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Ο ξεριζωμός

Nikos Xylouris / Νίκος Ξυλούρης
Langue: grec moderne


Nikos Xylouris / Νίκος Ξυλούρης

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(anonyme)
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(Nikos Xylouris / Νίκος Ξυλούρης)
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(Nikos Xylouris / Νίκος Ξυλούρης)


xlfO xerizomós
[1973]
Στίχοι: Ιάκωβος Καμπανέλλης
Μουσική: Σταύρος Ξαρχάκος
Ερμηνεία: Νίκος Ξυλούρης, Τζένη Καρέζη
Από Το μεγάλο μας τσίρκο
Testo di Iakovos Kambanellis
Musica di Stavros Xarchakos
Interpreti: Nikos Xylouris e Jenny Karezi

Dal musical "Il nostro grande circo"

megalomas

Στο «Μεγάλο μας τσίρκο» ο συγγραφέας Ιάκωβος Καμπανέλλης κατέγραψε όλη την ιστορία της νεότερης Ελλάδας, ενώ ο Σταύρος Ξαρχάκος προσέθεσε τη μελοποίηση και ο Νίκος Ξυλούρης συνέβαλε με τη μοναδική ερμηνεία του.
Το έργο ανέβηκε το 1973 από το θίασο της Τζένης Καρέζη και του Κώστα Καζάκου στο θέατρο «Αθήναιον». Εκτός από τον Νίκο Ξυλούρη, τα τραγούδια του Σταύρου Ξαρχάκου απέδιδαν και τα μέλη του θιάσου.
Πρωταγωνιστικούς ρόλους είχαν οι Διονύσης Παπαγιαννόπουλος, Στέλιος Κωνσταντόπουλος, Νίκος Κούρος, Τίμος Περλέγκας.
Μαζί τους τραγουδούσαν και όλοι οι θεατές: «Φίλοι και αδέρφια» (Ν. Ξυλούρης, Τ. Περλέγκας), «Καλήν εσπέραν», «Τ' Ανάπλι», (Νίκος Ξυλούρης), «3η Σεπτεμβρίου» (Καζάκος - Καρέζη), το περίφημο «Προσκύνημα» με τον Νίκο Δημητράτο κ.ά.

Nel “Nostro grande circo”, lo scrittore Iakovos Kambanellis descrisse tutta la storia della Grecia moderna, mentre Stavros Xarchakos compose la musica e Nikos Xylouris ne fu l'unico interprete.
L'opera fu messa in scena nello stesso 1973 dalla compagnia di Jenny Karezi e Kostas Kazakos, al teatro “Athinaion”. Oltre che da Nikos Xylouris, le canzoni di Stavros Xarchakos furono eseguite dai membri del coro.
Ruoli da protagonisti ebbero Dionysis Papagiannopoulos, Stelios Konstandopoulos, Nikos Kouros e Timos Perlengas.
Assieme a loro, tutti gli spettatori furono chiamati a cantare Φίλοι και αδέρφια (Xylouris-Perlengas), Καλήν εσπέραν αφεντάδες, T' Ανάπλι (Xylouris), [[|3η Σεπτεμβρίου]] (Kazakos-Karezi), il celebre Προσκύνημα con Nikos Dimitratos e altre canzoni.
Le canzoni erano intervallate da brani di prosa recitata. [RV]


