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La balada ‘d Pipu Majen

Piero Milanese
Langue: italien (Piemontese mandrogno (Alessandria))


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Imbeccato e sobillato dalla (per)fida Adriana (nota brigantessa, streguzza nonché amministratrice delle CCG/AWS), eccomi nuovamente a raccontarvi una storia minima, ancora una volta quella di un bandito, un brigante, un ribelle.

Mi pare che il detto “tutto il mondo è paese” non sia affatto un banale luogo comune soprattutto se si pensa agli eterni, sempre uguali meccanismi di sopraffazione dell’essere umano attuati in ogni dove e in ogni quando dal Potere ed all’altrettanto perenne, sacrosanta, sempre diversa, spesso perdente (macchissenefotte?!?) ribellione e resistenza di molti esseri umani contro la loro condanna a morte o a una vita non-vita.

Così mica bisogna andare nell’Australia dell’800 per trovare ribelli come Ned Kelly, e mica solo nel sud Italia invaso dalle orde piemontuse fiorirono e furono recisi briganti come Ninco Nanco

In questa sua poesia/ballata - composta per una ricerca condotta tra 1999 e 2001 dagli allievi dell’I.T.I.S. Volta di Alessandria sull’epoca napoleonica - Piero Milanese, scrittore e poeta dialettale mandrogno (non è un insulto, così vengono tradizionalmente chiamati gli alessandrini), ci racconta di Pipu Majen, Giuseppe Mayno, meglio conosciuto come “Mayno della Spinetta” (il suo paese natale, vicino a Marengo) o “Mayno della Fraschetta” (il suo terreno d’azione, la zona boschiva, oggi scomparsa, che ancora ai primi dell’800 si trovava compresa tra Orba e Scrivia, ad est di Alessandria… credo che corrisponda all’attuale Bosco Marengo), i suoi appellativi da brigante.

spinetta


... Molte furon le sue imprese
combatté contro il francese
Sempre i ricchi depredava ed i poveri aiutava
Ciò che è vero o fantasia si è mischiato per la via
ma non posso dire adesso tutto quello che è successo
io vi posso solo dire
che qui andiamo a cominciare...

(Teatro del Rimbalzo, dallo spettacolo “Storia di Mayno della Spinetta, Re di Marengo, Imperator de La Fraschetta)

La storia di Giuseppe Mayno ricorda parecchio quella di Carlo Antonio Gastaldi, personaggio già notto alle CCG/AWS, il cardatore biellese che da soldato spedito al sud a reprimere il brigantaggio finì Sull’aspro monte coi briganti a combattere gli invasori piemontusi.

