Que me pisen
Yo quiero a mi bandera,
yo quiero a mi bandera,
planchadita, planchadita, planchadita
yo quiero la mamadera
yo quiero la mamadera
calientita, calientita, calientita
(ti, ti, tita..., rodesia...! )
yo quiero cruzar con la barrera
yo quiero cruzar con la barrera
y que me pisen, que me pisen
que me pisen
Yo quiero a mi bandera,
yo quiero a mi bandera,
planchadita, planchadita, planchadita
yo quiero la mamadera
yo quiero la mamadera
calientita, calientita, calientita
(ti, ti, tita..., rodesia...! )
yo quiero cruzar con la barrera
yo quiero cruzar con la barrera
y que me pisen, que me pisen
que me pisen
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Luca Prodan, chi era costui? In Italia è sconosciuto, in Argentina è un mito, forse la più famosa icona rock degli anni successivi alla dittatura. Il tano Prodan era un italo-scozzese cresciuto musicalmente in un esilio volontario a Londra sulla scia dei Joy Division e arrivato in Argentina negli anni grigi della dittatura militare per sfuggire alla morsa dell’eroina. Aveva fondato una band che cantava in inglese e alla batteria picchiava sul rullante una ragazza anglosassone. Ma la propaganda di guerra si strinse anche addosso ai gruppi musicali.
Aprile 1982. La batterista dei Sumo torna in Gran Bretagna: in quei giorni a Buenos Aires essere inglese, donna e batterista è troppo. Le radio smettono di trasmettere canzoni in inglese: bisogna cantare in spagnolo. Anche un caffé storico, il Britanico, è costretto a cambiare nome e si trasforma nel “Tanico”, con un processo di italianizzazione forzosa (tanos sono gli italiani d’Argentina). I Sumo però dal vivo continuano nel loro rock-post punk in inglese. Non potrebbe fare altrimenti Prodan. In un concerto memorabile Luca si presenta sul palco con uno scolapasta in capo. Appena qualcuno da sotto gli rinfaccia di cantare nella lingua degli yanqui, lui risponde:
"Sí, yo canto en inglés pero soy italiano, men y ¿quieren que les diga algo?
las Malvinas son italianas.
¿Saben por qué tengo este colador en la cabeza?
Porque los italianos van a bombardear, pero con fideos, tengo colador para agarrarlos".
Ovvero: “Sì, io canto in inglese ma sono italiano, gente. E volete che vi dica una cosa? Le Malvinas sono italiane. Sapete perché mi sono messo in capo uno scolapasta? Perché gli italiani stanno per bombardare, ma con gli spaghetti. Mi sono messo lo scolapasta per afferrarli”
In questa dichiarazione surreale c’è una lucidità paradossale, la capacità di chiamarsi fuori dalla follia del militarismo e del patriottismo. Perché in fondo le Malvinas sono di chi ci vive, come precisa lo stesso Prodan durante un’intervista: “chiedete per strada a uno qualsiasi se andrebbe a vivere alle Malvinas. Vi dirà di no. Sono un emblema, in Argentina come in Inghilterra. Solo uno scozzese pazzo vivrebbe laggiù (…). Per me la terra è della gente che ci vive, che ha il suo pezzo di terra e se ne prende cura per tutto l’anno.”.
E l’humor di Prodan - renitente alla leva italiana, arrestato a Roma per il suo girovagare antimilitarista – continuerà a colpire. Sapete che la bandiera argentina non si può lavare? Non so perché, è una tradizione militare argentina: lavarla significherebbe disonorarla. Al punto che quando una volta al mese dalla cima dell'obelisco di Avenida 9 de Julio depongono la bandiera e la sostituiscono con una pulita, a quel che mi è stato detto, quella vecchia viene distrutta. Ma mai lavata. In un brano enigmatico, Prodan canta: “Yo quiero a mi bandera, yo quiero a mi bandera/ Planchadita, planchadita, Planchadita” (Voglio bene alla mia bandiera. Stirata per bene). Il nostro aveva iniziato a cantare in spagnolo, ma forse i militari lo preferivano quando si esprimeva in inglese e non faceva la centrifuga alla bandiera in lavatrice.
Alberto Prunetti, Le Malvinas sono italiane