Si potrebbe definire questa canzone, che è l'ultima in musica del “Grande Circo”, come un vero e proprio trattato sulla guerra greco-turca del 1919-1922, sulla Καταστροφή che portò, appunto, allo sradicamento (ξεριζωμός) della grecità dall'intera Asia Minore; ed era una grecità millenaria e importante quanto quella dell'Ellade propriamente detta. Uno sradicamento frutto di un cieco nazionalismo militarista (la Μεγάλη Ιδέα che di μεγάλη aveva soltanto la stupidità) e della risposta basata su altrettanto nazionalismo. Il risultato fu l'espulsione e il massacro reciproco; il risultato fu la fine di un'armonia che durava da secoli interi. E si capisce bene come mai Το μεγάλο μασ τσίρκο provocò la reazione scomposta del regime dei Colonnelli: questa canzone non è “nazionalista”, parla sì dei massacri e delle espulsioni patiti dai greci ad opera dei turchi, ma anche dei massacri e delle espulsioni dei turchi ad opera dei greci. Non tace niente. In un periodo in cui nuovamente stava montando la questione cipriota, l' ένωσις tanto agognata dai nazionalisti greci che avrebbe di lì a poco portato all'ennesima catastrofe ed alla fine vergognosa del regime militare, affrontare tutta la questione parlando della sua genesi storica era intollerabile, una vera e propria (e serissima) messa alla berlina di tutte le mitologie “nazionali” con cui i fascisti in divisa stavano, per l'ennesima volta, portando la Grecia alla rovina. [RV]
Μαρμαρωμένε βασιλιά, τι όνειρο, τι παγανιά
ο τάφος σου άδειος και σε μια γωνιά
μια χούφτα λόγια, αδιάβαστα χαρτιά.
Μαρμαρωμένε βασιλιά τι όνειρο, τι παγανιά
αντί για σε αναστήθηκε η Τουρκιά η Πόλη πάει
και η Σμύρνη στη φωτιά, διπλοχαμένη Αγιά Σοφιά
στερνή φωνή στην ερημιά την Προύσσα καίνε
και στο Αϊβαλί σταυρός αγκάθι ξύδι και χολή.
Χαμένη γη και προσφυγιά τα πόδια εδώ, αλλού η καρδιά
κομμάτια μου ψάχνω να βρω να κάνω ρίζα να ξανασταθώ
και να φωνάξω με φωνή που να ματώσουν οι ουρανοί
όλοι μας σφάζαν και μας πνίγανε μαζί,
Εγγλέζοι, Γάλλοι κι Αμερικανοί.

Μαρμαρωμένε βασιλιά, τι όνειρο τι παγανιά
μες του πετρέλαιου τη δροσοσπηλιά
να σ' αναστήσω ήρθα μ' όνειρα παλιά
πέτρινε πεθαμένε βασιλιά.

Κατακαημένο Αϊβαλί και παινεμένο Αϊδίνι
χαροκαμένο Εσκή Σεχήρ αρχοντοπούλα Σμύρνη.
Κλάψτε για το Καραχισάρ και για τα Μοσχονήσια,
δουλεύει ο Χάρος στα Βουρλά κι ο θάνατος στην Προύσσα.
Από πού παν στο Κασαμπά στην Πάρσα και στ' Αξάρι
δεν πάνε πια στην Αμισσό στο Ακχισάρ ή στο Αξάρι.

envoyé par Riccardo Venturi - Ελληνικό τμήμα των ΑΠΤ - 29/6/2012 - 09:20



Langue: italien

Traduzione italiana di Riccardo Venturi
29 giugno 2012

LO SRADICAMENTO

Re pietrificato, ma quale sogno, quale tranello,
il tuo sepolcro è vuoto, e in un angolo
una manciata di parole, libri non letti.
Re pietrificato, ma quale sogno, quale tranello
al posto tuo è risorta la Turchia, la Città 1 e Smirne
sono in fiamme, Santa Sofia due volte persa,
bruciano Prusa 2, ultima voce nel deserto,
e a Aivalì 3 croce, spina, aceto e bile.
Terra perduta, profughi i piedi qui, il cuore è altrove,
cerco i miei pezzi, di metter radice, di rialzarmi
e di gridar con una voce che i cieli faccian sanguinare.
Tutti noi massacravamo; e insieme ci strangolavano,
inglesi, francesi e americani.

Re pietrificato, ma quale sogno, quale tranello!
Dentro la grotta, bagnata di petrolio,
son venuto a risuscitarti con antichi sogni,
o morto re di pietra.

Aivalì tutta bruciata, Aidinio 4 ricca di lodi,
Eskişehir 5 perseguitata dalla morte, Smirne principesca.
Piangete per Karahisar 6 e per le Moschonisia, 7
lavorano Caronte a Urla 8 e la morte a Prusa,
da dove vanno a Cassabà 9, a Parsa 10 e a Thyatira 11,
non vanno più a Amissòs 12, a Akhisar 13 o a Thyatira.
Note alla traduzione

[1] La “Città” (η Πόλις, o η Πόλη) per eccellenza è, nel mondo greco, Costaninopoli (Bisanzio, İstanbul). Lo stesso nome turco attuale della Città è comunque derivato dal greco, sia che lo si voglia per estrema corruzione da Κωνσταντινούπολις, sia (come appare più probabile), dall'espressione εἰς τὴν Πόλιν “verso la citta, nella città” (moto a luogo).

