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Οι γάτες των φορτηγών

Xembarki / Ξέμπαρκοι
Langue: grec moderne


Xembarki / Ξέμπαρκοι

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I gátes ton fortigón
Στίχοι: Νίκος Καββαδίας
Μουσική: Ξέμπαρκοι
Πρώτη εκτέλεση: Ξέμπαρκοι
Απο το δισκο «S/S Ιόνιον 1934», 1986

Versi di Nikos Kavvadìas - 1934
Musica e interpretazione: Xémbarki
Dal disco "S/S Ionion 1934", 1986

ssionion

La biblica condanna del lavoro piombò sull'uomo e fregò anche gli animali incolpevoli: poveri asini, cavalli, buoi, cani, dromedari, lama e via dicendo. Uno non pensa, però, che sia toccato anche ai gatti, di lavorare. Eppure venivano reclutati sulle navi, per sfoltire le colonie di topi. Una volta imbarcati non sbarcavano più. A Venezia dovevano esserci per legge, con pena prevista per il capitano inadempiente. Sui mercantili di ferro i gatti contraevano una malattia professionale, riconducibile al pulviscolo rugginoso, che in Grecia si chiama "lamarina"; e "lamarina" vuol dire "lamiera". Il mal della lamiera, dunque. Non conosco l'equivalente in italiano e mi piacerebbe saperlo. Il poeta neogreco Nikos Kavvadìas (1910 - 1975), che sulle navi trascorse quasi tutta la vita, come mozzo, marinaio e radiotelegrafista, dedicò questa sua toccante poesia alle gatte dei mercantili. A un certo punto impazzivano e dovevano essere pietosamente gettate a mare. Un dei più grandi dolori per i marinai, che adoravano le gatte imbarcate in loro compagnia. Secondo me, in AWS, c'è un posto anche per loro.
Οι ναυτικοί στα φορτηγά πάντα μια γάτα τρέφουν,
που τη λατρεύουνε, χωρίς να ξέρουν το γιατί,
κι αυτή, σαν απ' τη βάρδια τους σχολάνε κουρασμένοι,
περήφανη στα πόδια τους θα τρέξει να τριφτεί.

Τα βράδια, όταν η θάλασσα χτυπάει τις λαμαρίνες,
και πολεμάει με δύναμη να σπάσει τα καρφιά,
μέσα στης πλώρης τη βαριά σιγή, που βασανίζει,
είναι γι' αυτούς σα μια γλυκιά γυναικεία συντροφιά.

Της έχουν πάντα στο λαιμό μια μπακιρένια γύρα,
για του σιδέρου την κακή αρρώστια φυλαχτό,
χωρίς όμως, αλίμονο, ποτέ να κατορθώνουν
να την φυλάξουν απ' το μαύρο θάνατο μ' αυτό.

Γιατί είναι τ' άγρια τα μάτια της υγρά κι ηλεκτρισμένα
κι έτσι άθελα το σίδερο το μαύρο τα τραβά,
κι ουρλιάζοντας τρελαίνεται σε ένα σημείο κοιτώντας
φέρνοντας δάκρυα σκοτεινά στους ναύτες και βουβά.

Λίγο πριν από το θάνατον από τους ναύτες ένας,
- αυτός όπου είδε πράματα στη ζήση του φριχτά -
χαϊδεύοντας την, μια στιγμή στα μάτια την κοιτάζει
κι ύστερα μες στη θάλασσα την άγρια την πετά.

Και τότε οι ναύτες, που πολύ σπάνια λυγά η καρδιά τους,
πάνε στην πλώρη να κρυφτούν με την καρδιά σφιχτή,
γεμάτοι μια παράξενη πικρία που όλο δαγκώνει,
σαν όταν χάνουνε θερμή γυναίκα αγαπητή.

envoyé par Gian Piero Testa - 13/4/2010 - 17:06




Langue: italien

Gian Piero Testa.
Gian Piero Testa.

Versione italiana di Gian Piero Testa

Nikos Kavvadias.
Nikos Kavvadias.

