Sto sul monte e guardo giù
dove c'era una città
sulle torri delle chiese
strilla forte il "Gallo rosso".
Rosso il cielo dalle fiamme
rosse le strade di sangue
rossi sono i carri armati
sta bruciando Budapest.
O Budapest...
Soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
ma adesso chi c'è a morire con noi.
O Budapest...
E tu borghese d'occidente,
tu che hai moglie, figli e amante,
le tue case sono calde
e non ti va di rischiare per Budapest.
E tu borghese d'occidente,
hai raccolto sacchi d'oro
nati dal sangue magiaro
e poi ci hai incatenati
al gigante dell'Est.
E accuso! Io, poeta muto da dodici anni,
che forse sarò muto per sempre. Accuso!
E non accuso te, orda enorme dell'Asia;
te orso brutale di Mosca che non riuscisti
ad essere europeo. E non accuso te canaglia vile
che hai voluto la nuova invasione dei Tartari
per salvare così la tua esistenza
ma accuso te Occidente, che non hai ascoltato
il nostro ultimo grido di aiuto. Ti accuso Occidente
che hai preferito l'Asia lontana al popolo di Santo Stefano.
E poi sulle rovine di Parigi, di Londra, di New York
marcerenno i carri armati del nostro tiranno. Ricorda
allora tutto sarà compiuto, anche la maledizione
del magiaro da te abbandonato.
Io ti accuso Occidente
domani anche tu piangerai
come il pezzente magiaro
da te abbandonato a Budapest
O Budapest...
Qui sul monte sto guardando
la fine di un'illusione
nata lungo il nostro fiume
e che muore assassinata con Budapest
O Budapest...
dove c'era una città
sulle torri delle chiese
strilla forte il "Gallo rosso".
Rosso il cielo dalle fiamme
rosse le strade di sangue
rossi sono i carri armati
sta bruciando Budapest.
O Budapest...
Soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
ma adesso chi c'è a morire con noi.
O Budapest...
E tu borghese d'occidente,
tu che hai moglie, figli e amante,
le tue case sono calde
e non ti va di rischiare per Budapest.
E tu borghese d'occidente,
hai raccolto sacchi d'oro
nati dal sangue magiaro
e poi ci hai incatenati
al gigante dell'Est.
E accuso! Io, poeta muto da dodici anni,
che forse sarò muto per sempre. Accuso!
E non accuso te, orda enorme dell'Asia;
te orso brutale di Mosca che non riuscisti
ad essere europeo. E non accuso te canaglia vile
che hai voluto la nuova invasione dei Tartari
per salvare così la tua esistenza
ma accuso te Occidente, che non hai ascoltato
il nostro ultimo grido di aiuto. Ti accuso Occidente
che hai preferito l'Asia lontana al popolo di Santo Stefano.
E poi sulle rovine di Parigi, di Londra, di New York
marcerenno i carri armati del nostro tiranno. Ricorda
allora tutto sarà compiuto, anche la maledizione
del magiaro da te abbandonato.
Io ti accuso Occidente
domani anche tu piangerai
come il pezzente magiaro
da te abbandonato a Budapest
O Budapest...
Qui sul monte sto guardando
la fine di un'illusione
nata lungo il nostro fiume
e che muore assassinata con Budapest
O Budapest...
envoyé par Marco M. - Como - 14/11/2005 - 12:47
Langue: hongrois
Magyar nyelvre fordította Riccardo Venturi
2008-11-én
2008-11-én
BUDAPEST
A hegyen állok és nézek le,
ahol egy város volt.
Az egyházak toronyain
hangosan kiabál a “vörös Kakas”.
Vörös az ég lángoktól
vörös az utcák vérrel
vörös a tankok,
Budapest ég.
Ó Budapest...
Egyetlenek veszítettünk,
sokan beszéltek
amikor nem került semmi
de most, ki hal meg velünk?
Ó Budapest...
Te, nyugati polgár,
te, akinek van felesége, fiai s szeretője,
hazaid melegek
és nem tetszik kockáztatnod Budapestért.
Te, nyugati polgár,
magyar vérből született,
arannyal teli zsákokat aratottál
és aztán minket vertél
a keleti óriás rabláncára.
És én okolok! Me, tizenkét év óta néma költő,
aki talán néma örökké maradni fog. Én okolok!
De nem okolok téged, Ázsia óriási hordája;
nem téged, Moszkva állati medvéje, aki nem
voltál képes rá, európaival lenni. És nem
okolok téged, gyáva gazfickó, aki a tartárok
új betörését akartad, hogy életedet megmentsed.
De téged okolok, Nyugat, aki nem hallgattad meg
az utolsó segítségkiáltásunkat. Okolok téged,
Nyugat, aki a távoli Ázsiát inkább segítetted,
mint Szent István népét. Aztán, Párisz, London
és New York romjaira zsarnokunk tankok
vonulni fognak. Emlékezz, akkor minden teljesen
kész, a magyar átka is, akit sorsára hagytál.
Én okolok téged, Nyugat,
holnap te is sírni fogsz
mint a magyar koldus
akit sorsára hagytál Budapesten.
Ó Budapest...
Itt a hegyen nézem
egy ábránd végét,
ami folyónk partján született
s ami meghal Budapest gyilkossággal.
Ó Budapest...
A hegyen állok és nézek le,
ahol egy város volt.
Az egyházak toronyain
hangosan kiabál a “vörös Kakas”.
Vörös az ég lángoktól
vörös az utcák vérrel
vörös a tankok,
Budapest ég.
Ó Budapest...
Egyetlenek veszítettünk,
sokan beszéltek
amikor nem került semmi
de most, ki hal meg velünk?
Ó Budapest...
Te, nyugati polgár,
te, akinek van felesége, fiai s szeretője,
hazaid melegek
és nem tetszik kockáztatnod Budapestért.
