Fueron las canchas, donde corrí.
El picaporte de la puerta que no abrí.
El miedo a la oscuridad
y un viejo amor por conquistar
Sentada, sola y triste con la cruel verdad,
la mano se hizo amiga de la soledad
Es evidente que el perdón
De los recuerdos se aburrió.
Nadie me esperara, como lo quise ayer.
En las veredas como imagine
si fuese así la eternidad,
yo no quisiera despertar
Tantas caras que tengo olvidar.
No hay palabras, sin ponerse a gritar.
Se rieron de ti, no pudiste dormir
pero tu propia vergüenza
Ya no vives de ti, no supiste morir
por que tu propia tristeza
se incendió
Todos colgados tras del camión
las mismas rejas oxidadas por el sol
El hambre que no conocí
me hizo mucho más feliz
Lavando a mano dentro de un piano
un cura oculto bautizo a mi hermano
Las cicatrices las guarde
por si no fueras a volver
Nadie me esperara, como lo quise ayer.
En las veredas como imagine
si fuese así la eternidad,
yo no quisiera despertar
Tantas caras que tengo olvidar.
No hay palabras, sin ponerse a llorar.
Se rieron de ti, no pudiste dormir
pero tu propia vergüenza
Ya no vives de ti, no supiste morir
por que tu propia tristeza
Se incendió…
El picaporte de la puerta que no abrí.
El miedo a la oscuridad
y un viejo amor por conquistar
Sentada, sola y triste con la cruel verdad,
la mano se hizo amiga de la soledad
Es evidente que el perdón
De los recuerdos se aburrió.
Nadie me esperara, como lo quise ayer.
En las veredas como imagine
si fuese así la eternidad,
yo no quisiera despertar
Tantas caras que tengo olvidar.
No hay palabras, sin ponerse a gritar.
Se rieron de ti, no pudiste dormir
pero tu propia vergüenza
Ya no vives de ti, no supiste morir
por que tu propia tristeza
se incendió
Todos colgados tras del camión
las mismas rejas oxidadas por el sol
El hambre que no conocí
me hizo mucho más feliz
Lavando a mano dentro de un piano
un cura oculto bautizo a mi hermano
Las cicatrices las guarde
por si no fueras a volver
Nadie me esperara, como lo quise ayer.
En las veredas como imagine
si fuese así la eternidad,
yo no quisiera despertar
Tantas caras que tengo olvidar.
No hay palabras, sin ponerse a llorar.
Se rieron de ti, no pudiste dormir
pero tu propia vergüenza
Ya no vives de ti, no supiste morir
por que tu propia tristeza
Se incendió…
Contributed by Dead End - 2012/8/16 - 10:10
Sempre a proposito dell'ILVA di Taranto, mentre molti operai continuano da giorni con i blocchi stradali per protestare contro la minacciata chiusura degli impianti per l'inquinamento provocato, la questura ha vietato il corteo di chi invece voleva manifestare contro 50 anni di avvelenamento del territorio e della sua gente...
Dead End - 2012/8/17 - 09:51
E’ morto Angelo di Carlo, 54 anni, l’operaio disoccupato che di è dato fuoco davanti a Montecitorio l’11 agosto scorso.
PRIMAVERE ARABE E AUTUNNI ITALIANI. IN MORTE DI ANGELO DI CARLO
di Sergio Segio
(da Vita.it)
Parafrasando un Grande Timoniere del secolo scorso si potrebbe dire che ci sono vite leggere come piume che talvolta possono divenire morti pesanti come montagne.
La vita di Angelo Di Carlo certo è stata leggera e difficile. Leggera, perché come tutti i precari e i senza lavoro non contava assolutamente nulla in una società ripiegata senza scampo sul disvalore del denaro e sulla dittatura del consumo. La massima dei giovani antagonisti «Lavora, consuma, crepa», andrebbe attualizzata in: «non lavori, non consumi, crepi».
Una vita difficile per lo stesso motivo: perché, come ha avuto modo di bestemmiare l’attuale ministro del Lavoro (sic!) Elsa Fornero, il lavoro non è un diritto, a dispetto delle utopie sovversive dei Padri costituenti. E senza un diritto fondamentale come quello, vivere diventa fatica, perdita di identità e di riferimento, oltre che di reddito; una fatica che può rendere possibile persino scegliere di sacrificare la propria vita.