Nikos Kavvadìas (Νίκος Καββαδίας) nacque nel 1910 in Manciuria, dove il padre, nato da una importante famiglia di armatori di Cefalonia, teneva un ufficio commerciale in grado di rifornire l'esercito dello Zar. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale il padre mandò la famiglia ad Argostoli, mentre lui si trasferiva in Russia per continuare la sua attività. Con la Rivoluzione d'Ottobre, fu imprigionato e potè rientrare in patria, distrutto, solamente nel 1921.
La famiglia si trasferì allora al Pireo, dove Nikos cominciò a frequentare le scuole e a fare le prime letture di romanzi d'avventura. Al Ginnasio conobbe il medico della Marina Paolo Nirvana e cominciò a pubblicare poesie sotto pseudonimo. La morte del padre lo costrinse a rinunciare agli studi di medicina e a trovarsi un lavoro come mozzo sulle navi da carico. Nel 1934 trasferisce i familiari ad Atene, dove la sua casa diventa un punto di ritrovo di artisti, pittori e poeti che apprezzano la sua vena poetica e io suo temperamento affabile. La sua presenza è tuttavia discontinua perché il lavoro di marittimo lo porta lontano per lunghi periodi. Nel 1938 compie il servizio militare a Xanthi come conducente di muli (quelli che noi Alpini chiamavamo le ‘jeep a pelo’), ma riesce a conseguire il diploma di radiotelegrafista.
Nel 1940, come molti altri Greci, accorre al fronte albanese investito dalle forze italiane, fa il mulattiere, il portaferiti e infine il radiotelegrafista. Al termine della guerra civile viene classificato come "comunista inattivo" e, per riprendere il suo lavoro di marinaio, deve servirsi del passaporto speciale concesso ai sorvegliati. Dal 1954 al 1974 è quasi costantemente imbarcato sulle navi mercantili. Riesce, nel frattempo, a pubblicare le sue raccolte, costantemente ispirate al mare, alle terre esotiche, alla vita sulle navi, di cui utilizza lo speciale lessico. Alcune delle sue opere pubblicate nel dopoguerra erano state composte assai tempo prima. «Βάρδια» (Turno di guardia), «Μαραμπού» (Marabù), «Πούσι» (Foschia), «Τραβέρσο» (Traverso) sono i titoli più noti. Diversi musicisti si interessarono alla sua poesia; su versi di Kavvadias, Thanos Mikroutsikos realizzò una delle sue opere più alte: «Σταυρός του Νότου» (Croce del Sud). Morì nel 1975. (gpt)
LE GATTE DEI MERCANTILI

I marinai dei mercantili sempre allevano una gatta
e la adorano, senza sapere il perché,
e lei, quando stanchi smontano di guardia,
superba correrà a strofinarsi alle loro gambe.

Le sere, quando il mare picchia forte sulle lamiere,
e, come fosse in guerra, vuol rompere i bulloni
e a prora regna un silenzio greve e tormentoso,
per loro lei è una dolce compagnia di donna.

Sempre le mettono al collo di rame un collarino,
per amuleto contro il brutto mal della lamiera,
ma non riescono mai, peccato !, a preservarla
con questo mezzo dalla morte nera.

Perché già i suoi occhi sono acquosi e elettrizzati
e così contro sua voglia li attira il ferro rugginoso,
e miagola impazzita guardando un punto fisso
e ai marinai reca un pianto cupo e silenzioso.

Un po' prima che muoia un marinaio,
- che in sua vita ha visto le più tremende cose -
carezzandola la guarda negli occhi a un tratto
e subito la getta nell' infuriato mare.

E allora i marinai, cui sì di rado il cuore cede
si rimpiattano a prua e gli si stringe il cuore,
pieni di una strana amarezza che li morde,
come quando perdono una donna calda e cara.

envoyé par Gian Piero Testa - 13/4/2010 - 18:17




Langue: français

Version française – LES CHATS DES CARGOS – Marco Valdo M.I. - 2023
d’après la version italienne de Gian Piero Testa – Le Gatte dei mercantili – 2010
d’une chanson grecque - Οι γάτες των φορτηγών (I gátes ton fortigón ) - Xembarki / Ξέμπαρκοι – 1986, poème de Νίκος Καββαδίας - Nikos Kavvadìas - 1934.

