But no one hears my silent tread
I knock and yet remain unseen
For I am dead, for I am dead.
I'm only seven although I died
In Hiroshima long ago
I'm seven now as I was then
When children die they do not grow.
My hair was scorched by swirling flame
My eyes grew dim, my eyes grew blind
Death came and turned my bones to dust
And that was scattered by the wind.
I need no fruit, I need no rice
I need no sweet, nor even bread
I ask for nothing for myself
For I am dead, for I am dead.
All that I ask is that for peace
You fight today, you fight today
So that the children of this world
May live and grow and laugh and play.
Italian Version by Alex Agus
Vado e mi fermo di porta in porta
ma nessuno sente il mio passo silenzioso
busso, ma anche così nessuno mi vede
perché sono morta, perché sono morta
Ho solo sette anni, benché sia morta
ad Hiroshima tanti anni fa
ho sette anni ora come allora
i bambini che muoiono non diventano grandi
I miei capelli li ha bruciati la fiamma turbinante
i miei occhi si sono offuscati, i miei occhi non vedono più
la Morte è arrivata a sbriciolare in cenere
le mie ossa ed il Vento le ha sparse
Non ho bisogno di frutta, non ho bisogno di riso
non ho bisogno di dolci e neppure di pane
non chiedo niente per me
perché sono morta, perché sono morta
Tutto ciò che vi chiedo è che voi oggi,
che voi oggi combattiate per la Pace
perché i bambini di questo mondo
possano vivere e crescere e ridere e giocare.
(© 2001 by AQF - Testo liberamente copiabile, usabile, eseguibile).
Io vengo e vado ad ogni porta,
ma tu non senti il lieve passo:
io busso e ancora tu non vedi,
perché non sono, non sono più.
Sette anni avevo, era d'agosto,
in Hiroshìma mille anni fa:
sette ne ho ancora, come allora:
se un bimbo muore, non cresce più.
La fiamma accesa sui capelli,
un velo nero nei miei occhi,
poi fu la notte e le mie ossa
cenere grigia alta nel vento.
Non darmi frutta, non darmi riso;
non voglio dolci, nemmeno pane:
non chiedo nulla per me stesso,
perché non sono, non sono più.
Quello che chiedo è per la pace:
che tu combatta, che tu ti batta,
perché ogni bimbo, in questo mondo
rida alla vita e cresca e giochi.
envoyé par AQF (Angelo “Quixote") - 26/11/2008 - 21:49
Catalan Version by Ramon Casajoana
Versió al català de Ramon Casajoana
L'album contiene, oltre a questa, le versioni catalane di What Have They Done To The Rain? di Malvina Reynolds, di Cruel War di Peter, Paul and Mary e di Universal Soldier di Buffy Sainte-Marie (e Donovan). [RV]
L'intero album.
(I come and stand at every door)
Per tot arreu us vaig cridant,
però ningú no em pot sentir,
i quan us parlo no em veieu,
perquè sóc mort, perquè sóc mort.
Tenia set anys quan vaig morir
a Hiroshima, fa molt temps.
Encara tinc aquells set anys,
quan els nens moren no creixen més.
Tot el meu cos es va cremar,
amb els ulls cecs em vaig desfer,
tots els meus ossos es van fer pols;
després, el vent s'ho va emportar.
Dolços no en vull, no em cal el pa,
no vull arròs, fruites tampoc,
jo no demano res per mi
perquè sóc mort, perquè sóc mort.
El que us demano és que ara lluiteu,
però per la pau, però per la pau,
per tal que els nens de tot el món
puguin créixer, viure i jugar.
Vengo y me quedo en cada puerta,
pero nadie oye mi paso silencioso.
Llamo y todavía permanezco sin ser vista
porque estoy muerta, porque estoy muerta.
Tengo sólo siete años aunque morí
en Hiroshima hace tiempo,
tengo siete años ahora como entonces,
cuando los niños mueren no crecen.
Mi cabello se quemó por un remolino de fuego,
mis ojos se volvieron sombríos, mis ojos se cegaron,
la muerte vino y convirtió mis huesos en polvo
y fueron dispersados por el viento.
No necesito fruta, no necesito arroz,
no necesito dulces, ni siquiera pan;
no pido nada para mí,
porque estoy muerta, porque estoy muerta.
Todo lo que pido es aquello para la paz.
Luchad hoy, luchad hoy
para que los niños de este mundo
puedan vivir crecer y reír y jugar.
L'originale turco di Nâzım Hikmet da cui è stata tratta la canzone di Pete Seeger.
La poesia è stata musicata e interpretata dall'artista turco Zülfü Livaneli nel 1978, in un album dedicato interamente a Nâzim Hikmet (intitolato "Nâzim Türküsü).
The original Turkish poem by Nâzım Hikmet which inspired Pete Seeger's song.
The poem was set to music and performed by the Turkish folksinger Zülfü Livaneli in 1978, in an album entirely dedicated to Nâzim Hikmet, "Nâzim Türküsü".
Dopo il liceo a Istanbul, Hikmet passò all'Accademia di marina, e già scriveva poesie. Pubblicò per la prima volta a diciassette anni in una rivista. A diciotto anni Nâzım lasciò l'Accademia e scappò in Anatolia, dove si svolgeva la guerra di liberazione guidata dal nazionalista Mustafa Kemal, e fece il maestro di scuola.
Nel 1921, appena diciannovenne, abbandonò il partito kemalista. Aveva scoperto i testi di Marx e la rivoluzione sovietica, e decise di emigrare: andò a Mosca e si iscrisse all'Università comunista dei lavoratori d'Oriente.
Incontrò Lenin, conobbe Esenin e Majakovskij ( che ebbe su di lui un influsso importante). Frequenta l’università a Mosca, attratto dalla Rivoluzione Russa e dalle sue promesse di giustizia sociale ove rimase per sette anni, tornando in patria solo per un periodo tra il 1924 e il 1925, quando organizzò una tipografia a Smirne; viene quindi arrestato, colpevole di collaborare con una rivista di sinistra. Costretto a rifugiarsi a Mosca, solo nel 1928 Hikmet rientrò di nuovo, clandestinamente, in Turchia. Intanto cominciavano ad uscire numerosi i suoi libri. La sua posizione politica, però, non piaceva affatto al governo, anticomunista, tanto che nel 1938, dopo varie altre condanne e detenzioni ( con accuse di propaganda comunista e di complotto contro il governo), venne processato e condannato a 28 anni di carcere. Ne scontò 12 (in una prigione dell'Anatolia), nel corso dei quali fu colpito nel 1943 da un primo infarto.
È Pablo Neruda a raccontare come l’amico Hikmet viene trattato durante la sua prigionia: “…Accusato di aver tentato di incitare l’esercito turco alla ribellione, Nâzım è stato condannato alle punizioni più terribili. Mi ha detto che è stato costretto a camminare sul ponte di una nave fino a non sentirsi troppo debole per rimanere in piedi, quindi lo hanno legato in una latrina dove gli escrementi arrivavano a mezzo metro sopra il pavimento… Il mio fratello poeta ha sentito le sue forze mancare: i miei aguzzini vogliono vedermi soffrire. Resiste con orgoglio. Comincia a cantare, all’inizio la sua voce è bassa, poi sempre più alta fino ad urlare. Ha cantato tutte le canzoni, tutti i poemi d’amore che riesce a ricordare, i suoi stessi versi, le ballate d’amore dei contadini, gli inni di battaglia della gente comune. Ha cantato qualsiasi cosa che la sua mente ricordasse. E così ha vinto i suoi torturatori.”