[2] Prusa (gr. Προύσα, o Προύσσα) è la citta turca di Bursa, una delle maggiori del paese (attualmente la quarta in assoluto, con quasi due milioni di abitanti). Situata presso il Mar di Marmara, alle pendici del monte Uludağ, o Olimpo della Misia (2543 m), sorge sul luogo dell'antichissima Cio (Κίος), che Filippo V di Macedonia concesse nel 202 a.C. al re di Bitinia Prusia I per il suo aiuto contro Pergamo; da qui il nome che ancora adesso reca. La popolazione ellenica, che vi viveva da sempre, fu espulsa come da tutti i centri dell'Asia Minore nel 1922. Fu patria del celebre oratore e filosofo Dione Crisostomo, detto anche Dione di Prusa. Nonostante le origini e l'importante cultura greca, Prusa fece parte sin da tempi antichi dell'Impero Ottomano, di cui fu la prima capitale. Per la sua particolare situazione geografica, Prusa sperimenta tra i climi più estremi della Turchia: in febbraio si può arrivare facilmente a -15°/-20°, mentre in luglio e agosto si arriva altrettanto facilmente a +45°.

Bursa (Prusa)
Bursa (Prusa)


[3] Per Aivalì (gr. Αϊβαλί), vale a dire l'odierna città turca di Ayvalık, si veda anche Χίλια μύρια κύματα. La città, situata sulla costa micrasiatica esattamente di fronte all'isola greca di Lesbo, era stata originariamente popolata proprio da lesbioti; recava il nome tradizionale di Κυδωνίες (o Κυδωνίαι in katharevousa), in riferimento ai meli cotogni che crescono in abbondanza nella zona. Il nome turco, poi usato generalmente anche in greco, ne è la traduzione: ayva significa infatti pure “mela cotogna” in lingua turca. Non lontano dalla città, che conta oggi circa 36.000 abitanti, sorgeva l'antica Pergamo, di cui oggi sono presenti importanti resti archeologici. Fino al 1922, Aivalì (i cui abitanti avevano contribuito economicamente alla guerra d'Indipendenza) era stata popolata quasi esclusivamente da greci, che godevano di una pressoché totale indipendenza all'interno dell'Impero Ottomano; tale situazione si faceva risalire ad un episodio accaduto nel luglio 1770, quando l'ammiraglio turco Cezayirli Gazi Hasan Paşa vi si era rifugiato con due navi dopo la disastrosa sconfitta patita contro la flotta russa nella battaglia di Çeşme (5-7 luglio 1770). L'ammiraglio era stato ospitato e salvato da un prete greco ortodosso, che ignorava chi fosse il suo ospite; quest'ultimo, una volta divenuto Gran Visir, mostrò riconoscenza verso gli aivalioti concedendo loro una virtuale indipendenza. La città fu occupata dall'esercito greco il 29 maggio 1919; il 15 settembre 1922 fu ripresa dalle forze turche comandate da Mustafa Kemal Atatürk in persona. Ne seguirono violenze sulla popolazione greca e armena; nello “scambio di popolazioni” che ne seguì, i greci, dopo secoli, abbandonarono Aivalì per mare. Si dice comunque che, ancora fino a non molti anni fa, per i vicoli di Aivalì si sentisse ancora parlare il greco; e la parte storica della città conserva ancora l'impronta architettonica ellenica.

Ayvalık (Aivalì) oggi.
Ayvalık (Aivalì) oggi.


[4] E' l'odierna città turca di Aydın, che conta circa 180.000 abitanti ed è il più importante centro della valle del fiume Meandro (Μαίανδρος in greco, Büyük Menderes in turco). Nell'antichità era nota come Antea o Evanzia (Ανθέα, Ευανθία), “la (ben) fiorita”, oppure anche come Seleucia sul Meandro (Σελεύκεια επί του Μαιάνδρου) o Erynina (Ερυνίνα); in epoca bizantina recò infine il nome di Trallis (Τράλλεις). La forma greca attuale, diversa da quella espressa nella canzone, è Αϊδίνιo. Aidinio fu presa dall'esercito greco il 14 maggio 1919; all'epoca la città aveva circa 35.000 abitanti, di cui ottomila erano greci. Tra i più famosi aidinioti greci ricordiamo la celebre fotografa Elli Souyoultzoglou-Seraidari, più nota come Nelly, collaboratrice del regime di Metaxas e amica di Leni Riefenstahl; di Nelly si ricordano parecchie foto che ritraggono i profughi greci micrasiatici dopo la Catastrofe del 1922.