Giuseppe Mayno era nato nel 1780 in una famiglia povera e numerosa. Il padre faceva il carrettiere.
Come Carlo Antonio, anche Giuseppe era un ribelle, insofferente alle prepotenze ed alle imposizioni. Arruolatosi appena quattordicenne nel regio esercito, subito venne alle mani con un ufficiale e disertò, trovando rifugio in una comunità valdese (tra perseguitati ce la s’intende sempre) del cuneese. Nel 1796, facendo finta di niente e approfittando del caos dovuto all’invasione napoleonica, il Mayno si riarruolò, questa volta nel nascente esercito del Regno d’Italia, ma quando i soldati piemontesi, in virtù dell'annessione alla Francia nel 1802, furono inquadrati direttamente nell'esercito francese, Mayno pensò di aver già dato abbastanza ai potenti e che voleva attaccare il fucile ad un chiodo, sposare la sua amata Cristina e mettere su famiglia. Il Potere però non ti lascia mai in santa pace, nemmeno quando hai dei propositi legittimi, modesti, per nulla rivoluzionari. Per rimpinguare le fila del suo scalcinato esercito, costantemente in azione e su molteplici fronti, quel “gran condottiero” fils de pute di Napoleone aveva esteso la coscrizione obbligatoria a tutti i paesi occupati ma il progetto dell’Imperatore dei francesi e Re d’Italia collideva con quello del buon Mayno che – raccontano - si diede alla macchia il giorno stesso del suo matrimonio celebrato nella natìa Spinetta. Autoproclamatosi a sua volta “Imperatore delle Alpi e Re di Marengo”, in sberleffo a Napoleone, Mayno della Spinetta divenne il capo dei briganti della Fraschetta, forse un paio di centinaia di uomini, che per un paio di anni diedero del bel filo da torcere ai francesi e ai loro tirapiedi, arrivando ad attaccare più volte la guarnigione di Marengo e ad aggredire il commissario napoleonico Antonio Saliceti, il generale francese Milhaud e persino – ah, spavaldo! – il convoglio di Papa Pio VII diretto a Parigi per l’incoronazione del Bonaparte.
Purtroppo l’amore fu fatale al brigante “terreur des Departements au delà des Alpes”
Il 12 aprie del 1806, mentre si recava a trovare la moglie, cadde in un’imboscata tesagli dai francesi grazie ad una soffiata. Il corpo di Mayno, crivellato dai colpi e fatto a pezzi a sciabolate, fu esposto in Alessandria con il classico cartello al collo “così finisce Giuseppe Mayno della Spinetta, brigante”. Poi fu sepolto segretamente in una fossa senza nome, perché il popolo, che aveva perso il suo Robin Hood mandrogno, non avesse un posto dove piangerlo e dove venerarne il martirio. La sua banda fu sgominata in breve tempo, alcuni furono uccisi, altri appesi dopo il processo, altri ancora finirono i loro giorni nelle regie galere. La stessa Cristina, che aveva l’unica colpa di essere moglie del capo dei briganti, si fece parecchi anni di prigione…
(fonte: Mayno della Spinetta, scheda a cura di Franco Castelli su ISRAL, Istituto per la storia della Resistenza e della società Contemporanea in provincia di Alessandria)


Anche oggi Mayno della Spinetta non è per nulla dimenticato ad Alessandria e in Piemonte. A lui Vincenzo Civale e Daniele Cosenza, mastri birrai in Spinetta Marengo, hanno dedicato una delle loro birre più apprezzate, la Mayno

CivaleMayno33


“Birra nera in stile dry stout. Colore nero impenetrabile, schiuma abbondante, di color nocciola, fine e pannosa. Il profumo è dominato dai malti tostati, con note di caffè e mou. In bocca è di media corposità con un buon equilibrio dolce-amaro. Si ritrovano le sensazioni di caffè oltre ad una gradevole e fine nota erbacea. Finale secco ma persistente”

Secco ma persistente come fu Mayno della Spinetta nella vita e nella morte, “renitente alla leva, ma audacemente in testa alla resistenza contro l'invasione straniera, ribelle per sete di giustizia, paladino dei poveri contro i ricchi, dei deboli contro i forti, nemico dell'autorità e raddrizzatore di torti.”
Vula ant l’aria canson cònta ‘l vicendi
di témp ‘d Napulion dventaj legendi
storii ‘d guèri e suldà, mort e vendëta
‘d Majén bandì ‘ns el tèri dla Spinëta.
Pipu e Cristina spuz, na giurnà ‘d fèsta
sciuptà ‘nt l’aria, burdèl, vén ant la tèsta
boti con i gendarm, la gént la créa
Majén lasa la spuza e u scapa véa.
Dventa brigònt per nénta fè u suldà
sgrëz e fén cme la gént del so cuntrà
rea di putént, ui büta a la berlén-na
Majén ‘d Spinëta, rasa cuntadén-na.

Cura Majén
véns la scalogna
anvisca u sòng
dla gént mandrogna
vula ant u sogn
‘d na cansunëta
re di mandrogn
fio’ dla Spinëta.

Ui pasa la carossa ‘d Saliceti
Minister ‘d Napulion, barbumji el ghëti:
méj fès paghè el riscat, fèl persuné
i sod rubà al nost gént chi turnu ‘ndré.
Travesti da marcheis o da magnòn
u vena ausén quònd crëdi ch’l’è luntòn
mandrogn ant l’òn-ma l’è in brigònt divers
u roba e u scapa véa col güst du schèrs.
Brigònt che ansën ul ciula, ansën ul bèca
ui prova Depinuà, u fa sémp cilèca (1)
tranèl, inseguimént, scapà cmé ‘n fuén
l’Imperatur ‘d Maréng, u diau... Majén.

