Tengo na voglia
na voglia
e fa... niente!
Comm'o sole dint'a capa,
m'è trasuta a pensata
e s'incontro pa' via,
chi ha inventato a fatica
io, ti giuro, l'accido, pecchè
tengo na voglia
na voglia
e fa... niente!
Si a fatica era 'bbona,
m'ha cunsigliato o' dottore,
si a fatica era 'bbona
nun pregavano i preti
benedizione alla fatica
e a chi la vuole.
Tengo na voglia
na voglia
e fa... niente!
Chi m'ha mis'in catena,
passa a vita in vacanza,
io fatico e fatico
e passo pure da stronzo:
vaffanculo alla fatica
e a chi la vuole.
Tengo na voglia
na voglia
e fa... niente!
La fatica è onore,
ma si ta scansi, meglio ancora!
Beato chi, cumm'è, sa riesce a scansà!
Tengo na voglia
na voglia
e fa... niente!
na voglia
e fa... niente!
Comm'o sole dint'a capa,
m'è trasuta a pensata
e s'incontro pa' via,
chi ha inventato a fatica
io, ti giuro, l'accido, pecchè
tengo na voglia
na voglia
e fa... niente!
Si a fatica era 'bbona,
m'ha cunsigliato o' dottore,
si a fatica era 'bbona
nun pregavano i preti
benedizione alla fatica
e a chi la vuole.
Tengo na voglia
na voglia
e fa... niente!
Chi m'ha mis'in catena,
passa a vita in vacanza,
io fatico e fatico
e passo pure da stronzo:
vaffanculo alla fatica
e a chi la vuole.
Tengo na voglia
na voglia
e fa... niente!
La fatica è onore,
ma si ta scansi, meglio ancora!
Beato chi, cumm'è, sa riesce a scansà!
Tengo na voglia
na voglia
e fa... niente!
Contributed by Riccardo Venturi - 2011/6/7 - 23:10
Dalla newsletter dell'Istituto Ernesto De Martino
Enzo Del Re ci ha lasciati.
Lo ricordiamo attraverso le parole e i pensieri di Annamaria Rivera e vi segnaliamo la sua performance al Concerto del Primo Maggio a Roma nel 2010:
"Il musicista Enzo Del Re è stato ritrovato morto il 7 giugno scorso nella sua casa di Mola di Bari, dove viveva da solo. Per me è un dolore grande.
Non solo perché, un* dopo l'altr*, se ne vanno compagne e compagni della nostra generazione. Soprattutto perché lo ammiravo per la sua musica, per la coerenza assoluta, per lo spirito anarchico e ribelle.
Ho un ricordo vivido della tournée pugliese, in uno dei primissimi anni '70, nella quale lo coinvolgemmo, non so dire per quale campagna politica.
Una tournée punteggiata da ritardi e piccoli incidenti, provocati dalla sua ostinazione "irriducibile", come si dice, ma davvero: voleva rimanere fedele al principio che si deve viaggiare solo con mezzi pubblici e gratuiti. Così i suoi viaggi erano spezzettati e ritardati da controllori severi che lo costringevano a scendere. E noi e il pubblico ad aspettare ore ed ore che arrivasse...
Quando poi finalmente era arrivato, non se ne andava più. Continuava a cantare e a battere sulla sedia anche dopo che le luci erano state spente e il palco smontato. "Finché c'è anche una sola persona ad ascoltarmi, diceva, io continuo a suonare". Non si riusciva a persuaderlo che il termine che ci era stato concesso dalla burocrazia era scaduto da tempo e che noi, gli organizzatori, eravamo stremati.
Avevamo concordato di dargli per ogni concerto, come aveva chiesto, la somma corrispondente alla paga sindacale minima di un metalmeccanico.
Spesso accadeva che la colletta ci fruttasse di meno, rare volte di più.
Quando una volta provammo a offrirgli tutto quel che avevamo raccolto, poco più della somma pattuita, si offese: "Per chi mi prendete?, si mise a gridare, Io non accetto una lira di più della paga sindacale!".
Gianfranco, mio marito, ricorda che era solito dire che tutti sono in grado di cantare, tranne i carabinieri. Un altro compagno, anche lui un ex del Circolo Lenin di Puglia, racconta che il 1975 o il '76 arrivò per un concerto, non si sa con quale mezzo, a Villa Castelli, piccolo comune del brindisino. Per il paese -dice- lui, la sua voce e la sua sedia furono un grande evento. Un compagno gli offrì di dormire nel suo trullo in campagna, un altro gli propose di condurlo in auto. Non ci fu verso di convincerlo. I due disgraziati dovettero -l'uno a piedi, l'altro in auto, procedendo a passo d'uomo- accompagnarlo per chilometri e chilometri di campagna buia, imprecando a bassa voce.
E' morto povero, alquanto sottovalutato, dimenticato da molti: certi miei allievi di Mola di Bari ignoravano la sua esistenza finché io non gliela ho raccontata.
Che lo accolga quell'altra dimensione, dove tutti sanno cantare, suonare, ballare, perfino i carabinieri (quelli buoni, ammesso che ce ne siano); dove non esiste la moneta né il potere e l'ingiustizia; dove c'è posto e pace, cibo e felicità per tutti i viventi.
E anche mezzi di trasporto pubblici e gratuiti per tutti (ma forse non ce ne è bisogno: in quella dimensione senza tempo non c'è neppure lo spazio)".
Annamaria Rivera
--
Istituto Ernesto de Martino
Villa San Lorenzo al Prato
Via degli Scardassieri, 47
50019 Sesto Fiorentino (FI)
Tel: 055 4211901
Fax: 055 4211940
Web: www.iedm.it
Skype: istituto.ernesto.de.martino
Enzo Del Re ci ha lasciati.
Lo ricordiamo attraverso le parole e i pensieri di Annamaria Rivera e vi segnaliamo la sua performance al Concerto del Primo Maggio a Roma nel 2010:
"Il musicista Enzo Del Re è stato ritrovato morto il 7 giugno scorso nella sua casa di Mola di Bari, dove viveva da solo. Per me è un dolore grande.
Non solo perché, un* dopo l'altr*, se ne vanno compagne e compagni della nostra generazione. Soprattutto perché lo ammiravo per la sua musica, per la coerenza assoluta, per lo spirito anarchico e ribelle.
Ho un ricordo vivido della tournée pugliese, in uno dei primissimi anni '70, nella quale lo coinvolgemmo, non so dire per quale campagna politica.
