« Metti 'n galera la mafia cu tutti l'assassini..
Vonnu 'u cumannu, vonnu 'u putìri - lu putìri mìu
Ma su' nimici di li fascisti e nimici di Diu! »
E Mori partìu… ed arrivau cu un trenu spicïali
senza sapìri ca ci facìa lu servu ô capitali…
...Di notti ô scuru, li sbirri cuminciàru li ritati
scassànnu 'i porti e tràsinu 'nte casi stracanciati
E sull'istanti curpevulennu genti a la rinfusa
'i tiraru fora e s'i purtàru chi catìni ê pusa.
I matri e i figghi currennu appressu ai patri e a li mariti
vannu chiancènnu... vannu chiancènnu e chiànciri 'i sintiti.
Mi chianci 'u cori, ora ca terminavu di cantari
'sta storia vera - si pensu ca la mafia è na l'altari..
e addisunùra 'sta terra onesta nun voli e chi voli
pani e travagghiu, la libbirtà, giustizia e li scoli.
Ah no a mafia! E no alla liggi infami da lupara!
e no unùri! Unùri e gloria a cu arrobba e spara!
Chistu gridamu, è nostra 'a vuci ca arruspìgghia i morti
ca stanchi semu, e vulemu canciàri vita e sorti...
envoyé par giorgio - 8/4/2010 - 12:06
« Parti, prefetto!... Parti – Mussolini disse a Mori,
Metti in galera la mafia e gli assassini..
Vogliono comando e potere – il potere mio ! -
e sono nemici dei fascisti e di Dio »
E Mori partì... ed arrivò con un treno speciale
inconsapevole strumento del capitale...
...Di notte al buio, i poliziotti cominciarono le retate
forzando le porte entrano nelle case trasfigurati
e lì per lì colpevolizzando gente alla rinfusa
li tirarono fuori e se li portarono con le catene ai polsi.
Le madri e i figli correndo dietro ai padri e ai mariti
piangono...piangono, e piangere li potete sentire..
A me piange il cuore, ora che finito di cantare
questa storia vera – se penso che la mafia è ancora al potere
e disonora questa terra onesta che non la vuole, ma vuole
pane, lavoro, libertà, giustizie e scuole.
E no alla mafia! No alla infame legge della lupara!
e no all'onore! Onore e gloria a chi ruba e spara!
Questo gridiamo con la nostra voce che risuscita i morti
che siamo stanchi, e vogliamo cambiar vita e destino...
envoyé par giorgio - 24/4/2010 - 10:43
Orwell 2010 - 3/10/2010 - 13:08
Paolo - 11/10/2010 - 22:19
Mah...
Lascerei piuttosto la parola a Leonardo Sciascia:
"Il capitano sentì l’angustia in cui la legge lo costringeva a muoversi; come i suoi sottufficiali vagheggiò un eccezionale potere, un'eccezionale libertà d'azione: e sempre questo vaneggiamento aveva condannato nei suoi marescialli. Una eccezionale sospensione delle garanzie costituzionali, in Sicilia e per qualche mese: e il male sarebbe stato estirpato per sempre. Ma gli vennero alla memoria le repressioni di Mori, il fascismo: e ritrovò la misura delle proprie idee, dei propri sentimenti."