Forsa Majén
cmònda l’atac
contra i franseis
‘si brüt murlac
spara ‘nt u sogn
‘d na cansunëta
re di mandrogn
fio’ dla Spinëta.

Majén bandì fanciot l’à voja ‘d réji
u sént l’udur di sod, u sa a chi pièji
s’ u gava l’or an rich, an preputént
us ricorda di pover, dla so gént.
Al pont ad Broni, atur tarzént suldà (2)
dop ‘na spijada i l’avu circundà
Dventa ‘na füria, ui uarda, is cagu adoss
ui pasa an mez a culp ad spaciafoss. (3)
L’ünica debulësa l’è l’amur
cà ‘d so mujé e el maznà sémper l’è ‘tur
per poc il brancu, culpa d’in spijon
Gaba el campè, massà, tacà al muron.

‘T perdi Majén
L’è nént vergogna
‘t vénsi ‘nt i cor
dla gént mandrogna
cura ‘nt sogn
‘d na cansunëta
re di mandrogn
fio dla Spinëta.

Fén ‘d l’aventüra cala zü u sipari
téila néira du scür dventaja südari
fiami e s-ciuptà, gendarm, la nocc del Bijà (4)
Majén ansën ul massa, u s’ è massà.
A Lisondria u l’indmon tacà sü ‘n Piasa
il ricunosu nént, la gént la pasa
"L’è nént véira ch’l’è mort - dizu i paisòn -
Majén l’è scapà véa, per sémp, luntòn..."
Majén l’è viv ant j’òn-mi dla so gént
robi chi chëntu i vegg, scrici ‘nt la mént
Spinëta, tèri russi, sòng e storia
di temp ‘d Napulion, ‘d Mareng, dla gloria.

Vula Majén
vers la to gloria
rèsta ant i cor
e ‘nt la memoria
viv ant u sogn
‘d na cansunëta
re di mandrogn
fio dla Spinëta.

envoyé par Bartleby - 21/12/2010 - 11:22


Note:
(1) Hyacinthe François Joseph Despinoy, generale di Napoleone, comandante della piazzaforte di Alessandria negli anni di attività del brigante Mayno.
(2) Broni, comune dell’Oltrepò pavese, non molto distante da Voghera, Tortona e, quindi, da Alessandria.
(3) Spacciafosso, fucile corto, tipo il canne mozze o la lupara, ma con la bocca larga e svasata, tipo il trombone, arma prediletta dai fuorilegge per il suo poco ingombro, la potenza e la facilità di caricamento.
(4) Bettale, frazione di Spinetta Marengo dove viveva Cristina Ferraris, sposa di Giuseppe Mayno.

Bartleby - 21/12/2010 - 11:23




Langue: italien

Traduzione italiana di Piero Milanese.
LA BALLATA DI GIUSEPPE MAYNO

Vola nell’aria canzone, canta le vicende
dei tempi di Napoleone diventati leggenda
storie di guerre e soldati, di morte e vendetta
di Mayno bandito nelle terre della Spinetta.
Pippo e Cristina sposi, un giorno di festa
schioppettate per aria, rumore, vino che dà alla testa
botte con i gendarmi, la gente grida
Mayno lascia la sposa e scappa via.
Diventa brigante per non fare il soldato
grezzo e furbo come la gente delle sue contrade
ride dei potenti, li mette alla berlina
Mayno della Spinetta, razza contadina.

Corri Mayno
vinci la scalogna
accendi il sangue della gente mandrogna
vola nel sogno
di una canzonetta
re dei madrogni
figlio della Spinetta.

Passa la carrozza di Saliceti
ministro di Napoleone, facciamolo fuori:
meglio farsi pagare il riscatto, farlo prigioniero,
che i soldi rubati alla nostra gente tornino indietro.

Travestito da marchese o da stagnino
te lo trovi vicino quando credi che sia lontano
mandrogno nell’anima è un brigante diverso
ruba e fugge via col gusto dello scherzo.
Brigante che nessuno inganna, nessun lo becca,
ci prova Depinoy, fa sempre cilecca
tranelli, inseguimenti, scappar come un furetto
l’Imperatore di Marengo, un demonio... Mayno.