Una tournée punteggiata da ritardi e piccoli incidenti, provocati dalla sua ostinazione "irriducibile", come si dice, ma davvero: voleva rimanere fedele al principio che si deve viaggiare solo con mezzi pubblici e gratuiti. Così i suoi viaggi erano spezzettati e ritardati da controllori severi che lo costringevano a scendere. E noi e il pubblico ad aspettare ore ed ore che arrivasse...
Quando poi finalmente era arrivato, non se ne andava più. Continuava a cantare e a battere sulla sedia anche dopo che le luci erano state spente e il palco smontato. "Finché c'è anche una sola persona ad ascoltarmi, diceva, io continuo a suonare". Non si riusciva a persuaderlo che il termine che ci era stato concesso dalla burocrazia era scaduto da tempo e che noi, gli organizzatori, eravamo stremati.
Avevamo concordato di dargli per ogni concerto, come aveva chiesto, la somma corrispondente alla paga sindacale minima di un metalmeccanico.
Spesso accadeva che la colletta ci fruttasse di meno, rare volte di più.
Quando una volta provammo a offrirgli tutto quel che avevamo raccolto, poco più della somma pattuita, si offese: "Per chi mi prendete?, si mise a gridare, Io non accetto una lira di più della paga sindacale!".
Gianfranco, mio marito, ricorda che era solito dire che tutti sono in grado di cantare, tranne i carabinieri. Un altro compagno, anche lui un ex del Circolo Lenin di Puglia, racconta che il 1975 o il '76 arrivò per un concerto, non si sa con quale mezzo, a Villa Castelli, piccolo comune del brindisino. Per il paese -dice- lui, la sua voce e la sua sedia furono un grande evento. Un compagno gli offrì di dormire nel suo trullo in campagna, un altro gli propose di condurlo in auto. Non ci fu verso di convincerlo. I due disgraziati dovettero -l'uno a piedi, l'altro in auto, procedendo a passo d'uomo- accompagnarlo per chilometri e chilometri di campagna buia, imprecando a bassa voce.
E' morto povero, alquanto sottovalutato, dimenticato da molti: certi miei allievi di Mola di Bari ignoravano la sua esistenza finché io non gliela ho raccontata.
Che lo accolga quell'altra dimensione, dove tutti sanno cantare, suonare, ballare, perfino i carabinieri (quelli buoni, ammesso che ce ne siano); dove non esiste la moneta né il potere e l'ingiustizia; dove c'è posto e pace, cibo e felicità per tutti i viventi.
E anche mezzi di trasporto pubblici e gratuiti per tutti (ma forse non ce ne è bisogno: in quella dimensione senza tempo non c'è neppure lo spazio)".
Annamaria Rivera
--
Istituto Ernesto de Martino
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daniela -k.d.- - 2011/6/10 - 16:07
"Enzo Del Re, la sedia e la valigia"
Capossela saluta l'ultimo cantastorie"
Per tutta la vita è stato anarchico e ha vissuto, senza compromessi, i suoi principi etici e politici fino alle estreme conseguenze, fino ad andarsene in completa solitudine, nella stanza di casa sua, nel paese in cui è nato, cresciuto e morto"
di VINICIO CAPOSSELA
"I COMPAGNI di Mola salutano l'ultimo cantastorie corpofonista" era scritto su un cartello listato a lutto sulla porta del palazzo di pietra. Un altro recitava "ti saluto, ti saluto, ti saluto a pugno chiuso". Pioveva. Il paese sul mare, che in giugno si immagina bianco, blu e azzurro, è completamento grigio. Il cielo precipita addosso e scroscia pioggia a intermittenza. Appena entrati nella camera ardente del palazzo Roberti, detto delle 100 camere, cala il diluvio. Non si può più uscire dalla porta. Le cateratte del cielo che si aprono, dicono i compagni, è Enzo che si ribella, all'essere condotto in chiesa. Enzo Del Re per tutta la vita è stato anarchico e ha vissuto, senza compromessi, i suoi principi etici e politici fino alle estreme conseguenze, fino ad andarsene in completa solitudine, nella stanza di casa sua, nel paese in cui è nato, cresciuto e morto.
Il paese della lingua che ha cantato. Il maulese.
Il molese di Mola, "Maule", come si intitola il suo disco bianco. Un disco di ballate di lavoro e una canzone d'amore per il paese, che termina con la solita beffa finale... non c'è città più arretrata di te... la stessa che fa dire al navigante dopo tutte le fatiche che ha fatto e dopo tanto avere sospirato il ritorno, "speriamo che la moglie non mi abbia messo le corna".
Era in dialisi da tempo. Dicono che si era provato ad attivare le procedure per beneficiare della legge Bacchelli, ma i neri di Tatarella non gliela avrebbero mai data. Rifiutò il trapianto di reni, perché era convinto che con i suoi metodi i reni si sarebbero rigenerati. Aveva sviluppato sue teorie che lo portavano a curarsi mangiando soltanto polpo. L'Octòpus, come lo chiamava. Aveva fatto studi classici. Non lasciava stare le parole. Le indagava. Partiva dal dialetto, le portava all'italiano, si appassionava all'etimologia. Ai suoi concerti che dava accompagnandosi con una sedia o una valigia di cartone, era temuto. "Io resto - diceva -fino a che l'ultimo ascoltatore non se ne è andato". E manteneva la parola, forte di un repertorio che si prendeva il tempo che voleva. C'era poi un motivo più ideologico a spingerlo. Suonare otto ore e pretendere la retribuzione di un operaio metalmeccanico. Ora è qui, nella camera ardente. Da un registratore escono le note della sua voce che si lamenta in questa lingua arcaica, sospesa sul mare d'Oriente. Lottando contro la volontà dei familiari è stato vestito come suo solito e non con l'abito scuro.
Tutti i suoi convincimenti lo avevano portato ad applicare la lotta di classe anche nell'uso degli oggetti più comuni. Non arrivò in tempo a diversi concerti perché si rifiutava di salire a bordo di automobili, strumento che, affermava, rende schiavi del padrone. Autostrada, petrolio, economia, Fiat, Stato, quindi niente automobile. Era "pedone per scelta esistenziale". Fu fermato diverse volte nel recarsi ai concerti, non per i contenuti rivoltosi delle sue composizioni, ma per la pratica convinta dell'autoriduzione del biglietto. Viveva solo. C'è chi lo sorprese in gioventù con pile di riviste osè nella stanza. "Non capisci compagno, il mio seme non lo dò al padrone".