Te, nyugati polgár,
magyar vérből született,
arannyal teli zsákokat aratottál
és aztán minket vertél
a keleti óriás rabláncára.
És én okolok! Me, tizenkét év óta néma költő,
aki talán néma örökké maradni fog. Én okolok!
De nem okolok téged, Ázsia óriási hordája;
nem téged, Moszkva állati medvéje, aki nem
voltál képes rá, európaival lenni. És nem
okolok téged, gyáva gazfickó, aki a tartárok
új betörését akartad, hogy életedet megmentsed.
De téged okolok, Nyugat, aki nem hallgattad meg
az utolsó segítségkiáltásunkat. Okolok téged,
Nyugat, aki a távoli Ázsiát inkább segítetted,
mint Szent István népét. Aztán, Párisz, London
és New York romjaira zsarnokunk tankok
vonulni fognak. Emlékezz, akkor minden teljesen
kész, a magyar átka is, akit sorsára hagytál.
Én okolok téged, Nyugat,
holnap te is sírni fogsz
mint a magyar koldus
akit sorsára hagytál Budapesten.
Ó Budapest...
Itt a hegyen nézem
egy ábránd végét,
ami folyónk partján született
s ami meghal Budapest gyilkossággal.
Ó Budapest...
Personalmente non mi fa orrore nessuna parola. Sono i fatti a farmi orrore. E molti autori delle canzoni da te segnalate hanno appoggiato e militato in un movimento che NEI FATTI si è reso protagonista di guerre, sterminio, violenza e odio.
"Camerata" è una parola che ha un chiaro riferimento all'ambiente militare, nel quale il fascismo ha sempre riscosso molte simpatie e sul quale ha fondato la sua ideologia guerrafondaia. Puoi capire che in un sito che si definisce "pacifista e antimilitarista" questa parola non sia vista di buon occhio. Tanto più se, come nel caso in questione, tendeva a presentare le vicende storiche in maniera grossolanamente faziosa e platealmente falsa.
È certo vero che persone che si dicevano "compagni" si sono macchiate di crimini orrendi e non saremo certo noi a chiudere gli occhi sugli orrori dei gulag sovietici o dei campi di concentramento di altre dittatture comuniste. In questi luoghi di morte e di tortura finivano poi spesso (anche) delle persone che si definivano a loro volta "compagni".
Di queste contraddizioni parla ad esempio l'ultimo romanzo di Claudio Magris, "Alla cieca", nel quale il protagonista, il compagno Cippico, istriano, italiano e comunista, passa dalla guerra di Spagna (in cui le lotte interne alla sinistra ebbero il solo risultato di far vincere il fascismo) al lager nazista di Dachau e, dopo la guerra, viene inviato dal Partito Comunista Italiano in Jugoslavia ad aiutare a "costruire il Comunismo". Dopo lo strappo di Tito con Stalin, viene rinchiuso nel campo di concentramento di Goli Otok, la terribile Isola Calva dove "il compagno maresciallo Tito" confinava i dissidenti. In quanto comunista italiano, infatti, il compagno Cippico era considerato stalinista. Intanto il "compagno Stalin" deportava nel gulag più di un milione e mezzo di persone (fonte Wikipedia, ma, per favore, non cominciamo una squallida discussione sul numero delle vittime), tra le quali un buon numero di "compagni".
Ecco, di fronte a queste contraddizioni e a questa complessità, la moda berlusconiana di parlare delle "vittime del comunismo" tracciando improbabili paralleli tra situazioni completamente diverse al solo scopo di dipingere ogni posizione anche vagamente di sinistra come "complice del Male", è mistificatorio, strumentale e irrispettoso anche e soprattutto delle persone che soffrirono sotto quelle orribili dittature.
Dici che non sapevi nulla delle canzoni e degli autori, ebbene, noi non abbiamo fatto altro che sottolineare da che ambiente provengono quei testi, in modo che il giudizio potesse essere il più possibile completo.
Quanto alle polemiche sul proprietario de Il Giornale, non sono fini a se stesse, servono invece a sottolineare che l'autore di una denuncia che, se isolata dal contesto potrebbe essere del tutto condivisibile, è un esponente di una visione del mondo secondo me pericolosa e guerrafondaia. Non fomento l'odio verso nessuno, ma credo che nessuna idea d'Italia possa impedirmi di esprimere la mia totale disapprovazione verso queste idee che non sono "ugualmente belle, per bene e amanti della Pace", tutt'altro.
Quanto al merito della canzone rimando a questo commento di Riccardo Venturi che risponde alla domanda retorica su cosa stesse facendo il "democratico Occidente" nel 1956.
Un'ultima cosa, sulla correttezza della pubblicazione: non ho sostituito nessun tuo commento, ho solo aggiunto un mio commento chiaramente incorniciato e firmato con nome e cognome.
(Lorenzo Masetti)
"Camerata" è una parola che ha un chiaro riferimento all'ambiente militare, nel quale il fascismo ha sempre riscosso molte simpatie e sul quale ha fondato la sua ideologia guerrafondaia. Puoi capire che in un sito che si definisce "pacifista e antimilitarista" questa parola non sia vista di buon occhio. Tanto più se, come nel caso in questione, tendeva a presentare le vicende storiche in maniera grossolanamente faziosa e platealmente falsa.
È certo vero che persone che si dicevano "compagni" si sono macchiate di crimini orrendi e non saremo certo noi a chiudere gli occhi sugli orrori dei gulag sovietici o dei campi di concentramento di altre dittatture comuniste. In questi luoghi di morte e di tortura finivano poi spesso (anche) delle persone che si definivano a loro volta "compagni".