Forza Mayno
ordina l’attacco
contro i francesi
questi brutti musi
spara nel sogno
di una canzonetta
re dei madrogni
figlio della Spinetta.

Mayno bandito ragazzo ha voglia di ridere
sente l’odore dei soldi, sa a chi prenderli
se toglie l’oro a un ricco, a un prepotente
si ricorda dei poveri, della sua gente.
Al ponte di Broni, tutt’attorno trecento soldati
dopo una spiata l’avevano circondato
Diventa una furia, li guarda, se la fanno addosso
ci passa in mezzo a colpi di "spaciafosso".
L’unica debolezza è l’amore
a casa di sua moglie e delle figlie è sempre lì attorno
per poco non lo prendono, colpa di uno spione
Gabba il camparo, ammazzato, appeso al gelso.

Perdi Mayno
non è vergogna
vinci nei cuori
della gente mandrogna
corri nel sogno
di una canzonetta
re dei madrogni
figlio della Spinetta.

Fine dell’avventura cala giù il sipario
tela nera del buio diventata sudario
fiamme di schioppettate, gendarmi, la notte di Bettale
Mayno nessuno lo ammazza, si è ammazzato.
A Alessandria l’indomani appeso in Piazza
non lo riconoscono, la gente passa
"Non è vero che è morto - dicono i paesani -
Mayno è scappato via, per sempre, lontano..."
Mayno è vivo nell’anima della sua gente
cose che raccontano i vecchi, scritte nella mente
Spinetta, terre rosse, sangue e storia
dei tempi di Napoleone, di Marengo, della gloria.

Vola Mayno
verso la tua gloria
resta nei cuori
e nella memoria
vivi nel sogno
di una canzonetta
re dei mandrogni
figlio della Spinetta.

envoyé par Bartleby - 21/12/2010 - 11:24




Langue: français

Version française - LA BALLADE DE PIPU MAJEN – Marco Valdo M.I. – 2010
Chanson italienne (Piémontais Mandrognais – Alessandria) a - LA BALLATA DI GIUSEPPE MAYNO - Piero Milanese – 2000



Dans cette ballade, Piero Milanese, écrivain et poète dialectal mandrognien (ce n'est pas une insulte, c'est le nom traditionnel des Alessandriens) , nous raconte l'histoire de Pipu Majen, Giuseppe Mayno (en italien), mieux connu comme Majen de la Spinëta (son village natal, près de Marengo) ou « Majen della Fraschetta » (son terrain d'action, la zone boisée, aujourd'hui disparue, qui au début du 19 ième se trouvait comprise entre Orba et Scrivia, à l'est d'Alessandria... je crois qu'elle correspond à l'actuel Bois de Marengo), ses noms de brigand.

Giuseppe Mayno était né en 1780 dans une famille pauvre et nombreuse. Son père était charretier. Giuseppe était un rebelle, rétif aux dominations et aux impositions. Enrôlé à quatorze ans dans l'armée royale, il en en vînt aux mains rapidement avec un officier et il déserta, trouvant refuge dans une communauté valdese (entre persécutés, on se comprend toujours) de la région de Cuneo. En 1796, faisant semblant de rien et profitant du chaos dû à l'invasion napoléonienne, Mayno se réenrôla, cette fois dans l'armée naissante du Royaume d'Italie, mais quand les soldats piémontais, de par l'annexion à la France de 1802, furent incorporés directement dans l'armée française, Mayno pensa qu'il avait déjà assez donné aux puissants et qu'il voulait attacher son fusil à un clou, épouser sa Cristina bien-aimée et fonder une famille. Le Pouvoir ne te laisse jamais en paix, même quand tu as des projets légitimes, modestes, en rien révolutionnaires. Pour remplir les rangs de son armée délabrée, constamment en action et sur de multiples fronts, ce « gran condottiere », fils de pute de Napoléeon avait étendu la circonscription obligatoire à tous les pays occupés. Mais le projet de l'Empereur des Français et Roi d'Italie entra en collision avec celui du bon Mayno qui – raconte-t-on – prit le maquis le jour-même de son mariage célébré à Spinëta. Autoproclamé à son tour « Empereur des Alpes et Roi de Marengo », pour se moquer de Napoléon, Majen de la Spinëta devînt chef des bandits de la Fraschetta, une paire de centaines d'hommes, qui durant deux ans donnèrent du fil à retordre aux Français et à leurs larbins, attaquant même plusieurs fois la garnison de Marengo et en vinrent à attaquer le commissaire napoléonien Antonio Saliceti, le général français Milhaud et jusqu'à – l'effronté – attaquer le convoi du Pape Pie VII, en route vers Paris pour couronner Bonaparte.

