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Del tot vey remaner valor

Guilhem Montanhagol


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Tot aissi soi desconsellatz
(Pèire Cardenal)
Per fols tenc Polhes e Lombartz
(Pèire Cardenal)
Quan pes qui suy fuy si que·m franh
(Pons Fabre D’Uzès)


‎[dopo il 1229]‎



Nell’opera di Jordi Savall “Le royaume oublié – La croisade contre les Albigeois - La tragédie ‎Cathare” con gli ensemble di musica antica Hespèrion XXI e Capella Reial de Catalunya.‎

Un “sirventès” in cui la tragedia dei catari è ormai solo sullo sfondo, il che fa ‎supporre che sia stato composto dopo la “pace” di Meaux-Paris con cui (ma solo formalmente) si ‎concluse la crociata contro gli albigesi. Quel trattato vide anche sancire un compromesso tra il ‎vincitore, il re di Francia Luigi IX (figlio del Luigi che aveva condotto l’ultima fase della crociata e ‎dell’occupazione della Linguadoca) e lo sconfitto, il conte di Tolosa Raimondo VII (citato ‎nell’ultima strofa, figlio del Raimondo che era riuscito per anni a tenere testa ai crociati): ‎quest’ultimo dovette cedere molti territori alla chiesa e divenire vassallo del re.‎



“Ricordati, prode conte di Tolosa, quel che ti fecero [il papa ed il re di Francia] e ‎guardati sempre da costoro”, canta nell’ultima strofa Guilhem Montanhagol. ‎
E infatti a Raimondo VII la capitolazione bruciava a tal punto che, dopo essersi fatto parzialmente ‎reintegrare nei possedimenti perduti dall’imperatore Federico II, pensò di riprendersi tutto il ‎maltolto approfittando di una scaramuccia tra Francia ed Inghilterra quando, nel 1242, Enrico III ‎sbarcò a Royan intenzionato a mostrare a Luigi IX di non essere più un suo vassallo in terra di ‎Francia e di aspirare a qualcosa di più dell’Aquitania e della Guascogna di cui era duca. Le cose ‎non andarono bene per gli inglesi ed i loro frettolosi alleati locali, tra cui Raimondo VII… Al conte ‎di Tolosa non restò che implorare perdono al re di Francia, che glielo accordò ma ad una ‎condizione: che gli promettesse di aiutarlo ad estirpare definitivamente l’eresia catara.‎
Povero Montanhagol! Povero Cardenal! Povero Novella! Povero ‎‎Figueira! Poveri trovatori occitani che tanto avevano celebrato i conti di Tolosa come ‎fieri oppositori dei crociati e protettori dei veri credenti!‎
Proprio poco dopo la fine di Montsegur, ultimo baluardo cataro in Linguadoca, quasi in punto di ‎morte, Raimondo VII fece quello che, a differenza del padre, lo consegnò alla storia non più come ‎un nobile che aveva resistito all’usurpazione e al sopruso ma come un potente fra i tanti che si erano ‎accaniti sugli indifesi: nel 1249 ad Agen, in Aquitania, il conte di Tolosa, trasformatosi in uno ‎zelante persecutore dell’eresia, mandò al rogo 80 catari che pure avevano abiurato la loro fede…‎



In questo “sirventès” Guilhem Montanhagol non si scaglia, come i suoi predecessori, contro la ‎chiesa tout court ma contro il nuovo metodo di asservimento ed annientamento di nemici ed ‎oppositori interni che il papato aveva messo a punto dopo l’estenuante crociata albigese: ‎l’Inquisizione, un nome che ancora oggi evoca tortura e morte e che troviamo per la prima volta nei ‎documenti – guarda il caso – del Concilio di Tolosa del 1229, anno in cui si decise che 20 e oltre ‎anni di crociata contro gli eretici potevano bastare e che era ora di varare un sistema fondato sulla ‎‎“prevenzione” degli “errori dottrinari” ed eventualmente su di una più capillare ed efficace (ed assai ‎meno costosa di una crociata) loro “estirpazione”.‎
E così domenicani e francescani cominciarono ad infestare il mondo, come canta Montanhagol, ‎‎vietando ciò che a loro non conveniva, mai benvenuti ovunque si recassero, infidi e ‎pruriginosi, più attenti alla pagliuzza nell’occhio dell’altro che al trave nel proprio, sempre attenti a ‎condannare una dama per il suo vestire ma senza rendersi conto che non è portando una tonaca o un ‎saio che si è più vicini a Dio…‎
Non è un caso che dopo la sistematizzazione dell’Inquisizione operata da papa Gregorio IX nel ‎‎1233 con le prescrizioni contenute nell’ “Inquisitio heretice pravitatis” (la persecuzione della ‎depravazione ereticale), proprio in Linguadoca, e precisamente ad Avignonet-en-Lauragais, tra ‎Tolosa e Carcassonne, esplodesse qualche anno più tardi la rabbia verso l’invadenza e la brutalità ‎degli inquisitori: nel 1242 due di essi, Arnaud Guilhem de Montpellier ed Étienne de Narbonne, ‎furono massacrati con tutto il loro seguito. Come già avvenuto nel 1208, quando l’assassinio del ‎delegato pontificio Pierre de Castelnau aveva decretato l’avvio della crociata contro gli albigesi, ‎anche questo episodio ebbe conseguenze nefaste, ossia il truculento atto finale dello sterminio dei ‎catari in Linguadoca, l’assedio di Montsegur e l’immane rogo in cui vennero uccisi oltre 200 ‎‎“perfetti” che si erano rifiutati di abiurare.
Del tot vey remaner valor,
Qu'om no-s n'entremet sai ni lai,
Ni non penson de nulh ben sai,
Ni an lur cor mas en laor.
E meron mal clerc e prezicador,
Quar devedon so qu'az els no-s cove,
Que hom per pretz non do ni fassa be.
E hom que pretz ni do met en soan,
Ges de bon loc no-l mou, al mieu semblan.