Di queste contraddizioni parla ad esempio l'ultimo romanzo di Claudio Magris, "Alla cieca", nel quale il protagonista, il compagno Cippico, istriano, italiano e comunista, passa dalla guerra di Spagna (in cui le lotte interne alla sinistra ebbero il solo risultato di far vincere il fascismo) al lager nazista di Dachau e, dopo la guerra, viene inviato dal Partito Comunista Italiano in Jugoslavia ad aiutare a "costruire il Comunismo". Dopo lo strappo di Tito con Stalin, viene rinchiuso nel campo di concentramento di Goli Otok, la terribile Isola Calva dove "il compagno maresciallo Tito" confinava i dissidenti. In quanto comunista italiano, infatti, il compagno Cippico era considerato stalinista. Intanto il "compagno Stalin" deportava nel gulag più di un milione e mezzo di persone (fonte Wikipedia, ma, per favore, non cominciamo una squallida discussione sul numero delle vittime), tra le quali un buon numero di "compagni".
Ecco, di fronte a queste contraddizioni e a questa complessità, la moda berlusconiana di parlare delle "vittime del comunismo" tracciando improbabili paralleli tra situazioni completamente diverse al solo scopo di dipingere ogni posizione anche vagamente di sinistra come "complice del Male", è mistificatorio, strumentale e irrispettoso anche e soprattutto delle persone che soffrirono sotto quelle orribili dittature.
Dici che non sapevi nulla delle canzoni e degli autori, ebbene, noi non abbiamo fatto altro che sottolineare da che ambiente provengono quei testi, in modo che il giudizio potesse essere il più possibile completo.
Quanto alle polemiche sul proprietario de Il Giornale, non sono fini a se stesse, servono invece a sottolineare che l'autore di una denuncia che, se isolata dal contesto potrebbe essere del tutto condivisibile, è un esponente di una visione del mondo secondo me pericolosa e guerrafondaia. Non fomento l'odio verso nessuno, ma credo che nessuna idea d'Italia possa impedirmi di esprimere la mia totale disapprovazione verso queste idee che non sono "ugualmente belle, per bene e amanti della Pace", tutt'altro.
Quanto al merito della canzone rimando a questo commento di Riccardo Venturi che risponde alla domanda retorica su cosa stesse facendo il "democratico Occidente" nel 1956.
Un'ultima cosa, sulla correttezza della pubblicazione: non ho sostituito nessun tuo commento, ho solo aggiunto un mio commento chiaramente incorniciato e firmato con nome e cognome.
(Lorenzo Masetti)
Mi dispiace immensamente che gli autori di canzoni dalle parole tanto significative, che doverosamente ci ricordano orrori che credo nessuno di noi potrebbe approvare, siano persone con le sgradevoli caratteristiche che indicate. Da parte mia eviterò però una ricerca delle caratteristiche/scheletri nell'armadio degli autori delle altre migliaia di canzoni presenti, a pieno titolo, in questo sito. Siamo in un sito di pace, non di polemiche! E se un delinquente ha scritto anche solo una parola di pace, allora è giusto che sia qui. Ad esempio non andrò sotto ad una delle canzoni aggiunte dopo le mie a scrivere che in Spagna lo schifo era Franco e non il capitale, piazzato lì forse per "licenza poetica" dell'autore (che non so chi sia e del quale non cercherò la fedina penale).
Sulla censura della parola "camerata" mi ero già detto d'accordo. Anzi, posso aggiungere le mie scuse per non aver censurato io stesso a priori quella canzone.
Interessantissimo quanto scrivi del libro di Magris.
Però perché parlare qui di Berlusconi? Le canzoni che ho proposto non ne parlano e sono in gran parte nate anni prima che lui creasse il suo impero! Berlusconi, come queste canzoni, ci ricorda che ci sono state schifezze un po' ovunque?! Beh, non mi sembra una falsità, purtroppo. Se non ci fossero state schifezze ovunque non esisterebbe nemmeno questo sito! Ed io credo sia giusto parlare e denunciare ogni schifezza, ovviamente senza paragoni, classifiche, ecc.. La schifezza è una schifezza comunque.
Io davvero non sapevo da dove arrivassero quelle canzoni, però cosa c'entra?! Se arrivano da un pazzo fascista non sono più vere? Non sono più canzoni di denuncia di un orrore? Ok, alcune frasi saranno forse sbagliate, ma spero che sul fatto che l'orrore sia esistito non ci siano dubbi. E quindi è giusto che se ne parli, esattamente come del Vietnam e dell'Iraq. Non ci sono orrori di serie A o di serie B a seconda di chi li genera!
"Quanto alle polemiche sul proprietario de Il Giornale, non sono fini a se stesse, servono invece a sottolineare che l'autore di una denuncia che, se isolata dal contesto potrebbe essere del tutto condivisibile, è un esponente di una visione del mondo secondo me pericolosa e guerrafondaia":
la differenza sta tutta qua: secondo me una cosa resta condivisibile indipendentemente da che lavoro faccia o dal credo politico di chi la dice. Non sono razzista né depositario dell'unica verità. Per cui ascolto un po' tutti. E prendo ciò che di buono si possa prendere da ciascuno.
"Non fomento l'odio verso nessuno, ma credo che nessuna idea d'Italia possa impedirmi di esprimere la mia totale disapprovazione verso queste idee che non sono "ugualmente belle, per bene e amanti della Pace", tutt'altro": quelle idee non sono belle, pacifiche ecc., ma, credimi, l'Italia non è divisa in due tra pacifisti e guerrafondai. C'è chi pensa di creare la Pace bruciando i bancomat e i cassonetti e c'è chi pensa di crearla mandando dei poveri soldati italiani a morire in Iraq. Secondo me sbagliano entrambi, ma nessuno è guerrafondaio! Semplicemente sbagliano la strada. Ma poi qual è la strada giusta?! Boh, se si sapesse forse la seguirebbero tutti!
