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Atressi com per fargar

Pèire Cardenal


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‎[1212-13]‎
Testo trovato sul sito dedicato a Pèire Cardenal



Un “sirventès”, un’invettiva scagliata contro gli sterminatori crociati che solo qualche anno prima ‎avevano massacrato gli abitanti di Béziers (almeno 5.000 morti) che avevano rifiutato di arrendersi ‎e di consegnare i pochi eretici catari presenti in città…‎
La dedica, in particolare, sembra sia per Bertrand de Chalençon, vescovo-guerriero di Puy-en-Velay ‎‎- la città natale di Pèire Cardenal - che si era distinto per ferocia nelle prime fasi della crociata ‎contro gli albigesi… Ma la canzone potrebbe essere indirizzata addirittura ad Arnaud Amaury in ‎persona, il monaco cistercense rappresentante di papa Innocenzo III nella crociata, quello che ‎proprio a Béziers pronunciò la storica – ed agghiacciante – frase “Uccideteli tutti, ‎Dio riconoscerà i suoi” …‎

A pochi passi dal mercante, Uberto e Willalme contemplavano il tramonto ‎adagiarsi sui poggi. I colori infuocati del sole accarezzavano i loro volti, riscaldandoli con un tepore ‎ormai flebile. Uberto indicò il mercante seduto lontano da loro, su una sedia di vimini. “Questa sera ‎sembra malinconico”, disse. “Gli accade quando pensa alla sua terra e alla sua famiglia” gli confidò ‎il francese. “Non ne parla mai”. “Lui preferisce così”. “Non so cosa significhi avere una famiglia… ‎dei genitori”. Sul volto di Uberto affiorò una nota di sconforto. “La mia unica famiglia è stata la ‎comunità di Santa Maria del Mare. Ma mi sono sempre sentito diverso dai monaci”. “Mio padre era ‎un falegname”, dichiarò Willalme, gli occhi azzurri fissi sul tramonto. “Ricordo le sue mani grandi, ‎ruvide, graffiate dalle schegge di legno. Era alto e robusto, tutti lo rispettavano. Mia madre invece ‎era una donna esile e bionda, come mia sorella”. “Dove sono adesso?” Il francese abbassò lo ‎sguardo, cercando di nascondere un dolore profondo.‎

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‎ Béziers‎

Béziers


‎“Era il luglio del 1209 quando il papa Innocenzo III e Arnaud-Amaury, l’abate di Citeaux, decisero ‎di distruggere Béziers, la mia città natale. Quando accadde, non sapevo neppure in che anno ‎fossimo. Lo appresi più tardi.”, disse, eludendo per il momento la domanda di Uberto. “Beziérs è ‎poco distante da qui, vicino al mare. Dissero che era una città colma di eretici… Dissero che ‎distruggerla sarebbe stata un’impresa santa, degna dei cavalieri della croce. Io non so se avessero ‎ragione, avevo solo tredici anni. Ma di una cosa sono certo: né io né la mia famiglia eravamo ‎eretici, e non conoscevamo neppure il significato della parola Albigese o Cataro”. Uberto lo guardò ‎stupito. “I crociati risposero all’appello del papa”, sospirò Willalme. “Erano in gran parte cavalieri ‎del nord della Francia, alcuni capeggiati dal conte Simon de Montfort. E assediarono Beziérs”. ‎Willalme proseguì il racconto. Spiegò a Uberto che le milizie di Béziers si erano opposte agli ‎invasori, ma i crociati avevano avuto la meglio. Poi era iniziato il saccheggio, durante il quale molti ‎cittadini avevano trovato la morte nel tentativo di proteggere se stessi o i loro beni. A volte erano ‎stati semplicemente passati a fil spada, altre erano stati costretti a camminare sui carboni ardenti. ‎Alla fine era stato appiccato l’incendio. Il volto del francese si contrasse in un espressione arcigna. ‎‎“Durante l’assedio, molti fuggiaschi si rifugiarono dentro la chiesa di Saine.Marie-Madeleine. Si ‎trattava di uomini, donne e bambini, eretici e cattolici, tutti terrorizzati allo stesso modo. Io ero in ‎mezzo a loro, con mia madre e mia sorella… Mio padre era già morto, trafitto da uno spiedo ‎crociato per difenderci. Rifugiandoci in quella chiesa, pensavamo che i soldati avrebbero avuto ‎pietà e ci avrebbero risparmiati. Non fu
così.” Il dolore provocato dai ricordi era intenso, ma Willalme continuò a parlare. Disse che ‎nell’incapacità di distinguere i cattolici dagli eretici, l’abate Arnaud-Amaury aveva deciso di far ‎giustiziare tutti quanti: si doveva purificare la blasfemia albigese, aveva decretato. Una volta morti, ‎Dio avrebbe saputo riconoscere i giusti dai fedeli. “I soldati penetrarono nella chiesa e uccisero ‎tutti. Non risparmiarono neppure i bambini. Mia madre e mia sorella furono schiacciate dalla folla ‎davanti ai mie occhi. Non le vidi mai più. Mai più. Solo io riuscii a salvarmi, per puro caso: mi ‎colpirono alla testa e caddi svenuto. Mi credettero morto e quando mi risvegliai, ore dopo, ero fra i ‎cadaveri. Per un attimo pensai di trovarmi all’inferno… Centinaia di morti, capisci? Il sangue ‎ricopriva tutto… Quale Dio poteva desiderare un tale massacro? Cercai tra i corpi ma non riuscii a ‎trovare mia madre e mia sorella, così fuggii. Ancor oggi rimpiango di non essere stato in grado di ‎trovarle, di seppellirle… Almeno avrei avuto una tomba su cui piangere la mia famiglia”. Willalme ‎tacque, come per afferrare il ricordo di qualcosa che non c’era più. Aveva gli occhi umidi. Strinse i ‎pugni e rivolse lo sguardo al tramonto. “Maledico Arnaud-Amaury! Maledico Simon de Montfort, ‎E che Innocenzo III bruci all’inferno, fra i demoni suoi fratelli!”.‎