Profughi greci, 1922. Fotografia di Nelly.
Profughi greci, 1922. Fotografia di Nelly.


Curiosamente, di Aydın era nativo anche il primo ministro turco Adnan Menderes, che nel suo cognome recava il nome del fiume Meandro (si pronuncia menderès), che fu deposto da un colpo di stato militare e impiccato il 17 settembre 1961. Tra i capi d'accusa che lo portarono a morte, ci fu anche quello di essere stato tra gli organizzatori del Pogrom di Istanbul del 6-7 settembre 1955, rivolto contro la comunità greca della città; vi furono saccheggi, distruzioni e sedici morti fra greci (e armeni). Sono i famosi Σεμπτεμβριανά "fatti di settembre" che accelerarono l'emigrazione dei greci di Costantinopoli: nel 1955 erano ancora circa 100.000, nel 2006 non ne rimanevano che 2500. Del pogrom, orchestrato da Menderes, dal suo "Partito Democratico" e dalle forze di polizia, fu in un primo momento accusato il Partito Comunista Turco (con decine di arresti); pretesto per l'attacco era stata la falsa notizia, pubblicata da alcuni giornali, che un attentato dinamitardo aveva distrutto la casa natale di Atatürk a Salonicco.

[5] Non è chiaro perché la città di Eskişehir (nome che corrisponde, grosso modo, a Civitavecchia) sia nominata nella canzone come “perseguitata dalla morte”; forse perché alla sua provincia anatolica appartenevano molte località storicamente greche e abitate da greci. Attualmente, Eskişehir è, coi suoi quasi 800.000 abitanti, l'ottava città della Turchia e non ha mai ospitato una significativa comunità ellenica sebbene la sua antica storia rientri in parte nella grecità (era già nota nel IV secolo a.C. come Δορύλαιον, lat. Dorylaeum, dedicata al mitico Dorilao -“popolo con la lancia”-, discendente di Ercole). La città sorge sulle rive del fiume Tembrio, o Porsuk, che forma la valle della Frigia; e frigia dev'essere senz'altro la sua antichissima origine, attorno al 1000 a.C.

[6] Si tratta dell'attuale città turca di Afyonkarahisar, situata nell'entroterra micrasiatico sulle rive del fiume Akarçay. Sorge ad un'altitudine di 1021 m ed ha circa 173.000 abitanti. Afyonkarahisar ha un'origine antichissima: era già nota agli Ittiti come fortezza, con il nome di Hapanuwa. Fu poi sotto dominazione frigia, lidia e persiana, fino alla conquista da parte di Alessandro Magno, che la ribattezzò Ακροϊνόν (Akroinòn), indubbiamente per la sua elevata altitudine. Nel 740 d.C., l'imperatore Bizantino Leone III la ribattezzò Nicopoli (Νικόπολις) “città della vittoria” per celebrare la vittoria sugli Arabi che la avevano assediata. Restò bizantina fino al 1071, quando fu conquistata dai Turchi Selgiuchidi. A causa dell'antichissima fortezza, che sorge oltre 200 m più in alto dell'abitato, la città fu chiamata Kara Hisar, vale a dire “castello nero” in turco (la fortezza sorge su uno sperone di roccia nera, probabilmente di origine basaltica). La città e la fortezza furono assai contese durante le Crociate; fu conquistata alla fine dal sultano Bayâzid I nel 1392, ma immediatamente ripersa ad opera delle orde mongole di Timur Lenk (Tamerlano). Fu definitivamente riconquistata dagli Ottomani solo nel 1428. Nel frattempo, per certe coltivazioni che prosperavano nella zona, alla sua denominazione si aggiunse quella di Afyon, che significa “oppio” (la parola turca deriva del resto direttamente dal greco ὄπιον, mentre il greco moderno usa comunemente il “cavallo di ritorno” turco: αφιώνι). Col tempo, la denominazione di Afyon prevalse, anche se la denominazione completa rimaneva Afyon Kara Hisar, ovvero: “castello nero dell'oppio”. Soltanto nel 2004 la ha ripresa nella forma completa ufficiale, senza suddivisione delle parole: adesso è Afyonkarahisar. Poiché si sarà capito che la città non era celebre e prospera per la produzione di cavoli verzotti, va detto che in epoca Ottomana divenne il consueto miscuglio di mercanti turchi, greci e armeni, che vi vivevano in perfetta armonia (l'impero Ottomano era in realtà assai tollerante con le varie etnie, sempre che non mettessero in discussione l'autorità imperiale). Durante la 1a guerra mondiale vi furono “ospitati” i prigionieri britannici (australiani e neozelandesi) catturati nella battaglia di Gallipoli; cosicché Afyonkarahisar è anche nella storia di quei due lontanissimi paesi. Durante la guerra greco-turca del 1919-1922, la città fu occupata prima dalle truppe francesi e italiane, e infine da quelle greche. Fu riconquistata dai turchi il 27 agosto 1922, ed è facile immaginare che fine abbia fatto la popolazione greca che vi viveva, letteralmente, da un paio di millenni; solo per dare un'ennesima idea di quale bella idea sia stata la Μεγάλη Ιδέα nazionalista che ha portato, appunto, allo ξεριζωμός argomento di questa canzone.