(da Il giorno della civetta)
Lorenzo - 11/10/2010 - 23:18
Anche a me qualche giorno fa era venuta voglia di rispondere ad Orwell 2010, e non solo per il suo intervento da agiografo del duce ma anche perché ha infarcito le sue considerazioni con un insulto omofobico, cosa che questo sito aborre (i democristiani, se gli stanno sul culo, li puoi benissimo chiamare stronzi) così come quelli sessisti o razzisti…
Avevo provato a rispondergli a partire proprio da un famoso articolo che il vecchio Sciascia scrisse per il Corriere della Sera nel 1987, solo qualche anno prima di morire. Mi aveva trattenuto il fatto che quell’articolo intitolato “I professionisti dell’antimafia”, solo incidentalmente una recensione al libro “La mafia durante il Fascismo” di Christopher Duggan (che non ho letto ma che credo sia parecchio interessante), conteneva sì una chiara analisi di quale siano stati realmente obiettivi e risultati della lotta alla mafia durante il fascismo, ma sia attualizzava poi in un attacco senza mezzi termini contro politici e magistrati che, a detta del vecchio Sciascia, stavano allora – alla fine degli 80 - approfittando della lotta alla mafia per fini personali e di carriera (gli “eroi della sesta”, come li chiamava, con riferimento alle cinque giornate di Milano del 1848)…
E sono convinto che Sciascia avesse almeno in parte ragione (anche se credo che attaccando personalmente Paolo Borsellino fosse andato fuori strada), a meno che, per difendere la magistratura da tempo sotto attacco del principale referente politico della mafia, Silvio Berlusconi, non si voglia finire per negare che anche il potere giudiziario è solo una delle varie corporazioni e caste di questo nostro paese allo s-fascio.
Detto questo, voglio solo riportare dall’articolo citato un paio di considerazioni di Sciascia su mafia e fascismo che mi paiono illuminanti e che ben si integrano con la citazione che hai fatto tu da “Il giorno della civetta”:
E a proposito del prefetto Mori:
Sicché se ne può concludere che l'antimafia è stata allora strumento di una fazione, internamente al fascismo, per il raggiungimento di un potere incontrastato e incontrastabile.”
Bartleby - 12/10/2010 - 08:32
Allora chiederei a "Orwell 2010" che a conferma di ciò sostiene che è "l'unico merito" che il fascismo "ha avuto", come mai ancora nel '43 (14 anni dopo) quando gli americani sbarcarono in Sicilia, indubbiamente grazie anche all'intercessione dei mafiosi (Lucky Luciano), la cosiddetta mafia era ancora lì, viva e vegeta, così determinante, e ancora tutta da estirpare?.
Dunque quel fascismo aveva la mafia ancora tutta da "annientare", o era "l'unico merito" che aveva già raggiunto, già conseguito ?
giorgio - 12/10/2010 - 11:32
Giovanni Papini - 19/8/2011 - 20:49
Gian Piero Testa - 19/8/2011 - 23:13
I rapporti mafia-fascismo furono ben saldi prima e anche dopo l'8 settembre 1943, quando mafia, fascisti e istituzioni collaborarono in chiave repressiva dei movimenti sociali che si andavano a sviluppare in Sicilia.
«Un processo lento, che in Italia si è sviluppato per tappe e acquisizioni a partire dal riconoscimento dello status quo feudale nel sud da parte della monarchia sabauda in cambio della propria legittimazione. La mafia, dalle trattative per preparare lo sbarco alleato in Sicilia al sistema di scambio voto-favore dell'epoca democristiana, ha in seguito rappresentato un costante interlocutore per la repubblica. In tale contesto, il ruolo della capitale morale settentrionale è andato focalizzandosi sulla controparte legale, il riciclaggio di denaro. Equilibrio che si è tuttavia definitivamente infranto a cavallo degli anni '80, con lo scoppio di una sanguinosa guerra intestina. Conflitto che, con un bilancio assimilabile a una guerra civile, ha portato al prevalere dei clan più arretrati e feroci, i corleonesi, e a una tardiva reazione istituzionale.» (Antistato totalitario e antistato mafiosodi Massimo Annibale Rossi)
Cesare Mori, figura mitizzata dal fascismo, nel 1922 era prefetto di Bologna, inflessibile applicatore della legge, essendo fra i pochissimi rappresentanti degli "organi di repressione dello Stato" che considerassero lo squadrismo fascista al pari del "sovversivismo" di sinistra e quindi da reprimere in egual maniera. Dopo aver bloccato una spedizione punitiva di squadristi fu duramente contestato dal fascismo rampante, ormai appoggiato dalla borghesia industriale e agraria, per cui all'ascesa al potere di Mussolini Mori fu dispensato dal servizio attivo e si ritirò in pensione nel 1922 a Firenze; medesima sorte toccò nello stesso periodo ai militari Guido Jurgens, Vincenzo Trani e Federico Fusco, tuttavia questi non ebbero altre possibilità di carriera poiché non vollero scendere a compromessi col regime fascista.