"Un'ultima cosa, sulla correttezza della pubblicazione: non ho sostituito nessun tuo commento, ho solo aggiunto un mio commento chiaramente incorniciato e firmato con nome e cognome": non ho assolutamente detto che hai sostituito qualcosa!!! Però ho detto che se vuoi puoi sostituirlo, dato che io NON sapevo cosa cavolo scrivere come commento, non conoscendo né l'autore né la canzone (ho solo il testo).
Ciao e buon lavoro!
Ps: anche io ho un libro da segnalare...
Sulla censura della parola "camerata" mi ero già detto d'accordo. Anzi, posso aggiungere le mie scuse per non aver censurato io stesso a priori quella canzone.
Interessantissimo quanto scrivi del libro di Magris.
Però perché parlare qui di Berlusconi? Le canzoni che ho proposto non ne parlano e sono in gran parte nate anni prima che lui creasse il suo impero! Berlusconi, come queste canzoni, ci ricorda che ci sono state schifezze un po' ovunque?! Beh, non mi sembra una falsità, purtroppo. Se non ci fossero state schifezze ovunque non esisterebbe nemmeno questo sito! Ed io credo sia giusto parlare e denunciare ogni schifezza, ovviamente senza paragoni, classifiche, ecc.. La schifezza è una schifezza comunque.
Io davvero non sapevo da dove arrivassero quelle canzoni, però cosa c'entra?! Se arrivano da un pazzo fascista non sono più vere? Non sono più canzoni di denuncia di un orrore? Ok, alcune frasi saranno forse sbagliate, ma spero che sul fatto che l'orrore sia esistito non ci siano dubbi. E quindi è giusto che se ne parli, esattamente come del Vietnam e dell'Iraq. Non ci sono orrori di serie A o di serie B a seconda di chi li genera!
"Quanto alle polemiche sul proprietario de Il Giornale, non sono fini a se stesse, servono invece a sottolineare che l'autore di una denuncia che, se isolata dal contesto potrebbe essere del tutto condivisibile, è un esponente di una visione del mondo secondo me pericolosa e guerrafondaia":
la differenza sta tutta qua: secondo me una cosa resta condivisibile indipendentemente da che lavoro faccia o dal credo politico di chi la dice. Non sono razzista né depositario dell'unica verità. Per cui ascolto un po' tutti. E prendo ciò che di buono si possa prendere da ciascuno.
"Non fomento l'odio verso nessuno, ma credo che nessuna idea d'Italia possa impedirmi di esprimere la mia totale disapprovazione verso queste idee che non sono "ugualmente belle, per bene e amanti della Pace", tutt'altro": quelle idee non sono belle, pacifiche ecc., ma, credimi, l'Italia non è divisa in due tra pacifisti e guerrafondai. C'è chi pensa di creare la Pace bruciando i bancomat e i cassonetti e c'è chi pensa di crearla mandando dei poveri soldati italiani a morire in Iraq. Secondo me sbagliano entrambi, ma nessuno è guerrafondaio! Semplicemente sbagliano la strada. Ma poi qual è la strada giusta?! Boh, se si sapesse forse la seguirebbero tutti!
"Un'ultima cosa, sulla correttezza della pubblicazione: non ho sostituito nessun tuo commento, ho solo aggiunto un mio commento chiaramente incorniciato e firmato con nome e cognome": non ho assolutamente detto che hai sostituito qualcosa!!! Però ho detto che se vuoi puoi sostituirlo, dato che io NON sapevo cosa cavolo scrivere come commento, non conoscendo né l'autore né la canzone (ho solo il testo).
Ciao e buon lavoro!
Ps: anche io ho un libro da segnalare...
Marco M. - Como - 14/11/2005 - 16:38
I commenti inseriti da me e da Lorenzo Masetti si riferiscono ovviamente ai testi delle canzoni e non rappresentano certamente una polemica verso chi le ha spedite, cioè tu. Ribadisco anzi che hai fatto benissimo e spero che la tua collaborazione non si esaurisca certamente qui. Rappresentano invece delle semplicissime, e a mio parere doverose, puntualizzazioni storiche riferite a ciò che si afferma in quelle canzoni. Le quali sono in ogni caso delle testimonianze, e come tali devono essere prese. Per il resto, si può discutere all'infinito che cosa sia una "canzone contro la guerra"; ma è una domanda che rischia di rimanere eternamente senza risposta. Proprio per questo la politica di questo sito, fin dalla sua nascita, è stata quella di accogliere qualsiasi tipo di testo, senza preclusioni. Su quasi tremila canzoni inserite in neppure tre anni di vita del sito, ne saranno state rifiutate al massimo una quindicina. E con questo chiudo la cosa, sperando che sia ben chiara una cosa fondamentale (del resto evidente): eventuali critiche, interrogativi e quant'altro sono e saranno sempre rivolte esclusivamente verso i testi e verso i loro autori, non verso chi li ha spediti. Sui testi si può discutere quanto si vuole, e spero anzi che su tante e tante altre canzoni si avviino discussioni. Il libero dibattitto è sempre un esercizio altamente salutare, per tutti.
Riccardo Venturi - 14/11/2005 - 18:47
Ringrazio per la risposta e per il vostro lavoro. Ringrazio anche per avermi spiegato chi sono gli autori dei testi che ho spedito. E così mi domando... come mai, a parte Guccini, per trovare riferimenti a certi fatti, ci si debba affidare ad autori dal passato e dal presente quantomeno dubbi? E' una cosa davvero preoccupante, a mio avviso... Ciao!