Angelo Di Carlo ha scelto un modo terribile e simbolicamente potente per farlo: l’11 agosto si è dato fuoco a Roma, davanti a Montecitorio, il luogo del potere politico e delle scelte che decidono condizioni e destino di tutti i cittadini. Dopo una dolorosa agonia, ieri Angelo è deceduto.
Dicono le scarne cronache che il figlio erediterà i 160 euro che costituivano il patrimonio di questo cinquantaquattrenne ex operaio specializzato di Forlì, che aveva perso il lavoro all’inizio dell’estate. Una vittima della crisi, ma anche delle non risposte alla crisi.
Sempre ieri il presidente del consiglio Mario Monti, dal Meeting di Rimini, si è detto ottimista e ha affermato di intravedere l’uscita dalle turbolenze e problematicità dell’economia. Come sempre, i grandi scenari non si curano dei dettagli e i grandi uomini sono inconsapevoli delle sofferenze dei piccoli. Non risulta dunque che il premier Monti abbia commentato la morte del disoccupato Angelo Di Carlo, né che questa lo abbia reso un po’ meno ottimista nel giudizio sulla situazione italiana.
Il suo ministro del Lavoro Fornero, invece, nella stessa giornata ha dovuto – per competenza, si immagina – esternare al riguardo. Esternare si fa per dire, dato che si è trattato di un non-commento: «È una cosa molto triste, non ci sono parole», ha lapidariamente dichiarato alla stampa.
Invece, di parole potrebbero e dovrebbero essercene moltissime. Magari non solo di cordoglio ma anche di resipiscenza.
Angelo Di Carlo, detto “Sgargiante”, era un lavoratore impegnato. A Forlì coltivava interessi politici nelle Liste civiche e nei gruppi di base faceva parte dell’associazione ambientalista Clan-Destino. La sua vicepresidente, Michela Nanni, ha commentato la morte di Angelo auspicando che, almeno, «smuova le coscienze, soprattutto dei politici».
È facile prevedere che non sarà così, che la sua morte sarà una montagna che partorirà il topolino della disattenzione politica e mediatica e della perseveranza nell’ingiustizia sociale; quella stessa che caratterizza i provvedimenti legislativi economici e in materia di lavoro del governo Monti.
La morte di Angelo somiglia, come in una fratellanza del dolore, a quella, dimenticata, di Noureddine Adnane che, come tanti, aveva lasciato il Marocco per approdare a Palermo. Alla speranza di un futuro aveva sacrificato anche il suo nome: nel suo mestiere di ambulante era infatti diventato “Franco”. Per tutti, tranne che per quei vigili urbani che al suo nome vero intestavano continue e vessatorie contravvenzioni, nonostante Noureddine avesse permesso di soggiorno e licenza di commercio. Il 10 febbraio 2011, di fronte ai vigili (uno dei quali, militante di Forza Nuova, si faceva chiamare Bruce Lee e aveva una svastica tatuata sul braccio) che volevano sequestrargli la merce, Noureddine si è cosparso di benzina e si è dato fuoco. Come Angelo, è morto dopo giorni di atroci sofferenze.
Anche Mohamed Bouazizi è morto bruciato vivo, pure a lui i poliziotti volevano sequestrare la povera merce che tentava di vendere. Faceva lo stesso lavoro di Noureddine ma aveva scelto di rimanere al suo paese, la Tunisia. Si è dato fuoco il 17 dicembre 2010 e ha agonizzato sino al 4 gennaio 2011.
Tre vite leggere come piume. Tre morti pesanti come montagne.
La protesta estrema di Mohamed è stata il detonatore della primavera insurrezionale tunisina. Quella di Noureddine è stata accompagnata solo da qualche editoriale. Quella di Angelo provocherà forse qualche lacrima di coccodrillo alla Camera dei deputati, alla ripresa settembrina. Purché ci siano le telecamere a riprendere. Diversamente, non ci saranno neppure quelle.
