And it came to pass on the first day of July
The last man home from Vietnam was going to arrive
The ship came in so silently, its bow a ghostly white
And when they looked upon the decks, there was not a man inside
Then the sea began to roll and from the ship a moaning
A line of broken children, all from the ship a-coming
The light of death was in their eyes
The broken children of Vietnam
On the first day of July
Like a war beyond control, to Washington at dawn
A line of ghostly children upon the White House lawn
Grown men did turn away, not to see it anymore
To see the burning child running to the White House door
No one found a place to hide
The burning children of Vietnam
On the second of July
All across America a line ten miles long
The dead children all coming home
From the land of Vietnam
To men who got too far away
From what was done in their name
Someday must all have to pay
Who never saw a child die
The dead children all coming home
Four days in July
On every door and window across this sad gray land
A mark that would never go away of a thousand thousand hands
A voice like voices in a dream
A voice like somebody else's scream
Or not somebody else's scream
A voice within a fire
The burning children of Vietnam
On the third day of July
Then they came upon the sea, it did open up before them
A line of children all with wounds, upon the ocean walking
Then the sky began to rain
And beat the land with tears of rage
And every year upon that day if a hundred years go by
It rains upon America
On the fourth day of July
The last man home from Vietnam was going to arrive
The ship came in so silently, its bow a ghostly white
And when they looked upon the decks, there was not a man inside
Then the sea began to roll and from the ship a moaning
A line of broken children, all from the ship a-coming
The light of death was in their eyes
The broken children of Vietnam
On the first day of July
Like a war beyond control, to Washington at dawn
A line of ghostly children upon the White House lawn
Grown men did turn away, not to see it anymore
To see the burning child running to the White House door
No one found a place to hide
The burning children of Vietnam
On the second of July
All across America a line ten miles long
The dead children all coming home
From the land of Vietnam
To men who got too far away
From what was done in their name
Someday must all have to pay
Who never saw a child die
The dead children all coming home
Four days in July
On every door and window across this sad gray land
A mark that would never go away of a thousand thousand hands
A voice like voices in a dream
A voice like somebody else's scream
Or not somebody else's scream
A voice within a fire
The burning children of Vietnam
On the third day of July
Then they came upon the sea, it did open up before them
A line of children all with wounds, upon the ocean walking
Then the sky began to rain
And beat the land with tears of rage
And every year upon that day if a hundred years go by
It rains upon America
On the fourth day of July
envoyé par Riccardo Venturi - 17/1/2006 - 15:58
Oggi è il 4 Luglio, d'accordo, negli Stati Uniti è festa nazionale. L'America festeggia i 242 anni dall'Independence Day. Però è anche il 72° anniversario dell'atroce pogrom polacco di Kielce contro gli Ebrei che erano sopravvissuti all'olocausto:
“…la fine del Secondo conflitto mondiale non ha comportato la fine delle violenze contro gli ebrei. E’ il caso di Kielce, il 4 luglio del 1946. Quel giorno, nella città della Polonia centromeridionale si consuma il peggiore pogrom del Dopoguerra: l’efferata violenza di civili su altri civili in tempo di pace in virtù di odii antichi e moderni. La guerra è finita da un anno e la Polonia ricomincia appena a respirare. Nelle città ha fatto ritorno qualche sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti e qualche altro sparuto ebreo che era riuscito a scappare a est prima dell’arrivo delle SS. Non è un controesodo ma un rientro alla spicciolata: nel 1939 gli ebrei di Kielce erano 24 mila, un terzo della popolazione; sotto i nazisti la città viene dichiarata Judenrein, libera da ebrei; dai lager torneranno in 200 e, di questi, 42 perderanno la vita nel pogrom scatenato dai loro vicini di casa. Al loro rientro i sopravvissuti non sono bene accolti: non amati perché ebrei, ora sono anche considerati traditori filosovietici; in prima fila a odiarli ci sono i comunisti polacchi. La miscela esplosiva trova la sua miccia in un’accusa tanto abusata nella storia quanto ancora attuale nel 1946: l’omicidio rituale. Il 1° luglio del 1946 Henryk Blaszczyk, 8 anni, sparisce da Kielce; due giorni dopo torna a casa spiegando di essere riuscito a scappare da una palazzina abitata da ebrei che si accingevano a ucciderlo per impastarne il sangue. Da anziano Blaszczyk confesserà che il suo racconto fu pura messinscena. E tuttavia il ricorso all’accusa del sangue vecchia di mille anni scatena la furia dei suoi concittadini. Miliziani comunisti entrano nella palazzina “del rapimento”, disarmano e fucilano 17 fra gli ebrei presenti. Gli altri, datisi alla fuga, sono linciati dalla folla, sostenuta da un gruppo di minatori provvidenzialmente apparsi a dare man forte. Le forze dell’ordine restano a guardare: a fine giornata si contano 42 ebrei uccisi e 80 feriti. I fatti di Kielce spinsero molti degli ultimi ebrei polacchi a emigrare per sempre. “Il comportamento della polizia, dell’intelligence e dei comunisti fu scandaloso”, dice al Foglio Jan Rydel, docente di Storia all’Università Jagellonica e promotore di una giornata di studi a Kielce 70 anni dopo. Lo scorso 4 luglio il presidente polacco Andrzej Duda ha inaugurato i lavori ricordando “i cittadini polacchi di origine ebraica scampati per miracolo alla Gehenna dell’Olocausto” e trucidati per mano di altri concittadini. Non si trattò di un caso isolato: “In tutta l’Europa orientale”, riprende Rydel, “la fine della guerra coincise con rinnovate violenze antiebraiche”, ma il pogrom del 4 luglio spicca per truculenza. Lo storico tenta di spiegare le ragioni dell’odio attraverso la dura situazione dell’epoca, fra miseria e delinquenza diffuse in una popolazione abbrutita dalla guerra: “Al loro ritorno i pochi ebrei sopravvissuti reclamarono le proprietà che i nazisti non avevano depredato”, come i beni immobili distribuiti fra la popolazione polacca, “suscitando odio anziché solidarietà”. Alla violenza seguì la menzogna. La macchina della propaganda si attivò per imputare la strage alle milizie nazionaliste malate di antisemitismo, “per una volta invece estranee al pogrom”. Il regime comunista polacco fece cadere i fatti di Kielce nel silenzio, rotto dagli storici solo dopo l’avvento di Solidarnosc. Oggi il clima è cambiato, assicura Rydel: la popolazione cittadina ha partecipato al ricordo e il presidente Duda, la cui moglie è di origine ebraica, “è molto impegnato su questo tema”. La Polonia di oggi non è un paese più antisemita degli altri, sottolinea l’accademico polacco citando una ricerca israeliana secondo cui ben il 20 per cento dei tedeschi ha pregiudizi antiebraici. Punti di vista. Due settimane dopo le celebrazioni, la ministra polacca dell’Istruzione Anna Zalewska ha declassato a “opinioni” le responsabilità polacche nel pogrom di Kielce e in quello terribile di Jedwabne del 1941 (340 ebrei furono arsi vivi in un granaio)….”
Articolo completo di Daniel Mosseri in https://www.osservatorioantisemitismo....