Nel 1949, a Parigi, una commissione internazionale della quale fanno parte, tra gli altri, Pablo Picasso, Paul Robeson e Jean Paul Sartre, si batte per la liberazione di Hikmet. Esce di carcere nel 1950, con l'aura di martire e d'intellettuale di spicco nell'ambito della cultura comunista internazionale. A favorire la scarcerazione fu Tristan Tzara. a capo di un gruppo di artisti e intellettuali. Rimase per qualche mese ad Istanbul, strettamente controllato dalla polizia.
Ben presto la sua persecuzione ricomincia più spietata che mai. Simone de Beauvoir ricorda gli eventi di quei giorni “Mi raccontò come nell’anno successivo alla sua liberazione subì due attentati, con le macchine, nelle vie di Istanbul. In seguito provarono a costringerlo a fare il servizio militare alla frontiera russa: aveva quasi cinquant’anni. Fu costretto ad espatriare a Mosca. Il governo turco nega il permesso alla moglie ed al figlio di seguirlo. Durante il suo esilio ha il secondo attacco di cuore. Nonostante le sue condizioni di salute continua a lavorare duramente, visitando non solo l’Europa dell’Est ma Roma, Parigi, L’Avana, Pechino. Privato della cittadinanza turca nel 1959 sceglie di diventare cittadino polacco. Nello stesso anno si sposa per la terza volta. Nel 1961 compie un viaggio a Cuba; viene più volte anche in Italia. Il 3 giugno 1963 muore a Mosca colpito da un infarto.
È nel 2002, in occasione del centenario della sua nascita, che il governo turco restituirà al grande poeta Nâzım Hikmet (scomparso nel '63) la cittadinanza che gli era stata ritirata nel 1951, un anno dopo la sua scelta di trasferirsi in Unione Sovietica, in esilio, e dopo la condanna a 28 anni di carcere inflittagli dal presidente Kemal Atatürk. L'iniziativa del governo fa seguito alla petizione di oltre mezzo milione di cittadini.
Nâzım Hikmet è uno dei più grandi poeti del ventesimo secolo. le sue opere sono state tradotte in più di cinquanta lingue.
Kapıları calan benim
kapıları birer birer.
Gözünüze görünemem
göze görünmez oluler.
Hiroşima'da olelim
oluyor bir on yıl kadar.
Yedi yaşında bir kizim,
buyumez olu çocuklar.
Saçlarım tütüştü once,
gözlerim yandı kavruldu.
Bir avuç kul oluverdim,
külüm havaya savruldu.
Benim sizden kendim için
hiçbir şey istediğim yok.
Seker bile yiyemez ki
kağıt gibi yanan çocuk.
Calıyorum kapınizı
teyze, amca, bir imza ver.
Coçuklar oldurulmesin
seker de yiyebilsinler.
Japanese version of Nâzim Hikmet's poem
Da/from Questa pagina/This page
家々の戸を叩くのは私
私は見えない
死者は見えない
私が広島で死んで略十年
私は7歳
死んだ子は歳をとらない
まづ髪に火がつき
目が焼けた
私は一握りの灰になり
風に散った
私はなにも欲しくない
紙のように燃えた子供は
お菓子さえ食べれない
私は戸を叩く
おじさんおばさん
署名してください
子供たちが殺されないで
お菓子を食べれるように
envoyé par Riccardo Venturi - 14/1/2009 - 04:56
The Japanese version by Chitose Hajime (元 ちとせ) in collaboration with Ryuichi Sakamoto (坂本 龍一).
La versione di Chitose Hajime, in collaborazione con Ryuichi Sakamoto (che ha composto la musica) è un nuovo e diretto adattamento della poesia Kız Çocuğu di Nâzim Hikmet. Risale al 2005, e in giapponese si intitola Shinda Onna no Ko “Una bambina morta”. Chitose Hajime, nativa dell'isola di Amami Ōshima nell'arcipelago delle isole Amami tra Kyushu e Okinawa, è famosa per il particolare stile di canto “shima-uta”, con notevoli effetti in falsetto. Chitose Hajime (nata nel 1979) canta in stile shima-uta. La versione è stata eseguita presso il Memoriale della Pace di Hiroshima il 5 agosto 2005, all'immediata vigilia del 60° anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima; in seguito, Chitose Hajime la ha inserita come bonus track nell'album Hanadairo del 2006. Da notare che il video della canzone qui proposto è stato sottotitolato in inglese con la canzone di Pete Seeger, che non gli corrisponde affatto nel testo. Gli utenti giapponesi se ne sono accorti (pur senza riconoscere la canzone di Seeger) e uno di loro ha effettuato una traduzione letterale del testo giapponese in inglese che presentiamo qui in nota. [RV]
In 2005, famous Amami Ōshima singer Chitose Hajime collaborated with Ryuichi Sakamoto by translating Kız Çocuğu into Japanese, retitling it Shinda Onna no Ko [死んだ女の子] "A dead girl"). It was performed live at the Atomic Bomb Dome in Hiroshima on the eve of the 60th Anniversary (5 August 2005) of Atomic bombings of Hiroshima and Nagasaki. The song later appeared as a bonus track on Chitose's album Hanadairo in 2006.
あけてちょうだい たたくのはあたし
あっちの戸 こっちの戸 あたしはたたくの
こわがらないで 見えないあたしを
だれにも見えない死んだ女の子を
あたしは死んだの あのヒロシマで
あのヒロシマで 夏の朝に
あのときも七つ いまでも七つ
死んだ子はけっして大きくならないの
炎がのんだの あたしの髪の毛を
あたしの両手を あたしのひとみを
あたしのからだはひとつかみの灰
冷たい風にさらわれていった灰
あなたにお願い だけどあたしは
パンもお米もなにもいらないの
あまいあめ玉もしゃぶれないの
紙きれみたいにもえたあたしは
戸をたたくのはあたしあたし
平和な世界に どうかしてちょうだい
炎が子どもを焼かないように
あまいあめ玉がしゃぶれるように
炎が子どもを焼かないように
あまいあめ玉がしゃぶれるように.
あけてちょうだい たたくのはあたし
Knocking on this door, knocking on that door.
あっちの戸 こっちの戸 あたしはたたくの
Do not fear me, the girl you cannot see,
こわがらないで 見えないあたしを
The dead girl who nobody can see.
だれにも見えない死んだ女の子を
I died there, in Hiroshima,
あたしは死んだの あのヒロシマで
In Hiroshima on a summer morning;
あのヒロシマで 夏の朝に
I was seven then, and I am seven now;
あのときも七つ いまでも七つ
Dead children never grow up.
死んだ子はけっして大きくならないの
The flames swallowed it all up:
炎がのんだの あたしの髪の毛を
My hair, my arms, my eyes.
あたしの両手を あたしのひとみを
My body became a handful of ashes,
あたしのからだはひとつかみの灰
Ashes carried away on the cold wind.
冷たい風にさらわれていった灰
Please, I beg of you –
あなたにお願い だけどあたしは
Though I need no bread or rice,
パンもお米もなにもいらないの
And I cannot taste the sweetness of candy,
あまいあめ玉もしゃぶれないの
I have been burned up like scraps of paper.
紙きれみたいにもえたあたしは
It’s me who’s knocking on the door, it’s me;
戸をたたくのはあたしあたし
Please, somehow, bring peace to this world,
平和な世界に どうかしてちょうだい
So that no more children are burnt in the flames,
炎が子どもを焼かないように
So that they can still taste the sweetness of candy.