Marco M. - Como - 14/11/2005 - 19:09
Molti ringraziamenti vanno anche a te per aver contribuito in modo intelligente a questioni che non sono semplici; anzi, direi, decisamente spinose. Poni tra l'altro un'ulteriore domanda alla quale mi piacerebbe rispondere. Ma penso che l'unico modo veramente degno per farlo sia quello che adottiamo ogni giorno: la ricerca. Cercare, cercare, cercare. In rete sono nascosti ancora migliaia di testi da trovare, da leggere, da tradurre. Ed è quello che continueremo a fare ogni giorno, certi di poter contare su tanti che ci aiutano. Proprio adesso ho aperta una pagina di Google sulla quale ho impostato, in ungherese (lingua che conosco) le parole "Dalok a '56 forradalomáról" (canzoni sulla rivolta del '56). Vedrai che qualcosa ne verrà fuori.
Riccardo Venturi - 14/11/2005 - 22:23
Sì, ho notato leggendo alcune traduzioni che ti destreggi bene con le lingue e le storie dell'Est, per cui attenderò di trovare i frutti delle tue ricerche (che io mai potrei riuscire a fare). Comunque resta a mio avviso inquietante come una parte della verità sia così difficile da scovare in canzoni decenti e note, a differenza dall'altra parte, che è diffusissima ovunque, in capolavori apprezzati universalmente. Ciao!
Marco M. - Como - 14/11/2005 - 23:20
Ricordo per dover di cronaca che questa canzone ha avuto un riconoscimento ufficiale da parte della Repubblica Magiara.
Willy - 18/3/2007 - 18:01
Rileggendo (e traducendo) “Budapest”
di Riccardo Venturi
Era stata anche colpa della mia imperizia se, per ora, questo sito non aveva ospitato un percorso sulla rivolta antistalinista ungherese del 1956. Adesso c'è, con alcune canzoni in ungherese (e con la famosa e terribile poesia di Gyula Illyés, Egy mondat a zsarnokságról, una delle primissime “CCG primitive” perché messa in musica e cantata proprio durante la rivolta) e con alcune altre in italiano. Quelle in italiano, come questa di Leo Valeriano che a suo tempo, come si può vedere in questa pagina, ha provocato una lunga ed accesa discussione, provengono tutte dal cantautorato di destra; sarebbe inutile, oltre che ipocrita, negarlo. Così come sarebbe ipocrita e inutile negare che la rivolta ungherese è stata una rivolta contro il regime comunista e stalinista dell'epoca e, più in profondità, una semplice rivolta per la libertà. “La libertà non è pane”, dice un vecchio (e stupido) detto; lo si vada a dire a chi, in Ungheria e in mille altri posti, per essa ha dato la vita. Anche perché, assai spesso, non vuole entrare in testa a molti che la mancanza di libertà e quella del pane vano a braccetto come i fidanzatini di Peynet. Anche perché l'eventuale pane mangiato quando manca la libertà ha un gusto pessimo, sa di sangue e di morte.
Se n'era accorto il comunista Imre Nagy, quando ebbe a dichiarare, poco prima dello scoppio della rivolta:
Così come se ne erano accorti i comunisti del circolo Petőfi, che diedero il via alla rivolta con la manifestazione sotto il monumento al generale Bem, il 23 ottobre 1956, e che avevano preso nome da quel poeta che, con la lettura di una sua poesia, aveva dato l'avvio alla rivoluzione ungherese del 1848 e che in quella rivoluzione era scomparso. Scomparso, non morto: il suo corpo non fu mai più ritrovato. Aveva ventisei anni. Se ne era accorto il generale comunista Pál Maléter, se ne erano accorti tutti coloro che erano incatenati sotto il tiro di Rákosi e della Államvedelmi Hatóság, più nota come ÁVH, la polizia politica che, ovviamente, nel suo nome ha l'immancabile sicurezza dello Stato. Dovrebbe essere tuttora un monito, visto che la sicurezza è un termine assai “gettonato” attualmente; dovrebbe essere un monito soprattutto per chi, tuttora, fa il “tifo storico” per la rivolta ungherese senza saperne niente, da un lato, mentre dall'altro spinge perché lo Stato “democratico” assuma misure sempre più repressive.
Ma rileggendo questa canzone, e traducendola per correttezza in lingua ungherese affinché gli eventuali lettori magiari di questo sito possano avere un'idea di quel che vi si dice (una traduzione, ovviamente, senza nessuna pretesa di perfezione; anzi, ogni correzione sarà sempre gradita), ci sono tante altre cose da dire. E' una canzone che non è soltanto figlia di una data parte politica, ma anche dell'epoca. E', a suo modo, una perfetta canzone da guerra fredda; e come ne abbiamo dell'altra parte, di canzoni da guerra fredda, non è male, con juicio, avercene qualcuna anche di questa. In questi ultimi tempi sono impegnatissimo nel ricuperare una mia vecchia consuetudine, quella di ascoltare sempre due campane, tre campane, cinquemila campane prima di formulare e formularmi un giudizio; quindi ben venga questa “rilettura” accompagnata dalla traduzione (e tradurre in ungherese è sempre una cosa che obbliga a porsi in angolazioni differenti da quelle consolidate).
Così come non intendo essere ipocrita nel giudizio sulla rivolta ungherese, non intendo certo esserlo su questa canzone. E' una canzone fascista, e con questo non credo certamente di offenderne l'autore. Il quale l'ha scritta con intenti fascisti; e fascismo traspare dal suo contenuto. Fascismo e razzismo cristianeggiante, soprattutto nella parte parlata, quella a base di orde enormi dell'Asia, dell' orso brutale di Mosca che non è riuscito ad essere europeo, del popolo di Santo Stefano, eccetera. In tempi di guerra fredda, probabilmente, non si faceva molto caso a certi particolari “insignificanti”, come ad esempio quello che i russi sono, in quanto a origine, ben più “europei” degli ungheresi, e che di storica origine uralo-asiatica sono proprio questi ultimi (tuttora, la lingua più vicina all'ungherese è il vogulo, o mansi, parlata sulle rive dell'Ob). Bastava un po' di Santo Stefano, ai nostri amicacci in camicia nera, è un po' di cristerìe; ma, ora che mi viene a mente, mica sono cambiati tanto. Solo che, ora, la Russia è tornata “Santa”, europeissima e baluardo cristiano contro il bàrbaro invasore islamico; quando era “comunista”, invece, era un orso brutale, un'accozzaglia di orde barbariche, di Tartari invasori (nb: i Tartari sono un popolo di lingua turca, quindi probabilmente imparentati alla lontanissima con gli ungheresi). Insomma, come dire, già nel 1956 si avevano avvisaglie del nuovo che sta avanzando a gran passi in questi ultimi tempi. Non c'è più il comunismo, il “nemico” di turno è cambiato, ma i princìpi fondanti di questi signori sono sempre gli stessi.
