 anni a questa parte. Seppur meno brillanti, non è andata male nemmeno sulle altre piazze. Il Dow-Jones è stato il migliore dal 1997. Anche in Europa le soddisfazioni per gli investitori non sono mancate: Francoforte è stata la migliore con un +24%; Milano, in un anno non facile per l’economia italiana, è salita del 16,5%...»
C’aveva ragione la mia bisnonna quando diceva, «I soldi fanno soldi e i pidocchi fanno pidocchi!»...
E pensare che c’è ancora gente che si scanna un po’ ovunque, che si fa saltare in aria massacrando innocenti, che pesta o ammazza immigrati, che aggredisce o uccide il «rosso» o il «nero» di turno, ettolitri di inutile sangue versato mentre gli «investitori» brindano più ricchi e felici che mai e organizzano altre rapine, altri piani di aggiustamento strutturale, altri genocidi ed altre guerre planetarie...
Bernart Bartleby - 2013/12/30 - 22:37
E' sempre la poesia che vince.
Ricambio l'abbraccio
Ciao!
Bernart Bartleby - 2013/12/30 - 22:45
Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
[2012]
Non musicato
Αμελοποίητο
Pochi giorni fa ho scritto qualcosa su certe uova raccontando un po' la loro storia; poi, debbo dirlo, sono stato superato dagli eventi (almeno in Italia; in Grecia gli è un bel po' che mi hanno superato, sembro la riedizione del “Sorpasso”). Così, oggi, sfruttando una curiosa assonanza (dopo giornate con Patricio Manns può succedere), ho pensato di ampliare un po' la cosa. Però in greco, perché in questa canzonetta amelopita si parla appunto di cose greche. In particolare, di “Alba Dorata”. La conoscete, no? Pensate che domani vo pure a fare un presidio a Firenze, sotto il consolato ellenico (e proprio un diciassette di novembre; data non a caso). Con l'idea di stampare questa canzonetta su dei volantini e di distribuirla un po' (visto che ci saranno parecchi greci che hanno annunciato la loro partecipazione). Ora, si dà il caso che “Alba Dorata”, in lingua originale, si chiami Χρυσή Αυγή (Hryssi Avgi); basta cambiare genere, passare dal femminile al neutro, e diventa Χρυσό Αυγό (Hrysso Avgo), vale a dire “Uovo Dorato”. Vi ricordate della famosa gallina che faceva le uova d'oro? Beh, in questo caso proprio no; le ha fatte, anzi, ancor più sporche di merda del solito. Ovviamente non ho resistito a questa cosina servitami davvero su un piatto d'argento (anzi, d'oro) dalla lingua greca, e maneggiandola con qualche giochetto ne è venuta fuori questa storiella parecchio edificante e speranzosa. Purtroppo, nella traduzione che (necessariamente) accompagnerà il testo, per non limitare i ghigni satanici (e spero anche qualche risata seppur amara) al Testa e a Giorgio, molto si perderà; però dico brevemente la storia. Nasce l'Uovo Dorato, mette i suoi adepti nell' Astoonomia (qualcosa come l' “Ovopolizia”). Nell'Astoonomia, le Ovette Dorate non urlano più "coccodè" ("kokorikò" in greco) ma "korkonèa" (qualcuno si ricorderà forse di Epaminondas Korkoneas, il poliziotto assassino di Alexis Grigoropoulos). Alla fine la catarsi (catarsi addosso, come diceva il poeta): una folla incazzata nera di greci e di immigrati lo piglia, lo tira, e lo spiaccica proprio addosso a un poliziotto. Come succede spesso ora, quando basta tirare un uovo per essere arrestati. [RV]