Malheureusement, le brigand était amoureux et l'amour fut fatal à la « Terreur des départements au-delà des Alpes ». Le 12 avril 1806, alors qu'il allait retrouver sa femme, il tomba dans une embuscade tendue par les Français, grâce à une dénonciation. Le corps de Majen, criblé de balles et tailladé de coups de sabre, fut exposé à Alessandria avec le classique carton au cou « Ainsi finit Giuseppe Mayno della Spinetta Brigand ». Il fut enterré secrètement dans une fosse anonyme, pour que le peuple qui avait perdu son « Robin des Bois » mandrognien, n'eut aucun endroit pour le pleurer et le célébrer. Sa bande fut éliminée en un rien de temps, quelques-uns furent tués, d'autres pendus après un procès, d'autres encore finiront leurs jours dans les prisons royales. Cristina elle aussi, dont le seul tort fut d'être l'épouse du chef des brigands, se prit quelques années de prison...

(Source: Mayno della Spinetta, scheda a cura di Franco Castelli su ISRAL, Istituto per la storia della Resistenza e della società Contemporanea in provincia di Alessandria)


Aujourd'hui encore, Mayno della Spinetta n'est pas oublié à Alessandria et en Piémont. Vincenzo Civale et Daniele Cosenza, maîtres brasseurs à Spinetta Marengo ont dédié une bière très appréciée : la Mayno.





En voilà bien une étrange affaire, tu traduis du mandrognais à présent...

Oui, mon ami Lucien l'âne, et il le faut bien puisque la légende de Majen de la Spinëta est écrite dans cette langue un peu particulière. Et je te jure que je la découvre... Heureusement qu'il existe une traduction en italien... Elle m'a bien aidé. Voilà pour l'intermède linguistique. L'essentiel est pourtant ailleurs, il est dans le personnage et disons le tout net, dans le héros. Un héros comme on peut en avoir en tête et dans le cœur quand on est un enfant ou quand on garde son cœur et son imagination d'enfant. Cette dimension-là a beaucoup d'importance, car c'est elle la fameuse source de jouvence que cherchaient inutilement ailleurs de sages savants et de « konsidérables dokteurs ».

De la manière où ils s'y prenaient, ils avaient peu de chances de la trouver, cette source miraculeuse...dit tout frétillant, Lucien l'âne.

En effet, dit Marco Valdo M.I. en souriant étrangement. Mais, car il y a un mais... Ne t'en vas pas confondre enfance, cœur ou esprit d'enfant et infantilisme, qui est – pour le coup – une maladie de l'âme dont les effets sont redoutables et ont entraîné l'humaine nation dans les pires catastrophes. Et même, je l'ajoute pour qu'il n'y ait pas d'équivoque, l'infantilisme continue à faire d'immenses ravages. Il menace l'espèce toute entière et même les espèces animales et végétales. C'est lui qui induit cette propension absurde à la consommation qui sévit aussi bien dans le domaine alimentaire – massacre des espèces, obésité, maladies diverses, empoisonnement toxique... que dans le domaine matériel – automobiles, objets divers, gadgets, inutilités, horreurs esthétiques, tourisme imbécile... Le tout débouche bien évidemment sur l'exploitation criminelle des enfants, des gens afin de produire ce délire et effet collatéral évident, les conquêtes, les guerres, les armes et les armements... Ainsi, le tableau est brossé...