Ciononostante, la canzone dice anche qualche semplicissima verità. In primis, il totale menefreghismo dell'Occidente di fronte alla tragedia ungherese del '56; l'Occidente che spese tante e tante parole, accolse i profughi (circa 250.000), proclamò il “combattente ungherese per la libertà” “uomo dell'anno” sulla copertina di Time e compagnia bella, ma che, per gli equilibri post-bellici, si guardò bene dall'intervenire e che, anzi, ne approfittò per andare a fare la guerra del canale di Suez per i suoi consueti sporchi interessi. Proprio in quegli stessi giorni! E quante volte è accaduto di nuovo; tutti si ricorderanno gli strepiti anticinesi ai tempi di Tien-an-Men, salvo poi continuare a fare affaroni e dollaroni con quel grande “mercato” (gli stessi strepiti che si hanno a proposito del Tibet, del resto: ma chi sarebbe disposto a sacrificare una potenza economica come la Cina per andare a liberare il Tibet dal giogo oppressore Han, facendolo peraltro ricadere in una teocrazia oscurantista che però è tanto di moda tra i VIP, tra gli attori di Hollywood, fra i calciatori e fra i biascicatori di meditazioni trascendentali?). Chi sarebbe stato disposto a gettare il mondo nella terza guerra mondiale per l'Ungheria, per un paesello senza petrolio, senza canali strategici, senza niente di appetibile? Un conflitto planetario per la paprika?
Sul “dibattito interno al PCI” che si ebbe allora è inutile spendere troppe parole, talmente tante se ne sono spese in questi cinquant'anni e rotti. Quel che era il PCI non fa che dare e ridare valore alle parole che il giovanissimo Adriano Sofri rivolse duramente a Luigi Longo, accusando il PCI di essere stato il partito che oggettivamente e coscientemente aveva impedito la rivoluzione in Italia. In un certo senso, anche il 1968 e tutto quel che è venuto dopo sono figli del '56 e del “faro del proletariato mondiale” che va a schiacciare nel sangue una rivolta di un paese intero che chiede non solo libertà, ma anche di non vivere nel terrore dello Stato. In questo senso, non è del tutto errata la visione di chi vuole nella rivolta ungherese un'espressione autenticamente e letteralmente libertaria. La liquidazione della rivolta ungherese da parte della classe dirigente del PCI di allora è stato un atto di servilismo e di colpevole cecità per il quale, a mio parere, non sono affatto sufficienti le successive “revisioni”, gli accorati “mea culpa” e tutte le geremiadi di chi è rimasto ancorato al potere attraversando tutto e il contrario di tutto. Una persona che, nel 1956, ebbe a dichiarare certe cose a proposito della rivolta ungherese, per me continua a non avere nessuna “autorità morale” per fare attualmente il Presidente. Né della Repubblica, e né di una bocciofila. E il fatto che si sia recato di persona a “chiedere scusa” agli ungheresi durante una visita di stato, non fa che aumentare questa mia convinzione, così come la sfiducia nella malvissuta gerontocrazia di questo paese.
Sulle “rovine di Parigi, Londra e New York” non ha poi marciato nessun “tiranno” coi carri armati. Ora si dice che vi marceranno altri invasori, con corani e scimitarre, pronti a inglobare il famoso “Occidente”; qualche rovina in una di quelle tre città la si è avuta un certo 11 settembre di qualche anno fa, ma i carri armati (e ben altre cose) sono stati mandati a “esportare la democrazia” provocando un bel più di rovine e di vittime. Senza un “pericolo di invasione” proprio non ci sappiamo stare; e che cosa si sia ordito e si stia ordendo per fare fronte a questo “pericolo” è sotto gli occhi (bendati) di tutti. Sicurezza! Sicurezza! Sicurezza! La Sicurezza dello Stato, appunto. Állam-vedelem in ungherese. Non lo dite a Magdi, sennò, narcisista com'è, crede che sia la sicurezza di Allam.
di Riccardo Venturi
Era stata anche colpa della mia imperizia se, per ora, questo sito non aveva ospitato un percorso sulla rivolta antistalinista ungherese del 1956. Adesso c'è, con alcune canzoni in ungherese (e con la famosa e terribile poesia di Gyula Illyés, Egy mondat a zsarnokságról, una delle primissime “CCG primitive” perché messa in musica e cantata proprio durante la rivolta) e con alcune altre in italiano. Quelle in italiano, come questa di Leo Valeriano che a suo tempo, come si può vedere in questa pagina, ha provocato una lunga ed accesa discussione, provengono tutte dal cantautorato di destra; sarebbe inutile, oltre che ipocrita, negarlo. Così come sarebbe ipocrita e inutile negare che la rivolta ungherese è stata una rivolta contro il regime comunista e stalinista dell'epoca e, più in profondità, una semplice rivolta per la libertà. “La libertà non è pane”, dice un vecchio (e stupido) detto; lo si vada a dire a chi, in Ungheria e in mille altri posti, per essa ha dato la vita. Anche perché, assai spesso, non vuole entrare in testa a molti che la mancanza di libertà e quella del pane vano a braccetto come i fidanzatini di Peynet. Anche perché l'eventuale pane mangiato quando manca la libertà ha un gusto pessimo, sa di sangue e di morte.
