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Les Pègres

anonyme
Langue: français (Argot)


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‎[seconda metà dell’800]‎
Testo e informazioni trovati su Langue ‎Française
Attribuita a tal Philippe Clément, un giovane ladro, oppure a tal Canada, nomignolo di un detenuto ‎condannato a vent’anni di lavori forzati per una ribellione in carcere e ucciso in seguito da un ‎secondino in un bagno penale della Nuova Caledonia.‎

“Pègre” o “pégriot” è un termine in argot che corrisponde al francese “voyou”, ‎da tradursi come delinquente, balordo, teppista… “Pègres” erano chiamati anche quelli che finivano ‎‎À Biribi, i terribili bagni penali militari, ossia i soldati condannati per “désertion, bris d’armes, ‎destruction d’effets militaires, vols, attentats sur des personnes, refus d’obéissance, outrage à des ‎supérieurs pendant le service” (Albert Londres, “Les bagnes militaires. Arbitraire et cruauté”, ‎‎1906).‎
‎“Pègre” era comunque il delinquente abituale, recidivo, irrecuperabile che solo una durissima ‎detenzione poteva piegare, o eliminare.‎

Questa canzone risale alla seconda metà dell’800 e se ne incontra il testo in varie opere, come nel ‎volume del nostro famoso antropologo e criminologo Cesare Lombroso intitolato “L’uomo ‎delinquente” (1876), tradotto in Francia come “L’homme criminel” (1887) o in “Les habitués des ‎prisons de Paris” scritto da Emile Laurent e pubblicato nel 1890, oltre che in diversi libri dedicati ‎all’argot, agli slang dei diversi gruppi sociali, spesso criminali, francesi.‎

Si tratta di una delle canzoni facenti parte della colonna sonora dello spettacolo musicale “Les ‎Travailleurs de la nuit” di Maurice Frot, scrittore, e Alain Meilland, cantante, attore e sceneggiatore, ‎scritto per l’edizione 1978 della rassegna “Printemps de Bourges” (di cui Meilland fu cofondatore). ‎Venne allora interpretata dall’attrice Véronique Nordey.‎




‎“I Lavoratori della notte” era il nome di una banda di ladri che in soli tre anni di attività, tra il 1900 ‎ed il 1903, mise a segno più di 150 colpi sempre e soltanto ai danni di ricchi finanzieri, prelati e ‎magistrati. Così voleva il suo capo, l’anarchico e genio del furto con destrezza Marius Jacob, le cui ‎gesta ispirarono Maurice Leblanc nel tratteggiare il personaggio di Arsène Lupin.‎




L’abile Marius Jacob (1879-1954), marsigliese di nascita, capace di qualsiasi travestimento e di ‎aprire qualunque cassaforte, fu arrestato nel 1903 e trasformò il suo processo in un evento mediatico ‎e in un comizio per la diffusione degli ideali anarchici. Fu comunque condannato all’ergastolo, da ‎scontare - come capita ai peggiori “pègres” - À Biribi, nel famigerato bagno penale della Caienna ‎nella Guyana francese.‎
Questa fu la ‎dichiarazione di Jacob (come tradotta in italiano su it.wikipedia) pronunciata nel marzo del 1905 ‎poco prima della scontata sentenza:‎

“Signori,
adesso sapete chi sono: un ribelle che vive del ricavato dei suoi furti. Di più. Ho incendiato diversi ‎alberghi e difeso la mia libertà contro l'aggressione degli agenti del potere. Ho messo a nudo tutta la ‎mia esistenza di lotta e la sottometto come un problema alle vostre intelligenze. Non riconoscendo a ‎nessuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono né indulgenza. Non sollecito ciò che odio e ‎che disprezzo. Siete i più forti, disponete di me come meglio credete. Ma prima di separarci, ‎lasciatemi dire l'ultima parola... ‎

Avete chiamato un uomo: ladro e bandito, applicate contro di lui i rigori della legge e vi domandate ‎se poteva essere differentemente. Avete mai visto un ricco farsi rapinatore? Non ne ho mai ‎conosciuti. Io, che non sono né ricco né proprietario, non avevo che queste braccia e un cervello per ‎assicurare la mia conservazione, per cui ho dovuto comportarmi diversamente. La società non mi ‎accordava che tre mezzi di esistenza: il lavoro, mendicità e il furto. Il lavoro, al contrario di ‎ripugnarmi, mi piace. L'uomo non può fare a meno di lavorare: i suoi muscoli, il suo cervello, ‎possiede un insieme di energie che deve smaltire. Ciò che mi ripugnava era di sudare sangue e ‎acqua per un salario, cioè di creare ricchezze dalle quali sarei stato sfruttato. In una parola mi ‎ripugnava di consegnarmi alla prostituzione del lavoro. La mendicità è l'avvilimento, la negazione ‎di ogni dignità. Ogni uomo ha il diritto di godere della vita. "Il diritto a vivere non si mendica, si ‎prende".‎