PRIMAVERE ARABE E AUTUNNI ITALIANI. IN MORTE DI ANGELO DI CARLO
di Sergio Segio
(da Vita.it)
Parafrasando un Grande Timoniere del secolo scorso si potrebbe dire che ci sono vite leggere come piume che talvolta possono divenire morti pesanti come montagne.
La vita di Angelo Di Carlo certo è stata leggera e difficile. Leggera, perché come tutti i precari e i senza lavoro non contava assolutamente nulla in una società ripiegata senza scampo sul disvalore del denaro e sulla dittatura del consumo. La massima dei giovani antagonisti «Lavora, consuma, crepa», andrebbe attualizzata in: «non lavori, non consumi, crepi».
Una vita difficile per lo stesso motivo: perché, come ha avuto modo di bestemmiare l’attuale ministro del Lavoro (sic!) Elsa Fornero, il lavoro non è un diritto, a dispetto delle utopie sovversive dei Padri costituenti. E senza un diritto fondamentale come quello, vivere diventa fatica, perdita di identità e di riferimento, oltre che di reddito; una fatica che può rendere possibile persino scegliere di sacrificare la propria vita.
Angelo Di Carlo ha scelto un modo terribile e simbolicamente potente per farlo: l’11 agosto si è dato fuoco a Roma, davanti a Montecitorio, il luogo del potere politico e delle scelte che decidono condizioni e destino di tutti i cittadini. Dopo una dolorosa agonia, ieri Angelo è deceduto.
Dicono le scarne cronache che il figlio erediterà i 160 euro che costituivano il patrimonio di questo cinquantaquattrenne ex operaio specializzato di Forlì, che aveva perso il lavoro all’inizio dell’estate. Una vittima della crisi, ma anche delle non risposte alla crisi.
Sempre ieri il presidente del consiglio Mario Monti, dal Meeting di Rimini, si è detto ottimista e ha affermato di intravedere l’uscita dalle turbolenze e problematicità dell’economia. Come sempre, i grandi scenari non si curano dei dettagli e i grandi uomini sono inconsapevoli delle sofferenze dei piccoli. Non risulta dunque che il premier Monti abbia commentato la morte del disoccupato Angelo Di Carlo, né che questa lo abbia reso un po’ meno ottimista nel giudizio sulla situazione italiana.
Il suo ministro del Lavoro Fornero, invece, nella stessa giornata ha dovuto – per competenza, si immagina – esternare al riguardo. Esternare si fa per dire, dato che si è trattato di un non-commento: «È una cosa molto triste, non ci sono parole», ha lapidariamente dichiarato alla stampa.
Invece, di parole potrebbero e dovrebbero essercene moltissime. Magari non solo di cordoglio ma anche di resipiscenza.
Angelo Di Carlo, detto “Sgargiante”, era un lavoratore impegnato. A Forlì coltivava interessi politici nelle Liste civiche e nei gruppi di base faceva parte dell’associazione ambientalista Clan-Destino. La sua vicepresidente, Michela Nanni, ha commentato la morte di Angelo auspicando che, almeno, «smuova le coscienze, soprattutto dei politici».
È facile prevedere che non sarà così, che la sua morte sarà una montagna che partorirà il topolino della disattenzione politica e mediatica e della perseveranza nell’ingiustizia sociale; quella stessa che caratterizza i provvedimenti legislativi economici e in materia di lavoro del governo Monti.
La morte di Angelo somiglia, come in una fratellanza del dolore, a quella, dimenticata, di Noureddine Adnane che, come tanti, aveva lasciato il Marocco per approdare a Palermo. Alla speranza di un futuro aveva sacrificato anche il suo nome: nel suo mestiere di ambulante era infatti diventato “Franco”. Per tutti, tranne che per quei vigili urbani che al suo nome vero intestavano continue e vessatorie contravvenzioni, nonostante Noureddine avesse permesso di soggiorno e licenza di commercio. Il 10 febbraio 2011, di fronte ai vigili (uno dei quali, militante di Forza Nuova, si faceva chiamare Bruce Lee e aveva una svastica tatuata sul braccio) che volevano sequestrargli la merce, Noureddine si è cosparso di benzina e si è dato fuoco. Come Angelo, è morto dopo giorni di atroci sofferenze.