Il feretro fu messo nella macchina del servizio funebre e uno sparuto gruppo lo seguì nella pioggia livida. In chiesa lo seguì la famiglia soltanto. I compagni, gli amici, restarono fuori. Qualcuno venne con la bandiera anarchica. Un piccolo gruppo riportava battute. Erano quelli del "carrettaun", il carro della cuccagna, gli "amici miei" del paese. Ognuno aveva un aneddoto che smentiva quello degli altri. Uno mi prese da parte e mi mostrò il suo locale: "Il ministero della brace" si chiamava. ("Eh, Enzo era davvero amico mio, e non degli altri. Questa è una vera braceria, e non le altre..."). Ti dico io una cosa, l'anno scorso incontro Enzo che mi dice... andiamo a festeggiare il mio compleanno. E quanti ne siete?, ho chiesto - "je sckètte ", io solo! - mi ha risposto. La birra analcolica se l'era portata da casa per paura di non trovarne, e così cenammo insieme. Mangiò il polpo alla Krefiù, alla maniera di Corfù. Voleva pagare, ma, gli dissi, e che? Nemmeno la cena del compleanno ti posso offrire?"
Nella piazzetta intanto aveva smesso di piovere Il cielo restava cupo. La bandiera degli anarchici la teneva un compagno con la faccia segnata dalle rughe del sole. "L'assassino" lo chiamavano, perché la parola che più spesso aveva in bocca era "t'ammazzo". Si lamentava con un altro. "Se era per te, nemmeno l'avevo saputo". "E dovevi guardare la posta elettronica..." , "sì , sì, fatevi tutti controllare dalla C. I. A..." E restò in silenzio, sprezzante, sorretto dalla bandiera.
Gli "amici miei" raccontavano ancora. "Ero con lui quando, sdraiato nel letto, che non stava bene, sentì il suono della campana e scrisse Maule.. nu tocc de campane..", e un altro aggiungeva, "la canzone più straordinaria è Scittrà, quella della gatta nera". Altri parlavano di episodi più recenti. La volta che la piazza piena non lo vide salire sul palco perché gli organizzatori non gli avevano fatto i pomodorini di ceramica che aveva chiesto per donarli poi alla gente. E così non regalò né pomodori né canzoni.
"Era cocciuto e inconvincibile, Cè . Noi lo chiamavamo Cè, abbreviativo di Cenzino, non del "Che". Lui lo sorpassava a sinistra il "Che". Era per Ho Chi Minh... 24 ore ... Ridere si fa per ridere, tutta la strada fino all'altro mondo in allegria, con buon umore. Comico, mi piace il comico...
Nella piazza della Repubblica di Parma al concerto del 25 aprile 2009 ci ipnotizzò tutti con quelle lunghe tirate ritornellate con "evviva Bakunin" che nel tempo aveva sostituito "giap giap Ho Chi Minh". Era salito sul palco e così per la prima volta vidi questo signore tutto agghindato e vestito con ricercatezza, con un gran papillon e il basco di maglia. Durante il pomeriggio era stato seduto a vendere le sue audiocassette, ma nessuno l'aveva capito. La piazza lo conosceva poco, ci mise un po' per adeguarsi a quella musica emessa da una bocca che cantava e schioccava la lingua come una percussione, e si accompagnava battendo una sedia. Ci volle un po', e la prese lunga, ma poi la sua lunghezza d'onda, un'altra frequenza, non FM, piuttosto onde medie, lentamente arrivò tra la gente che iniziò a ondeggiare a tempo. Dopo 15' non si sentiva più la mancanza di nulla, né del basso, né della batteria, delle chitarre. Era autosufficiente. Ecco il Corpofonista. I suoni emessi dal suo corpo e dallo strumento di lavoro facevano tutto. Era una litania su base ritmica. Una specie di rap salmodiato. Il ritmo bastava e andò avanti a lungo. "Io e la mia sedia" , una lunga gimcana per introdursi, e poi "Comico" e poi "Lavorare con lentezza", pausa pausa ritmo lento.. la salute non ha prezzo...
Se ne stava lì come una tartaruga, corazzato e sfrontato, a fare adeguare le migliaia a lui solo. La sua musica era di propaganda, adatta a parlare alle grandi masse. La sua ostinazione, la cocciutaggine dura come un guscio, la corazza della sua coerenza, incantavano e incatenavano la piazza. Si sarebbe detto che fosse come Oum Kalthoum, come i muezzin, destinato alle platee oceaniche dei grandi raduni ideologici. Chiuso ad angolo sulla sua sedia, lo sguardo lontano oltre al pubblico, guardava al sol dell'avvenire.
"Si è spaccato - affermò con rabbia un compagno - dedicandosi tutto, pensando, come molti di noi, credendo, che davvero la vita potesse cambiare per tutti, fino a diventare rabbioso, fino a consumarsi, nel rancore. In un paese che lo compativa, che lo trattava da "bizzarro originale". "Carvaun", carbone, come era il soprannome di famiglia. "Carvaun? Ma non è muort ancora..?" "Se ne accorgono adesso! Questo paese è la perla nera. Paese di fascisti, rifugio dei latitanti di destra negli anni '70. Quando fu ucciso il compagno Benedetto Petrone, Enzo ne fece una ballata. Dal vivo poteva durare anche 30 minuti. Enzo era così, quanto ci metteva ci metteva. La sua storia di Maule in audiocassette dura 5 ore. Non si faceva intimidire dal tempo.
La famiglia pure era espressione di questo paese. Enzo tra loro era la pecora rossa. L'avrebbero voluto vestito in borghese almeno da morto. A quel punto la bara fu portata fuori dalla chiesa. Mentre si avvicinava al baule aperto dell'auto, partì l'applauso. L'applauso cresceva amplificato dalla pietra della piccola piazza. L'applauso... l'ultimo applauso, quello del congedo, dell'uscita di scena... Non terminava l'applauso... era un applauso commosso, di rivincita, di rabbia quasi, e di affetto. Molti non poterono applaudire perché stringevano verso il cielo il pugno chiuso, quello del lato del cuore. Ti saluto a pugno chiuso, il verso si era fatto saluto. Gli occhi lucidi e anche fieri, i compagni salutavano.