Il furto è la restituzione, la ripresa di possesso. Piuttosto di essere chiuso in un'officina come in una ‎prigione, piuttosto di mendicare ciò a cui avevo diritto, ho preferito insorgere e combattere faccia a ‎faccia i miei nemici, facendo la guerra ai ricchi e attaccando i loro beni. Comprendo che avreste ‎preferito che fossi sottomesso alle vostre leggi, che operaio docile avessi creato ricchezze in cambio ‎di un salario miserabile. E che, il corpo sfruttato e il cervello abbrutito, mi fossi lasciato crepare ‎all'angolo di una strada. In quel caso non mi avreste chiamato "bandito cinico" ma "onesto operaio". ‎Adulandomi mi avreste dato la medaglia al lavoro. I preti promettono un paradiso ai loro fedeli, voi ‎siete meno astratti, promettete loro un pezzo di carta.‎

Vi ringrazio molto di tanta bontà, di tanta gratitudine. Signori! Preferisco essere un cinico cosciente ‎dei suoi diritti che un automa, una cariatide.‎

Dal momento in cui ebbi possesso della mia coscienza mi sono dato al furto senza alcuno scrupolo. ‎Non accetto la vostra pretesa morale che impone il rispetto della proprietà come una virtù, quando i ‎peggiori ladri sono i proprietari stessi.‎

Ritenetevi fortunati che questo pregiudizio ha preso forza nel popolo, in quanto è proprio esso il ‎vostro miglior gendarme. Conoscendo l'impotenza della legge, o per meglio dire, della forza, ne ‎avete fatto il più solido dei vostri protettori. Ma state accorti, ogni cosa finisce. Tutto ciò che è ‎costruito dalla forza e dall'astuzia, l'astuzia e la forza possono demolirlo.‎

Il popolo si evolve continuamente. Istruiti in queste verità, coscienti dei loro diritti, tutti i morti di ‎fame, in una parola tutte le vostre vittime, si armeranno di un "piede di porco" assalendo le vostre ‎case per riprendere le ricchezze che hanno creato e che voi avete rubato. Riflettendo bene, ‎preferiranno correre ogni rischio invece di ingrassarvi gemendo nella miseria. La prigione... i lavori ‎forzati, la prigione... non sono prospettive troppo paurose di fronte ad un'intera vita di ‎abbruttimento, piena di ogni tipo di sofferenze. Il ragazzo che lotta per un pezzo di pane nelle ‎viscere della terra senza mai vedere brillare il sole, può morire da un momento all'altro vittima di ‎un'esplosione di grisou. Il lavoratore che lavora sui tetti, può cadere e ridursi in briciole. Il marinaio ‎conosce il giorno della sua partenza, ignora quando farà ritorno. Numerosi altri operai contraggono ‎malattie fatali nell'esercizio del loro mestiere, si sfibrano, s'avvelenano, s'uccidono nel creare tutto ‎per voi. Fino ai gendarmi, ai poliziotti, alle guardie del corpo, trovano spesso la morte nella lotta ai ‎vostri nemici.‎

Chiusi nel vostro egoismo, restate scettici davanti a questa visione, non è vero? Il popolo ha paura, ‎voi dite. Noi lo governiamo con il terrore della repressione; se grida, lo gettiamo in prigione; se ‎brontola, lo deportiamo, se si agita lo ghigliottiniamo. Cattivo calcolo, Signori credetemi. Le pene ‎che infliggete non sono un rimedio contro gli atti della rivolta. La repressione invece di essere un ‎rimedio, un palliativo, non fa altro che aggravare il male.‎

Le misure coercitive non possono che seminare l'odio e la vendetta. È un ciclo fatale. Del resto, fin ‎da quando avete cominciato a tagliare teste, a popolare le prigioni e i penitenziari, avete forse ‎impedito all'odio di manifestarsi? Rispondete! I fatti dimostrano la vostra impotenza. Per quanto mi ‎riguarda sapevo esattamente che la mia condotta non poteva avere altra conclusione che il ‎penitenziario o la ghigliottina, eppure, come vedete, non è questo che mi ha impedito di agire. Se mi ‎sono dato al furto non è per guadagno o per amore del denaro, ma per una questione di principio, di ‎diritto. Preferisco conservare la mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo, invece di ‎farmi l'artefice della fortuna del mio padrone. In termini più crudi, senza eufemismi, preferisco ‎essere ladro che essere derubato.‎

Certo anch'io condanno il fatto che un uomo s'impadronisca violentemente e con l'astuzia del frutto ‎dell'altrui lavoro. Ma è proprio per questo che ho fatto la guerra ai ricchi, ladri dei beni dei poveri. ‎Anch'io sarei felice di vivere in una società dove ogni furto fosse impossibile. Non approvo il furto, ‎e l'ho impiegato soltanto come mezzo di rivolta per combattere il più iniquo di tutti i furti: la ‎proprietà individuale.‎

Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se esiste il furto è perché ‎‎"tutto" appartiene solamente a "qualcuno". La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno ‎in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti.‎

Anarchico rivoluzionario, ho fatto la mia rivoluzione, L'anarchia verrà!”