“…la fine del Secondo conflitto mondiale non ha comportato la fine delle violenze contro gli ebrei. E’ il caso di Kielce, il 4 luglio del 1946. Quel giorno, nella città della Polonia centromeridionale si consuma il peggiore pogrom del Dopoguerra: l’efferata violenza di civili su altri civili in tempo di pace in virtù di odii antichi e moderni. La guerra è finita da un anno e la Polonia ricomincia appena a respirare. Nelle città ha fatto ritorno qualche sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti e qualche altro sparuto ebreo che era riuscito a scappare a est prima dell’arrivo delle SS. Non è un controesodo ma un rientro alla spicciolata: nel 1939 gli ebrei di Kielce erano 24 mila, un terzo della popolazione; sotto i nazisti la città viene dichiarata Judenrein, libera da ebrei; dai lager torneranno in 200 e, di questi, 42 perderanno la vita nel pogrom scatenato dai loro vicini di casa. Al loro rientro i sopravvissuti non sono bene accolti: non amati perché ebrei, ora sono anche considerati traditori filosovietici; in prima fila a odiarli ci sono i comunisti polacchi. La miscela esplosiva trova la sua miccia in un’accusa tanto abusata nella storia quanto ancora attuale nel 1946: l’omicidio rituale. Il 1° luglio del 1946 Henryk Blaszczyk, 8 anni, sparisce da Kielce; due giorni dopo torna a casa spiegando di essere riuscito a scappare da una palazzina abitata da ebrei che si accingevano a ucciderlo per impastarne il sangue. Da anziano Blaszczyk confesserà che il suo racconto fu pura messinscena. E tuttavia il ricorso all’accusa del sangue vecchia di mille anni scatena la furia dei suoi concittadini. Miliziani comunisti entrano nella palazzina “del rapimento”, disarmano e fucilano 17 fra gli ebrei presenti. Gli altri, datisi alla fuga, sono linciati dalla folla, sostenuta da un gruppo di minatori provvidenzialmente apparsi a dare man forte. Le forze dell’ordine restano a guardare: a fine giornata si contano 42 ebrei uccisi e 80 feriti. I fatti di Kielce spinsero molti degli ultimi ebrei polacchi a emigrare per sempre. “Il comportamento della polizia, dell’intelligence e dei comunisti fu scandaloso”, dice al Foglio Jan Rydel, docente di Storia all’Università Jagellonica e promotore di una giornata di studi a Kielce 70 anni dopo. Lo scorso 4 luglio il presidente polacco Andrzej Duda ha inaugurato i lavori ricordando “i cittadini polacchi di origine ebraica scampati per miracolo alla Gehenna dell’Olocausto” e trucidati per mano di altri concittadini. Non si trattò di un caso isolato: “In tutta l’Europa orientale”, riprende Rydel, “la fine della guerra coincise con rinnovate violenze antiebraiche”, ma il pogrom del 4 luglio spicca per truculenza. Lo storico tenta di spiegare le ragioni dell’odio attraverso la dura situazione dell’epoca, fra miseria e delinquenza diffuse in una popolazione abbrutita dalla guerra: “Al loro ritorno i pochi ebrei sopravvissuti reclamarono le proprietà che i nazisti non avevano depredato”, come i beni immobili distribuiti fra la popolazione polacca, “suscitando odio anziché solidarietà”. Alla violenza seguì la menzogna. La macchina della propaganda si attivò per imputare la strage alle milizie nazionaliste malate di antisemitismo, “per una volta invece estranee al pogrom”. Il regime comunista polacco fece cadere i fatti di Kielce nel silenzio, rotto dagli storici solo dopo l’avvento di Solidarnosc. Oggi il clima è cambiato, assicura Rydel: la popolazione cittadina ha partecipato al ricordo e il presidente Duda, la cui moglie è di origine ebraica, “è molto impegnato su questo tema”. La Polonia di oggi non è un paese più antisemita degli altri, sottolinea l’accademico polacco citando una ricerca israeliana secondo cui ben il 20 per cento dei tedeschi ha pregiudizi antiebraici. Punti di vista. Due settimane dopo le celebrazioni, la ministra polacca dell’Istruzione Anna Zalewska ha declassato a “opinioni” le responsabilità polacche nel pogrom di Kielce e in quello terribile di Jedwabne del 1941 (340 ebrei furono arsi vivi in un granaio)….”
Articolo completo di Daniel Mosseri in https://www.osservatorioantisemitismo....
Flavio Poltronieri - 4/7/2018 - 13:59
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Testo e musica di Tom Rapp
Lyrics and music by Tom Rapp
From the album "Stardancer"
Dall'album "Stardancer"