In seguito, nel 1924, Mori venne richiamato in servizio e gli fu affidato da Benito Mussolini l'incarico di repressione dei fenomeni criminali in Sicilia (vista la sua fama di inflessibilità). Qui impiegò metodi al quanto sbrigativi, arrivando perfino a prendere in ostaggio donne e bambini per raggiungere il suo scopo; a tale riguardo scrive lo storico Christopher Duggan nel suo Prefetto di ferro: «I metodi brutali di Mori crearono grande malcontento nella popolazione, che spesso fu tentata a schierarsi dalla parte dei mafiosi, di fronte a forze di polizia che apparivano quasi come invasori stranieri, senza rispetto delle più elementari regole di legalità» [...] «Ironicamente, l'operato di Mori potrebbe aver rafforzato proprio quella diffidenza nei confronti dello Stato che, come il governo, era stato così desideroso di vincere» [...] «Mori era amico dei latifondisti. "[...]" Dal 1927 gli agrari erano di nuovo al potere, e la Sicilia ne pagò a caro prezzo la riabilitazione; e gli anni Trenta furono caratterizzati da abbandono e declino».
Cesare Mori però si concentrò soprattutto sui mafiosi di piccolo calibro e ciò è evidenziato, paradossalmente, anche da un sito web dedicato a Mussolini:
«In effetti il fascismo, dopo la grande retata di "pesci piccoli" realizzata da Cesare Mori, viene a patti con l'"alta mafia", nel 1929 richiama a Roma il "Prefetto di Ferro" (verrà nominato senatore) e, in un certo senso, "restituisce" la Sicilia ai capi mafiosi ormai fascistizzati. Infatti, i condoni e le amnistie, subito concesse dal governo dopo il richiamo di Mori, hanno favorito molti pezzi da novanta che, appena tornati in libertà, si sono subito schierati fra i sostenitori del regime anche se, dopo il 1943, gabelleranno i pochi anni di carcere o di confino come prova del loro antifascismo».
Quando nel 1929 Mori fu rimosso dal suo incarico (fu insignito del titolo di senatore del Regno) il regime fascista «... si preoccupò di diffondere l'idea che la Mafia, ormai, non fosse più un problema, ma essa "era tutt'altro che morta e si era anzi nuovamente istituzionalizzata"» (da Mafia e fascismo, Davide Caracciolo, InStoria, GB EditoriA 2008) .
L'efficacia della lotta alla mafia, prima e dopo Cesare Mori, furono quindi condizionati dai rapporti mafia e fascismo, secondo cui spesso il regime si servì della "caccia al mafioso" come strumento repressivo atto a giustificare gli attacchi agli antifascisti e\o ai fascisti non in linea con il PNF (caso Alfredo Cucco, mentre si servì di un noto capobastone mafioso per ammazzare dell'anarchico Carlo Tresca, irriducibile combattente contro fascismo e mafia ). Non a caso, dopo la rimozione di Mori, i più importanti mafiosi, collusi col fascismo, subirono pene lievi ed amnistie varie, che li consentì di ritornare ad operare sotto la copertura dei gerarchi fascisti siciliani o persino di divenire dei gerarca loro stessi. La mafia era rientrata, come accade anche attualmente, in rapporto simbiotico con i poteri dello Stato.
Definire quale fu l'operato nella realtà dei fatti del prefetto Cesare Mori non è cosa semplice; si può dire, in linea di massima, che fu congruente allo sviluppo del regime che, se da una parte era impossibilitato a prendere il potere della mafia, dall'altra doveva vincolare la mafia ad un certo "ordine di regime" in modo che la facciata fosse salva e Mori, forse anche in gran parte incolpevole, fosse lo strumento di Mussolini per arrivare a tale obiettivo .