LE CHAT TIGRÉ    <br />
Henri Rousseau, dit Le Douanier Rousseau – 1872
LE CHAT TIGRÉ
Henri Rousseau, dit Le Douanier Rousseau – 1872



La condamnation biblique du travail s'est abattue sur l'humanité et frappe même les animaux innocents : pauvres ânes, chevaux, bœufs, chiens, dromadaires, lamas, etc. Personne ne pense, cependant, qu'il reviendrait aussi aux chats de travailler. Pourtant, ils ont été recrutés sur les navires, pour éliminer les colonies de rats. Une fois embarqués, ils ne débarquaient plus jamais. À Venise, la loi les obligeait à être là, et des sanctions étaient prévues pour le capitaine défaillant. Sur les navires marchands en fer, les chats contractaient une maladie professionnelle, liée à la poussière de rouille, que l'on appelle en Grèce "lamarina" ; et "lamarina" signifie "tôle". La maladie de la tôle, donc. Je ne connais pas l'équivalent en italien et j'aimerais le savoir. Le poète néo-grec Nikos Kavvadìas (1910 - 1975), qui a passé presque toute sa vie sur des navires, en tant que mousse, marin et opérateur radio, a dédié ce poème émouvant aux chats des navires marchands. À un moment donné, ceux-ci devenaient fous et devaient être impitoyablement jetés par-dessus bord. Une des plus grandes douleurs pour les marins, qui adoraient les chats embarqués en leur compagnie. (gpt)
LES CHATS DES CARGOS

Sur les cargos, il y a toujours un chat ;
Les marins l'adorent, sans savoir pourquoi.
Quand ils quittent leur quart, fatigués,
À leurs jambes, il court se frotter.

Quand le soir, la mer tangue de partout,
Et, comme à la guerre, sautent les verrous,
Quand à la proue règne un silence sinistre et tourmenté,
C’est une douce compagnie pour les marins ballottés.

Autour de son cou, ils mettent un collier de cuivre
Amulette contre la maladie de la mer,
Mais jamais, ils ne parviennent à faire
Fuir « lamarina » létale, la mort noire.

Les yeux félins coulent électrisés,
L’eau noire l’attire contre sa volonté,
Le chat fol miaule contre l’horreur
Et les matelots tristes pleurent.

Juste avant sa mort, un marin,
Familier de ces terribles destins,
Regarde au fond de ses yeux pers
Et jette le félin au creux de la mer.

Et les marins, au cœur fier, vont à l’arrière
Se cacher et leurs cœurs se serrent,
Remplis de l’amertume affreuse
De la perte de la présence chaleureuse.

envoyé par Marco Valdo M.I. - 23/9/2023 - 19:27


Bellissima. Grazie Gian Piero.
(Credo che i poveri gatti morissero di infezione tetanica... crea rigidità e spasmi muscolari dolorosi prima della paralisi respiratoria...)

Alessandro - 14/4/2010 - 10:25


Ho avuto finalmente modo di ascoltare e leggere questa canzone, e devo dire che gli perdono all'istante tutti gli "arrosti" che ha combinato in questi giorni con gli inserimenti :-)

Naturalmente sto scherzando: non scherzo però sulla bellezza di questa canzone. Davvero sì che ha il suo posto in questo sito. Forse non sarei dirne nemmeno il perché, o forse saprei dirne centomila. C'è Nicco sul letto che dorme, e vedere un gatto che dorme sul letto da un'impressione di pace, e di casa, che in questo momento della mia vita sono cose sommamente importanti.

Grazie dunque a Gianpiero per questa canzone, e per l'altrettanto e consuetamente bella sua traduzione. Alle cose volgari come rimettere in sesto le pagine e aggiustare gli autori, ci penso io. Lui si occupi di farci conoscere queste meraviglie.

Riccardo Venturi - 16/4/2010 - 20:19


Grazie e grazie, Riccardo. Scusami dei pasticci. Ma sto cercando di imparare.

Gian Piero Testa - 16/4/2010 - 20:36


Alessandro forse si ricorderà che di Nikos Kavvadias abbiamo già avuto a parlarne qui dentro, in occasione di un'estemporanea discussione sulle isole Lofoten (dove, mi sembra, intendeva trasferirsi; a maggior ragione adesso che il Piemonte è passato alla Lega...). Nikos Kavvadias è l'autore del Pilota Nagel (Ο πιλότος Νάγκελ), forse la sua più famosa poesia che mi capitò di riportare in quella pagina...