Anche Mohamed Bouazizi è morto bruciato vivo, pure a lui i poliziotti volevano sequestrare la povera merce che tentava di vendere. Faceva lo stesso lavoro di Noureddine ma aveva scelto di rimanere al suo paese, la Tunisia. Si è dato fuoco il 17 dicembre 2010 e ha agonizzato sino al 4 gennaio 2011.
Tre vite leggere come piume. Tre morti pesanti come montagne.
La protesta estrema di Mohamed è stata il detonatore della primavera insurrezionale tunisina. Quella di Noureddine è stata accompagnata solo da qualche editoriale. Quella di Angelo provocherà forse qualche lacrima di coccodrillo alla Camera dei deputati, alla ripresa settembrina. Purché ci siano le telecamere a riprendere. Diversamente, non ci saranno neppure quelle.
Dead End - 2012/8/20 - 11:00
Mezzo secolo di vita ed una sofferenza silenziosa e disperata liquidati così, con due righe in cronaca il giorno dopo…
TORINO. SI UCCIDE DANDOSI FUOCO PERCHÉ HA PERSO IL LAVORO
Un quarantottenne si è dato fuoco ieri pomeriggio, la polizia ha trovato prima la sua automobile, poi nella sua abitazione un biglietto in cui spiegava le ragioni del gesto
da La Repubblica del 20 agosto 2012.
Un uomo di 48 anni si è dato fuoco in un campo alla periferia di Torino perché - ha spiegato in un biglietto, trovato dalla polizia nella sua abitazione - aveva perso il lavoro e non riusciva a trovarne un altro.
Del fatto, avvenuto ieri pomeriggio, si è avuta notizia stamani. Vicino al corpo dell'uomo, che viveva da solo a Torino, gli agenti hanno trovato una bottiglia di liquido infiammabile. A breve distanza, la sua auto, che ha permesso agli agenti di identificarlo.
Un quarantottenne si è dato fuoco ieri pomeriggio, la polizia ha trovato prima la sua automobile, poi nella sua abitazione un biglietto in cui spiegava le ragioni del gesto
da La Repubblica del 20 agosto 2012.
Un uomo di 48 anni si è dato fuoco in un campo alla periferia di Torino perché - ha spiegato in un biglietto, trovato dalla polizia nella sua abitazione - aveva perso il lavoro e non riusciva a trovarne un altro.
Del fatto, avvenuto ieri pomeriggio, si è avuta notizia stamani. Vicino al corpo dell'uomo, che viveva da solo a Torino, gli agenti hanno trovato una bottiglia di liquido infiammabile. A breve distanza, la sua auto, che ha permesso agli agenti di identificarlo.
Mezzo secolo di vita ed una sofferenza silenziosa e disperata liquidati così, con due righe in cronaca il giorno dopo…
Dead End - 2012/8/20 - 12:49
Ora invece quello stesso si sarebbe dato fuoco perchè schiacciato dai debiti di gioco... Poco importa, tanto oggi avere un lavoro è un terno al Lotto, per cui non c'è nessuna differenza...
Dead End - 2012/8/20 - 21:05
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Note for non-Italian users: Sorry, though the interface of this website is translated into English, most commentaries and biographies are in Italian and/or in other languages like French, German, Spanish, Russian etc.