Si evince quindi, che è necessario ridimensionare le tesi dello scontro irriducibile fra mafia e fascismo, peraltro evidenziate da questi scritti e testimonianze sull'operato di Cesare Mori (il lettore noti le diverse opinioni riguardo al suo operato):
«Il fascismo oramai aveva il pieno appoggio della classe dominante siciliana, quella della grande proprietà terriera, soprattutto da quando furono abolite le norme di legge che limitavano il diritto dei proprietari terrieri ad elevare i canoni di affitto e a liberarsi dei mezzadri. In tale situazione la mafia non aveva motivo di esistere, visto che le contese tra latifondisti e contadini venivano regolate dallo stato fascista "[...]" Ma ciò che Mori colpì non fu altro che la bassa mafia, come lui stesso raccontò nelle sue memorie, semplici esecutori di ordini che potevano essere briganti, gabellotti e campieri. Ciò a cui egli mirava era l'alta mafia che allignava nelle città attorno ai centri del potere, ove era stretto il legame tra mafia e politica "[...]" Invece la realtà era che la mafia non era affatto morta, si era nuovamente istituzionalizzata. Se tanti briganti e piccoli delinquenti erano stati rinchiusi nelle carceri o mandati al confino, gli esponenti dell'alta mafia, se non emigrarono in America, aderirono in blocco al fascismo, sicuri di poter proseguire nei loro affari e nei loro traffici una volta che la Sicilia era stata liberata dall'incubo Mori».
Il giudizio su Cesare Mori espresso sul sito dei Carabinieri, a cura di Alessandro Politi , è in linea con quello di altri (per esempio con quello dello storico Christopher Duggan), sottolineando l'effetto che ebbe la fascistizzazione di molti e importanti capi mafiosi: «[...] La stessa politica della repressione poliziesca, per quanto efficiente, non aveva spostato di una virgola le condizioni sociali in cui stagnava la Sicilia ed alla fine il regime si accontentò del successo di facciata . Tesi peraltro confermata dai dati della Commissione parlamentare Antimafia, che dà l'idea di cosa significò questo nuovo ordine sociale in Sicilia: dal 1928 al 1935 le paghe agricole, secondo le statistiche ufficiali, diminuirono del 28%.
Giovanni Raffaele, studioso della storia di Sicilia e autore de L'ambigua tessitura. Mafia e fascismo nella Sicilia degli anni Venti, ben riassume l'azione di Mori :
«La conclusione è che nella zona presa di mira da Mori non vi fosse mafia in senso stretto, proprio perché i meccanismi dell'accumulazione, del consenso e del controllo politico seguivano altri canali consolidati, che della mafia - intesa come organizzazione specifica e gerarchicamente strutturata - potevano fare a meno. Dalla ricerca emergono però anche la complicità del fascismo col sistema di mafia e, per certe zone, la forza intatta di un'élite che, per il controllo sociale, di mafia non aveva bisogno. Fece infatti piazza pulita di briganti, ma quando si trattò di mettere in galera la gente di rispetto ammanigliata con Roma fu licenziato in tronco. Finì senatore, con velleità letterarie inappagate e un libro di ricordi, "Con la mafia ai ferri corti", che dette qualche grana a Mondadori. Mussolini gli scrisse garantendogli che i suoi quattro anni di Sicilia sarebbero rimasti "scolpiti nella storia della rigenerazione morale, politica e sociale dell'isola mobilissima", ma a quanto risulta la mafia ripresa indisturbata il suo cammino. Lo scalpello era moscio».
Arrigo Petacco, nel suo libro Il Prefetto di Ferro, accusa il fascismo di essersi occupato solo dei "pesci piccoli", riportando in Sicilia i capi mafiosi fascistizzati, liberati o non arrestati grazie a leggi scritte ed utilizzate ad hoc: « Ora in Sicilia si ammazza e si ruba allegramente come prima. Quasi tutti i capi mafia sono tornati a casa per condono dal confino e dalle galere [...]».
Da senatore cercò ancora di occuparsi dei problemi della Sicilia, sui quali seguitò a rimanere informato, ma ormai senza potere effettivo e sostanzialmente emarginato."La misura del valore di un uomo è data dal vuoto che gli si fa dintorno nel momento della sventura" scrisse.