あまいあめ玉がしゃぶれるように
envoyé par Wenuturi Rikarutu-san / ウェヌトゥリリカルトルさん - 1/12/2017 - 07:11
Versione inglese di Howard Fast della poesia di Nazim Hikmet
The first English version of the song I found was in Masses and Mainstream, monthly, New York, June 1955. It printed three songs of Nazim Hikmet, under the title "Poems for Peace," with the following note:
"These three songs of peace were written for the World Assembly of Peace by the famous Turkish poet, Nazim Hikmet. They were set to music by Czech composers, and the music as well as literal translations of the Turkish original was sent to Paul Robeson and Howard Fast in New York.
"What follows are the texts which Howard Fast wrote to the Czech music, basing himself as nearly as possible within the musical framework upon Nazim Hikmet's original version. They will be recorded by Paul Robeson, whose voice will be heard in Helsinki by the men women of the world assembly."
The World Peace Council was at that time trying to get hundreds of millions of signatures for an "appeal for peace." That why the reference to the "scroll" towards the end.
I do not know how the song was redone since then. Nazim Hikmet himself might have revised the song and there might have been a new translation.
A little girl is at your door,
At every door, at every door,
A little girl you cannot see
Is at your door, is at your door
And for me, there will never be
The love and laughter you have known.
At Hiroshima, do you see,
My flesh was seared from every bone.
My hair was first to feel the flame,
Hot were my eyes and hot my hands,
Only a little ash remained,
Where I had played upon the sands.
Stranger, what can you do for me,
A little ash, a little girl?
A human child like paper burned,
An ash for the cooling wind to swirl.
A little dead child, burned by strife,
Oh, stranger please do this for me,
Your name on the scroll, peace and life,
And peace and life for all like me.
Dall'Antologia dell'Istituto Comprensivo "C.Gouthier.
Nazim Hikmet
Apritemi sono io…
busso alla porta di tutte le scale
ma nessuno mi vede
perché i bambini morti nessuno riesce a vederli.
Sono di Hiroshima e là sono morta
tanti anni fa. Tanti anni passeranno.
Ne avevo sette, allora: anche adesso ne ho sette
perché i bambini morti non diventano grandi.
Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati,
avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro.
Un pugno di cenere, quella sono io
poi anche il vento ha disperso la cenere.
Apritemi; vi prego non per me
perché a me non occorre né il pane né il riso:
non chiedo neanche lo zucchero, io:
a un bambino bruciato come una foglia secca non serve.
Per piacere mettete una firma,
per favore, uomini di tutta la terra
firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini
e possano sempre mangiare lo zucchero.
Version française du poème de Nâzim Hikmet
Da/d'après Questa pagina/Cette page
(La petite fille d'Hiroshima)
C'est moi qui frappe aux portes,
aux portes, l'une après l'autre.
Je suis invisible à vos yeux.
Les morts sont invisibles.
Morte à Hiroshima
il y a bien longtemps,
je suis une petite fille de sept ans.
Les enfants morts ne grandissent pas.
Mes cheveux d'abord ont pris feu,
mes yeux ont brûlé, se sont calcinés.
Soudain je fus réduite en une poignée de cendres,
mes cendres se sont éparpillées au vent.
Pour ce qui est de moi,
je ne vous demande rien:
il ne saurait manger, même des bonbons,
l'enfant qui comme du papier a brûlé.
Je frappe à votre porte, oncle, tante:
une signature. Que l'on ne tue pas les enfants
et qu'ils puissent aussi manger des bonbons.
envoyé par Riccardo Venturi - 4/1/2006 - 00:14
Deutsche Fassung des Gedichtes von Nâzim Hikmet
German Version of Nâzim Hikmet's poem
Da/aus/from Questa pagina/vorliegender Seite/this page
Ich, ich klopfte an eure Tür,
an jede, eine nach der andern.
Ihr könnt mich nicht sehen.
Tote sind unsichtbar.
Seit ich in Hiroshima starb,
ist es zehn Jahre her.
Ich bin ein Mädchen von sieben Jahr,
tote Kinder wachsen nicht mehr.
Zuerst fing Feuer mein Haar,
dann sind mir die Augen verbrannt,
bis ich zu einer Handvoll Asche wurde,,
die durch die Luft wirbelte.
Für mich verlange ich
nichts von euch, nichts.
Ein Kind, das wie Papier brannte,
kann nicht einmal mehr Bonbons essen.
Ich klopfe an eure Tür,
Tante, Onkel, eine Unterschrift nur.
Damit Kinder nicht mehr getötet werde
und auch Bonbons essen können.
envoyé par Riccardo Venturi - 4/1/2006 - 00:45
Versión castellana del poema de Nâzim Hikmet
Spanish Version of Nâzim Hikmet's poem
Da/de/from Questa pagina/esta página/this page
Soy yo quien golpea a tu puerta
A todas las puertas, a todos las puertas
Pero ustedes no pueden contemplarme
Es imposible ver a un niño muerto
Hace diez años largos
he muerto en Hiroshima
Pero sigo teniendo siete años
Los niños muertos dejan de crecer
Al principio se inflamaron mis cabellos
Mis manos y mis ojos ardieron después
Me convertí en un puñado de cenizas
Que el viento dispersó
Nada, nada les pido para mí
No podrían mimarme aunque quisieran
Una niña que ha ardido como si fuera papel
no come caramelos
Yo golpeo y golpeo a cada puerta:
Denme, denme una firma
Para que los niños no sean asesinados
y coman caramelos.
envoyé par Riccardo Venturi - 4/1/2006 - 00:50
Versão portuguesa do poema de Nâzim Hikmet, por Rui Caeiro (2000)
Rui Caeiro's Portuguese version of Nâzim Hikmet's poem (2000)
Da/de/from Questa pagina/esta página/this page
Sou eu que bato às portas
às portas, umas após outras.
Sou invisível aos vossos olhos.
Os mortos são invisíveis.
Morta em Hiroxima
há mais de dez anos,
sou uma menina de sete anos.
As crianças mortas não crescem.
Primeiro arderam os meus cabelos,
também os olhos arderam, ficaram calcinados.
Num instante fiquei reduzida a um punhado de cinzas
que se espalharam ao vento.
No que diz respeito a mim,
nada vos imploro:
não podia comer, nem sequer bombons,
a criança que ardeu como papel.
Bato à vossa porta, tio, tia:
uma assinatura. Não matem as crianças
e deixem-nas também comer bombons.
envoyé par Riccardo Venturi - 4/1/2006 - 01:10
Peter Vandenberghe's free Dutch version of Nâzim Hikmet's poem. It is reproduced from a page dedicated to Rachel Corrie.
Vrije nederlandse vertaling van Peter Vandenberghe.
Ik ben het die aan de deuren klopt,
één voor één.
Ik kan niet verschijnen voor uw ogen,
de doden verschijnen niet voor de ogen.
Het is tien jaar geleden dat ik stierf
in Hirosima.
Ik ben een meisje van zeven jaar,
dode kinderen groeien niet meer.
Mijn haren ontvlamden het eerst,
mijn ogen branden en verschroeiden.
Ik werd heel vlug een handvol as,
ik waaide op in de wind.
Er is niets dat ik wens voor mezelf.
Geef me geen snoepjes,
een kind dat brand als een blad papier
kan zelf geen snoepjes eten
Oompje, tante ik klop aan uw deur voor
een woord van eer.
Moge de kinderen niet meer gedood worden,
zodat ze snoepjes kunnen eten.
envoyé par Riccardo Venturi - 4/1/2006 - 00:57
Alternative Dutch version of Nâzim Hikmet's poem, from This page
Bij zo velen klopte ik aan,
wie weet, ook bij jou misschien.
Maar doden zijn onzichtbaar,
ik kan me niet laten zien,
Het is nu tien jaar geleden
dat ik in Hiroshima stierf.
