Câţi dintre cei care au mers în război
S-au mai întors vreodat' înapoi
Şi oare câţi din cei nevinovaţi
Au pierit ca nişte bieţi soldaţi
Cine să aline durerea unor mame
Ce-au pierdut fii, biete sărmane?
Şi cine să dea înapoi unui tată
Copilul său ucis de-o vrăjmaşă armată?
Oameni, bieţi oameni, voi nu v-aţi îngrozit
Oameni, bieţi oameni, de tot ce-aţi suferit?
Cine putea să fi uitat
Clipele de groază pe care le-a îndurat
În frigul nopţii luptând fără voie
Sub cerul plin de bombe, în tranşee
Oare noi, oameni, n-avem griji şi nevoi
Ce ne mai trebuie încă un război?
Nu pier şi aşa destui de boli răpuşi
De ce la alt chin să mai fie supuşi?
Oameni, bieţi oameni, voi nu v-aţi îngrozit
Oameni, bieţi oameni, de tot ce-aţi suferit?
Oameni, bieţi oameni, voi nu v-aţi îngrozit
Oameni, bieţi oameni, de tot ce-aţi suferit?
S-au mai întors vreodat' înapoi
Şi oare câţi din cei nevinovaţi
Au pierit ca nişte bieţi soldaţi
Cine să aline durerea unor mame
Ce-au pierdut fii, biete sărmane?
Şi cine să dea înapoi unui tată
Copilul său ucis de-o vrăjmaşă armată?
Oameni, bieţi oameni, voi nu v-aţi îngrozit
Oameni, bieţi oameni, de tot ce-aţi suferit?
Cine putea să fi uitat
Clipele de groază pe care le-a îndurat
În frigul nopţii luptând fără voie
Sub cerul plin de bombe, în tranşee
Oare noi, oameni, n-avem griji şi nevoi
Ce ne mai trebuie încă un război?
Nu pier şi aşa destui de boli răpuşi
De ce la alt chin să mai fie supuşi?
Oameni, bieţi oameni, voi nu v-aţi îngrozit
Oameni, bieţi oameni, de tot ce-aţi suferit?
Oameni, bieţi oameni, voi nu v-aţi îngrozit
Oameni, bieţi oameni, de tot ce-aţi suferit?
envoyé par Riccardo Venturi - 18/4/2012 - 11:24
Langue: italien
Traduzione italiana di Riccardo Venturi
18 aprile 2012
18 aprile 2012
CANZONE DI PACE
Quanti che sono andati in guerra
Sono tornati indietro, qualche volta,
E chissà quanti innocenti
Sono morti come poveri soldati?
Chi allevierà il dolore delle madri
Che hanno perso i figli, povere sventurate?
E chi ridarà indietro a un padre
Suo figlio ucciso da un'armata nemica?
Uomini, poveri uomini, non vi siete atterriti
Uomini, poveri uomini, di tutto quel che avete sofferto?
Chi poteva essersi dimenticato
Dei momenti di terrore che ha patito
Nel freddo della notte, combattendo senza voglia
Sotto il cielo pieno di bombe, nella trincea
Forse noi uomini non abbiamo paure e bisogni,
Perché abbiamo ancora bisogno di una guerra?
Non ne muoiono già abbastanza uccisi dalle pallottole,
Perché essere sottoposti a un altro calvario?
Uomini, poveri uomini, non vi siete atterriti
Uomini, poveri uomini, di tutto quel che avete sofferto?
Uomini, poveri uomini, non vi siete atterriti
Uomini, poveri uomini, di tutto quel che avete sofferto?
Quanti che sono andati in guerra
Sono tornati indietro, qualche volta,
E chissà quanti innocenti
Sono morti come poveri soldati?
Chi allevierà il dolore delle madri
Che hanno perso i figli, povere sventurate?
E chi ridarà indietro a un padre
Suo figlio ucciso da un'armata nemica?
Uomini, poveri uomini, non vi siete atterriti
Uomini, poveri uomini, di tutto quel che avete sofferto?
Chi poteva essersi dimenticato
Dei momenti di terrore che ha patito
Nel freddo della notte, combattendo senza voglia
Sotto il cielo pieno di bombe, nella trincea
Forse noi uomini non abbiamo paure e bisogni,
Perché abbiamo ancora bisogno di una guerra?
Non ne muoiono già abbastanza uccisi dalle pallottole,
Perché essere sottoposti a un altro calvario?
Uomini, poveri uomini, non vi siete atterriti
Uomini, poveri uomini, di tutto quel che avete sofferto?