L'infantilisme serait donc, si je comprends bien, dit Lucien l'âne, en quelque sorte, le moteur de la Guerre de Cent Mille Ans, que les riches font aux pauvres pour accaparer les richesses, pour voler leur vie et leur temps, pour accroître leurs pouvoirs et leurs privilèges...

C'est bien cela... Une sorte de maladie qui hypertrophie l'égo, qui le rend insatiable et impuissant à contrôler ses dérèglements... Par exemple aussi, sur le plan personnel, cette boulimie des vieux pour tout ce qui est jeune, ce goût pervers des flaccides pour les jeunes personnes – mâles ou femelles. À l'autre bout, si j'ose ainsi dire, l'hypertrophie de l'égo s'étend progressivement à tout, jusqu'aux confins de l'univers. Adi en était atteint, Béni aussi et d'autres surgissent à tous moments marqués au fer par cette virosité vague. On devrait quand l'affaire prend des proportions procéder avec ces gens-là comme on fait du chien enragé : les euthanasier, purement et simplement, car il n'y a pas de remède. On rendrait ainsi de grands services, des services incommensurables à l'humaine nation. À terme, on arriverait peut-être même à éradiquer le phénomène. cela dit, ce n'est pas le sujet de la ballade de Pipu Majen... Quoique...

Oui, au fait, que raconte-t-elle cette ballade ?, demande Lucien l'âne un peu interloqué.

Donc, je te disais qu'elle racontait l'histoire d'un héros, comme ceux qui sont chers au cœur enfantin (et j'insiste, pas infantile)... Il s'appelle Pipù Majen, qu'on traduit en italien par Giuseppe Mayno, va-t-en savoir pourquoi, d'ailleurs. C'est un personnage d'un épisode de la Guerre de Cent Mille Ans, comme je te l'ai dit auparavant. Poussé par la réalité de sa condition, et de celle de tous ses « gens », de ses pays, de tous ses contemporains directs, il entre en rébellion contre le système, prend le maquis et mène une guerre de guérilla contre les autorités. Pourtant, il aurait bien aimé une vie pacifique, une vie simple avec ses simples complications de vie simple, qui sont bien assez suffisamment compliquées. Mais le Pouvoir voulait lui imposer de servir, de servir encore jusqu'à plus soif, de servir toujours, de donner toute sa vie, de donner tout son temps...

En somme, dit Lucien l'âne, on lui réservait un destin de travailleur, un destin d'ouvrier, ou de terrone, de somaro, ou de serviteur, ou de domestique, ou d'employé ou de ... Cette vie qu'on force à échanger contre quelques deniers, à peine suffisants pour l'entretenir souvent. Cette vie de travailleur qu'on prend et puis qu'on jette.

Telle était sa révolte. Mais il est une autre dimension de sa vie qui a retenu mon attention, et tu verras que c'est bien normal. Quand il s'est enfui, quand il a dû fuir face à un oppresseur nombreux et puissant, il s'est réfugié en montagne et précisément, il s'en fut dans une communauté valdese... Chez les descendants de Valdo de Lyon. Tu comprends que je m'y retrouve un peu dans son histoire. Je te rappelle que les descendants de Valdo étaient eux-mêmes arrivés dans ces montagnes poursuivis par les armées des papes, des empereurs et des rois, des ducs, des marquis, des évêques et des princes. Des centaines d'années plus tard, ce furent ces mêmes descendants de Valdo qui – Ora e sempre : Resistenza ! - qui accueillirent Fra Dolcino, les dolciniens, Majen, puis plus tard encore, les antifascistes, puis encore se portèrent au secours de Marco Camenisch, dont je t'ai conté l'histoire... Pour le reste, c'est une belle histoire que celle de Majen, qui court encore dans les montagnes comme un souffle de vent.

Soyons comme les souffles des vents, insinuons-nous partout, courons dans tous les recoins et quand nous nous posons, reprenons inlassables, notre tâche qui est de tisser le suaire (comme nous ne sommes pas loin de Turin, on dira suaire) de ce monde infantile, flaccide et cacochyme.


Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane.
LA BALLADE DE PIPU MAJEN


Vole en l'air une chanson; elle chante les histoires
Du temps de Napoléon, devenues légendaires
Des histoires de guerre et de soldats, de mort et de vendetta
De Majen, bandit sur les terres de la Spinëta.
Pipu et Cristina mariés, un jour de fête
Fusillade dans l'air, cris, vin qui donne à la tête
Échauffourées avec les gendarmes, les gens hurlent
Majen laisse son épouse et se défile.
Il devient brigand pour ne plus être soldat
Rusé et fourbe comme les gens de son pays
Il rit des puissants, les voue aux gémonies
Paysan de souche, Majen della Spinëta.

Cours Majen
Vaincs la grogne
Ouvre le destin
Des gens de Mandrogne
Vole dans le rêve
d'une chansonnette
Roi de Mandrogna
Fils de la Spinëta.

Passe le carrosse de Saliceti
Ministre de Napoléon, faisons le sauter
Mieux vaudrait une rançon, le faire prisonnier
Que l'argent volé à nos gens revienne au pays.

Déguisé en marquis ou en ferblantier
On le retrouve là quand on le croit éloigné
Mandrognien dans l'âme, c'est un brigand différent
Il vole et il s'échappe en pirouettant.
Brigand que personne ne dupe, que personne ne trompe.
Despinoy s'y essaye, à chaque fois, il se plante
Pièges, poursuites, il s'échappe le malin
L'Empereur de Marengo, un démon … Majen.

Va-z-y Majen
Ordonne d'attaquer
Ces maudits Français
Ces vilains assassins
Tire dans la songerie
D'une chansonnette
Roi des Mandrogniens
Fils de la Spinette.

Majen le bandit gamin avait l'envie de rire
Il sent l'odeur des sous et sait à qui les prendre.
Quand il ôte l'or à un riche, à un puissant
Il se souvient des pauvres, de ses gens
Au pont de Broni, trois cents soldats
Par suite d'une traîtrise, l'attendent là.
Il les regarde, s'enfuriose, il entre en rage
À coups de tromblon, il traverse le barrage
Son unique faiblesse est l'amour
Autour de la maison de sa femme et de ses filles, il tourne toujours
Pour un peu, par la faute d'un espion, ils l'ont attrapé
Le champêtre le piège, l'assomme, et le pend au mûrier.

Tu as perdu Majen
Ce n'est pas un déshonneur
Tu a vaincu dans les cœurs
Des Mandrogniens.
Tu cours dans le rêve
D'une chansonnette
Roi de Mandrogna
Fils de la Spinëta

Fin de l'aventure, le rideau est tombé
Toile noire dans la nuit devenue linceul
Flammes d'escopettes, gendarmes, la nuit de Bettale
Majen personne ne l'a tué, il s'est tué
À Alessandria, le lendemain, pendu en place
On ne le reconnaît pas, les gens passent
« Ce n'est pas vrai qu'il est mort – disent les paysans
Majen s'est enfui, pour toujours, loin d'ici... »
Majen est vivant dans la tête de ses gens
Choses que racontent les vieux, écrites dans l'esprit
Spinëta, terre rouge, sang et histoire
Du temps de Napoléon, de Marengo et de la gloire.

Vole Majen sans peur
Vers ta gloire
Reste dans les cœurs
Et dans la mémoire
Vis dans le rêve
D'une chansonnette
Roi de Mandrogna
Fils se la Spinëta.

envoyé par Marco Valdo M.I. - 22/12/2010 - 10:23


La storia (e la leggenda) di "Mayno" sono bellissime. Il mio personaggio un po '"ribelle" mi fa amare questi "banditi d'onore" come "Robin Hood" o "Mandrin", che terrorizzavano il Dauphiné francese.
Ma le mura hanno sempre un'ombra: mio nonno Etienne GONIN, luogotenente della gendarmeria francese prese parte all'operazione della Spinetta, e fu ucciso da “Pipu MAJEN” il 12 aprile 1806!
Oggi le ferite del passato devono svanire, ed è in tutta amicizia franco-italiana che porto questa testimonianza!
Ho un resoconto del caso Spinetta, visto dai francesi, che tengo a vostra disposizione.
Paul CHARUN.

CHARUN Paul - 29/4/2018 - 09:47




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