La sua abitudine di sollevare ancora il problema della mafia fu naturalmente vista con fastidio dalle autorità fasciste, tanto che fu espressamente invitato a "non parlare più di una vergogna che il fascismo ha cancellato", si legge proprio nel testo del Petacco..
In un articolo pubblicato su il Corriere della Sera, Giovanna Grazzini sostenne la tesi della "buona fede" di Cesare Mori, poi rimosso dall'incarico per via della sua intransigenza:
«La sua azione energica permise di distruggere quasi interamente la struttura di base della malavita organizzata siciliana e offrì a Mussolini un argomento per la sua propaganda. Ma quando Mori iniziò a diventare troppo famoso e soprattutto a indagare troppo in alto, venne messo da parte, e le tracce del suo lavoro accuratamente eliminate» .
Cesare Mori non si pose alcun problema, col consenso di Benito Mussolini, di andare a colpire il fascista siciliano maggiormente in vista, Alfredo Cucco, che probabilmente in questa fase non era integrabile nella linea del PNF in Sicilia, il che giustificava il desiderio di Mussolini di allontanare dal partito (non fu risparmiato neppure l'ex-ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio), seppur temporaneamente, individui che potevano ostacolare l'ascesa del fascismo nell'isola (Cucco era mal visto dagli agrari, molti dei quali erano mafiosi, quindi Mussolini auspicò l'allontanamento di quest'individuo allo scopo di non alienarsi la simpatia dei latifondisti).
Nel 1927 Cucco venne espulso dal PNF «per indegnità morale» e accusato, grazie alle indagini di Cesari Mori, di essere colluso con la mafia. Dopo essere stato assolto quattro anni dopo, Cucco rientrò nell'isola e riprese l'attività politica, quando, grazie anche alla sua assenza, l'insediamento nel PNF siciliano dei latifondisti dell'Isola, collusi con la mafia o essi stessi mafiosi, era oramai completato.
La personalità di Cucco è descritta da Leonardo Sciascia come una «figura del fascismo isolano, di linea radical-borghese e progressista, per come Christopher Duggan e Denis Mack Smith lo definiscono, che da questo libro ottiene, credo giustamente, quella rivalutazione che vanamente sperò di ottenere dal fascismo, che soltanto durante la repubblica di Salò lo riprese e promosse nei suoi ranghi» .
Nel libro Le mafie, lo storico Paolo Pezzino ipotizza che l'esautorazione di Cucco fu un particolare caso politico in quanto fascista avverso agli agrari. Infatti, Alfredo Cucco rientrò nel partito solo nel 1937; nel 1938 e fu tra i firmatari del Manifesto della razza, nell'aprile del 1943 Mussolini lo nominò vice segretario nazionale del PNF, quindi aderì alla Repubblica Sociale Italiana dove divenne Sottosegretario alla Cultura popolare. Alla fine della guerra, nonostante tali precedenti, sarà prosciolto "stranamente" da ogni accusa e diverrà un notabile del neonato MSI.
Emblematico del rapporto mafia-fascismo (che poi si intersecherà con l'intervento dei servizi segreti americani nel periodo pre, durante e post seconda guerra mondiale) è stato anche la protezione data dal regime nel 1935 a Vito Genovese, che si sdebiterà con la costruzione della "Casa del fascio" di Nola e l'assassinio di Carlo Tresca, personaggio scomodo che denunciò pubblicamente i falsi antifascisti. L'uccisione di Tresca permise quindi di porre un velo oscuro sugli ex-fascisti che cercavano di sbarazzarsi del loro scomodo passato e di riciclarsi come antifascisti (emblematico il caso di Generoso Pope, precedentemente sostenitore di Mussolini e poi antifascista dell'ultim'ora entrato a far parte della Mazzini Society attiva in America). Questa vicenda è riconducibile alla lotta intestina nella "Mazzini Society" (Stati Uniti) riguardo all'ammissione di alcuni italiani, trasferitisi negli USA ma con un passato di sostegno al fascismo, nei comitati di Fronte Unito Antifascista (costituito nel 1943). Nel periodo dell'assassinio di Carlo Tresca, Vito Genovese si trovava in Italia e la ricostruzione delle sue responsabilità è stata più che comprovata. Genovese fu probabilmente il mandante dell'omicidio di Tresca, mentre l'esecutore materiale fu Carmine Galante , poi affiliato alla famiglia di Joseph Bonanno . Dopo lo sbarco alleato in Sicilia, Vito Genovese, uno dei personaggi chiave anzi citati, avrà un enorme potere in Sicilia anche nel periodo post bellico dimostrando una costante, duratura e ascendente importanza .