Riccardo Venturi - 16/4/2010 - 20:37


Te l'ho detto, Gianpiero: a parte che nessuno "nasce imparato" (e poi è tutto semplicissimo per me che lo faccio da anni...), quando finalmente verrai a Firenze ti metto al piccì (quello coi tasti e le lucine colorate, non il glorioso partito de' lavoratori) e in venticinque minuti hai imparato tutto quanto. Gli è che oramai sto diventando un vecchio bilioso, e che in certe cose ero un pignolo di merda a vent'anni -figurarsi ora. Ma ti assicuro che il tutto è durato 35 secondi... :-)

Riccardo Venturi - 16/4/2010 - 20:43


Il "Pilota Nagel" è in "Grammès ton Orizòndon" (Linee degli Orizzonti) che, confermo, sono state musicate da Thanos Mikroutsikos. Una cosa mi spiace di Kavvadìas - che mi è simpaticissimo e di cui avrei l'intenzione di tradurre per stixoi.info, dove già ci sono 56 canzoni, tutto quello che mi capiterà di trovare- è che, mentre viveva, nessuno gli musicò niente. Non arrivò in tempo a sentire le sue poesie in musica.Poi lo fecero Mikroutsikos, Mariza Koh, gli Xembarki e altri. Quando comincerò a tradurre, naturalmente, avrei piacere che i visitatori di AWS leggessero e ascoltassero le poesie di Kavvadias: ma poche hanno contenuti esplicitamente connessi al nostro sito. A meno che Riccardo trovi qualche buona ragione...Quest'anno, ad esempio, ricorre il centenario della sua nascita, ma è una buona ragione?
Alle Lofoten era stata la mia sorella Adele, che mi manca - troppo - da sei mesi. Ne aveva un ricordo meraviglioso. E mi diceva che il mare delle Lofoten, toccato dalla corrente del Golfo, ha un colore mediterraneo; solo che è un inganno, perché se ti ci tuffi, geli. Un navigatore italiano, perdute le sue rotte nel XV sec., vi capitò: e da allora qui da noi si mangia il baccalà e i Lofotiani (?) riservano a noi, che ce ne intendiamo, le partite migliori del loro pescato. Se il mare fosse de tocio e le montagne poenta...

Gian Piero Testa - 16/4/2010 - 23:31


Per prima cosa un grosso grazie a G.P. Testa che ha pubblicato la traduzione della lirica del poeta e poi grazie a voi che date spazio, voce e lettura a testi a volte introvabili. Ho ricevuto ieri sera da un mio caro amico greco la melodia di un'altra canzone che ha dato melodia ad un'altro poema "yara yara" molto bella. cordiali asaluti Sergio

sergiocichella@tin.it - 30/9/2010 - 11:10


Caro GPT e carissimi tutti,
vi segnalo questo documento pdf pubblicato dalla comunità greco orientale di trieste su Nikos Kavvadias: il poeta dei mari e dell'amore incompiuto. Spero possa interessare, io l'ho trovato molto bello.

http://www.hfc-sezioneitaliana.com/wmt...


Ciao

Raf - 21/12/2010 - 00:39


Raf, lo sai che ho tradotto tutte le poesie di Kavvadias, quest'anno ? Te le mando per e-mail, Piero.

Gian Piero Testa - 21/12/2010 - 01:45


Raf. Fammi sapere il tuo indirizzo di posta elettronica attraverso stixoi.info. Gian Piero.

Gian Piero Testa - 21/12/2010 - 01:52


Ευχαριστω , grazie Gian Piero per le belle traduzioni

Di Kavvadias, da greco , ho per la prima volta sentito, quando il mio direttore di lavori, ad un posto sperduto in grecia centrale, e dove facevo da imprenditore lavori per una industria pubblica aeronautica, mi ha confessato che prima di essere supervisore, era una marinaio , ed aveva incontrato il poeta.

Mi è anche detto che quando il suo mercantile ha fatto scalo in genova, invece di andare ai soliti bar del porto, hanno indossato la divisa bianca ufficale , e andati alla opera.

