La piazza, la loggia, la gru s’incrociano come in un campo di guerra
frustata dal vento la pioggia s’infogna ed in rivoli va sottoterra
si sperde nel buio obbligato di vicoli, trame, di oscure vicende
del tempo che passa, che passa, e non cura il dolore però lo sospende.
Sospesi al vento, sul braccio di una gru ci sono sei lavoratori immigrati
saliti per trentasei metri nel freddo d’autunno e rimasti aggrappati
a un esile filo a un pensiero, ad una speranza che brucia le ali
che gli uomini in fondo al futuro, mondati dall’odio, si svelino uguali…
Li prendono in giro i lavoratori stranieri
parlano di sanatorie e poi sono storie
inapplicabili tranelli legali
balzelli contro i più poveri
da anni venuti in Italia
sfruttati, beffati
fra il bisogno e la paura
paura di mostrare il viso
d’incontrare una divisa che ti dica
“tu qui non ci puoi più stare”
e così al mattino lavori
la sera ti chiudi in casa
e muori di nostalgia.
La pubblica via è un sofisma, c’è tutto un paese fantasma
l’identità è una carta
una corta illusione, una strana nazione.
Qui Brescia, qui nord produttivo
qui angoscia dal giorno che arrivo
qui niente sembra più vivo
la piazza è un deserto
trentasei anni fa
fu un luogo aperto
di speranza e di dolore: era un porto di resistenza ed amore
(il 28 maggio 1974 c’erano in piazza lo studente e il professore
perché un mondo migliore inizia da una scuola migliore).
Sui banchi di Piazza Loggia cade una pioggia che macchia di scuro
come l’inchiostro della sentenza che abbiamo lasciato al futuro
per raccontare ai nipoti dei figli l’assurdo segreto di stato
dei morti arrivati per caso nell’ora sbagliata e nel posto sbagliato:
otto morti sbranati dal fuoco, dall’urlo, il furore, dai canti assassini
lo scoppio, lo scolo di sangue in fretta pulito, lasciato ai tombini.
Passati dieci anni, vent’anni, trentasei anni quel lutto s’è stinto
si acceca il ricordo, muore memoria e il lutto è un pensiero indistinto.
E trentasei anni più tardi, trentasei metri sopra tutto questo
sei lavoratori stranieri resistono ad ogni costo
dal trenta di ottobre aggrappati a una gru stanno guardando dall’alto
il mondo fantasma che in basso ha perduto la sua strada nell’asfalto
ARUN, JIMI, RACHID, SAJAD, SINGH, PAPA
i nomi, il sudore, le ore, i bulloni, le viti, s’inciampa, si crepa
PAPA, SINGH, ARUN, SAJAD, RACHID, JIMI
al dieci novembre son stanchi e due fra di loro scendono primi…
Ancora la fame il vento la gru e il quindici undici solo
gli eroi della disperazione cedono infine e scendono al suolo
il quindici di novembre scendono piolo per piolo
mentre otto mute presenze da Piazza Loggia stan prendendo il volo.
Otto angeli custodi si fanno sotto le braccia
di croce della gru, col vento che punge la faccia
nel freddo che fa lacrimare, Rachid e gli altri hanno chiesto
“chi siete voi che salite qui su fino al nostro posto?”
Son Giulia Banzi Bazzoli donna, madre insegnante
uscita un mattino di maggio per una cosa importante
ho corpo d’amore ed ho voce, schiantata in un portico, rotta
aspettami dissi a mio figlio… è trentasei anni che aspetta.
Ed io impregnata di pioggia son Livia Bottardi Milani,
la pioggia che insanguina maggio, la pioggia che lava le mani
di quelli che fecero bombe e sperano il tempo cancelli
le tombe nel mare ai migranti e loro rimangono quelli.
Io Pinto Luigi emigrante, come voi, ma venuto da Foggia
per lavorare nel nord, col sangue mischiato alla pioggia
tornai stretto dentro una bara, la schiena straziata di schegge
l’Italia riunita nel sangue che ancora discrimina ma non protegge.
Io, Natali Euplo
fui partigiano qui a Brescia
di colpo mi colse l’angoscia
e venni in piazza a vedere
quanto era ancora da fare
cosa la liberazione
avesse lasciato in cantiere
e venni in piazza a morire
sai ‘eravamo in tanti
con Bartolo Talenti
e con Vittorio Zambarda
siamo i “vecchi” di piazza loggia
vecchi per modo di dire
pronti ancora a salire
in alto sul posto di guardia
perché chi è vecchio ricorda
e vede con la stessa angoscia
che l’orizzonte rovescia
il vecchio fascismo di Brescia
nel nuovo razzismo leghista.
