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La notte

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[2001]
Lettura musicata tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Elie Wiesel.
Brano contenuto nell’album dal vivo “Montesole 29 giugno 2001” pubblicato nel 2003.

Buchenwald, aprile 1945. Il settimo volto da sinistra, seconda fila dal basso è Elie Wiesel. La foto è stata scattata da un soldato americano cinque giorni dopo la liberazione del campo.
Buchenwald, aprile 1945. Il settimo volto da sinistra, seconda fila dal basso è Elie Wiesel. La foto è stata scattata da un soldato americano cinque giorni dopo la liberazione del campo.


Eliezer Wiesel (1928-vivente), rumeno di origine ungherese e di religione ebraica, era un ragazzino quando la sua famiglia fu rastrellata dai nazisti e inviata a Birkenau. Sua madre e le sorelle finirono subito in camera a gas, lui e suo padre furono imprigionati in un sottocampo di Auschwitz, Buna, e costretti a lavorare in un impianto chimico di proprietà della oggi defunta multinazionale tedesca IG Farben. I Wiesel alloggiarono nella stessa baracca di Primo Levi. Quando all’inizio del 1945 i russi arrivarono in vista di Auschwitz, i nazisti evacuarono il campo, destinazione Buchenwald, costringendo i prigionieri ad una marcia della morte in pieno inverno e senza cibo: Elie sopravvisse, ma il padre morì nel cammino.
Dopo la guerra, Elie Wiesel, il solo rimasto della sua famiglia, venne accolto in Francia e studiò alla Sorbona. François Mauriac, premio Nobel per la letteratura nel 1952, lo incoraggiò a scrivere le sue memorie della deportazione e della prigionia e nel 1958 vide la luce “La notte”, breve novella in lingua francese che, insieme a “Se questo è un uomo” di Primo Levi ed al “Diario” di Anna Frank, è ancora oggi considerato uno dei classici della letteratura sull’Olocausto ebraico.
Wiesel, oggi cittadino statunitense, è stato insignito del premio Nobel per la pace nel 1986.

In questo terribile passo del suo romanzo breve Elie Wiesel racconta dell’impiccagione di tre presunti sabotatori, uno dei quali un “pipel”, un ragazzino al servizio del kapo di Buna, sottocampo di Auschwitz. E proprio quel kapo, un gigante olandese che avrebbe potuto essere uno dei tanti feroci carnefici ed invece era un uomo mite ed amato da tutti i prigionieri, era stato l’ideatore del sabotaggio alla centrale elettrica del campo e, dopo inenarrabili torture, era stato fatto sparire ed eliminato.

Ho preferito riportare il brano per intero indicando in corsivo tra parentesi le parti non comprese nella lettura interpretata da un – credo volutamente – algido e stentoreo Giovanni Lindo Ferretti.
[Ho visto altre impiccagioni, ma non ho mai visto un condannato piangere, perché già da molto tempo questi corpi inariditi avevano dimenticato il sapore amaro delle lacrime.
Tranne che una volta. L'Oberkapo del 52° commando dei cavi era un olandese: un gigante di più di due metri. Settecento detenuti lavoravano ai suoi ordini e tutti l'amavano come un fratello. Mai nessuno aveva ricevuto uno schiaffo dalla sua mano, un'ingiuria dalla sua bocca.
Aveva al suo servizio un ragazzino un pipel, come lo chiamavamo noi. Un bambino dal volto fine e bello, incredibile in quel campo.
(A Buna i pipel erano odiati: spesso si mostravano più crudeli degli adulti. Ho visto un giorno uno di loro, di tredici anni, picchiare il padre perché non aveva fatto bene il letto. Mentre il vecchio piangeva sommessamente l'altro urlava: «Se non smetti subito di piangere non ti porterò più il pane. Capito?». Ma il piccolo servitore dell'olandese era adorato da tutti. Aveva il volto di un angelo infelice).
Un giorno la centrale elettrica di Buna saltò. Chiamata sul posto la Gestapo concluse trattarsi di sabotaggio. Si scoprì una traccia: portava al blocco dell'Oberkapo olandese. E lì, dopo una perquisizione, fu trovata una notevole quantità di armi.
L'Oberkapo fu arrestato subito. Fu torturato per settimane, ma inutilmente: non fece alcun nome. Venne trasferito ad Auschwitz e di lui non si senti più parlare.
Ma il suo piccolo pipel era rimasto nel campo, in prigione. Messo alla tortura restò anche lui muto. Allora le S.S. lo condannarono a morte, insieme a due detenuti presso i quali erano state scoperte altre armi.
Un giorno che tornavamo dal lavoro vedemmo tre forche drizzate sul piazzale dell'appello: tre corvi neri. Appello. Le S.S. intorno a noi con le mitragliatrici puntate: la tradizionale cerimonia. Tre condannati incatenati, e fra loro il piccolo pipel, l'angelo dagli occhi tristi.
Le S.S. sembravano più preoccupate. Più inquiete del solito. Impiccare un ragazzo davanti a migliaia di spettatori non era un affare da poco. Il capo del campo lesse il verdetto. Tutti gli occhi erano fissati sul bambino. Era livido, quasi calmo, e si mordeva le labbra. L'ombra della forca lo copriva.
Il Lagerkapo si rifiutò questa volta di servire da boia.
Tre S.S. lo sostituirono.]