...la storia continua , invitando le belle ragazze per dopo, ed hanno ballato sirtaki fino alla mattina!!!

che cosa devo credere non so , ma tutti in grecia conosciamo almeno questo solo verso da Nikos:

Θα μείνω πάντα ιδανικός κι ανάξιος εραστής
Των μακρυσμένων ταξιδιών και των γαλάζιων πόντων

sarò un ideale ed immeritevole amante ....di mari lontani

Vassilis - 19/8/2011 - 15:42


Grazie, Vassilis. Kavvadias me lo suggerì un amico di web greco, Mihalis, e piano piano me lo sono tradotto tutto, amandolo ogni giorno di più. Adesso la mia traduzione la mando per email a chi me la chiede: non vado in cerca di un editore, perché non mi importa nulla di vedere il mio nome stampato. Chiedi agli amministratori, se vuoi, che ti metteranno in contatto con me. In www.stixoi.info ci sono le mie traduzioni in italiano di quanto di Kavvadias è stato musicato e pubblicato in quel sito così meritevole e indispensabile.
So che ce n'è stato un altro di poeta-marinaio greco, Dimitris Andonìou (che, di famiglia originaria di Kasos, era nato nel 1906 in Mozambico e morì nel 1994). Lui era "karavokiris", nel senso che era il padrone del suo mercantile. Elytis ne parla bene nelle sue Cronache di un decennio. Se riesco a procurarmi i testi, chissà che non ci lavori un po', anche su di lui. Na'sse kalà, file, e buona navigazione.

Gian Piero Testa - 19/8/2011 - 19:01


Ciao Gian Piero,
mi sono da poco trasferita in Grecia.
Sto cercando di imparare tutto il possibile ed in ogni modo.
Adoro il mare e la poesia. kavvadias incarna perfettamente entrambi.
Per caso hai una traduzione, anche approssimativa, di yara-yara?
Grazie
Francesca

Francesca - 20/9/2011 - 17:53


ecco, sono stata sul sito che hai suggerito. l'ho trovata. grazieeeeeee!!!
francesca

francesca - 20/9/2011 - 18:28


Per Francesca, invidiandola per il suo trasferimento (la Grecia è sempre bella e ci si sta bene, alla faccia del rating...).
Non so quanto si approssimativa, ma questa è la mia traduzione di Yara Yara. Qualche discostamento dalla lettera è dovuto al fatto che ho cercato di rispettare almeno la metrica.
Se, di Kavvadias, ti interessa anche il resto, puoi chiedere la mia e-mail agli amministratori; o individuami tra i traduttori in stixoi.info: anche da lì mi puoi comunicare il tuo indirizzo.
Ciao, Piero


Yara Yara

Dormivi e la mia guardia l'ha ridossata il capo.
Ti sei scordata a casa il mio amuleto, l'altrieri.
Tu ridi, ma a Rio ti vendei per due centavos
per ricomprarti a Beirut, e costavi assai più cara.

Ho in bocca la mia rossa conchiglia e sei protetta.
Sul braccio ho il tuo falchetto e i tuoi cani sguinzagliati.
Forza adesso, asciugami 'sto mare, ché sto grondando
e insegnami a camminare come si deve, a terra.

Da piccolo avevi una cuffia candida e un colletto
inamidato. Un marinaretto per l'acqua dolce.
La lamarina - non dirlo - ti prende come un gatto,
e ti paralizza una libecciata all'improvviso.

A te la "pelle di serpente" e a me da' un fazzoletto.
Io, sì - che ti misi nuda per Tiziano, il vecchio.
Salpa, donna di Cefalonia, e molla la lucerna.
Lui, dorme ormai sull'estrema collina del Giappone.

Da Napoli io ti ho portato un cammeo fasullo
e insieme a quello un corallo che ha perso un po' il colore.
Sta dietro i frigoriferi sulla banchina vuota.
Color ebano - una lingua di fuoco, fondo cremisi.

Luci di Melbourne. Lo Yara Yara, che noia, scorre
in mezzo a navi mercantili immense e silenziose,
portando verso il largo, e gli è del tutto indifferente,
della ragazzina il bacio, costato tanto caro.

Cala la biscaglina. Un buon caffè per il pilota.
Via a gambe, voi incatenati al dolor di terra.
E tu, che ti ho vinta alla riffa di una notte sola,
ti aggreghi e ti dilegui tra i fumi del fiume grigio.

Voglio mettere in acqua una barca di carta, fiume,
come fanno gli scolari che giocan sulla riva.
Di', separarsi uccide? Butti sangue, ma non muori.
«Dare fondo» hanno detto? Storie! A noi non tocca arrivo.