Quar Dieus vol pretz e vol lauzor,
E Dieus fo vers hom, qu'ieu o sai,
E hom que vas Dieu res desfai,
E Dieus l'a fait aitan d'onor
Qu'al sieu semblan l'a fag ric e maior
E pres de si mais de neguna re,
Doncx ben es fols totz hom que car no-s te:
E que fassa en aquest segle tan
Que sai e lai n'aya grat, on que-s n'an.

Ar se son fait enqueredor
E jutjon aissi com lur plai.
Pero l'enquerre no-m desplai,
Anz me plai que casson error
E qu'ab bels digz plazentiers ses yror,
Torno-ls erratz desviatz en la fe,
E qui-s penet que truep bona merce,
E enaissi menon dreg lo gazan
Que tort ni dreg no perdan so que y an.

Enquer dizon mais de folor
Qu'aurfres a dompnas non s'eschai.
Pero si dompna piegz no fai,
No-n leva erguelh ni ricor,
Per gent tener no pert Dieu ni s'amor.
Ni ja nulhs hom, s'elh estiers be-s capte,
Per gen tener ab Dieu no-s dezave!
Ni ja per draps negres ni per floc blan
No conquerran ilh Dieu, s'alre no y fan.

Tug laisson per Nostre Senhor
Nostre clerc lo segle savai,
E no pessan mas quan de lai.
Aissi-ls guart Dieus de dezonor
Cum elhs non an ni erguelh ni ricor,
Ni cobeytatz no-ls enguana ni-ls te,
Ni no volon re de so qu'hom bel ve!
Res no volon, pero ab tot s'en van,
Pueys prezon pauc qui ques i aya dan.

Sirventes, vay al pro comte dese
De Toloza! membre-l que fag li an
E guart se d'elhs d'esta ora enan.‎

Contributed by Bartleby - 2012/4/18 - 10:45



Language: Italian

Traduzione italiana del prof. Francesco Zambon, ordinario di filologia romanza all’Università di ‎Trento, dal suo “I trovatori e la Crociata contro gli Albigesi” (Carocci editore).‎
IN TUTTO VEDO IL VALORE DECLINARE

In tutto vedo il valore declinare,‎
nessuno, in nessun posto, se ne cura:‎
non si pensa tra noi a nulla di buono,‎
e non si ha in mente altro che il lavoro.‎
Chierici e predicatori hanno la colpa
di vietare cio che a loro non conviene:‎
donare e agire bene per buon animo.‎
Disprezzare merito e liberalità,‎
non è affatto, io credo, un buon principio.‎

Dio vuole da noi valore e lustro;‎
egli che, io lo so, fu veramente uomo.‎
E l’uomo che si oppone a Dio,‎
a Dio che gli ha fatto così grande onore,‎
creandolo, a sua immagine, degno e grande,‎
più prossimo a lui di ogni altra creatura,‎
è pazzo, dunque, se non ne fa buon uso,‎
e non agisce quaggiù nel mondo in modo
da essere il benvenuto ovunque vada.‎

Essi dicono - ma è una grande sciocchezza -‎
che le bordure non s’addicono alle dame,‎
ma una dama che non fa nulla di peggio,‎
che non trae né orgoglio né superbia
dal suo ornarsi, non perde né Dio né amante.‎
Nessuno, infatti, se per il resto e saggio,‎
si aliena Dio perché cura il vestire:‎
né vesti nere, né saio bianco,‎
sono sufficienti per arrivare a Dio!‎

Sirventese, va’ veloce dal prode Conte
di Tolosa; ricordagli ciò che gli fecero,‎
e digli che sempre si guardi da loro.‎

Contributed by Bartleby - 2012/4/18 - 10:50


La traduzione italiana l’ho trovata qui ‎come attribuita a Zambon, ma è sicuramente parziale perché il testo originale (trovato invece ‎‎qui) ha due strofe in ‎più.‎

Bartleby - 2012/4/18 - 10:56




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