Quasi a conseguenza di tanta ostinazione ideologica una pietra cadde sul cofano dell'auto funebre, e poi altre. Guardai sul tetto di fronte pensando istintivamente a qualche fanatico dell'opposta fazione che avesse tirato a sfregio e invece era il cielo a rovesciarle, a lapidare gli astanti. La grandine venne con sassi di ghiaccio grandi quanto pugni chiusi, e venne violenta, con ira. Ci si dovette rifugiare sotto i balconi, sotto le arcate. La grandine rimbalzava. A gragnole crepitava sulla pietra bagnata. Il cielo era gravido di rabbia. Forse era Dio che voleva partecipare al funerale di un ateo, o forse era il Superuomo liberato dal corpo di Enzo del Re che esprimeva la sua rabbia nel doversi accommiatare dalla vita e per essere stato portato in chiesa, e infine per essere caricato su una macchina, anzi che a spalla, per l'ultimo viaggio... Sia come sia, fu una visione biblica questa grandine furente e pietrosa che si rovesciava sul carro funebre e sul paese di Mola, come per punirli di non avere riconosciuto il loro profeta. Per concedere un segno tangibile della sua dipartita. I compagni coriacei accompagnarono comunque la salma.
Un ragazzo in testa al drappello reggeva la sedia da un piede, alzandola al cielo come una bandiera. La grandine la faceva suonare con colpi di nocche, sonori e pieni di rabbia. Al camposanto pioveva. Ci si raccolse sotto un'arcata. La bara era scoperta. Enzo del Re se ne stava immobile, con la sua barba da casa delle fate, il baschetto rosso, l'ombrello disteso con lui, e un gran girasole sul corpetto. Diversi pronunciarono un discorso di saluto. Uno, che nell'emozione si rivolse agli astanti chiamandoli amici, subito fu apostrofato "Compagni! Quali amici? Compagni!" Furono discorsi rivolti direttamente alla salma "Enzo ricordi quella battaglia?"" "Ora bisogna che qualcuno porti avanti la tua bandiera. La bandiera della coerenza." Altri gli rivolgevano ricordi affettuosi, altri ancora, ricordi di lotta. Poi a bandiere ammainate tutti cantarono "Addio Lugano bella, gli anarchici van via..."
Era un canto eroico e mesto, quanto diverso dalla solennità dei canti sacri, della preghiera. Era l'uomo solo, senza le scorciatoie della fede. I credenti se la rendono più comoda. Ma ammettere che sei polvere soltanto, è più duro. Siamo soli sulla faccia della Terra. Nella bara sarebbero rimaste le ossa e l'ombrello e le idee che continuano a vivere in noi, che restiamo sapendo di andarcene, e viviamo anche per chi se ne è già andato.
"scitt' , scittrà... "Riecco la gatta nera, fuori dal cimitero, cacciata da tutti, senza che ne abbia colpa, e più di tutti cacciata dalla famiglia rispettabile, appena uscita dalla chiesa. Enzo Del Re è stato un altro cantore che (come Woodie Gutrie), ha alzato la voce contro l'ignoranza, contro la cattiveria, lo sfruttamento. Che quando ha cantato l'amore l'ha fatto con le parole di un muratore, di un contadino, di un imbarcato in mare. Maria Luise.. t voglio vasè... Che ha usato la lingua più arcaica e misteriosa del suo paese Maule, con un rigore e un criterio che non ha lasciato nulla al vezzo o al caso. L'uso di una valigia, di una sedia, del corpo è stato tutto parte di un'idea. Ha cantato con una coscienza politica diversa per esempio da quella più primitiva, del suo grande conterraneo della generazione precedente Matteo Salvatore. Ne ha cantato in maniera popolare, con gli strumenti dell'intellettuale, orgogliosamente di parte, ma i risultati sono gli stessi. La denuncia dell'ignoranza, della sopraffazione, il dominio del capitale sulla vita, la violenza con la quale il capitale si afferma, i delitti le stragi. E' un messaggio che non passa d'attualità, anche se non sono più di moda quelle bandiere e quel linguaggio, ma la sostanza resta.
Il canto finì... il gruppo si sciolse... gli occhi lucidi... le bandiere furono riavvolte al bastone. Ci si disperse... Ognuno tornava verso casa e la salma restò in attesa del loculo. Anche lui andava al suo posto. Si sarebbe saputo dove trovarlo d'ora in poi. La sua casa era la terra. Gli uomini sono tutti eroi per sopportare di venire al mondo sapendo di morire, di dovere andarcene così. Sopportare questo, vivere essendone consapevoli, fa di tutti noi degli eroi. Sulla via del ritorno in paese il tempo si aprì. Un grande arcobaleno sorse sul viola, un piede nel mare scuro e un altro nel nero del cielo. Per esorcizzare la morte i vivi andarono a mangiare. Ci recammo alla Lampara, una sala con grandi lampade di ferro e vetro, da caccia ai polpi, che ci attiravano e immobilizzavano ai tavoli sottostanti. Qui Del Re veniva spesso a mangiare il suo polpo alla brace. La gestiscono due fratelli, il signor Bruno, il più alto, si era chinato in mattinata sulla bara, dicendo "Cè.. e mo chi te lo fa più il polpo a te?". Il cameriere ci raccontava gli usi, i costumi, la grande lentezza nel consumare i pasti. Masticare 35 volte ogni boccone, come insegnano a scuola. La seconda valigia, quella col vestito buono, perché c'è sempre un occasione. Il papillon così grande perché "mi si deve riconoscere".
La sera andammo dai giovani del circolo Arci. Avevano organizzato da poco l'ultimo concerto, per il primo maggio. Il palco era fatto di cassette di legno, e siccome era piovuto l'impianto non era un granché, ma Del Re cantò lo stesso al suo solito modo, come di fronte alla sterminata platea del raduno del primo maggio dell'anno precedente a Roma, quando gli si era offerto un palco degno, e alla festa dei lavoratori era stato offerto un artista degno di quella festa. Schioccò la lingua e percosse la sedia. Non però fino a quando se ne fosse andato l'ultimo ascoltatore. Stavolta se ne andò prima lui.