Melbourne 1951


NOTE
In musica: Xémbarki

Yara Yara è il fiume di Melbourne.
Lamarina: "lamiera" alla lettera, è anche il nome greco, senza corrispondente in italiano, della malattia contratta dai gatti sulle navi arrugginite. Cfr:"Le gatte dei mercantili" in Marabù. La parola greca significa "lamiera": mal della lamiera?
Pelle di serpente: forse un capo d'abbigliamento nautico impermeabile. (NdT)

Gian Piero Testa - 20/9/2011 - 18:52


poiché sono greco, e conosco tutte e due le lingue, con immenso piacere leggo quanto scrivete su questo straordinario Greco. Mentre mi scrivo sto ascoltando le sue stupende poesie cantate da diversi cantanti e non solo da Mikrousticos. Sono uniche, ma è anche miracolo linguistico perché è la lingua dei marinai: molte, tantissime parole sono italiane. Credetemi lo sperimentato di persona!
Grazie
continuate

giorgis - 1/11/2013 - 16:10


Però rileggendo questa poesia ho un dubbio linguistico. Il greco, credo unica lingua al mondo, indica il gatto (nel senso di specie) con il femminile: η γάτα. Γάτα significa "gatto" senza specificarne il sesso. Caso mai si specifica il "gatto maschio" con γάτος. Avrei qualche remora nel tradurre "le gatte dei marinai": a bordo delle navi si prendevano solo gatte? Non so, magari era così, ma io avrei tradotto "i gatti dei marinai", non so se anche Gian Piero è d'accordo. Una sola cosa è certa: fossi stato un marinaio, prima di buttare un gatto in mare mi ci sarei buttato io...

Riccardo Venturi - 2/11/2013 - 02:19


È vera la tua osservazione, ma è così femminile l immagine percepita dai marinai, come quella della scimmietta, che in questo caso lascerei la traduzione come è. Ma perché non facciamo decidere a Giorgis?

gian piero testa - 2/11/2013 - 09:56


D'accordo sul lasciare la decisione a Giorgis! Per altro, figurati, se io sento parlare di gatte, orientato come sono a prendermi una micia (anzi: a farmi prendere da una micia) sempre nel ricordo del grande Redelnoir immolatosi per dare la caccia ai piccioni, le gatte mi stanno comunque benissimo...

Riccardo Venturi - 2/11/2013 - 12:35


Per quanto riguarda il greco, lascio la decisione a voi. Ma Riccardo, sei sicuro che sia così raro per una lingua avere il sostantivo gatto al femminile? In ceco funziona esattamente come in greco: kočka (o se si vuole kočka domácí – gatto domestico – che è il nome scientifico della specie) è femminile, e il sostantivo kocour (che vuol dire gatto maschio) si usa soltanto quando si vuole sottolineare il sesso maschile del gatto. E se non sbaglio, anche il tedesco Katze e Kater ha lo stesso uso, almeno per come l'ho sempre percepito io. In slovacco, se mi ricordo bene, si dice mačka (sempre femminile), e anche in croato e in russo dovrebbe essere femminile. Può darsi che sia comune a tutte le lingue slave? Ora questo non sono in grado di affermarlo così su due piedi, dovrei fare una piccola ricerca. Comunque il greco η γάτα l'ho subito sentito in linea con il mio universo linguistico (com'è bello scoprire questi parallelismi tra lingue che sono poi così diverse tra loro...). D'impulso direi anch'io di tradurlo qui al maschile “i gatti”, ma ripeto, mi manca la sensibilità sufficiente in greco, era giusto per continuare un po' la riflessione linguistica. Io in italiano avrò di sicuro ai primi tempi usato eccessivamente il sostantivo “la gatta” parlando dei gatti in genere (con cui, tra l'altro, anch'io ho un rapporto di grande sintonia fin dalla prima infanzia... :) )
Mi dispiace per il tuo gatto. Approvo l'idea di “farti prendere” da una micia.. Magari lo potessi fare anch'io! Ma ho la sensazione che nel mio appartamentino soffrirebbe e basta. Così mi accontento di parlare ogni tanto con i gatti randagi del mio quartiere... :)