Marius Jacob fu graziato nel 1928.‎
A 75 anni, malato, decise di porre fine alla sua esistenza con un’iniezione di morfina, non prima di ‎aver riservato la stessa dolce sorte al suo vecchio ed amato cane Negro.‎
Lasciò una lettera in cui tra l’altro scriveva:‎

“…Ho vissuto un'esperienza piena di avventure e sventure, mi considero ‎soddisfatto del mio destino. Dunque, voglio andarmene senza disperazione il sorriso sulle labbra e ‎la pace nel cuore. Ho vissuto. Adesso posso morire. P.S. Vi lascio qui due litri di vino rosato. ‎Brindate alla vostra salute.”
Un certain soir, étant dans la débine, (1)
Un coup de vague il leur fallut pousser, (2)
Car sans argent on fait bien triste mine ;
Mais de courage ils n’ont jamais manqué.
La condition était fixée d’avance, (3)
Le rigolo eut bientôt cassé tout ; (4)
Du gai plaisir ils avaient l’espérance,
Quand on est pègre on peut passer partout. ‎

Le coffre-fort fut mis dans la roulante, (5)
Par toute l’escorte il fut entouré ;
Chez l’père Clément on lui ouvrit le ventre
D’or et d’fafiots, l’enfant était serré : (6)
Quarante millets (7), telle était cette aubaine ;
Ah ! mes amis, c’était un fier coup !
De la manger ils n’étaient pas en peine,
Quand on est pègre on peut se payer tout. ‎

L’ami Lapatte, qui n’était pas une bête,
Du coffre-fort voulant s’ débarrasser,
Chez l’père Jacob pour l’jour de sa fête,
A son burlingue (8) il voulait l’envoyer.
Tout près d’chez eux en face était la Bièvre,
On l’y plongea, mais voyez quel casse-cou.
Il fut repêché : adieu tous les beaux rêves,
Quand on est pègre on doit penser à tout. ‎

Vive le vin, vive la bonne chère,
Vive la grinche (9), vivent les margotons, (10)
Vivent les cigs (11), vive la blonde bière ;
Amis, buvons à tous les vrais garçons. (12)
Ce temps heureux a fini bien trop vite,
Car aujourd’hui nous v’là dans l’trou, (13)
Nous sommes tous victimes des bourriques, (14)
Quand on est pègre, il faut s’attendre à tout. ‎

Quinze jours après, ces pauvres camarades (15)
Rentrant chez eux par l’arnac (16) furent pincés ;
Ils revenaient de faire une rigolade.
Deux contre dix, comment pouvoir lutter ?
Ils furent vaincus, mais leur rappe (17) porta tout :
Vrais compagnons de la haute Fanandelle, (18)
A mes amis, à vous, gloire éternelle,
Quand on est pègre, le devoir avant tout. ‎

Mes chers amis, j’ai fini leur histoire ;
A la Nouvelle, tous trois, ils partiront,
Mais avant peu, bientôt, j’en ai l’espoir,
Brisant leurs fers, vers nous ils reviendront.
Mort, cent fois mort à toute la police,
Ces lâches bandits sans pitié coffrent tout ;
On les pendra, et ce sera justice,
Car pour les pègres, la vengeance avant tout. ‎
Note da Langue Française (tradotte in italiano ‎da Dead End)‎

‎1) être dans la débine: senza soldi
‎2) leur fallut pousser: bisognava andare a rubare
‎3) La condition était fixée d’avance: il luogo prescelto per il furto era stato ben studiato‎
‎4) Le rigolo eut bientôt cassé tout: la tronchese avrebbe presto fatto il suo lavoro
‎5) roulante: automobile‎
‎6) D’or et d’fafiots, l’enfant était serré: la cassaforte era piena d’oro e banconote
‎7) Quarante millets: quaranta mila franchi
‎8) burlingue: commissariato‎
‎9) grinche: viene tradotto come ballo, ma secondo me l’espressione significa invece “Viva la razza ‎dei ladri!”‎
‎10) margotons: ragazze‎
‎11) cigs: le banconote da 20 franchi
‎12) vrais garçons: i ladri in gamba
‎13) trou: prigione‎
‎14) bourriques: informatori della polizia‎
‎15) ces pauvres camarades: potrebbe trattarsi di uno degli ipotetici autori del brano, Philippe ‎Clément, e di un suo amico e sodale chiamato Quatrelivres
‎16) arnac: la polizia‎
‎17) rappe (o rap): schiena, nel senso che gli arrestati non hanno parlato e si sono fatti carico di tutto‎
‎18) Haute Fanandelle o Haute-pègre: “grinche de la haute-pègre” significa ladro di gran livello, di ‎grande stile, dedito soltanto a furti importanti, complessi e molto remunerativi.‎

envoyé par Dead End - 19/9/2012 - 08:26


Per chi fosse intiressato, la casa editrice libertaria ‎‎Elèuthera ha appena pubblicato la ‎traduzione italiana del libro di Jean-Marc Delpech “Alexandre Jacob, l’honnête cambrioleur”.‎
S’intitola “Rubare per l’Anarchia. Alexandre Marius Jacob, ovvero la singolare guerra di classe di ‎un sovversivo della Belle Époque”‎

Dead End - 19/9/2012 - 08:53


Gianni Sartori - 16/1/2021 - 19:50




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