Ik ben een meisje van zeven,
dode kinderen groeien niet.
Eerst vatte mijn haar vuur,
dan verbrandden mijn ogen.
Ik werd een handvol as
mijn bloed is vervlogen.
Ik vraag van jullie niets,
je hoeft iet te boeten.
Een kind dat verbrandde
kan niet eens meer snoepen.
Ik klop weer bij jullie aan:
geel me toch je woord van eer.
Laat de kinderen snoepen
en dood hen nooit meer, nooit meer.
envoyé par Riccardo Venturi - 4/1/2006 - 01:03
Danish version of Nâzim Hikmet's poem
Der står et barn foran din dør
står med en bøn til dig, til os
ved hver en dør, skønt ingen ser
den lille piges skygge dér.
At lege, synge, har jeg kendt,
og blive sulten, løbe hjem.
I Hiroshima blev jeg brændt,
en askehob var alt man fandt.
I håret først greb flammen fat,
fortæred så min hud, min mund.
Da sank jeg om, var stum, var træt.
Så hvidt der blev, så sort, så hedt.
Min sang blev brændt, og brændt mit kød.
Jeg leged i det lyse sand
da bomben faldt og smelted, sved
til aske alt, min drøm til død.
Jeg er et barn, jeg blev kun syv,
er stadig syv, for børn som dør
blir ikke ældre uden liv.
Nu leger vinden med mit støv.
Jeg spiser aldrig ris og brød,
kun én ting ber jeg om: at du
vil kæmpe imod krig og død,
så børn kan vokse op i fred.
envoyé par Holger Terp og CCG/AWS Staff - 27/1/2010 - 21:25
Greek version by Yannis Ritsos
Μετέφρασε στα Ελληνικά ο Γιάννης Ρίτσος
Nel video che segue, invece, la stessa Maria Dimitriadi introduce in greco (con una diversa traduzione, letterale) la versione della poesia di Nâzim Hikmet cantata nell'originale turco da Sumeyra Çakır e musicata da Tahsın İnçirçi:
Εγώ είμαι που χτυπώ την πόρτα σας
Εδώ ή αλλού χτυπάω όλες τις πόρτες
Ω μην τρομάζετε καθόλου που ‘μαι αθώρητη
κανένας μια μικρή νεκρή δεν μπορεί να δει
Εδώ και δέκα χρόνια εδώ καθόμουνα
στη Χιροσίμα ο θάνατος με βρήκε
κι είμαι παιδί τα εφτά δεν τα καλόκλεισα
μα τα νεκρά παιδιά δεν μεγαλώνουν.
Πήραν πρώτα φωτιά οι μακριές πλεξούδες μου
μου καήκανε τα χέρια και τα μάτια
Όλη όλη μια χουφτίτσα στάχτη απόμεινα
την πήρε ο άνεμος κι αυτή σ’ ένα ουρανό συννεφιασμένο
Ω μη θαρρείτε πως ζητάω για μένα τίποτα
Κανείς εμένα δεν μπορεί να με γλυκάνει
γιατί το παιδί που σαν εφημερίδα κάηκε
δεν μπορεί πια τις καραμέλες σας να φάει
Εγώ είμα που χτυπώ την πόρτα σας, ακούστε με
φιλέψτε με μονάχα την υπογραφή σας
έτσι που τα παιδάκια πια να μην σκοτώνονται
και να μπορούν να τρων τις καραμέλες.
envoyé par Riccardo Venturi - Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ "Gian Piero Testa" - 1/12/2017 - 08:21
Finnish translation by Aira Sinervo
Fince çeviri: Aira Sinervo
Suomennos: Aira Sinervo
Näin ovelta ovelle kierrän ja käyn,
käsi väsy ei kolkuttamasta.
Kun ovesi avaat, ei silmäsi näe
minua, kuollutta lasta.
On siitä jo vuosia kymmenen,
Hiroshimassa kotini mulla.
Kuus kesää kasvaa ehdin vain,
ei seitsemäs ehtinyt tulla.
Kävi humahdus, tukkani kärventyi,
kipu viilsi mun silmiäni.
Jalat piiriä juoksevat luhistui
tuhkaks' kesken leikkiäni.
En sinulta nukkea pyytää voi,
en turvaa sylissäsi.
On lapsen ruumiini tomua vain,
on katkennut elämäni.
Vaan silti mä ovelta ovelle käyn,
nuken sijasta pyyntö on mulla:
sinä lasten suojaksi nimesi suo,
he että saa aikuisiksi tulla.
envoyé par Juha Rämö - 11/5/2015 - 12:39
Jään ovellesi seisomaan.
Kun saavun, et vain kuulla voi.
Kun kolkutan, et ketään nää.
Mä kuollut oon, mä kuollut oon.
Olin seitsemän, kun pommi tuo
toi Hiroshimaan kuoleman.
Olen seitsemän kuin silloinkin.
Ei lapset kasva kuoltuaan
Se liekki poltti hiukseni,
se poltti silmät sokaisten.
Jäi ruumiistani tomu vain,
niin lensin teitä tuulien.
En enää kaipaa riisiä,
en hedelmiä, leipääkään.
En itse mitään tarvitse,
kun kuollut oon, kun kuollut oon.
Vain pyydän: rauhan puolesta
tee tänään työtä, ihminen,
niin että lapset maailman
saa elää, kasvaa leikkien.
envoyé par Juha Rämö - 13/5/2015 - 10:38
# Child 113
L'antichissima ballata scozzese nella classica interpretazione di Joan Baez (da Joan Baez Ballad Book, vol. I, 1969). Testo: The Oxford Book Of Ballads, edited by Sir Arthur Quiller-Couch ("Q"), 1910; a sua volta ripreso da: Proceedings of the Society of Antiquaries of Scotland, I (1852), 86. Joan Baez, nella sua versione, si allontana in alcuni punti dalla pronuncia scozzese e non canta la strofa indicata tra [parentesi quadre].
Molto del grande successo di questa canzone, oltre all'emozionante testo di Nâzim Hikmet tradotto da Pete Seeger e interpretato dai Byrds, è dovuto alla melodia assolutamente unica, rielaborata (ma con nessuna modifica sostanziale) da quella dell'antica ballata scozzese The Great Silkie of Sule Skerrie. La seguente presentazione fu da me preparata nel 1988 per un Sito sulle Child Ballads; la riprendo per l'occasione. [RV]
Nel folklore degli arcipelaghi all'estremo nord della Scozia, le Orcadi e le Ebridi, le foche hanno un ruolo importante, specialmente per quanto riguarda le numerose storie che hanno come protagonisti i silkies o "uomini-foca" (il termine stesso è un diminutivo del termine sile, sule [inglese seal "foca"]). I silkies sono delle creature fatate che usualmente abitano nelle profondità marine, ma che talvolta salgono in terraferma dopo essersi sbarazzate delle loro pelli di foca, assumendo sembianze umane. Così è anche il protagonista della nostra storia (Sule (o Shule) Skerry è un’isolotto delle Orcadi occidentali, il cui nome significa “Isolotto delle Foche”- Skerrie è connesso con un antico termine per “isola” che si ritrova ancora nello svedese skär-gård “arcipelago”, lett. “giardino di isole”), il cupo uomo-foca che, passando per un uomo normale, ha affidato suo figlio alla madre, una donna mortale o “nutrice terrestre” (eartly nourrice), e torna poi per riprenderselo (non senza pagare alla madre-balia una ricompensa). Molte famiglie delle isole scozzesi fanno risalire la loro origine agli uomini-foca e, a causa di un evidente tabù totemico, si rifiutano di mangiare carne di foca o di usarne il grasso. Malgrado il finale della ballata possa apparire un artificio letterario, gli abitanti delle Orcadi sono convinti che la profezia contenuta nella strofa di chiusura si avvererà, dato che i silkies si distinguono, tra le altre cose, per il loro potere di predire il futuro.
