Ho visto un posto
brulicante di persone assenti,
un posto pieno di abitanti
che sembravano viandanti
attenti al passo
più che alla direzione,
con gli occhi fissi in basso,
quasi avendo soggezione.
Ma quando due si urtavano
si alzavano di scatto
e — da zitti che eran —
tutt’a un tratto urlavano al misfatto,
e poi giù botte,
tirando dentro chi gli stava accanto
a reggere il moccolo:
tutti addosso a far montagna
partendo da un bernoccolo.
Ho visto un uomo piccolo
emerger dal groviglio,
un uomo così piccolo
da sembrar suo figlio,
due parentesi di sopracciglia
su uno sguardo sveglio,
coi calli delle mani
come solo nascondiglio.
Scoglio in mezzo a quel marasma,
unico vivente
in quella città fantasma,
avanzava lentamente,
incurante del trambusto
in cui era immerso,
in cerca del suo posto,
ma senza averlo perso.
Il tempo sta cambiando,
ma i giorni non accelerano:
diventano più scuri
e si raffreddano.
E non pensare mai
che tu stia correndo —
è solo tutto il resto
che si sta fermando.
Libero,
con un libro per bagaglio,
con la propria libertà
scritta su ogni foglio,
carica d’orgoglio,
con la voglia di portare a termine
la sua missione,
ho visto l’uomo arrestarsi
sulla soglia di un portone.
Ho visto il caos chetarsi,
gli occhi alzarsi,
le orecchie tendersi
e le bocche chiudersi
in un coro muto;
poi la folla coagularsi
intorno al nuovo benvenuto,
sconosciuto a tutti quanti
e atteso come un invitato.
Nudo,
ma col più grandioso dono,
l’uomo guardò fisso in viso ognuno,
sollevò in alto la mano
e nel palmo — una ad una —
chiuse a pugno cinque dita:
riunite nella lotta,
unite per la vita.
Ascoltavano composti
il silenzio che intonavano,
aspettavano che a romperlo
fosse l’uomo che guardavano;
e quando questi alzò il volume
e prese fiato
tutti lo trattennero
ed iniziò il racconto
di quel libro magico:
“Questo che vi mostro è un organismo,
è carne mista a spirito
in un corpo unico,
nato il giorno
in cui tutti noi eravamo ipotesi,
chiamati indistintamente posteri.
Questo è il testamento
che gli antichi hanno inciso colle dita,
scritto col sangue,
pagato con la vita
di operai,
perché noi, senza troppi guai,
godessimo di quella libertà
che non hanno avuto mai.”
E in quel momento
l’aria si fece densa,
carica di attesa,
gonfia di presenza.
L’uomo aprì il libro
e il vento ne sfogliò le pagine,
come a cercare la storia
che ognuno stava aspettando.
“C’erano uomini e donne,
c’erano sogni e mani,
c’era chi lottava
per dar voce ai propri piani.
C’era chi cadeva,
ma nessuno andava perso:
ognuno un passo avanti,
anche se indietro era l’universo.
E in ogni riga,
in ogni segno,
c’è scritto: la libertà non è un dono,
è un impegno.”
Le voci si fecero eco,
gli occhi scintillarono,
e il silenzio si sciolse
come neve al primo sole.
Allora l’uomo chiuse il libro,
lo posò a terra piano,
poi aprì il pugno,
mostrò la mano
e disse:
“Guardate!
Non c’è catena
più forte della parola,
se detta insieme,
se detta ancora.
Non c’è padrone
se c’è chi sa parlare,
perché chi usa la parola
sa anche lottare.”
E la folla,
prima immobile,
prese a muoversi di nuovo —
ma non più come prima:
ognuno al passo dell’altro,
ognuno con la testa alta,
ognuno col ricordo
di quell’uomo piccolo
che aveva mostrato loro
quanto grande può essere
la libertà di parola.
brulicante di persone assenti,
un posto pieno di abitanti
che sembravano viandanti
attenti al passo
più che alla direzione,
con gli occhi fissi in basso,
quasi avendo soggezione.