Amore che insegna il percorso che c’è da una piazza a una gru
amore che non sciolse allora che non può sciogliersi più
amore che libera e sfida, ditelo ai nostri scolari
ha nome di Alberto Trebeschi e di Clementina Calzari
finché morte non ci separi, le frasi di rito un po’ orrende
noi fummo moglie e marito e il modo ancora ci offende
col quale una bomba feroce dentro una piazza di maggio
volle spezzarci la voce, volle disfare il coraggio
ma è amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
È amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
È amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
(Il 15 novembre 2010 a Brescia i lavoratori immigrati scendevano dalla Gru mentre la sentenza sulla strage di piazza Loggia poneva definitivamente una pietra tombale su quelle otto vittime. Nessuno è stato. Continua la lotta.)
frustata dal vento la pioggia s’infogna ed in rivoli va sottoterra
si sperde nel buio obbligato di vicoli, trame, di oscure vicende
del tempo che passa, che passa, e non cura il dolore però lo sospende.
Sospesi al vento, sul braccio di una gru ci sono sei lavoratori immigrati
saliti per trentasei metri nel freddo d’autunno e rimasti aggrappati
a un esile filo a un pensiero, ad una speranza che brucia le ali
che gli uomini in fondo al futuro, mondati dall’odio, si svelino uguali…
Li prendono in giro i lavoratori stranieri
parlano di sanatorie e poi sono storie
inapplicabili tranelli legali
balzelli contro i più poveri
da anni venuti in Italia
sfruttati, beffati
fra il bisogno e la paura
paura di mostrare il viso
d’incontrare una divisa che ti dica
“tu qui non ci puoi più stare”
e così al mattino lavori
la sera ti chiudi in casa
e muori di nostalgia.
La pubblica via è un sofisma, c’è tutto un paese fantasma
l’identità è una carta
una corta illusione, una strana nazione.
Qui Brescia, qui nord produttivo
qui angoscia dal giorno che arrivo
qui niente sembra più vivo
la piazza è un deserto
trentasei anni fa
fu un luogo aperto
di speranza e di dolore: era un porto di resistenza ed amore
(il 28 maggio 1974 c’erano in piazza lo studente e il professore
perché un mondo migliore inizia da una scuola migliore).
Sui banchi di Piazza Loggia cade una pioggia che macchia di scuro
come l’inchiostro della sentenza che abbiamo lasciato al futuro
per raccontare ai nipoti dei figli l’assurdo segreto di stato
dei morti arrivati per caso nell’ora sbagliata e nel posto sbagliato:
otto morti sbranati dal fuoco, dall’urlo, il furore, dai canti assassini
lo scoppio, lo scolo di sangue in fretta pulito, lasciato ai tombini.
Passati dieci anni, vent’anni, trentasei anni quel lutto s’è stinto
si acceca il ricordo, muore memoria e il lutto è un pensiero indistinto.
E trentasei anni più tardi, trentasei metri sopra tutto questo
sei lavoratori stranieri resistono ad ogni costo
dal trenta di ottobre aggrappati a una gru stanno guardando dall’alto
il mondo fantasma che in basso ha perduto la sua strada nell’asfalto
ARUN, JIMI, RACHID, SAJAD, SINGH, PAPA
i nomi, il sudore, le ore, i bulloni, le viti, s’inciampa, si crepa
PAPA, SINGH, ARUN, SAJAD, RACHID, JIMI
al dieci novembre son stanchi e due fra di loro scendono primi…
Ancora la fame il vento la gru e il quindici undici solo
gli eroi della disperazione cedono infine e scendono al suolo
il quindici di novembre scendono piolo per piolo
mentre otto mute presenze da Piazza Loggia stan prendendo il volo.
Otto angeli custodi si fanno sotto le braccia
di croce della gru, col vento che punge la faccia
nel freddo che fa lacrimare, Rachid e gli altri hanno chiesto
“chi siete voi che salite qui su fino al nostro posto?”
Son Giulia Banzi Bazzoli donna, madre insegnante
uscita un mattino di maggio per una cosa importante
ho corpo d’amore ed ho voce, schiantata in un portico, rotta
aspettami dissi a mio figlio… è trentasei anni che aspetta.