Il nostro testo proviene dai Proceedings of the Society of Antiquaries of Scotland, I (1852), 86. La ballata è cantata su due melodie, considerate tra le più belle conosciute. Alla versione raccolta alla fine del secolo scorso dal Fergusson (e riportata in Rambling Stretches in the Far North, 1883, p. 140) si adatta quella trascritta nelle isole Orcadi dal prof. Otto Andersson di Helsinki nel 1938 ed arrangiata da Francis Collinson (pubblicata in Budkavlen, XXVI [1947]); la melodia era stata raccolta dalla voce di John Sinclair, sull'isola di Flotta, e il prof. Andersson disse di non avere avuto la coscienza di trascrivere per la prima volta una melodia dopo secoli. Il nostro testo utilizza invece la melodia scritta nel 1954 dal prof. James (Jim) Waters, della Columbia University, che è senz'altro la più nota scelta e che fu scelta anche da Joan Baez per la sua interpretazione arrangiata (in The Joan Baez Ballad Book, I, intitolata semplicemente Silkie). Una versione francese della ballata è stata approntata e preparata dal gruppo bretone Tri Yann.
And aye she sings, ‘Ba, lily wean!
Little ken I my bairn’s father,
Far less the land that he staps in.’
Then ane arose at her bed-fit,
An’ a grumly guest I’m sure was he:
‘Here am I, thy bairn’s father,
Although that I be not comèlie.
I am a man, upo’ the lan’,
An’ I am a silkie in the sea;
And when I’m far and far frae lan’,
My dwelling is in Sule Skerrie.’
[‘It was na weel,’ quo’ the maiden fair,
‘It was na weel, indeed,’ quo’ she,
‘That the Great Silkie of Sule Skerrie
Suld hae come and aught a bairn to me.’]
Now he has ta’en a purse of goud,
And he has pat it upo’ her knee,
Sayin’, ‘Gie to me my little young son,
An’ tak thee up thy nourrice-fee.
‘An’ it sall pass on a simmer’s day,
When the sin shines het on evera stane,
That I will tak my little young son,
An’ teach him for to swim the faem.*
‘An’ thu sall marry a proud gunner,
An’ a proud gunner I’m sure he’ll be,
An’ the very first schot that ere he schoots,
He’ll schoot baith my young son and me.’
envoyé par Riccardo Venturi - 9/4/2009 - 22:21
Italian version by Riccardo Venturi [1988]
Una donna mortale siede e canta
E sempre canta, Dormi, piccolo giglio!
Poco conosco il padre di mio figlio,
Né so la terra da dove viene.
E allora venne uno ai piedi del letto
E un ospite terribile, son sicuro fosse:
"Sono io il padre di tuo figlio,
Anche se non posso piacerti molto.
Qua sulla terra io sono un uomo,
Ma nel mare, sono un uomo-foca;
E quando da terra sono lontano
La mia dimora è l'Isola delle Foche."
"Non è buona cosa", disse la ragazza,
"Non è davvero bene", lei disse,
"Che l’ Uomo-foca di Sule Skerry
Sia venuto a prender mio figlio."
E ora ha preso una borsa d'oro
E gliela ha messa sulle ginocchia
E dice, "Ora dammi il mio bambino,
E questo è per averlo allattato.
E accadrà in un giorno d'estate,
Quando il sole splenderà su ogni scoglio
Che verrò a prendere mio figlio
E gli insegnerò a nuotare nella spuma del mare.*
Tu sposerai un valente cannoniere,
Son sicuro che sarà valente;
Ed il primo colpo che lui sparerà
Ucciderà sia mio figlio, che me."
envoyé par CCG/AWS Staff - 10/4/2009 - 00:21
This poem is also put to music (same lyrics but different music) by the Misunderstood (one of the great lost bands of the sixties) in 1966.
It's titled "I Unseen".
Free Download
(Kees Gijsberts)
La poesia è stata messa in musica (con le stesse parole ma melodia differenta) da The Misunderstood (uno dei grandi gruppi dimenticati degli anni '60) nel 1966.
È intitolata "I Unseen"
Scaricamento libero
Il solo vero problema di tutti i tempi si trova nel cuore e nei pensieri degli uomini. Non si tratta di un problema fisico, ma di un problema morale.
È più facile modificare la composizione del plutonio piuttosto che lo spirito malvagio di un individuo. Non è la potenza di una bomba atomica che ci spaventa, ma la potenza della malvagità del cuore umano, la sua forza d'esplosione per il male.
(Albert Einstein, 1948)
La gente si abitua a tutto con una facilità spaventosa. Quando hanno sganciato l'atomica su Hiroshimea e Nagasaki, il mondo intero era scioccato dal terrore e si diceva: "È mostruoso". Ebbene, adesso, la bomba atomica rientra nell'insieme delle armi tattiche e non guasta il sonno a nessuno. Quasi fosse qualcosa di demodé, di commovente, come l'arco e le frecce
(Bertrand Russell)
Davanti alle prospettive terrificanti che si aprono all'umanità, ci accorgiamo ancora di più che la pace è la sola battaglia che meriti di essere combattuta.
Non è più una supplica, ma un ordine che deve salire dai popoli ai governi; l'ordine di decidere definitivamente tra l'inferno e la ragione
(Albert Camus, 8 agosto 1945)
Il giorno in cui sganciarono la bomba era ero in un campeggio estivo, scappai in un bosco e rimasi da solo per due ore. Non ne avrei mai potuto parlare con nessuno e non avrei potuto comprendere la reazione di nessuno. Mi sentivo completamente isolato.
(Noam Chomsky)
Una volta ci dicevano che l'aeroplano aveva "abolito le frontiere"; in realtà è proprio da quando l'aereo è diventato una autentica arma che le frontiere sono diventate davvero invalicabili. Dalla radio, un tempo, ci si aspettava che favorisse la comprensione internazionale e la cooperazione: si è trasformata invece in un mezzo per isolare una nazione dall'altra. La bomba atomica potrebbe completare questo processo di sfruttamente ed espropriazione delle classi e dei popoli di tutto il loro potere di rivolta
(George Orwell)
Uomini severi, in doppiopoetto, eleganti, che salgono e scendono dagli aeroplani... E uomini umili, vestiti di stracci o di abiti fatti in serie, miseri, che vanno e vengono per strade rigurgitanti e squallide... È da questa divisione che nasce la tragedia e la morte. La bomba atomica, col suo funebre cappuccio che si allarga in cieli apocalittici, è il futuro di questa divisione.
(Pier Paolo Pasolini)
Chi le scattò resta senza nome
di VITTORIO ZUCCONI
da Repubblica on line
In quel film dell'orrore senza fine che porta il nome di Hiroshima, altri spettri escono dalla grotta dove furono rinchiusi 63 anni or sono, e vengono a chiederci di essere ricordati. Non i corpi, caduti nell'istante del sole artificiale, ma le loro immagini, dieci scatti inediti impressi su un rullino fotografico, probabilmente da qualcuno di loro, prima di raggiungerli nel mucchio di cadaveri.