Ascoltammo il disco bianco Maule, da un gran televisore invece che da un giradischi. I ragazzi presero a spiegare le canzoni, a tradurle perpetuandole. Uno osservò: "Enzo ha risarcito la categoria più sventurata del mondo del lavoro: il marittimo. In questo disco ci sono tre canzoni sul lavoro. I muratori, i contadini, i naviganti. Ecco, quella del navigante è quella che mi commuove di più. Nessuno ne parla mai, e sono gente di noi." La musica attaccò. Prese a tradurre a orecchio:
"Io tengo la bocca amara e il cuore nero, son navigante e vado su un vapore. Io tengo il cuore nero e la bocca amara, perché vado disperso su una schiuma di mare. Ah, quando mi allontano dalla banchina, ti piango a grandi lacrime Rosina. Da levante a ponente, notte e giorni vi chiamo faccio la schiuma alla bocca , ma nessuno mi sente..."
Con lo stesso strazio e lamento cantava della strage di Avola, poveri contro poveri, poveri carabinieri contro poveri contadini. Lui non si risparmiava e non risparmiò niente a nessuno. "Ci vuole un organizzazione nuova" , scritta sulla melodia di "Amara terra mia" di Modugno. La canzone della gatta la scrisse per risposta a Modugno che aveva scritto Muscio Niuro (micio nero). Nascoste nei suoi versi ci sono tesori della nostra parlata e la canzone finisce con il detto che più esprime l'ingiustizia nella maniera popolare. "Uacidd pish u litt' e u cul iev mazz'te", "l'uccello piscia il letto e il culo prende le mazzate". Scittrà, è il verso che si fa per scacciare il gatto.. e questa è la canzone, una canzone che dice che non c'è sordo più sordo di chi non vuole sentire, e dice anche "quanta è scema la gente al mondo, e più è ignorante e più diventa cattiva..."
Un giorno una certa famiglia uscendo di chiesa, con l'anima in pace tornava dopo la messa e si era fatta anche la comunione.. ma vedendo una gatta nera si scordarono di tutti i santi e si toccavano davanti, e mentre si toccavano e gridavano scittrà.. chi le dava un calcio, chi un colpo di pietra, la gatta miagolava disperata, ma che colpa tengo io se mi hanno fatto il pelo nero, pigliatevela con la natura che mi ha fatto il pelo scuro.. e sanguinante sente quei versi come colpi di martello nella testa... scitt scitt scittraà...
E poi "Le pietre", da un episodio di rivolta contadina , che intercalata con un fischio, sembra un western , la resa dei conti all'alba. Le pietre che abbiamo dovuto alzare per costruire i loro muretti a secco , diceva la canzone, domattina alle tre le useremo per fare la rivoluzione. Il ciuccio non si deve legare più, dove vuole il padrone. Al muro era appesa una sedia, una di quelle da cucina, da scuola. Il ragazzo la staccò e la mostrò. "Ecco questa è l'ultima che ha suonato, al primo maggio alla festa dei lavoratori dell'Arci di mola. Ma veramente l'ultima volta che l'ha suonata è stato forse oggi, con quei colpi di grandine che gli sono sbattuti addosso all'uscita della chiesa". Al
Al concerto disse: "Sulla sedia si vive e si muore" e si riferiva a Sacco e Vanzetti, al fatto che una sedia potesse essere uno strumento d'ingiustizia e di morte, la sedia elettrica, oppure di vita, una sedia da suonare. E viene da pensare che l'ultimo momento l'ha passato su una sedia. L'hanno trovato 24 ore dopo col capo appoggiato al tavolo e il sedere alla sedia, con un espressione come sovrapensiero. Si arrabbiava spesso, ma con l'età era come se non si arrabbiasse più severamente.
E con questo ho finito. Me ne posso andare. Lo sono venuto a scrivere qui al ristorante "la lampara", dove era solito mangiarsi il polpo. L'uomo alto che glielo preparava nel chiudere mi ha salutato, e senza che gli chiedessi niente ha aggiunto con un mezzo sorriso: "Non ha mai lavorato un giorno della sua vita. Neanche il padre ha aiutato. Era un personaggio. Con quella bicicletta ... quell'ombrello... Meglio così ... però, bisogna dirlo, non ha mai dato fastidio a nessuno". Ha abbassato la serranda per l'ora della controra.
La Repubblica
Capossela saluta l'ultimo cantastorie"
Per tutta la vita è stato anarchico e ha vissuto, senza compromessi, i suoi principi etici e politici fino alle estreme conseguenze, fino ad andarsene in completa solitudine, nella stanza di casa sua, nel paese in cui è nato, cresciuto e morto"
di VINICIO CAPOSSELA
"I COMPAGNI di Mola salutano l'ultimo cantastorie corpofonista" era scritto su un cartello listato a lutto sulla porta del palazzo di pietra. Un altro recitava "ti saluto, ti saluto, ti saluto a pugno chiuso". Pioveva. Il paese sul mare, che in giugno si immagina bianco, blu e azzurro, è completamento grigio. Il cielo precipita addosso e scroscia pioggia a intermittenza. Appena entrati nella camera ardente del palazzo Roberti, detto delle 100 camere, cala il diluvio. Non si può più uscire dalla porta. Le cateratte del cielo che si aprono, dicono i compagni, è Enzo che si ribella, all'essere condotto in chiesa. Enzo Del Re per tutta la vita è stato anarchico e ha vissuto, senza compromessi, i suoi principi etici e politici fino alle estreme conseguenze, fino ad andarsene in completa solitudine, nella stanza di casa sua, nel paese in cui è nato, cresciuto e morto.
Il paese della lingua che ha cantato. Il maulese.
Il molese di Mola, "Maule", come si intitola il suo disco bianco. Un disco di ballate di lavoro e una canzone d'amore per il paese, che termina con la solita beffa finale... non c'è città più arretrata di te... la stessa che fa dire al navigante dopo tutte le fatiche che ha fatto e dopo tanto avere sospirato il ritorno, "speriamo che la moglie non mi abbia messo le corna".
Era in dialisi da tempo. Dicono che si era provato ad attivare le procedure per beneficiare della legge Bacchelli, ma i neri di Tatarella non gliela avrebbero mai data. Rifiutò il trapianto di reni, perché era convinto che con i suoi metodi i reni si sarebbero rigenerati. Aveva sviluppato sue teorie che lo portavano a curarsi mangiando soltanto polpo. L'Octòpus, come lo chiamava. Aveva fatto studi classici. Non lasciava stare le parole. Le indagava. Partiva dal dialetto, le portava all'italiano, si appassionava all'etimologia. Ai suoi concerti che dava accompagnandosi con una sedia o una valigia di cartone, era temuto. "Io resto - diceva -fino a che l'ultimo ascoltatore non se ne è andato". E manteneva la parola, forte di un repertorio che si prendeva il tempo che voleva. C'era poi un motivo più ideologico a spingerlo. Suonare otto ore e pretendere la retribuzione di un operaio metalmeccanico. Ora è qui, nella camera ardente. Da un registratore escono le note della sua voce che si lamenta in questa lingua arcaica, sospesa sul mare d'Oriente. Lottando contro la volontà dei familiari è stato vestito come suo solito e non con l'abito scuro.