Uomini, poveri uomini, non vi siete atterriti
Uomini, poveri uomini, di tutto quel che avete sofferto?
Mi sembra di capire sia da discogs che da ro.wikipedia.org che il titolo corretto sia Cântec pentru pace, omonimo ad un'altra canzone Cântec pentru pace.
Dq82 - 18/11/2018 - 21:11
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Testo e musica: Valeriu Sterian
Lyrics and music: Valeriu Sterian
Versuri şi muzică: Valeriu Sterian
Album: Antirăzboinică
Succede a volte di trovare cose parecchio interessanti partendo da una squisita banalità. Ad esempio, stamani mi stavo chiedendo: ma come mai ci abbiamo così poche canzoni in lingua rumena, qui dentro? Ammetto di avere una fissazione "storica" col rumeno: ho cominciato a impararlo quando avevo 14 anni, trovando nella biblioteca del liceo una decrepita grammatichetta. Trentacinque anni fa. Allora, per ascoltarlo un po' parlare, la sera tardi dovevo mettermi alla radio e cercare di captare le emissioni della "Radioteleviziunea Română": un continuo bollettino delle epiche imprese del compagno Nicolae Ceauşescu e della sua ineffabile consorte, ma allora non me ne importava niente...e fu così che, esauriti gli esercizi della grammatichetta (per i quali trascuravo volentieri i compiti di matematica), un bel giorno me ne andai alla vecchia libreria "Rinascita" vicino alla stazione, la libreria del PCI, e chiesi se per caso avessero un dizionario di rumeno. L'anziano commesso dopo un po' tornò con un grosso volume e me lo diede, prezzo 8000 lire di allora. Pagai coi sudati risparmi; poi il commesso, che si era visto davanti un ragazzino, mi disse sottovoce: "Ma te la posso fare una domanda?" Gli dissi di sí; "Senti, me lo spieghi che cavolo te ne fai di un dizionario di rumeno? Ce lo abbiamo qui da quindici anni a pigliare polvere...". Quel dizionario è dietro di me, in questo momento. "Istoriato" con tutte le frasette rumene che ci avevo scritto sopra, e con sopra un adesivo dei "Mujahedin del Popolo" iraniani che ci avevo appiccicato.
Allora, nessuno immaginava che il rumeno sarebbe stata un giorno la lingua straniera più ascoltata in Italia. Col dizionario alla mano cominciai a scrivere letterine entusiaste alla Radiotelevisione Rumena, e quelli mi rispondevano altrettanto entusiasti che un ragazzino di 15 anni studiasse la loro lingua. Conservo ancora quelle lettere, gelosamente. Quando mi arrivò la prima, mi prese quasi un colpo. Colpo ancora maggiore quando mi dissero che una mia lettera era stata letta alla radio, con la notizia che un quindicenne fiorentino sapeva il rumeno. Mi si scusi questo lungo excursus, ma alla mia età si comincia ad essere un po' circondati dai ricordi; e, insomma, stamani mi chiedevo come mai ci avessimo, nelle CCG, così poche canzoni in rumeno. Mi sono dato l'illuminante risposta: "Forse perché non le andiamo a cercare". E mi ci sono messo di buzzo buono, imbattendomi poco dopo in una vecchia conoscenza: Valeriu Sterian.
Valeriu Octavian Sterian era morto nel 2000 dopo che, l'anno prima, era stato arrestato e messo in carcere perché aveva ammazzato due persone guidando completamente ubriaco. Forse si ubriacava perché sapeva di avere il cancro e di essere condannato a morte, chissà; era stato, ed era tuttora, probabilmente il più grande cantautore del suo paese. In questo sito abbiamo la sua Nopţi, la più bella canzone sulla Rivoluzione del 1989, che vinse ogni premio possibile e immaginabile nel suo paese. Ma prima del 1989? E qui si pone un problema; perché, cercando cercando, ho scoperto che dieci anni prima, nel 1979, Valeriu Sterian aveva pubblicato un intero album di canzoni contro la guerra. Apriti cielo; tanto per essere chiaro, l'album (dalla copertina stupenda) lo aveva intitolato Antirăzboinică. Alla lettera significa "Antiguerriera", o "Antiguerresca"; potremmo dire "La-contro-la-guerra". Fa perfettamente il paio, si potrebbe dire, con le Αντιπολεμικά Τραγούδια del vicino greco Nikos Xylouris. Tutti e due morti di cancro, e la cosa fa venire un po' i brividi. Ma un po' tanto.