Album “Canción de lejos”
Los Bunkers
Eppure la ballabile canzoncina racconta di una tragica vicenda di lavoro e di morte…
Seveso, Porto Marghera, la T.A.V. in Val si Susa, l’amianto che uccide a Casale Monferrato e in tante altre parti d’Italia, l’ItalSider di Bagnoli e l’ILVA di Taranto, oggi su tutti i giornali per l’inconciliabilità totale tra lavoro e salute e per le intercettazioni in cui i suoi dirigenti elargivano mazzette e falsificavano i dati per ottenere le certificazioni ambientali…
Ciò che è accaduto e continua ad accadere in Italia (uno dei tanti frutti avvelenati della Guerra dei 100.000 anni che i ricchi fanno ai poveri, i padroni ai lavoratori) è accaduto e continua ad accadere in ogni angolo della terra, anche in Cile…
Eduardo Segundo Miño Pérez, classe 1951, era un militante comunista ed ex operaio dell’industria Pizarreño che produceva materiali per l’edilizia, in particolare per la copertura dei tetti, per i rivestimenti e le coibentazioni… Inutile dire che per decenni, fino agli anni 90, molti di quei materiali erano a base di amianto… Centinaia di lavoratori della Pizarreño si ammalarono di mesotelioma ed asbestosi… Nonostante si fossero costituiti nell’Asociación Chilena de Víctimas del Asbesto, le loro istanze volte alla condanna dei dirigenti, al riconoscimento della malattia professionale e al risarcimento dei danni restarono inascoltate…
Il 1 dicembre 2001, davanti al palazzo de La Moneda, mentre era in corso una riunione ad alto livello sul tema dell’AIDS, presenti il ministro della salute e la presidente Bachelet, Eduardo Miño consegnò una lettera ai compagni dell’Associazione lì riuniti per manifestare per i propri diritti negati, si inflisse una ferita all’addome e poi si cosparse di liquido infiammabile, dandosi fuoco.
Morì poco dopo il ricovero a causa delle ustioni di terzo grado sul 70% del corpo.
La lettera di Eduardo Miño così recitava:
Mi nombre es Eduardo Miño Pérez, carné de identidad 6.449.449-K de Santiago. Militante del Partido Comunista. Soy miembro de la Asociación Chilena de Víctimas del Asbesto. Esta agrupación reúne a más de quinientas personas que están enfermas y muriéndose de asbestosis, participan las viudas de los obreros de la industria Pizarreño, las esposas y los hijos que también están enfermos, solamente por vivir en la población aledaña a la industria.
Ya han muerto más de 300 personas de mesotelioma pleural, que es el cáncer producido por aspirar asbesto. Hago esta suprema protesta denunciando:
1.- A la industria Pizarreño y su holding internacional, por no haber protegido a sus trabajadores y sus familias del veneno del asbesto.
2.- A la Mutual de Seguridad por maltratar a los trabajadores, enfermos y engañarlos en contra de su salud.
3.- A los médicos de la Mutual por ponerse de parte de la empresa Pizarreño y mentirle a los trabajadores no declarándoles su enfermedad.
4.- A los organismos de Gobierno por no ejercer su responsabilidad fiscalizadora y no ayudar a las víctimas. Esta forma de protesta, última y terrible, la hago en plena condición física y mental como una forma de dejar en la conciencia de los culpables el peso de sus culpas criminales. Esta inmolación digna y consecuente la hago extensiva también contra: Los grandes empresarios que son culpables del drama de la cesantía, que se traduce en impotencia, hambre y desesperación para miles de chilenos. Contra la guerra imperialista que masacra a miles de civiles pobres e inocentes para incrementar las ganancias de la industria armamentista y crear la dictadura global. Contra la globalización imperialista hegemonizada por Estados Unidos. Contra el ataque prepotente, artero y cobarde contra la sede del Partido Comunista (PC) de Chile. Mi alma que desborda humanidad ya no soporta tanta injusticia.”
Eduardo Miño
“Nos inspiramos en él. El caso concreto de Eduardo Miño fue la inspiración para hacer el tema, pero el tema abarca un poco más del hecho puntual de él, tiene más que ver con la desesperanza de la gente (...) y las motivaciones eran, por otro lado, poner el tema en la mesa; nosotros encontramos que, bueno por algunos medios más que otros, se dio la noticia por ejemplo y después se olvida muy rápido” (da un’intervista a Mauricio Durán de Los Bunkers)
Los Bunkers in questa canzone volevano mettere soprattutto l’accento sul fatto che il tragico suicidio dimostrativo (non a caso in spagnolo si dice “quemarse a lo bonzo”) di Eduardo Miño fu passato sotto silenzio dai mezzi d’informazione, esattamente quello che pure da noi oggi capita in relazione alla schifosa vicenda dell’ILVA di Taranto… Per fare solo un esempio, stamattina al GR1 la speaker ha annunciato un servizio in cui sarebbe stato intervistato un operaio – con tanto di nome e cognome - che lavorando per anni all’ILVA ha contratto qualche brutta patologia… Poi nel servizio di quella testimonianza non c’era alcuna traccia…Già, Il lavoro rende liberi…