Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Sometimes I feel like a motherless child
Sometimes I feel like a motherless child
Sometimes I feel like a motherless child
A long way from my home
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Sometimes I feel like I’m almost gone
Sometimes I feel like I’m almost gone
Sometimes I feel like I’m almost gone
A long, long, long, way, way from my home
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Hey…yeah
I got a telephone in my bosom
And I can call him up from my heart
I got a telephone in my bosom
And I can call him up from my heart
When I need my brother…brother
When I need my mother…mother
Hey…yeah…
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Sometimes I feel like a motherless child
Sometimes I feel like a motherless child
Sometimes I feel like a motherless child
A long way from my home
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Freedom
Sometimes I feel like I’m almost gone
Sometimes I feel like I’m almost gone
Sometimes I feel like I’m almost gone
A long, long, long, way, way from my home
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Clap your hands
Hey…yeah
I got a telephone in my bosom
And I can call him up from my heart
I got a telephone in my bosom
And I can call him up from my heart
When I need my brother…brother
When I need my mother…mother
Hey…yeah…
Langue: italien
Versione italiana di Riccardo Venturi
17 marzo 2007
In un momento di grande ristrutturazione e sviluppo del sito, ci siamo resi conto che questa storica canzone non aveva nemmeno una traduzione. Rimediamo immediatamente.
17 marzo 2007
In un momento di grande ristrutturazione e sviluppo del sito, ci siamo resi conto che questa storica canzone non aveva nemmeno una traduzione. Rimediamo immediatamente.
LIBERTÀ
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
A volte mi sento come un bambino orfano di madre
A volte mi sento come un bambino orfano di madre
A volte mi sento come un bambino orfano di madre
Lontano da casa mia
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
A volte mi sento come già quasi andato
A volte mi sento come già quasi andato
A volte mi sento come già quasi andato
Lontano, lontano, lontano da casa mia
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Hey…yeah
Ho un telefono dentro
e lo posso chiamare dal mio cuore
Ho un telefono dentro
e lo posso chiamare dal mio cuore
Quando ho bisogno di mio fratello...fratello
Quando ho bisogno di mia madre...madre
Hey…yeah…
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
A volte mi sento come un bambino orfano di madre
A volte mi sento come un bambino orfano di madre
A volte mi sento come un bambino orfano di madre
Lontano da casa mia
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
Libertà
A volte mi sento come già quasi andato
A volte mi sento come già quasi andato
A volte mi sento come già quasi andato
Lontano, lontano, lontano da casa mia
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Battete le mani
Hey…yeah
Ho un telefono dentro
e lo posso chiamare dal mio cuore
Ho un telefono dentro
e lo posso chiamare dal mio cuore
Quando ho bisogno di mio fratello...fratello
Quando ho bisogno di mia madre...madre
Hey…yeah…
Ero giovanissimo ed ho pianto quel giorno quando lo vidi per la prima volta. Un grande cuore, un grande artista.
Toti Basso - 11/10/2014 - 14:01
"Freedom" con Richie Havens, Joe Cocker, Billy Preston, Edoardo Bennato, Fabio Concato, Angelo Branduardi, Nomadi, settembre del 1990 partecipano al Concerto della Libertà in Piazza San Venceslao a Praga.
dq82 - 10/3/2016 - 11:54
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(tratto e adattato da "Music & Movie", allegato alla videocassetta "Woodstock - Director's Cut" edita da L'Unità nel 1996. Testi a cura di Ernesto De Pascale, Alessandro Mannozzi, Roberto Sasso)
Ore 17:07: Richie Havens e i suoi due accompagnatori (Paul “Deano” Williams alla chitarra e Daniel Ben Zebulon alle percussioni) sono chiamati sul palco, in anticipo rispetto alla scaletta prevista, per sopperire ai ritardi del primo e degli altri gruppi. Dovrebbero suonare quattro pezzi, ma ne suoneranno molti di più.
Richie Havens, 28 anni, sale sul palco vestito con un dashiki arancione, comodi pantaloni chiari e sandali africani ai piedi. Il dashiki è l’abito tradizionale maschile dell’Africa Occidentale, una tunica che copre il corpo fin sotto le ginocchia. Si è diffuso rapidamente tra i militanti afro-americani fin dal 1967, con l’apertura ad Harlem, Manhattan, di due negozi della New Brees che li produce e vende negli sgargianti colori tradizionali.
L’abito in questo caso fa il monaco e lo stile percussivo con cui Havens accompagna le sue canzoni con la chitarra rimanda subito alla cultura africana rivendicata ed ostentata da migliaia di afro-americani nell’America bianca degli anni sessanta e settanta. La voce profonda del cantautore intona canzoni appartenenti alla musica ascoltata dalla stragrande maggioranza dei giovani bianchi presenti (Beatles e folk), ma la chitarra percossa ossessivamente in accordatura aperta e il piede che batte ritmicamente sul legno del palco rinviano ad un’altra sfera culturale e ad un altro mondo.
Per chi guarda le immagini del film tratto dal festival ciò che colpisce di più in Havens, oltre che la voce e il sudore che cola copioso sul volto, sono le mani e il piede, inquadrati ripetutamente in un montaggio che rispetta l’accelerazione che l’esecutore impone alle due canzoni presenti nella pellicola: “Handsome Johnny” e “Freedom”. In realtà quest’ultima è una rielaborazione del tradizionale gospel “Motherless Child” che viene completamente stravolta dall’ipnotica ripetizione della parola Freedom aggiunta al testo da Richie come si trattasse di un’invocazione di libertà universale, l’urlo degli schiavi in rivolta, il lamento di un continente ancora colonizzato, la speranza degli oppressi.
La parola dashiki è di origine yoruba, un’etnia presente soprattutto in Nigeria, ma anche lo stile chitarristico di Havens rinvia allo stile ipnotico del chitarrismo nigeriano, una specie di ju-ju music, adatta al ballo e alla trance visionaria, di cui troviamo esempio nei dischi di King Sunny Ade.
In tutto, a Woodstock, il cantante afro-americano finirà con l’eseguire undici brani, ma sarà proprio l’ultimo “Freedom/Motherless Child”, letteralmente improvvisato per sopperire al tempo ancora da coprire, a colpire di più il pubblico con il suo incedere ipnotico, veloce, quasi disperato e a renderlo celebre a livello internazionale.
Sandro Moiso