Stanislava - 2/11/2013 - 22:17


Hai perfettamente ragione, Stanislava; spesso, quando c'è di mezzo il greco, mi lascio un po' prendere e dimentico anche cose che so benissimo, sparando delle gran bischerate. Assolutamente vero per il tedesco "Katze" (die Katze), che è sia "gatto" in senso generico che "gatta", mentre il gatto maschio è "Kater"; alle lingue slave (nelle quali sono notoriamente carente...) aggiungo il rumeno "pisică", che è femminile (o pisică) e indica pure il "gatto" come specie. Noto anche che lo slovacco "mačka" è riprodotto alla perfezione nell'ungherese "macska"; però l'ungherese non ha il genere grammaticale, quindi il problema non si pone. Comunque, in fondo, mi sto convincendo anche io con le gatte dei marinai, confermando che alla fine il tuffo in mare lo avrei fatto io. Quanto al mio gattone nero, sono solito dire che è sulla Luna. Fortunatamente, qui da me c'è abbondanza di prati e giardini e, purtroppo, anche di strade e stradine; ma non potrei mai tenere un gatto confinato in casa...

Tornando alla poesia di Kavvadias, comunque, sta veramente tra le più grandi poesie "feline" mai scritte, alla pari con quella dell'immensa Wisława Szymborska:

IL GATTO IN UN APPARTAMENTO VUOTO

Morire - questo a un gatto non si fa.
Perché cosa può fare il gatto in un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente sembra cambiato,
eppure tutto è mutato.
Niente sembra spostato,
eppure tutto è fuori posto.
E la sera la lampada non brilla più.
Si sentono passi sulle scale,
ma non sono quelli.
Anche la mano che mette il pesce nel piattino
non è quella di prima.

Qualcosa qui non comincia
alla sua solita ora.
Qualcosa qui non accade
come dovrebbe.
Qui c'era qualcuno, c'era,
e poi d'un tratto è scomparso,
e si ostina a non esserci.
In ogni armadio si è guardato.
Sui ripiani è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è perfino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Cos'altro si può fare.
Aspettare e dormire.

Che provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora che con un gatto così non si fa.
Gli si andrà incontro come se proprio non se ne avesse voglia,
pian pianino,
su zampe molto offese.
E all'inizio niente salti né squittii.

Riccardo Venturi - 2/11/2013 - 23:14


Anche in lingua sicula (e credo pure nella napoletana) il gatto è 'a hatta o 'a jatta esattamente come la gazzella, la giraffa, la lepre, la rondine, la scimmia, la serpe, la zebra, etc. in italiano. C'è pure 'u hattu ('u jattu), usato raram. e solo se si vuol specificare che l'animale è di sesso maschile. Al diminutivo usiamo 'u (j)attarèđđu, 'a (j)attarèđđa (il gattino, la gattina), con netta prevalenza di (j)attarèđđa.

giorgio - 3/11/2013 - 13:22


Invece in polacco с'è "kot" al maschile, alla faccia di altre lingue slave, tedesco, greco e quant'altro. Poi, per specificare, ci sono "kotka", "kocica" per le gatte, "kocur" per grande maschio 'kot' e "kotek" al maschile per ogni piccolo gatto, oppure "kocię" di genere neutro, al plurale "kocięta". Ce l'abbiamo anche i nostri "gattoni", "gattacci" e aggetivo "gattesco". La gatta che una volta stava con me in montagna, la chiamavo "kocurka", per quanto era impavida e buona a prendere i topi. Pareva una femmina di gatto selvatico. E poi, qualche anno addietro, mi imbattei in una sentenza su gatti, tipicamente inglese :)
"...the only identification that would be inscribed on any cat's collar would be - This is the cat's cat."
Elmer Davis, "On Being Kept by a Cat"
Ho scoperto inoltre che in polacco la parola "kot" viene usata per nominare una specie di piccola ancora a quattro punte che, per quanto c'entra con il mare e la navigazione, non ha nessuna attinenza con la poesia riportata sopra, come credo :D

Krzysiek Wrona - 3/11/2013 - 16:02


Ho trovato su facebook delle informazioni biografiche (e una foto che ho inserito su Discogs e quindi nella nostra biografia) su questo gruppo. Controllate che la traduzione italiana delle due righe di biografia (basata su google translate) vada bene.

Lorenzo - 5/4/2020 - 00:54




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