Da “Il mercante di libri maledetti”, romanzo di Marcello Simoni, edito da Newton ‎Compton.
Atressi com per fargar
Es hom fabres per razó,
Es hom laires per emblar
E tracher per tració
Que d'aquel mestier qu'om fai
Li aven us noms e-I n'eschai,
Que tal en sai -que, s'om o auzes dire,
Per so c'a fag for' apellatz traïre. ‎

En Velai si fan joglar
Del saber de Gainelo;
Per que es dig qu'om si gar
Si co-l proverbis despo
Ja no-t fizar en Velai
Ni en clergue ni en lai,
Qu'un pauc retrai -al premier trabustire
Que fes Cayms, don avem auzit dire. ‎

Ben es fols qui cuia far
Aisso que anc fach non fo;
Qu'en cug trachors chastiar
E treball m'en en perdo,
Que si Dieus non los deschai
Mais n'er que d'anhels en mai.
Que quan l'us trai - ab fatz et ab aucire
L'autre ab ditz e l'autre ab escrire. ‎

Quan trachor troba son par,
D'aquel fai son compainho,
Qu'a tracion apastar
An ops trachor e gloto.
E quan l'us traïs desai
E l'autre traïs delai,
E quan l'us vai - l'autre fai lo martire,
Quan l'us lassa, l'autre-s pensa l'albire. ‎

Trachor solí'om cassar
E penre coma lairo,
E aras lo ten hom car
E'n fai sescalc o bailo;
E si gran prelatz i chai
D'un fort gran trachor verai,
A hom esmai - que-l puesca el luoc assire
Qu'en sía donz e segner e regire. ‎

Sirventes, ades t'en vai
On que-t vols e digas lai
Qu'a mi non plai - tracïos ni traïre,
Qui-s vol m'en am e qui-s vol m'en aïre. ‎

envoyé par Bartleby - 4/5/2012 - 11:51



Langue: français

Traduzione francese dal sito dedicato a Pèire Cardenal
DE MÊME QUE PARCE QU'IL FORGE

De même que parce qu'il forge,
un homme est à juste titre appelé forgeron,
il est nommé voleur parce qu'il vole
et traître en raison de sa traîtrise.
Selon le métier que l'homme fait,
il lui revient un nom qui lui correspond.
Pour ma part, j'en connais un, qui, si on osait le dire,
pour ce qu'il a fait, pourrait sans conteste être appelé traître. ‎

En Velay se forment des jongleurs
habiles dans la science de Ganelon.
Aussi est-il dit que l'on y prenne garde,
ainsi que l'exprime le proverbe :
‎"En Velay ne fais jamais confiance
ni au clerc ni au laïque".
Cela fait penser un peu au premier mauvais coup,
celui que donna Caïn et dont nous avons tous entendu parler.‎

Il est bien fou celui qui croit réussir à faire
ce qui jamais ne fut fait.
Et moi qui crois sévir contre les traîtres
je me démène en pure perte,
car si ce n'est Dieu qui les anéantit
il y en aura bientôt plus que d'agneaux en mai.
Quand l'un trahit par des actes ou des crimes,
l'autre trahit avec des paroles et l'autre avec des écrits. ‎

Quand un traître trouve son pareil,
de celui-là il fait son compagnon,
car, pour entreprendre une trahison,
traîtres et autres misérables sont parfaitement indispensables.
Quand l'un trahit par-ci, l'autre trahit par-là,
quand l'un passe son chemin, l'autre massacre,
et quand l'un se lasse, l'autre imagine déjà la prochaine perfidie. ‎

C'était autrefois la coutume de chasser le traître
et de le pendre comme un voleur,
mais maintenant on le tient tellement en estime
qu'on en fait un sénéchal ou un bailli.
Et si un grand prélat, au passé de fort grand traître avéré,
y arrive par malheur,
on va se donner beaucoup de mal pour l'établir au mieux en ce lieu
afin qu'il en soit maître, seigneur et gouverneur. ‎

Sirventès, sur le champ,
pars où tu voudras et fais savoir
que ni trahison ni traître ne me plaisent,
qui veut m'en aime, qui veut m'en honnïsse.‎

envoyé par Bartleby - 4/5/2012 - 11:52




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