La città di Afyonkarahisar. In primo piano, a sinistra, la "roccia nera" con l'antichissima fortezza già nota agli Ittiti.
La città di Afyonkarahisar. In primo piano, a sinistra, la "roccia nera" con l'antichissima fortezza già nota agli Ittiti.


[7] Le isole Moschonìsia (Μοσχονήσια “isole fragranti”), note adesso come Isole Cunda o Arcipelago di Ayvalık), sono un arcipelago di parecchie isolette situate nel canale di Lesbo, tra quest'ultima isola e la città di Aivalì (v. Nota 3). Attualmente sono un parco naturale protetto; la denominazione ufficiale turca è Ayvalık adaları. Soltanto due delle circa trenta isole, vale a dire Moschonisi (Μοσχονήσι, in turco Cunda) e Cromido (Κρόμιδο, in turco Lale) sono abitate; particolarmente la prima, la più estesa (23 km2), era abitata fino al 1922 da una popolazione quasi interamente greca (lesbiota) di circa 14.000 persone. Contrariamente alla popolazione greca aivaliota, che fu espulsa, quella di Moschonisi fu massacrata, non essendo riuscita a fuggire a Lesbo per mare. Attualmente restano a Moschonisi/Cunda circa 5000 persone, tutte turche. L'isola è attualmente unita alla terraferma da una passerella.

Le isole Moschonisia viste da Aivalì.
Le isole Moschonisia viste da Aivalì.


[8] Con il nome greco di Βουρλά (Vourlà), che significa qualcosa come “ricco in giuncaglie palustri” (βούρλο “giunco delle paludi”), è nota la città turca di Urla, presso Smirne. Sorge sul luogo dell'antica Clazomene (Κλαζομεναί), patria del filosofo Anassagora; le rovine di Clazomene costituiscono tuttora un'importante attrattiva della città, e il suo nome si è perpetuato nella denominazione turca del distretto costiero che la comprende, Kilizman (o Güzelbahçe “bel giardino”). La città si distingue per avere tra le più alte percentuali di alfabetizzazione della Turchia (97%), ed è nota fin dall'antichità per la produzione di olio di oliva di finissima qualità. Attualmente conta circa 56.000 abitanti. Città, anch'essa, che fino al 1922 aveva una consistente parte della popolazione di etnia e lingua greca; e tra i greci di Vourlà ne ricordiamo uno in particolare, Yorgos Seferis. Vourlà fu risparmiata dai massacri nella guerra greco-turca, ma nel 1922 si ebbe il “consueto” scambio di popolazioni; anche la famiglia di Seferis (nato Seferiadis, il 13 marzo 1900) dovette trasferirsi in Grecia. Contemporaneamente, arrivò a Urla la famiglia di uno dei più grandi scrittori turchi contemporanei, Necati Cumalı, che era allora un bambino piccolo, essendo nato a Florina, in Grecia, nel 1921. Vourlà/Urla è quindi patria, al tempo stesso, del più grande poeta greco contemporaneo che ne fu esule, e di uno dei maggiori scrittori turchi che ne “prese il posto”. Questo può servire, credo, come metafora per tutta quanta la Καταστροφή di novant'anni fa, una catastrofe che non ha ancora cessato di far sentire i suoi effetti.