I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.
- Viva la libertà! - gridarono i due adulti.
Il piccolo, lui, taceva.
- Dov'è il Buon Dio? Dov'e? - domandò qualcuno dietro di me.
A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.
Silenzio assoluto. All'orizzonte il sole tramontava.
Scopritevi! - urlò il capo del campo. La sua voce era rauca. Quanto a noi, noi piangevamo.
- Copritevi!
Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora...
Più di una mezz'ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.
Dietro di me udii il solito uomo domandare:
- Dov'è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
- Dov'è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca...
[Quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere.]

envoyé par Bartleby - 25/1/2011 - 09:36


Mi piacerebbe sapere il nome e la storia del pipel impiccato e anche dell' "Oberkapo del 52° commando dei cavi" ad Auschwitz III - Monowitz - Buna Werke... Chissà se in qualche archivio dei deportati presente in rete qualcuno riesca a risalire a qualche informazione... Da una rilettura veloce di “Se questo è un uomo” di Primo Levi, che pure fu internato a Buna e che fu compagno di baracca di Wiesel, e da una scorsa alla traduzione italiana del Kalendarium di Danuta Czech (cronologia degli avvenimenti nel campo di concentramento di Auschwitz dal 1939 al 1945) l’episodio del sabotaggio e della successiva impiccagione – che dovettero avvenire per forza nel corso del 1944 - mi pare non risultino…
Mi piacerebbe conoscere quei nomi e quelle storie perché sono le storie minori, quelle degli spesso anonimi protagonisti, che mi interessano, e anche perché cercando informazioni in rete al proposito mi imbatto soltanto in fastidiosi siti revisionisti e neo-nazisti che affermano che Wiesel sia un impostore, che non sia nemmeno mai stato internato e che addirittura abbia rubato l’identità e forse pure i ricordi di un altro Wiesel ucciso ad Auschwitz…

Bartleby - 25/1/2011 - 15:06


Oggi è uscito in edicola il primo di due DVD di una versione - credo ridotta - del celeberrimo documentario di Claude Lanzmann intitolato "Shoah", 11 anni di riprese condensati in 9 ore intensissime dedicate all'Olocausto ebraico:

"...'Shoah' non è un semplice documentario sullo sterminio di sei milioni di ebrei, ma un’opera filosofica sulla morte e sul non senso dell’agire umano. Il lavoro di Lanzmann è, insieme, uno straordinario documento storico, un’esperienza metafisica, ma anche, e soprattutto, un lungo poema funebre, in cui i racconti dei sopravvissuti dei Sonderkommandos (le squadre speciali ebrei costretti a lavorare nei forni crematori e nelle camere a gas) si intrecciano e si accavallano, interrotti dal rumore insopportabile dei treni della morte..."
(Mariella Cruciani da Officina della storia)

Purtroppo il grande Lanzmann non si è più ripetuto successivamente. Nel 1994 ha girato un altro lungo documentario intitolato "Tsahal", cinque ore di noia e di inutile celebrazione della grande armata israeliana, della sua efficienza e della sua presunta "moralità", nel corso delle quali non si fa - e basti questo - nemmeno un cenno alla devastante occupazione israeliana del Libano (che all'epoca durava già da oltre 12 anni, senza contare la prima invasione del 1978)... "Ce serait comme un film sur l’armée française sans la guerre d’Algérie", sottolinea Amnon Kapeliouk su Le Monde Diplomatique.

Peccato che tanti grandi testimoni e combattenti come Lanzmann e lo stesso Elie Wiesel (quando solo qualche mese fa sosteneva l'idea della Grande Gerusalemme depurata dai musulmani) non abbiano saputo conservare per il presente la stessa onestà intellettuale dimostrata per il passato ma si siano sdraiati su posizioni supinamente acritiche rispetto alle terribili responsabilità di Israele in oltre 40 anni (od oltre 60 anni, dipende da dove la si vuole prendere) di sangue in Medio Oriente.

Bartleby - 26/1/2011 - 09:00


Mi correggo... "Shoah" è nella versione originale, quella di quasi 9 ore. Ogni uscita contempla due DVD di circa due ore l'uno.

Bartleby - 26/1/2011 - 09:31




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