Tutti i suoi convincimenti lo avevano portato ad applicare la lotta di classe anche nell'uso degli oggetti più comuni. Non arrivò in tempo a diversi concerti perché si rifiutava di salire a bordo di automobili, strumento che, affermava, rende schiavi del padrone. Autostrada, petrolio, economia, Fiat, Stato, quindi niente automobile. Era "pedone per scelta esistenziale". Fu fermato diverse volte nel recarsi ai concerti, non per i contenuti rivoltosi delle sue composizioni, ma per la pratica convinta dell'autoriduzione del biglietto. Viveva solo. C'è chi lo sorprese in gioventù con pile di riviste osè nella stanza. "Non capisci compagno, il mio seme non lo dò al padrone".
Il feretro fu messo nella macchina del servizio funebre e uno sparuto gruppo lo seguì nella pioggia livida. In chiesa lo seguì la famiglia soltanto. I compagni, gli amici, restarono fuori. Qualcuno venne con la bandiera anarchica. Un piccolo gruppo riportava battute. Erano quelli del "carrettaun", il carro della cuccagna, gli "amici miei" del paese. Ognuno aveva un aneddoto che smentiva quello degli altri. Uno mi prese da parte e mi mostrò il suo locale: "Il ministero della brace" si chiamava. ("Eh, Enzo era davvero amico mio, e non degli altri. Questa è una vera braceria, e non le altre..."). Ti dico io una cosa, l'anno scorso incontro Enzo che mi dice... andiamo a festeggiare il mio compleanno. E quanti ne siete?, ho chiesto - "je sckètte ", io solo! - mi ha risposto. La birra analcolica se l'era portata da casa per paura di non trovarne, e così cenammo insieme. Mangiò il polpo alla Krefiù, alla maniera di Corfù. Voleva pagare, ma, gli dissi, e che? Nemmeno la cena del compleanno ti posso offrire?"
Nella piazzetta intanto aveva smesso di piovere Il cielo restava cupo. La bandiera degli anarchici la teneva un compagno con la faccia segnata dalle rughe del sole. "L'assassino" lo chiamavano, perché la parola che più spesso aveva in bocca era "t'ammazzo". Si lamentava con un altro. "Se era per te, nemmeno l'avevo saputo". "E dovevi guardare la posta elettronica..." , "sì , sì, fatevi tutti controllare dalla C. I. A..." E restò in silenzio, sprezzante, sorretto dalla bandiera.
Gli "amici miei" raccontavano ancora. "Ero con lui quando, sdraiato nel letto, che non stava bene, sentì il suono della campana e scrisse Maule.. nu tocc de campane..", e un altro aggiungeva, "la canzone più straordinaria è Scittrà, quella della gatta nera". Altri parlavano di episodi più recenti. La volta che la piazza piena non lo vide salire sul palco perché gli organizzatori non gli avevano fatto i pomodorini di ceramica che aveva chiesto per donarli poi alla gente. E così non regalò né pomodori né canzoni.
"Era cocciuto e inconvincibile, Cè . Noi lo chiamavamo Cè, abbreviativo di Cenzino, non del "Che". Lui lo sorpassava a sinistra il "Che". Era per Ho Chi Minh... 24 ore ... Ridere si fa per ridere, tutta la strada fino all'altro mondo in allegria, con buon umore. Comico, mi piace il comico...
Nella piazza della Repubblica di Parma al concerto del 25 aprile 2009 ci ipnotizzò tutti con quelle lunghe tirate ritornellate con "evviva Bakunin" che nel tempo aveva sostituito "giap giap Ho Chi Minh". Era salito sul palco e così per la prima volta vidi questo signore tutto agghindato e vestito con ricercatezza, con un gran papillon e il basco di maglia. Durante il pomeriggio era stato seduto a vendere le sue audiocassette, ma nessuno l'aveva capito. La piazza lo conosceva poco, ci mise un po' per adeguarsi a quella musica emessa da una bocca che cantava e schioccava la lingua come una percussione, e si accompagnava battendo una sedia. Ci volle un po', e la prese lunga, ma poi la sua lunghezza d'onda, un'altra frequenza, non FM, piuttosto onde medie, lentamente arrivò tra la gente che iniziò a ondeggiare a tempo. Dopo 15' non si sentiva più la mancanza di nulla, né del basso, né della batteria, delle chitarre. Era autosufficiente. Ecco il Corpofonista. I suoni emessi dal suo corpo e dallo strumento di lavoro facevano tutto. Era una litania su base ritmica. Una specie di rap salmodiato. Il ritmo bastava e andò avanti a lungo. "Io e la mia sedia" , una lunga gimcana per introdursi, e poi "Comico" e poi "Lavorare con lentezza", pausa pausa ritmo lento.. la salute non ha prezzo...
Se ne stava lì come una tartaruga, corazzato e sfrontato, a fare adeguare le migliaia a lui solo. La sua musica era di propaganda, adatta a parlare alle grandi masse. La sua ostinazione, la cocciutaggine dura come un guscio, la corazza della sua coerenza, incantavano e incatenavano la piazza. Si sarebbe detto che fosse come Oum Kalthoum, come i muezzin, destinato alle platee oceaniche dei grandi raduni ideologici. Chiuso ad angolo sulla sua sedia, lo sguardo lontano oltre al pubblico, guardava al sol dell'avvenire.
"Si è spaccato - affermò con rabbia un compagno - dedicandosi tutto, pensando, come molti di noi, credendo, che davvero la vita potesse cambiare per tutti, fino a diventare rabbioso, fino a consumarsi, nel rancore. In un paese che lo compativa, che lo trattava da "bizzarro originale". "Carvaun", carbone, come era il soprannome di famiglia. "Carvaun? Ma non è muort ancora..?" "Se ne accorgono adesso! Questo paese è la perla nera. Paese di fascisti, rifugio dei latitanti di destra negli anni '70. Quando fu ucciso il compagno Benedetto Petrone, Enzo ne fece una ballata. Dal vivo poteva durare anche 30 minuti. Enzo era così, quanto ci metteva ci metteva. La sua storia di Maule in audiocassette dura 5 ore. Non si faceva intimidire dal tempo.