La città di Vourlà (Urla) con la prospiciente isola di Karantına. Il nome dell'isola deriva da un centro portuale di quarantena fondato dai francesi nel 1865.
La città di Vourlà (Urla) con la prospiciente isola di Karantına. Il nome dell'isola deriva da un centro portuale di quarantena fondato dai francesi nel 1865.


[9] Cassabà (Κασαμπάς) è il nome greco della città turca di Turgutlu, nella regione di Manisa, nell'entroterra smirnaico. Il tradizionale nome greco della città è comunque derivato dal turco: kasaba significa semplicemente “cittadina, grosso paese”. Attualmente la “cittadina” conta circa 150.000 abitanti; si trova al centro di un importantissimo distretto agricolo, famoso peraltro per quelli che in tutto il mondo vengono chiamati “meloni di Casaba”, vale a dire i meloni con buccia gialla o verdognola. La città ebbe a soffrire molto durante la guerra greco-turca: occupata dalle truppe greche nel 1919, nel 1922 le stesse, al momento della sconfitta ellenica e del ritiro, fecero letteralmente terra bruciata incendiando la città. Il 5 settembre 1922, quando l'esercito greco se ne andò, di Cassabà/Turgutlu non restava praticamente nulla (comprese le case della comunità greca, e questo è un particolare che deve essere messo particolarmente in risalto). Andarono distrutti, secondo le statistiche, 6127 edifici su 6328; tra di essi, la storica moschea e la biblioteca cittadina, con oltre 20000 volumi. Oltre all'incendio, le truppe greche (coadiuvate dai greci e dagli armeni della città) massacrarono circa un migliaio di turchi. Il viceconsole americano a Costantinopoli dell'epoca, James Loder Park, che visitò la zona subito dopo il ritiro delle truppe greche, descrisse così la situazione: " Cassaba (present day Turgutlu) was a town of 40,000 souls, 3,000 of whom were non-Muslims. Of these 37,000 Turks only 6,000 could be accounted for among the living, while 1,000 Turks were known to have been shot or burned to death. Of the 2,000 buildings that constituted the city, only 200 remained standing. Ample testimony was available to the effect that the city was systematically destroyed by Greek soldiers, assisted by a number of Greek and Armenian civilians. Kerosene and gasoline were freely used to make the destruction more certain, rapid and complete."

1919: le truppe greche entrano a Cassabà/Turgutlu.
1919: le truppe greche entrano a Cassabà/Turgutlu.


[10] Parsa è un piccolo centro situato tra Smirne e Turgutlu (Cassabà. v. nota 9). Non è chiaro cosa vi sia avvenuto, ma è del tutto probabile che abbia condiviso tutte le tragiche vicende della guerra greco-turca.

[11] Thyatira (Θυάτειρα) è la moderna città turca di Akhisar. Il nome turco significa “castello bianco”, di cui la denominazione greca moderna, Το Αξάρι, è un'evidente derivazione. Thyatira/Akhisar è città antichissima e storica; è situata anch'essa nella Manisa, nell'entroterra micrasiatico di Smirne. L'antica Thyatira fu, si dice, una delle prime città al mondo dove fu usato il denaro; fu anche una delle Sette Chiese della Rivelazione, ed il suo nome è citato due volte nei Vangeli. Di origine probabilmente ittita, nel 500 a.C. fu conquistata da Alessandro Magno; divenne romana nell' 80 d.C. E, infine, turca nel 1307. Al suo interno sono stati individuati reperti archeologici che testimonierebbero della presenza umana già novemila anni prima di Cristo. Akhisar è ora una moderna città industriale, con un nucleo antico e le rovine dell'antica Thyatira.

Veduta di Akhisar.
Veduta di Akhisar.