Ma quando due si urtavano
si alzavano di scatto
e — da zitti che eran —
tutt’a un tratto urlavano al misfatto,
e poi giù botte,
tirando dentro chi gli stava accanto
a reggere il moccolo:
tutti addosso a far montagna
partendo da un bernoccolo.
Ho visto un uomo piccolo
emerger dal groviglio,
un uomo così piccolo
da sembrar suo figlio,
due parentesi di sopracciglia
su uno sguardo sveglio,
coi calli delle mani
come solo nascondiglio.
Scoglio in mezzo a quel marasma,
unico vivente
in quella città fantasma,
avanzava lentamente,
incurante del trambusto
in cui era immerso,
in cerca del suo posto,
ma senza averlo perso.
Il tempo sta cambiando,
ma i giorni non accelerano:
diventano più scuri
e si raffreddano.
E non pensare mai
che tu stia correndo —
è solo tutto il resto
che si sta fermando.
Libero,
con un libro per bagaglio,
con la propria libertà
scritta su ogni foglio,
carica d’orgoglio,
con la voglia di portare a termine
la sua missione,
ho visto l’uomo arrestarsi
sulla soglia di un portone.
Ho visto il caos chetarsi,
gli occhi alzarsi,
le orecchie tendersi
e le bocche chiudersi
in un coro muto;
poi la folla coagularsi
intorno al nuovo benvenuto,
sconosciuto a tutti quanti
e atteso come un invitato.
Nudo,
ma col più grandioso dono,
l’uomo guardò fisso in viso ognuno,
sollevò in alto la mano
e nel palmo — una ad una —
chiuse a pugno cinque dita:
riunite nella lotta,
unite per la vita.
Ascoltavano composti
il silenzio che intonavano,
aspettavano che a romperlo
fosse l’uomo che guardavano;
e quando questi alzò il volume
e prese fiato
tutti lo trattennero
ed iniziò il racconto
di quel libro magico:
“Questo che vi mostro è un organismo,
è carne mista a spirito
in un corpo unico,
nato il giorno
in cui tutti noi eravamo ipotesi,
chiamati indistintamente posteri.
Questo è il testamento
che gli antichi hanno inciso colle dita,
scritto col sangue,
pagato con la vita
di operai,
perché noi, senza troppi guai,
godessimo di quella libertà
che non hanno avuto mai.”
E in quel momento
l’aria si fece densa,
carica di attesa,
gonfia di presenza.
L’uomo aprì il libro
e il vento ne sfogliò le pagine,
come a cercare la storia
che ognuno stava aspettando.
“C’erano uomini e donne,
c’erano sogni e mani,
c’era chi lottava
per dar voce ai propri piani.
C’era chi cadeva,
ma nessuno andava perso:
ognuno un passo avanti,
anche se indietro era l’universo.
E in ogni riga,
in ogni segno,
c’è scritto: la libertà non è un dono,
è un impegno.”
Le voci si fecero eco,
gli occhi scintillarono,
e il silenzio si sciolse
come neve al primo sole.
Allora l’uomo chiuse il libro,
lo posò a terra piano,
poi aprì il pugno,
mostrò la mano
e disse:
“Guardate!
Non c’è catena
più forte della parola,
se detta insieme,
se detta ancora.
Non c’è padrone
se c’è chi sa parlare,
perché chi usa la parola
sa anche lottare.”
E la folla,
prima immobile,
prese a muoversi di nuovo —
ma non più come prima:
ognuno al passo dell’altro,
ognuno con la testa alta,
ognuno col ricordo
di quell’uomo piccolo
che aveva mostrato loro
quanto grande può essere
la libertà di parola.
Contributed by DoNQuijote82 - 2012/1/21 - 09:44
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Parole e musica di Frankie hi-nrg MC.
Nel disco intitolato “Ero un autarchico”