Viva, viva il nostro Bresci,
stato quello che lo ha ucciso
e noi gridiamo sul suo viso:
viva, viva la libertà!
Sulla punta di quello stile
c'eran scritte tre paroline:
vogliamo morto Umberto primo
e vogliamo la libertà.
stato quello che lo ha ucciso
e noi gridiamo sul suo viso:
viva, viva la libertà!
Sulla punta di quello stile
c'eran scritte tre paroline:
vogliamo morto Umberto primo
e vogliamo la libertà.
envoyé par Bart Pestalozzi - 31/8/2010 - 13:04
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Canzone raccolta dal Sergio Liberovici nel 1966 nell’alessandrino.
Sull’aria della popolare ottocentesca “Dieci anni e più d'amore”.
Testo trovato su Il Deposito.
La fonte è il libro di Santo Catanuto e Franco Schirone intitolato “Il canto anarchico in italia nell'ottocento e nel novecento”, edizioni Zero in Condotta, Milano, 2009.
Per una volta vorrei invece soffermarmi sulla melodia perché ho scoperto che c’è dietro una storia interessante, anche se minima, e vorrei rendervene partecipi.
“Dieci anni e più d'amore” fa parte del repertorio dei Cereghino, detti “Scialìn”, una famiglia di cantastorie ambulanti della valle di Fontanabuona, nel genovese, attivi a metà dell’800.
I Cereghino si esibivano nelle piazze di città e paesi, specie durante le fiere e i mercati. Arrivavano con le loro fisarmoniche, si facevano un giro richiamando l’attenzione della gente (era la fase dell’“imbonimento”, chiamata “treppo” in dialetto), suonavano e cantavano e poi vendevano i volantini con su stampati i testi delle canzoni, così la gente le imparava e poteva ricantarle e riconoscerle. Così i Cereghino tiravano su qualche soldo e contribuivano a preservare la tradizione di canti che altrimenti oggi difficilmente conosceremmo… Tutto andò bene fino a quando i nostri cantastorie non si misero in testa di prendere ispirazione per le loro canzoni niente meno che dalla Bibbia. Ma siccome l’oscurantista chiesa cattolica fino al Concilio Vaticano II ha sempre osteggiato, quando non vietato, la lettura delle Bibbie in lingua volgare (si pensi all’ “Indice dei libri proibiti” di papa Paolo IV, a metà del 500, dove erano incluse decine di versioni), ufficialmente allo scopo di prevenire interpretazioni “eretiche”, di fatto perchè tenere la gente nell’ignoranza significa dominarla meglio, allora Andrea e Stefano Cereghino, approfittando di una loro esibizione a Torre Pellice, cuore pulsante della comunità valdese, si procurarono il sacro testo nella versione tradotta dal Diodati nel 1607, quella ufficialmente adottata dalla assai meno oscurantista chiesa protestante, e cominciarono a leggersela per proprio conto. Da lì a fondare una piccola comunità valdese nell’entroterra ligure il passo fu breve. Inutile dire che i Cereghino entrarono subito in rotta di collisione con don Cristoforo Repetti, il parroco di Favale; questi vietò loro la lettura della Bibbia, scatenò loro contro i compaesani cattolici e arrivò persino a rifiutare le nozze tra uno dei Cereghino (credo si trattasse di Giuseppe) e la donna di cui era innamorato. I due andarono comunque a vivere insieme ma l’infame pretaccio li denunciò alle autorità per condotta immorale e Giuseppe e Vittoria furono arrestati, processati e imprigionati a Chiavari. Lui fu molto provato dalla detenzione e morì ancora giovane poco dopo la liberazione. Poi Favale e tutta la Fontanabuona si spopolarono, travolte dall’emigrazione verso Stati Uniti e Sud America. I Cereghino e tutti i valdesi si stabilirono in California e in Perù e di quella vicenda restano le loro canzoni, riscoperte negli anni 70 e oggi raccolte nel disco Tanti van in Merica, e qualche lapide nel piccolo cimitero valdese in frazione Castello di Favale di Malvaro.
(fonti: Eco di Torino e Dove comincia l'Appennino)