Ed io impregnata di pioggia son Livia Bottardi Milani,
la pioggia che insanguina maggio, la pioggia che lava le mani
di quelli che fecero bombe e sperano il tempo cancelli
le tombe nel mare ai migranti e loro rimangono quelli.
Io Pinto Luigi emigrante, come voi, ma venuto da Foggia
per lavorare nel nord, col sangue mischiato alla pioggia
tornai stretto dentro una bara, la schiena straziata di schegge
l’Italia riunita nel sangue che ancora discrimina ma non protegge.
Io, Natali Euplo
fui partigiano qui a Brescia
di colpo mi colse l’angoscia
e venni in piazza a vedere
quanto era ancora da fare
cosa la liberazione
avesse lasciato in cantiere
e venni in piazza a morire
sai ‘eravamo in tanti
con Bartolo Talenti
e con Vittorio Zambarda
siamo i “vecchi” di piazza loggia
vecchi per modo di dire
pronti ancora a salire
in alto sul posto di guardia
perché chi è vecchio ricorda
e vede con la stessa angoscia
che l’orizzonte rovescia
il vecchio fascismo di Brescia
nel nuovo razzismo leghista.
Amore che insegna il percorso che c’è da una piazza a una gru
amore che non sciolse allora che non può sciogliersi più
amore che libera e sfida, ditelo ai nostri scolari
ha nome di Alberto Trebeschi e di Clementina Calzari
finché morte non ci separi, le frasi di rito un po’ orrende
noi fummo moglie e marito e il modo ancora ci offende
col quale una bomba feroce dentro una piazza di maggio
volle spezzarci la voce, volle disfare il coraggio
ma è amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
È amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
È amore che ancora ci porta da quella piazza alla gru
coraggio pietà non è morta e resta aggrappata lassù.
(Il 15 novembre 2010 a Brescia i lavoratori immigrati scendevano dalla Gru mentre la sentenza sulla strage di piazza Loggia poneva definitivamente una pietra tombale su quelle otto vittime. Nessuno è stato. Continua la lotta.)
envoyé par CCG/AWS Staff - 19/11/2011 - 17:55
Vorrei porre l'attenzione su questa canzone di Alessio Lega, una delle maggiori espressioni della canzone d'autore italiana di questo ultimo periodo. E non soltanto questo. Non soltanto questo. Davvero sono lieto che questo sito possa finalmente ospitarla, dopo averla ascoltata più di una volta dall'autore.
Riccardo Venturi - 19/11/2011 - 19:05
Oggi, 28 maggio - Piazza della Loggia - mettiamo, prego, in evidenza questa bellisima canzone.
Gian Piero Testa - 28/5/2012 - 10:53
"Son Giulia Banzi Bazzoli donna, madre insegnante uscita un mattino di maggio per fare una cosa importante ho corpo d'amore ed ho voce, schiantata in un portico, rotta aspettami dissi a mio figlio... è trentasei anni che aspetta".
×
Spettacolo da cantastorie di Alessio Lega e Marco Rovelli, con Guido Baldoni alla fisarmonica
Sogno numero 3: La piazza, la loggia, la gru. Brescia, maggio 1974-novembre 2010
Nel 2009 viene finalmente approvata la Sanatoria per immigrati che svolgono la funzione di colf e badanti. È una grande speranza per molti immigrati clandestini che lavorano ma vivono come fantasmi in Italia, così spendono e faticano per il miraggio del permesso di soggiorno, e chissà, un giorno, per la cittadinanza.
Ma presto la sanatoria si rivela un “pacco”. La Lega Nord non ha nessuna intenzione seria, si mette per traverso. I migranti si sentono truffati.
Nell’ottobre 2010 nel Nord Italia si fanno presidi, e manifestazioni, ma nessuno pare accorgersene. A Brescia quando anche il permesso di manifestare in presidio viene revocato, un gruppo di 6 migranti sale su di una gru nel cantiere della metropolitana di Piazza Cesare Battisti.
36 anni prima, il 28 maggio 1974 in Piazza Loggia a Brescia sono le 10 del mattino. Quasi tremila persone partecipano a una manifestazione antifascista.
Inaspettatamente piove e fa freddo.
Dal palco al centro della piazza parla un sindacalista. Non terminerà mai il comizio perché esattamente dopo dodici minuti il suo discorso è interrotto dall’esplosione
Fonte A rivista anarchica