La famiglia pure era espressione di questo paese. Enzo tra loro era la pecora rossa. L'avrebbero voluto vestito in borghese almeno da morto. A quel punto la bara fu portata fuori dalla chiesa. Mentre si avvicinava al baule aperto dell'auto, partì l'applauso. L'applauso cresceva amplificato dalla pietra della piccola piazza. L'applauso... l'ultimo applauso, quello del congedo, dell'uscita di scena... Non terminava l'applauso... era un applauso commosso, di rivincita, di rabbia quasi, e di affetto. Molti non poterono applaudire perché stringevano verso il cielo il pugno chiuso, quello del lato del cuore. Ti saluto a pugno chiuso, il verso si era fatto saluto. Gli occhi lucidi e anche fieri, i compagni salutavano.
Quasi a conseguenza di tanta ostinazione ideologica una pietra cadde sul cofano dell'auto funebre, e poi altre. Guardai sul tetto di fronte pensando istintivamente a qualche fanatico dell'opposta fazione che avesse tirato a sfregio e invece era il cielo a rovesciarle, a lapidare gli astanti. La grandine venne con sassi di ghiaccio grandi quanto pugni chiusi, e venne violenta, con ira. Ci si dovette rifugiare sotto i balconi, sotto le arcate. La grandine rimbalzava. A gragnole crepitava sulla pietra bagnata. Il cielo era gravido di rabbia. Forse era Dio che voleva partecipare al funerale di un ateo, o forse era il Superuomo liberato dal corpo di Enzo del Re che esprimeva la sua rabbia nel doversi accommiatare dalla vita e per essere stato portato in chiesa, e infine per essere caricato su una macchina, anzi che a spalla, per l'ultimo viaggio... Sia come sia, fu una visione biblica questa grandine furente e pietrosa che si rovesciava sul carro funebre e sul paese di Mola, come per punirli di non avere riconosciuto il loro profeta. Per concedere un segno tangibile della sua dipartita. I compagni coriacei accompagnarono comunque la salma.
Un ragazzo in testa al drappello reggeva la sedia da un piede, alzandola al cielo come una bandiera. La grandine la faceva suonare con colpi di nocche, sonori e pieni di rabbia. Al camposanto pioveva. Ci si raccolse sotto un'arcata. La bara era scoperta. Enzo del Re se ne stava immobile, con la sua barba da casa delle fate, il baschetto rosso, l'ombrello disteso con lui, e un gran girasole sul corpetto. Diversi pronunciarono un discorso di saluto. Uno, che nell'emozione si rivolse agli astanti chiamandoli amici, subito fu apostrofato "Compagni! Quali amici? Compagni!" Furono discorsi rivolti direttamente alla salma "Enzo ricordi quella battaglia?"" "Ora bisogna che qualcuno porti avanti la tua bandiera. La bandiera della coerenza." Altri gli rivolgevano ricordi affettuosi, altri ancora, ricordi di lotta. Poi a bandiere ammainate tutti cantarono "Addio Lugano bella, gli anarchici van via..."
Era un canto eroico e mesto, quanto diverso dalla solennità dei canti sacri, della preghiera. Era l'uomo solo, senza le scorciatoie della fede. I credenti se la rendono più comoda. Ma ammettere che sei polvere soltanto, è più duro. Siamo soli sulla faccia della Terra. Nella bara sarebbero rimaste le ossa e l'ombrello e le idee che continuano a vivere in noi, che restiamo sapendo di andarcene, e viviamo anche per chi se ne è già andato.
"scitt' , scittrà... "Riecco la gatta nera, fuori dal cimitero, cacciata da tutti, senza che ne abbia colpa, e più di tutti cacciata dalla famiglia rispettabile, appena uscita dalla chiesa. Enzo Del Re è stato un altro cantore che (come Woodie Gutrie), ha alzato la voce contro l'ignoranza, contro la cattiveria, lo sfruttamento. Che quando ha cantato l'amore l'ha fatto con le parole di un muratore, di un contadino, di un imbarcato in mare. Maria Luise.. t voglio vasè... Che ha usato la lingua più arcaica e misteriosa del suo paese Maule, con un rigore e un criterio che non ha lasciato nulla al vezzo o al caso. L'uso di una valigia, di una sedia, del corpo è stato tutto parte di un'idea. Ha cantato con una coscienza politica diversa per esempio da quella più primitiva, del suo grande conterraneo della generazione precedente Matteo Salvatore. Ne ha cantato in maniera popolare, con gli strumenti dell'intellettuale, orgogliosamente di parte, ma i risultati sono gli stessi. La denuncia dell'ignoranza, della sopraffazione, il dominio del capitale sulla vita, la violenza con la quale il capitale si afferma, i delitti le stragi. E' un messaggio che non passa d'attualità, anche se non sono più di moda quelle bandiere e quel linguaggio, ma la sostanza resta.
Il canto finì... il gruppo si sciolse... gli occhi lucidi... le bandiere furono riavvolte al bastone. Ci si disperse... Ognuno tornava verso casa e la salma restò in attesa del loculo. Anche lui andava al suo posto. Si sarebbe saputo dove trovarlo d'ora in poi. La sua casa era la terra. Gli uomini sono tutti eroi per sopportare di venire al mondo sapendo di morire, di dovere andarcene così. Sopportare questo, vivere essendone consapevoli, fa di tutti noi degli eroi. Sulla via del ritorno in paese il tempo si aprì. Un grande arcobaleno sorse sul viola, un piede nel mare scuro e un altro nel nero del cielo. Per esorcizzare la morte i vivi andarono a mangiare. Ci recammo alla Lampara, una sala con grandi lampade di ferro e vetro, da caccia ai polpi, che ci attiravano e immobilizzavano ai tavoli sottostanti. Qui Del Re veniva spesso a mangiare il suo polpo alla brace. La gestiscono due fratelli, il signor Bruno, il più alto, si era chinato in mattinata sulla bara, dicendo "Cè.. e mo chi te lo fa più il polpo a te?". Il cameriere ci raccontava gli usi, i costumi, la grande lentezza nel consumare i pasti. Masticare 35 volte ogni boccone, come insegnano a scuola. La seconda valigia, quella col vestito buono, perché c'è sempre un occasione. Il papillon così grande perché "mi si deve riconoscere".