Se n'era accorto il comunista Imre Nagy, quando ebbe a dichiarare, poco prima dello scoppio della rivolta:
“La degenerazione del potere minaccia l'avvenire del socialismo e perfino le basi democratiche del nostro sistema socialista. Il potere si isola sempre più dal popolo e si contrappone sempre più ad esso. La democrazia popolare sta diventando a vista d'occhio una dittatura di Partito. Gli obiettivi che questo potere si prefigge non sono affatto determinati dal marxismo, ma dalla volontà di conservare il potere assoluto a qualsiasi prezzo e con qualsiasi mezzo. Invece di convincere e conquistare le masse con la spiegazione politica, con gli scritti e con l'esempio, si è ricorso sempre più alla forza e ai mezzi di coercizione.”
Così come se ne erano accorti i comunisti del circolo Petőfi, che diedero il via alla rivolta con la manifestazione sotto il monumento al generale Bem, il 23 ottobre 1956, e che avevano preso nome da quel poeta che, con la lettura di una sua poesia, aveva dato l'avvio alla rivoluzione ungherese del 1848 e che in quella rivoluzione era scomparso. Scomparso, non morto: il suo corpo non fu mai più ritrovato. Aveva ventisei anni. Se ne era accorto il generale comunista Pál Maléter, se ne erano accorti tutti coloro che erano incatenati sotto il tiro di Rákosi e della Államvedelmi Hatóság, più nota come ÁVH, la polizia politica che, ovviamente, nel suo nome ha l'immancabile sicurezza dello Stato. Dovrebbe essere tuttora un monito, visto che la sicurezza è un termine assai “gettonato” attualmente; dovrebbe essere un monito soprattutto per chi, tuttora, fa il “tifo storico” per la rivolta ungherese senza saperne niente, da un lato, mentre dall'altro spinge perché lo Stato “democratico” assuma misure sempre più repressive.
Ma rileggendo questa canzone, e traducendola per correttezza in lingua ungherese affinché gli eventuali lettori magiari di questo sito possano avere un'idea di quel che vi si dice (una traduzione, ovviamente, senza nessuna pretesa di perfezione; anzi, ogni correzione sarà sempre gradita), ci sono tante altre cose da dire. E' una canzone che non è soltanto figlia di una data parte politica, ma anche dell'epoca. E', a suo modo, una perfetta canzone da guerra fredda; e come ne abbiamo dell'altra parte, di canzoni da guerra fredda, non è male, con juicio, avercene qualcuna anche di questa. In questi ultimi tempi sono impegnatissimo nel ricuperare una mia vecchia consuetudine, quella di ascoltare sempre due campane, tre campane, cinquemila campane prima di formulare e formularmi un giudizio; quindi ben venga questa “rilettura” accompagnata dalla traduzione (e tradurre in ungherese è sempre una cosa che obbliga a porsi in angolazioni differenti da quelle consolidate).
Così come non intendo essere ipocrita nel giudizio sulla rivolta ungherese, non intendo certo esserlo su questa canzone. E' una canzone fascista, e con questo non credo certamente di offenderne l'autore. Il quale l'ha scritta con intenti fascisti; e fascismo traspare dal suo contenuto. Fascismo e razzismo cristianeggiante, soprattutto nella parte parlata, quella a base di orde enormi dell'Asia, dell' orso brutale di Mosca che non è riuscito ad essere europeo, del popolo di Santo Stefano, eccetera. In tempi di guerra fredda, probabilmente, non si faceva molto caso a certi particolari “insignificanti”, come ad esempio quello che i russi sono, in quanto a origine, ben più “europei” degli ungheresi, e che di storica origine uralo-asiatica sono proprio questi ultimi (tuttora, la lingua più vicina all'ungherese è il vogulo, o mansi, parlata sulle rive dell'Ob). Bastava un po' di Santo Stefano, ai nostri amicacci in camicia nera, è un po' di cristerìe; ma, ora che mi viene a mente, mica sono cambiati tanto. Solo che, ora, la Russia è tornata “Santa”, europeissima e baluardo cristiano contro il bàrbaro invasore islamico; quando era “comunista”, invece, era un orso brutale, un'accozzaglia di orde barbariche, di Tartari invasori (nb: i Tartari sono un popolo di lingua turca, quindi probabilmente imparentati alla lontanissima con gli ungheresi). Insomma, come dire, già nel 1956 si avevano avvisaglie del nuovo che sta avanzando a gran passi in questi ultimi tempi. Non c'è più il comunismo, il “nemico” di turno è cambiato, ma i princìpi fondanti di questi signori sono sempre gli stessi.
Ciononostante, la canzone dice anche qualche semplicissima verità. In primis, il totale menefreghismo dell'Occidente di fronte alla tragedia ungherese del '56; l'Occidente che spese tante e tante parole, accolse i profughi (circa 250.000), proclamò il “combattente ungherese per la libertà” “uomo dell'anno” sulla copertina di Time e compagnia bella, ma che, per gli equilibri post-bellici, si guardò bene dall'intervenire e che, anzi, ne approfittò per andare a fare la guerra del canale di Suez per i suoi consueti sporchi interessi. Proprio in quegli stessi giorni! E quante volte è accaduto di nuovo; tutti si ricorderanno gli strepiti anticinesi ai tempi di Tien-an-Men, salvo poi continuare a fare affaroni e dollaroni con quel grande “mercato” (gli stessi strepiti che si hanno a proposito del Tibet, del resto: ma chi sarebbe disposto a sacrificare una potenza economica come la Cina per andare a liberare il Tibet dal giogo oppressore Han, facendolo peraltro ricadere in una teocrazia oscurantista che però è tanto di moda tra i VIP, tra gli attori di Hollywood, fra i calciatori e fra i biascicatori di meditazioni trascendentali?). Chi sarebbe stato disposto a gettare il mondo nella terza guerra mondiale per l'Ungheria, per un paesello senza petrolio, senza canali strategici, senza niente di appetibile? Un conflitto planetario per la paprika?