[12] Amissòs (propriamente: Αμισός, Amisós) è la moderna e grande ci$ttà turca di Samsun, a sua volta ridenominata in greco Σαμψούντα (Sampsunda). Il nome turco parrebbe comunque derivare, con estrema corruzione, dall'espressione greca εις Αμισόν “verso Amisòs” (> *is amisòn > *s-am(i)sòn > Samsun). Lo storico Ecateo scrisse che la città si chiamava in origine Ἑνέτη (Henete); con questo nome è menzionata nell'Iliade. Situata nell'antica Paflagonia, sulle rive del Mar Nero, la città conta attualmente quasi 400.000 abitanti ed è il principale porto turco su quel mare. Le sue origini si perdono letteralmente nella notte dei tempi: gli scavi effettuati nella località di Dündartepe hanno portato alla luce un insediamento risalente all'Età del Rame, mentre altri scavi effettuati a Tekkeköy hanno fatto rinvenire insediamenti della prima Età del Bronzo e ittiti. Amisòs propriamente detta fu fondata circa 750 anni prima di Cristo (sarebbe, comunque, contemporanea di Roma) da coloni di Mileto, che vi stabilirono floridi commerci con l'Anatolia. Nel III secolo a.C. la ritroviamo conquistata da Alessandro Magno, mentre nel 47 a.C. cadde sotto dominazione romana (Amisus). Fu poi parte dell'Impero Bizantino. Nel 1200 fu presa dagli Ottomani Selgiuchidi, che la divisero tra musulmani e “giaurri” (cristiani); fu allora che entrò nell'orbita della Repubblica di Genova, che vi stabiliì un importante colonia commerciale. Fu completamente ripresa dagli Ottomani nel XV secolo, ma prima di andarsene i genovesi la rasero al suolo. All'epoca la città era chiamata, in turco, Canık. Samsun è una città molto importante nella storia della Turchia moderna: fu proprio là che Mustafa Kemal Atatürk vi fondò il Movimento di Liberazione Turco il 19 maggio 1919, giorno considerato come l'inizio della guerra greco-turca.

La città di Samsun (Amisòs) oggi.
La città di Samsun (Amisòs) oggi.


[13] Per Akhisar si veda la nota 11.






29/6/2012 - 10:33


A Eskişehir, che il mio vecchio amico Barba Yannis chiamava Dorìleo, ci fu battaglia durante la sciagurata impresa dei Greci per allargare il territorio loro concesso in Asia Minore dalla Conferenza di Versailles. Credo di ricordare che Barba Yannis (classe 1901) vi abbia partecipato, per poi naufragare durante il "nòstos" su di uno scoglio dell'Eubea, una notte che il pilota (che non si chiamava Schettino) era ubriaco. Siccome Dorileo è anche il nome di una ben più nota battaglia della Prima Crociata, i ripetuti fatti d'arme colà avvenuti potrebbero, salvo altre spiegazioni, giustificare l'espressione "perseguitata dalla morte".

Gian Piero Testa - 30/6/2012 - 18:26


Il nome di Prusa (Bursa), città di cui conservo un lontano ricordo di piacevolezza, per il fresco clima estivo che vi trovai, i magnifici monumenti e la nobile affabilità dei suoi mercanti, ricorre frequente nella più vecchia canzone rebetica associato a quello del suo "mavraki", lo hashish scuro che producevano le sue campagne e che arrivava per mille vie al Pireo e a Salonicco e - in una canzone - non mancava neppure nel paradiso (o nell'inferno?) dei "manghes".

Gian Piero Testa - 1/7/2012 - 06:34


A proposito del μαυράκι, penso che -proseguendo con queste lunghissime note che stanno diventando (volutamente) una specie di "survey" sulla Καταστροφή del 1922 e sullo sradicamento dei greci dall'Asia Minore- ti sarai "deliziato" della nota su Afyonkarahisar, l'unica città al mondo che si chiama direttamente "Oppio" (a parte il "Colle Oppio" di Roma, ma ha una diversissima origine etimologica). Mi immagino delle meravigliose fumatine da quelle parti... :-PP

Riccardo Venturi - 1/7/2012 - 11:04


Bellissimo. Però lì non ci sono mai stato.

Gian Piero Testa - 1/7/2012 - 19:46


Finalmente questa lunghissima pagina è conclusa, inserendo tutte le note ed il commento introduttivo. Ne è risultata una specie di piccolo "trattato storico" sulla guerra greco-turca del 1919-1922, un argomento che forse meriterebbe oramai un percorso a sé.

Riccardo Venturi - Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ - 4/7/2012 - 16:57




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