Sono dieci immagini mai viste finora eppure viste 250 mila volte, quanti furono, migliaio più migliaio meno perché nessuno conoscerà mai il totale, le vittime di "Little Boy", della prima bomba a fissione nucleare esplosa alle 8 e 15 del mattino del 6 agosto 1945. Fotografie che un soldato americano, Samuel Capp, trovò per caso frugando tra i morti e ispezionando una caverna dopo l'occupazione, e che tenne per sé, dopo averle sviluppate e viste, per oltre 50 anni, prima di rassegnarsi a donarle al fondo intitolato al presidente Herbert Hoover presso l'Università di Stanford, con l'impegno di non renderle pubbliche fino al 2008.
Tutte le immagini dei massacri, dei genocidi, delle fosse comuni sono oscenamente simili, perché i caduti, nelle guerre, giuste o sbagliate che siano, si somigliano sempre tutti. Guardare queste dieci foto, ritrovate e diffuse da un ricercatore della University di California a Merced, il professor Sean Malloy, per un libro sulla morte atomica, significa rivedere istantaneamente le cataste di cadaveri a Mauthausen, le fosse comuni in Ucraina, gli ebrei della rivolta di Varsavia, i bambini di Halabja, il villaggio gassato da Saddam Hussein, i soldati iracheni che vidi sollevati dalle ruspe americane e inglesi lungo la "autostrada della morte" fra Kuweit City e Basra nel febbraio del 1991 e poi ricoperti dalla sabbia, senza guardare troppo per il sottile chi fosse davvero morto o morente.
Quelle figure ritratte nelle nuove istantanee non sono più giapponesi o russi, asiatici o caucasici, bianchi, neri o gialli, nel gonfiore dei gas della putrefazione che sfigura volti e membra dopo poche ore, neppure maschi o femmine, vecchi o giovani. Soltanto i bambini si riconoscono. Sono cose, oggetti, statistiche, bilanci, cifre per gli storici che hanno catalogato i 50 milioni di morti - come l'intera popolazione italiana di oggi - divorati dal più grande massacro indiscriminato che mai l'umanità avesse inflitto a sé stessa, i 190 mila civili olandesi, i 170 mila civili italiani, i 400 mila francesi, i 290 mila militari americani, i sette milioni di russi, i corpi calcinati di Dresda o di Coventry. E il milione e duecentomila civili giapponesi arsi vivi o vaporizzati nei bombardamenti incendiari di Tokyo, ancor più micidiali delle due armi atomiche, a Hiroshima, a Nagasaki.
Di fronte a queste fotografie si può invocare il diritto della propria causa, si possono e si devono ricordare le responsabilità, ma nessun combattente può mai pretendere l'assoluzione preventiva dalle atrocità implicite in tutte le guerre, come sta dimostrando l'Iraq. Se il generale William "Tecumseh" Sherman, il condottiero nordista che mise spietatamente a ferro e fuoco il Sud e la città di Atlanta nella propria marcia vittoriosa, avesse potuto vedere queste nuove foto dall'abisso, avrebbe ripetuto il proprio amaro commento,: "War is hell", la guerra è inferno, e non c'è modo per addolcirla.
Non c'è meccanismo ideologico o di propaganda che possa ingentilire e infiocchettare queste fascine di corpi che furono esseri umani.
Ogni guerra, ogni genocidio, ogni olocausto ha sempre almeno un superstite, un testimone, un documento che sopravvive e che torna a raccontarceli, come queste foto. Da Hiroshima, dove oggi si può passeggiare nella quiete soffocante del "Parco della Pace", fra il museo dei reperti e delle memorie, il ponte a "T" sul fiume che servì da bersaglio al bombardiere della "Enola Gay" e la scultura astratta della cupole ischeletrita della Camera di Commercio, la processione di ricordi continuerà.
Chissà quanti dei reperti ancora viventi che portano sul proprio corpo i "cheloidi", le cicatrici mostruose delle ustioni nucleari, come la bambina sessantenne che mi accompagnò per le strade che aveva percorso quella mattina d'agosto, salvandosi soltanto perché aveva perduto il tram, conservano segreti che ancora non vogliono raccontare e forse non racconteranno mai. Perché gli "hibakusha", i colpiti dalle ustioni nucleari, come sono clinicamente chiamati, sono prima giapponesi che vittime e sentono dunque la vergogna, il pudore di essere vittime.
Il coraggio di vergognarsi per le colpe altrui, il pudore difficile del male subìto che questa fotografie squarciano con la loro innocente oscenità, sono ciò che spinse un fotografo anonimo, quasi certamente un cittadino qualsiasi e un moribondo lui stesso, a scattare queste istantanee per noi. Che portò un reporter giapponese professionista, Yosuke Yamahata, a fiondarsi nel braciere ancora caldo di Hiroshima il 10 agosto '45, appena quattro giorni dopo l'esplosione, per raccogliere le prime immagini, prima che le ancora efficientissime autorità imperiali e poi i bulldozer americani rimuovessero i 130 mila morti istantaneamente o dopo qualche ora di sofferenza squassati dai conati, dal sangue che fuoriusciva dalle loro orecchie.
Pur sapendo, il fotografo, che avrebbe pagato con un cancro da radiazioni che infatti lo uccise, la testimonianza.
Sospetto, per quel poco che so del Giappone, che se quelle fascine di corpi fissate sulle nuove foto emerse da Hiroshima potessero miracolosamente alzarsi e parlare, ci chiederebbero scusa per l'imbarazzo che suscitano in noi che li guardiamo. "Suimasèn, suimasèn", scusate, perdonate, come le madri che si lanciavano singhiozzando con i figli stretti in braccio dallo scoglio dell'isola di Saipan, per sfuggire all'umiliazione della cattura e farsi perdonale dall'imperatore.
Come gli ufficiali rimasti senza munizioni nella caverne di Okinawa e costretti dal "bushido", dal codice d'onore dei samurai, al suicidio.
In queste ore, dopo la riesumazione della nuova processione di spettri 63 anni dopo, sulla rete, sui blog americani che le hanno diffuse ribolle il fiume della la rissa fra chi rivendica l'inevitabilità strategica delle due bombe atomiche sganciate per evitare un'invasione di 500 mila possibili caduti americani e chi grida alla odiosa vendetta contro una nazione ormai disfatta, ma sempre odiata e aliena, come mai furono odiati o alieni gli altri nemici del Patto Tripartito, gli italiani di Mussolini e i tedeschi di Hitler.
La solita, stucchevole rimasticazione di processi revisionisti, di fronte a morti che chiedono soltanto di essere ricordati e scusati per essere morti. E noi li perdoniamo, se loro perdonano noi.
In quel film dell'orrore senza fine che porta il nome di Hiroshima, altri spettri escono dalla grotta dove furono rinchiusi 63 anni or sono, e vengono a chiederci di essere ricordati. Non i corpi, caduti nell'istante del sole artificiale, ma le loro immagini, dieci scatti inediti impressi su un rullino fotografico, probabilmente da qualcuno di loro, prima di raggiungerli nel mucchio di cadaveri.
Sono dieci immagini mai viste finora eppure viste 250 mila volte, quanti furono, migliaio più migliaio meno perché nessuno conoscerà mai il totale, le vittime di "Little Boy", della prima bomba a fissione nucleare esplosa alle 8 e 15 del mattino del 6 agosto 1945. Fotografie che un soldato americano, Samuel Capp, trovò per caso frugando tra i morti e ispezionando una caverna dopo l'occupazione, e che tenne per sé, dopo averle sviluppate e viste, per oltre 50 anni, prima di rassegnarsi a donarle al fondo intitolato al presidente Herbert Hoover presso l'Università di Stanford, con l'impegno di non renderle pubbliche fino al 2008.