La sera andammo dai giovani del circolo Arci. Avevano organizzato da poco l'ultimo concerto, per il primo maggio. Il palco era fatto di cassette di legno, e siccome era piovuto l'impianto non era un granché, ma Del Re cantò lo stesso al suo solito modo, come di fronte alla sterminata platea del raduno del primo maggio dell'anno precedente a Roma, quando gli si era offerto un palco degno, e alla festa dei lavoratori era stato offerto un artista degno di quella festa. Schioccò la lingua e percosse la sedia. Non però fino a quando se ne fosse andato l'ultimo ascoltatore. Stavolta se ne andò prima lui.
Ascoltammo il disco bianco Maule, da un gran televisore invece che da un giradischi. I ragazzi presero a spiegare le canzoni, a tradurle perpetuandole. Uno osservò: "Enzo ha risarcito la categoria più sventurata del mondo del lavoro: il marittimo. In questo disco ci sono tre canzoni sul lavoro. I muratori, i contadini, i naviganti. Ecco, quella del navigante è quella che mi commuove di più. Nessuno ne parla mai, e sono gente di noi." La musica attaccò. Prese a tradurre a orecchio:
"Io tengo la bocca amara e il cuore nero, son navigante e vado su un vapore. Io tengo il cuore nero e la bocca amara, perché vado disperso su una schiuma di mare. Ah, quando mi allontano dalla banchina, ti piango a grandi lacrime Rosina. Da levante a ponente, notte e giorni vi chiamo faccio la schiuma alla bocca , ma nessuno mi sente..."
Con lo stesso strazio e lamento cantava della strage di Avola, poveri contro poveri, poveri carabinieri contro poveri contadini. Lui non si risparmiava e non risparmiò niente a nessuno. "Ci vuole un organizzazione nuova" , scritta sulla melodia di "Amara terra mia" di Modugno. La canzone della gatta la scrisse per risposta a Modugno che aveva scritto Muscio Niuro (micio nero). Nascoste nei suoi versi ci sono tesori della nostra parlata e la canzone finisce con il detto che più esprime l'ingiustizia nella maniera popolare. "Uacidd pish u litt' e u cul iev mazz'te", "l'uccello piscia il letto e il culo prende le mazzate". Scittrà, è il verso che si fa per scacciare il gatto.. e questa è la canzone, una canzone che dice che non c'è sordo più sordo di chi non vuole sentire, e dice anche "quanta è scema la gente al mondo, e più è ignorante e più diventa cattiva..."
Un giorno una certa famiglia uscendo di chiesa, con l'anima in pace tornava dopo la messa e si era fatta anche la comunione.. ma vedendo una gatta nera si scordarono di tutti i santi e si toccavano davanti, e mentre si toccavano e gridavano scittrà.. chi le dava un calcio, chi un colpo di pietra, la gatta miagolava disperata, ma che colpa tengo io se mi hanno fatto il pelo nero, pigliatevela con la natura che mi ha fatto il pelo scuro.. e sanguinante sente quei versi come colpi di martello nella testa... scitt scitt scittraà...
E poi "Le pietre", da un episodio di rivolta contadina , che intercalata con un fischio, sembra un western , la resa dei conti all'alba. Le pietre che abbiamo dovuto alzare per costruire i loro muretti a secco , diceva la canzone, domattina alle tre le useremo per fare la rivoluzione. Il ciuccio non si deve legare più, dove vuole il padrone. Al muro era appesa una sedia, una di quelle da cucina, da scuola. Il ragazzo la staccò e la mostrò. "Ecco questa è l'ultima che ha suonato, al primo maggio alla festa dei lavoratori dell'Arci di mola. Ma veramente l'ultima volta che l'ha suonata è stato forse oggi, con quei colpi di grandine che gli sono sbattuti addosso all'uscita della chiesa". Al
Al concerto disse: "Sulla sedia si vive e si muore" e si riferiva a Sacco e Vanzetti, al fatto che una sedia potesse essere uno strumento d'ingiustizia e di morte, la sedia elettrica, oppure di vita, una sedia da suonare. E viene da pensare che l'ultimo momento l'ha passato su una sedia. L'hanno trovato 24 ore dopo col capo appoggiato al tavolo e il sedere alla sedia, con un espressione come sovrapensiero. Si arrabbiava spesso, ma con l'età era come se non si arrabbiasse più severamente.
E con questo ho finito. Me ne posso andare. Lo sono venuto a scrivere qui al ristorante "la lampara", dove era solito mangiarsi il polpo. L'uomo alto che glielo preparava nel chiudere mi ha salutato, e senza che gli chiedessi niente ha aggiunto con un mezzo sorriso: "Non ha mai lavorato un giorno della sua vita. Neanche il padre ha aiutato. Era un personaggio. Con quella bicicletta ... quell'ombrello... Meglio così ... però, bisogna dirlo, non ha mai dato fastidio a nessuno". Ha abbassato la serranda per l'ora della controra.
La Repubblica
DonQuijote82 - 2011/6/13 - 14:02
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Scritta e cantata da Enzo Del Re
Da Il Banditore
Se n'è andato oggi, 7 giugno 2011, Enzo Del Re; e questo non è, e non vuole essere, né un "coccodrillo" e né una biografia. Vuole essere una cosa lenta, lentissima, che accompagna questa sua canzone assolutamente e profondamente rivoluzionaria. Sì; proviamoci a immaginare di fare come dicono le parole di questa canzone, e la rivoluzione, quella vera, sarà fatta sul serio: Vaffanculo alla fatica e a chi la vuole. Con queste otto parole, Enzo Del Re, cantastorie di Mola di Bari, ha detto più che un intero trattato del Gruppo Krisis. Ha scardinato più dei Situazionisti. Nel nulla dove Enzo si trova da oggi, non si lavora. Non ci sono padroni né schiavi. La voglia e fa niente è garantita e certificata; ed è questo, credo, il miglior saluto che gli si possa fare. Magari continuando ad agire in tutti i modi possibili affinché, per avere il diritto inalienabile a non essere costretti a lavorare, non dobbiamo aspettare di morire. Ciao Enzo, hai lavorato davvero con lentezza; anzi, spero bene che tu non abbia lavorato affatto. Con la tua voglia e fa niente hai fatto la cosa più importante, e chiunque dovrebbe essertene grato. [RV]