Dicevo del problema, non di poco conto. Un album di "canzoni contro la guerra" pubblicato liberamente nella Romania del 1979? Sotto uno dei regimi più oppressivi che la storia europea ricordi? E sono anche belle canzoni, inutile negarlo. Compresa questa con cui cominciamo a scandagliare quell'album, che pure è piuttosto "classica" come antiwar song. Prima cosa da dire: noialtri non lo sappiamo, com'è vivere sotto una dittatura ferrea. Non ci giriamo tanto attorno e continuiamo in piena coscienza a lottare contro il sistema (o a cercare di farlo), ma non ci veniamo a raccontare frottole: per un sito come questo e per quel che ci scriviamo tutti i giorni, in certi regimi ci avrebbero messi in galera. Sotto una dittatura bisogna vivere in qualche modo. Sotto una dittatura bisogna anche operare parecchi compromessi, per vivere. Considerazioni sgradevoli, senz'altro; ma non tutti, in attesa della rivolta liberatrice, hanno la vocazione all'eroismo e al sacrificio. Oppure all'esilio.
Le tematiche della "pace" erano molto sentite e incoraggiate nell'ex URSS e nei paesi del "socialismo reale" (si pensi soltanto al "Premio Lenin per la Pace"). Durante la Guerra Fredda il "pacifismo di stato" era un caposaldo di tutti quei paesi che, in contemporanea, partecipavano agli aiuti fraterni e ai riarmi convenzionali e nucleari, nella famosa "ottica" di contrapposizione tra i due blocchi. La Romania, poi, era parecchio un caso a sé. Ad una situazione interna terrificante faceva da contraltare un'ostentata "indipendenza" da Mosca nelle questioni internazionali, che peraltro era molto coccolata in Occidente e particolarmente negli USA (che avevano concesso al lager rumeno lo status di Most Favoured Nation. Nel 1984, sfidando il diktat sovietico, la Romania "osò" partecipare alle Olimpiadi reaganiane di Los Angeles nonostante il boicottaggio organizzato in risposta a quello occidentale dei giochi di Mosca di 4 anni prima, in occasione dell'invasione dell'Afghanistan (l'Afghanistan è riuscito a essere invaso da tutti, a turno, facendo precipitare però gli invasori nella sventura); ma ancor prima, nel 1968, le truppe rumene non avevano partecipato all'invasione della Cecoslovacchia. L'Occidente chiudeva un occhio, e sovente tutti e due, sul carcere che era invece la Romania guidata da un pazzo megalomane e dalla moglie semianalfabeta cui le istituzioni e le università di mezzo mondo facevano però a gara nel concedere lauree honoris causa.
Ipocrisia che si è vista quando il "barbaro comunismo" è caduto, particolarmente in Romania. In quei giorni oramai lontani, tutti a inneggiare ai "fratelli latini" rumeni che si liberavano dal giogo della tirannia; bandiere col buco, proclami e "aiuti umanitari". Lo si è visto poi dopo, com'è andata; quando i rumeni liberi, altrettanto liberamente hanno cominciato a emigrare in massa. Lo vediamo adesso, che i rumeni son diventati tutti "delinquenti" e "stupratori per cultura", che si può dare loro fuoco liberamente e quant'altro; lo vediamo nell'epoca dei nuovi pogrom. E lo vedono anche gli stessi rumeni, a loro volta fattisi sempre notare per nazionalismo e razzismo (nei confronti di Rom, ebrei, ungheresi...). Allora è bene conoscere, ad esempio, la parabola di un cantautore che sotto la dittatura ha cantato la "pace di stato" per poi comporre, a rivoluzione avvenuta, una bellissima e dura canzone dove si invita a vedere "quel che è rimasto di uomini". Sarà, forse, un'occasione per riflettere, e anche per conoscere un granellino in più un paese e una cultura che, al di là degli stereotipi e dei luoghi comuni sulla "lingua simile" e sulle "comuni radici latine", ci restano sconosciuti. Ora come allora. Un paese che sarebbe nella famosa "Comunità Europea", una comunità inesistente finché le reciproche storie, i reciproci errori e le reciproche persone non saranno conosciute bene.
Fino a quando non ne sapremo molto di più su un paese in cui la parola per "canzone" riproduce il latino canticum. In cui, per chiamare un tizio o una tizia, bisogna usare il vocativo di dominus e domina, rimasto pressoché tale e quale. In cui il cantautore si chiama Valeriu Octavian, quasi fosse un concentrato di Impero Romano. Si ciancia tanto di "radici", senza sapere nemmeno dove affondino davvero. [RV]