Tutte le immagini dei massacri, dei genocidi, delle fosse comuni sono oscenamente simili, perché i caduti, nelle guerre, giuste o sbagliate che siano, si somigliano sempre tutti. Guardare queste dieci foto, ritrovate e diffuse da un ricercatore della University di California a Merced, il professor Sean Malloy, per un libro sulla morte atomica, significa rivedere istantaneamente le cataste di cadaveri a Mauthausen, le fosse comuni in Ucraina, gli ebrei della rivolta di Varsavia, i bambini di Halabja, il villaggio gassato da Saddam Hussein, i soldati iracheni che vidi sollevati dalle ruspe americane e inglesi lungo la "autostrada della morte" fra Kuweit City e Basra nel febbraio del 1991 e poi ricoperti dalla sabbia, senza guardare troppo per il sottile chi fosse davvero morto o morente.
Quelle figure ritratte nelle nuove istantanee non sono più giapponesi o russi, asiatici o caucasici, bianchi, neri o gialli, nel gonfiore dei gas della putrefazione che sfigura volti e membra dopo poche ore, neppure maschi o femmine, vecchi o giovani. Soltanto i bambini si riconoscono. Sono cose, oggetti, statistiche, bilanci, cifre per gli storici che hanno catalogato i 50 milioni di morti - come l'intera popolazione italiana di oggi - divorati dal più grande massacro indiscriminato che mai l'umanità avesse inflitto a sé stessa, i 190 mila civili olandesi, i 170 mila civili italiani, i 400 mila francesi, i 290 mila militari americani, i sette milioni di russi, i corpi calcinati di Dresda o di Coventry. E il milione e duecentomila civili giapponesi arsi vivi o vaporizzati nei bombardamenti incendiari di Tokyo, ancor più micidiali delle due armi atomiche, a Hiroshima, a Nagasaki.
Di fronte a queste fotografie si può invocare il diritto della propria causa, si possono e si devono ricordare le responsabilità, ma nessun combattente può mai pretendere l'assoluzione preventiva dalle atrocità implicite in tutte le guerre, come sta dimostrando l'Iraq. Se il generale William "Tecumseh" Sherman, il condottiero nordista che mise spietatamente a ferro e fuoco il Sud e la città di Atlanta nella propria marcia vittoriosa, avesse potuto vedere queste nuove foto dall'abisso, avrebbe ripetuto il proprio amaro commento,: "War is hell", la guerra è inferno, e non c'è modo per addolcirla.
Non c'è meccanismo ideologico o di propaganda che possa ingentilire e infiocchettare queste fascine di corpi che furono esseri umani.
Ogni guerra, ogni genocidio, ogni olocausto ha sempre almeno un superstite, un testimone, un documento che sopravvive e che torna a raccontarceli, come queste foto. Da Hiroshima, dove oggi si può passeggiare nella quiete soffocante del "Parco della Pace", fra il museo dei reperti e delle memorie, il ponte a "T" sul fiume che servì da bersaglio al bombardiere della "Enola Gay" e la scultura astratta della cupole ischeletrita della Camera di Commercio, la processione di ricordi continuerà.
Chissà quanti dei reperti ancora viventi che portano sul proprio corpo i "cheloidi", le cicatrici mostruose delle ustioni nucleari, come la bambina sessantenne che mi accompagnò per le strade che aveva percorso quella mattina d'agosto, salvandosi soltanto perché aveva perduto il tram, conservano segreti che ancora non vogliono raccontare e forse non racconteranno mai. Perché gli "hibakusha", i colpiti dalle ustioni nucleari, come sono clinicamente chiamati, sono prima giapponesi che vittime e sentono dunque la vergogna, il pudore di essere vittime.
Il coraggio di vergognarsi per le colpe altrui, il pudore difficile del male subìto che questa fotografie squarciano con la loro innocente oscenità, sono ciò che spinse un fotografo anonimo, quasi certamente un cittadino qualsiasi e un moribondo lui stesso, a scattare queste istantanee per noi. Che portò un reporter giapponese professionista, Yosuke Yamahata, a fiondarsi nel braciere ancora caldo di Hiroshima il 10 agosto '45, appena quattro giorni dopo l'esplosione, per raccogliere le prime immagini, prima che le ancora efficientissime autorità imperiali e poi i bulldozer americani rimuovessero i 130 mila morti istantaneamente o dopo qualche ora di sofferenza squassati dai conati, dal sangue che fuoriusciva dalle loro orecchie.
Pur sapendo, il fotografo, che avrebbe pagato con un cancro da radiazioni che infatti lo uccise, la testimonianza.
Sospetto, per quel poco che so del Giappone, che se quelle fascine di corpi fissate sulle nuove foto emerse da Hiroshima potessero miracolosamente alzarsi e parlare, ci chiederebbero scusa per l'imbarazzo che suscitano in noi che li guardiamo. "Suimasèn, suimasèn", scusate, perdonate, come le madri che si lanciavano singhiozzando con i figli stretti in braccio dallo scoglio dell'isola di Saipan, per sfuggire all'umiliazione della cattura e farsi perdonale dall'imperatore.
Come gli ufficiali rimasti senza munizioni nella caverne di Okinawa e costretti dal "bushido", dal codice d'onore dei samurai, al suicidio.
In queste ore, dopo la riesumazione della nuova processione di spettri 63 anni dopo, sulla rete, sui blog americani che le hanno diffuse ribolle il fiume della la rissa fra chi rivendica l'inevitabilità strategica delle due bombe atomiche sganciate per evitare un'invasione di 500 mila possibili caduti americani e chi grida alla odiosa vendetta contro una nazione ormai disfatta, ma sempre odiata e aliena, come mai furono odiati o alieni gli altri nemici del Patto Tripartito, gli italiani di Mussolini e i tedeschi di Hitler.
La solita, stucchevole rimasticazione di processi revisionisti, di fronte a morti che chiedono soltanto di essere ricordati e scusati per essere morti. E noi li perdoniamo, se loro perdonano noi.
GUARDA LE IMMAGINI
Il suo dramma - che non ci commuove affatto, a cui soltanto riconosciamo un valore di parabola, di lezione, di ammonizione per gli altri uomini di scienza - è propriamente il dramma, vissuto a livello individuale, soggettivo, di un nefasto «collaborazionismo» che molte migliaia di persone hanno vissuto (nel senso che ne sono morte) oggettivamente, in quanto ne sono stati oggetto, bersaglio. E speriamo che altre e più vaste vendemmie di morte non vengano da questo, non ancora infranto, «collaborazionismo».
(Leonardo Sciascia, La scomparsa di Majorana, 1975)
1 ricordo x tutte quelle persone, soprattutto x quei bambini morti allora.....
li conserveremo nella nostra memoria, xkè la memoria è futuro..... come immaginare 1 vita senza bimbi??????????
x questo invito tutti a leggere questa poesia e a sperare insieme a me ke tutto quel dolore non avvenga più.......
roberta fornarino - 25/1/2010 - 18:56
Here's my homage to Nâzim Hikmet, an audio link to the song performed in Turkish by Sevingül Bahadır:
And another link to »I Come and Stand at Every Door« performed by Elizabeth Fraser on the 1999 album »Blood« of This Mortal Coil:
Juha Rämö - 11/5/2015 - 12:37
Riccardo Venturi - 11/5/2015 - 13:10
Just one question now: I see the Finnish translation of Hikmet's poem is by Aira Sinervo. Has he/she anything to do with Elvi Sinervo, or is Sinervo such a common family name in Finland...? There's an article on Aira Sinervo in the Finnish Wikipedia, which I have linked, but, sadly enough, it would take me too much time to read a whole article in Finnish...