Sul “dibattito interno al PCI” che si ebbe allora è inutile spendere troppe parole, talmente tante se ne sono spese in questi cinquant'anni e rotti. Quel che era il PCI non fa che dare e ridare valore alle parole che il giovanissimo Adriano Sofri rivolse duramente a Luigi Longo, accusando il PCI di essere stato il partito che oggettivamente e coscientemente aveva impedito la rivoluzione in Italia. In un certo senso, anche il 1968 e tutto quel che è venuto dopo sono figli del '56 e del “faro del proletariato mondiale” che va a schiacciare nel sangue una rivolta di un paese intero che chiede non solo libertà, ma anche di non vivere nel terrore dello Stato. In questo senso, non è del tutto errata la visione di chi vuole nella rivolta ungherese un'espressione autenticamente e letteralmente libertaria. La liquidazione della rivolta ungherese da parte della classe dirigente del PCI di allora è stato un atto di servilismo e di colpevole cecità per il quale, a mio parere, non sono affatto sufficienti le successive “revisioni”, gli accorati “mea culpa” e tutte le geremiadi di chi è rimasto ancorato al potere attraversando tutto e il contrario di tutto. Una persona che, nel 1956, ebbe a dichiarare certe cose a proposito della rivolta ungherese, per me continua a non avere nessuna “autorità morale” per fare attualmente il Presidente. Né della Repubblica, e né di una bocciofila. E il fatto che si sia recato di persona a “chiedere scusa” agli ungheresi durante una visita di stato, non fa che aumentare questa mia convinzione, così come la sfiducia nella malvissuta gerontocrazia di questo paese.
Sulle “rovine di Parigi, Londra e New York” non ha poi marciato nessun “tiranno” coi carri armati. Ora si dice che vi marceranno altri invasori, con corani e scimitarre, pronti a inglobare il famoso “Occidente”; qualche rovina in una di quelle tre città la si è avuta un certo 11 settembre di qualche anno fa, ma i carri armati (e ben altre cose) sono stati mandati a “esportare la democrazia” provocando un bel più di rovine e di vittime. Senza un “pericolo di invasione” proprio non ci sappiamo stare; e che cosa si sia ordito e si stia ordendo per fare fronte a questo “pericolo” è sotto gli occhi (bendati) di tutti. Sicurezza! Sicurezza! Sicurezza! La Sicurezza dello Stato, appunto. Állam-vedelem in ungherese. Non lo dite a Magdi, sennò, narcisista com'è, crede che sia la sicurezza di Allam.
Vorrei segnalare questo articolo di Indro Montanelli che nel 1956 si trovava Budapest nei giorni della rivolta.Montanelli non era certo un uomo di sinistra,aveva i suoi punti di vista e,mi pare,onestamente di destra.Bene leggendo questo articolo si possono capire le enormi manipolazioni da parte della stampa Italiana sia"borghese" che "comunista",quindi non una rivolta in appoggio al capitalismo in chiave anti socialista ma una rivolta anti stalinista per un socialismo più umano e forse più consigliare. Riporto un breve capitolo:
...Montanelli si fa ugualmente venire a prendere da studenti di un collegio vicino un chilometro, per essere condotto, insieme agli altri, in qualche covo di lavoratori insorti, per raccogliere informazioni per i suoi articoli. Questi giovani del collegio sono i 'combattenti della libertà' che il regime ha addestrato alla guerra partigiana, in caso di invasione da parte dei 'capitalisti occidentali'. Sono ragazzi che avrebbero dovuto essere l'intellighentia dei paesi satelliti di Mosca, racconta l'inviato speciale, ma che, invece, hanno trasformato il loro collegio in un quartier generale della rivolta: antisovietica, ma non anticomunista. Togliatti e molti altri del PCI bollano gli insorti come 'fascisti' e 'controrivoluzionari'. Montanelli li difende contro tutti e due i 'conformismi di destra e di sinistra'....
http://www.controluce.it/giornale-rubr...
...Montanelli si fa ugualmente venire a prendere da studenti di un collegio vicino un chilometro, per essere condotto, insieme agli altri, in qualche covo di lavoratori insorti, per raccogliere informazioni per i suoi articoli. Questi giovani del collegio sono i 'combattenti della libertà' che il regime ha addestrato alla guerra partigiana, in caso di invasione da parte dei 'capitalisti occidentali'. Sono ragazzi che avrebbero dovuto essere l'intellighentia dei paesi satelliti di Mosca, racconta l'inviato speciale, ma che, invece, hanno trasformato il loro collegio in un quartier generale della rivolta: antisovietica, ma non anticomunista. Togliatti e molti altri del PCI bollano gli insorti come 'fascisti' e 'controrivoluzionari'. Montanelli li difende contro tutti e due i 'conformismi di destra e di sinistra'....
http://www.controluce.it/giornale-rubr...
Marcello Ambu - 20/10/2013 - 14:56
“non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà“. (Indro Montanelli, alias: senti chi parla)
Gian Piero Testa - 20/10/2013 - 22:19
Anche Scalfari, Bocca e altri guru della sinistra scrivevano in quegli anni cose simili...
Guglielmo di Napoli - 20/10/2013 - 22:59
Però non risulta che si comprassero schiavette dodicenni. Da civilizzare, ovviamente.
Gian Piero Testa - 21/10/2013 - 11:53
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(Marco M.)