Finally, special thanks for calling "The Great Silkie of Sule Skerrie" the father of all the stuff in this pot-pourri page. As a scholar in the field of European traditional balladry, I'm very fond of everything concerning old ballads :-P Just to add water to the sea: is there any Finnish translation of "The Great Silkie of Sule Skerrie"? I'm asking you this because the hauting tune to the song was discovered 1938 in the Orkney islands by a Finnish scholar, prof. Otto Andersson of Helsinki. So, if "Silkie" is the father, a Finn might be called the grandfather...there would have been no ballad and no peace song without prof. Andersson.
Riccardo Venturi - 11/5/2015 - 15:30
Aira Sinervo was the younger sister of Elvi Sinervo. One of these days, I will post a song written by her.
Juha Rämö - 11/5/2015 - 16:43
Vito Vita - 18/12/2017 - 06:25
CCG/AWS Staff - 18/12/2017 - 07:29
Im' sheasamh ar gach tairseach bím
Ní chloistear áfach mo choiscéim
An cnag ní chloiseann éinne fós
Mar 'is marbh mé, is marbh mé.
Seacht mbliana ó shin a cailleadh mé
In Hiroshima fad-fadó
Seacht mbliana fós atáim anois
Ní fhásann marbhán níos mó.
Barrdhódh mo ghruaig le lasair bhuí
Is táimse anois gan radharc na súl
Dusta anois mo chnámha bán'
Á scuabadh ag an ngaoth aduaidh
Níl torthaí uaim, ná gráinne rís'
Níl milseán uaim ná fiú arán
Níl rud ar bith ag teastáil uaim
Im' mharbhán, im' mharbhán
Níl uaim anois - sé seo mo ghuí -
Ach síocháin i gcroí gach n-aon,
Is lig do pháistí uil' an domhain
Bheith sona sásta leis an saol.
envoyé par Gabriel Rosenstock - 27/7/2018 - 12:18
Poesia di TŌGE Sankichi tradotta in inglese da Karen Thornber.
TŌGE Sankichi, nato nel 1917 fu un poeta giapponese, attivista, sopravvissuto alla bomba. La sua raccolta “Poems of the Atomic Bomb” fu pubblicata nel 1951, due anni prima della sua morte.
AUGUST 6
Can we forget that flash?
suddenly 30,000 in the streets disappeared
in the crushed depths of darkness
the shrieks of 50,000 died out
when the swirling yellow smoke thinned
buildings split, bridges collapsed
packed trains rested singed
and a shoreless accumulation of rubble and embers - Hiroshima
before long, a line of naked bodies walking in groups, crying
with skin hanging down like rags
hands on chests
stamping on crumbled brain matter
burnt clothing covering hips
corpses lie on the parade ground like stone images of Jizo, dispersed in all
directions
on the banks of the river, lying one on top of another, a group that had crawled to
a tethered raft
also gradually transformed into corpses beneath the sun's scorching rays
and in the light of the flames that pierced the evening sky
the place where mother and younger brother were pinned under alive
also was engulfed in flames
and when the morning sun shone on a group of high-school girls
who had fled and were lying
on the floor of the armory, in excrement
their bellies swollen, one eye crushed, half their bodies raw flesh with skin ripped
off, hairless, impossible to tell who was who
all had stopped moving
in a stagnant, offensive smell
the only sound the wings of flies buzzing around metal basins
city of 300,000
can we forget that silence?
in that stillness
the powerful appeal
of the white eye sockets of the wives and children who did not return home
that tore apart our hearts
can it be forgotten?!
Flavio Poltronieri - 6/8/2019 - 12:27
6 Agosto
Possiamo dimenticare quel flash?
improvvisamente 30.000 per le strade scomparvero
nelle profondità schiacciate delle tenebre
gli strilli di 50.000 si estinsero
quando il vorticoso fumo giallo si assottigliò
edifici spaccati, ponti crollati
i treni pieni riposavano bruciacchiati
e un accumulo di macerie e braci - Hiroshima
in poco tempo , una fila di corpi nudi che camminano in gruppi, piangendo
con la pelle che penzola come stracci
mani su petto
imprimendo sulla materia cerebrale sbriciolata
vestiti bruciati che coprono i fianchi
cadaveri giacciono sul terreno della parata come immagini di pietra di Jizo,
dispersi in tuttele direzioni
sulle rive del fiume, distesi uno sopra l'altro, un gruppo che aveva strisciato per una zattera ancorata
anche gradualmente trasformato in cadaveri sotto i raggi ardenti del sole
e alla luce delle fiamme che trafiggevano il cielo della sera
anche il luogo in cui madre e fratello minore erano bloccati in vita
e fu inghiottito dalle fiamme
e quando il sole del mattino splendeva su un gruppo di liceali
che era fuggito e stava giacendo
sul pavimento dell'armeria, negli escrementi
le loro pance gonfie, un occhio schiacciato, metà dei loro corpi carne cruda con la pelle strappata
senza peli, impossibile dire chi era chi
tutte avevano smesso di muoversi
in un odore stagnante e offensivo
unico suono le ali delle mosche ronzano intorno alle vasche di metallo
città di 300.000
Possiamo dimenticare quel silenzio?
in quel silenzio
il potente appello
delle occhiaie bianche delle mogli e dei bambini che non tornarono a casa
quello che ha distrutto i nostri cuori
può essere dimenticato?
Flavio Poltronieri - 7/8/2019 - 09:29
trovo assolutamente degna di ascolto anche la lenta e straziante versione di questa (a me) sconosciuta Dahlia Mees e della sua viola cinese:
Flavio Poltronieri - 20/10/2020 - 16:13
Segnalo che il link alle foto pubblicate nell’articolo di V.Zucconi su Repubblica del 7 aprile 2008 non è più attivo. In sostituzione si propone il seguente che riporta sia l’articolo che le 10 foto:
articolo e foto
Link alle singole foto:
Le foto facevano parte di rullini non sviluppati trovati in una spelonca fuori Hiroshima dal militare Robert L. Capp che le donò nel 1998 a Hoover Institution con il vincolo di non renderle pubbliche sino al 2008.
Si dovrebbero perciò potere consultare alla Hoover Institution Library and Archives. Ho rinvenuto la raccolta “Inventory of the Robert L. Capp Papers” n° 99013.2 ; contiene delle foto, ma, per quanto mi consta, non quelle citate: 99013.2
Riccardo Gullotta - 11/1/2021 - 11:14
Vito Vita - 5/12/2021 - 09:07
Da una poesia di Nâzım Hikmet
traduzione inglese di Jeannette Turner
Musica di James Waters (1954)
(adattata alla ballata tradizionale delle Isole Orcadi The Great Silkie Of Sule Skerrie (Child #113)
From a poem by Nâzım Hikmet
English translation by Jeannette Turner
Music by James Waters (1954)
(fitted to the Orkney folk ballad The Great Silkie Of Sule Skerrie (Child #113)
(Alex Agus dalla mailing list "Fabrizio")
Ran's poem Kız Çocuğu (The Girl Child) conveys a plea for peace from a seven-year-old girl, ten years after she has perished in the atomic bomb attack at Hiroshima. It has achieved popularity as an anti-war message and has been performed as a song by a number of singers and musicians both in Turkey and worldwide; it is also known in English by various other titles, including I come and Stand at Every Door, I Unseen and Hiroshima Girl. - en.wikipedia : Nâzim Hikmet
Si veda anche The Little Dead Girl di Paul Robeson
See also Paul Robeson's The Little Dead Girl
This extraordinary poem by Nâzım Hikmet was put into a song by Pete Seeger in 1962; the best known version is the one recorded four years later by The Byrds in the LP "5th dimension".