Per inquadrare il caso di Vito Cascio Ferro è necessario ricordare la figura del "superpoliziotto" italo-americano Joe Petrosino , inizialmente informatore della polizia, soprannominato "'u spiùni", poi "super poliziotto" protetto da Theodore Roosvelt, allora assessore alla polizia . Petrosino fu impiegato in numerose operazioni contro la criminalità, ma anche contro i rivoluzionari. Tra questi «Petrosino odiava gli anarchici, li considerava delinquenti o pazzi da portare in manicomio» .
Secondo quanto riportano molti storici, Petrosino fu assassinato dal boss Vito Cascio Ferro, che in gioventù era stato anarchico, attivista delle "occupazione delle terre" del 1892 e presidente dei "Fasci Sicilani" (formazione di "sinistra", quindi da non confondersi col fascismo), rifugiatosi poi in Tunisia per sfuggire alla repressione ordinata dal Ministro degli Interni Francesco Crispi. Emigrato negli USA, fu accolto a Patterson (città con folte presenze anarchiche; Gaetano Bresci vi risiedette per lungo tempo) come un compagno; in seguito divenne un capo-mafioso e l'esecutore materiale di Joe Petrosino. Si ipotizza che uno dei motivi che lo portò ad assassinare Petrosino fu il sospetto che il "superpoliziotto" avesse torturato in carcere Sophie Knieland, moglie dell'anarchico Gaetano Bresci, in modo da estorcerle qualche informazione su presunti rapporti tra la mafia americana e gli anarchici, senza riuscire nell'intento, infatti tali rapporti non sono mai stati dimostrati in alcun modo.
Non si sa bene perché Vito Cascio Ferro abbia voluto vendicare Sophie Knieland, è certo che gli fu trovato in tasca un biglietto della moglie di Gaetano Bresci, anche se s'ignora il contenuto; resta in ogni modo certo che don Vito aveva molto probabilmente mantenuto amicizie fra gli anarchici di Patterson.
Vito Cascio Ferro fu arrestato da Cesare Mori nel 1927 e condannato all'ergastolo. Detenuto in carcere, morì nel 1943 di fame e sete, dimenticato dai carcerieri che avevano fatto evacuare tutti i detenuti della prigione che era stata appena bombardata , scordandosi però di portar via Vito Cascio Ferro (Vito Genovese, ben più importante dell'anziano e fuori tempo mafioso don Vito Ferro, fu invece protetto dal fascismo).
È quindi quantomeno curioso che uno dei pochi mafiosi di "grande importanza" ad essere catturato durante l'epoca fascista fu don Vito Cascio Ferro, "amico degli anarchici" e con un passato di anarchico, lasciato poi però morire "per sbaglio".
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Il rapporto che la mafia ebbe col fascismo fu quello tipico delle organizzazioni senza ideali, se non quelli "affaristici", che la portarono a seguire i propri interessi e a stringere alleanze "momentanee" col potere politico in atto in quel momento. Così, dopo lo sbarco degli alleati, Vito Genovese e Albert Anastasia diventarono stretti collaboratori di Charles Poletti, capo dell'amministrazione militare alleata in Sicilia (poi anche a Napoli e a Milano). A dimostrazione di questo è ben conosciuta una foto in cui Genovese è ritratto (vedi immagine), con la divisa dell'esercito americano in compagnia di Salvatore Giuliano.
Giuliano godeva della protezione di Genovese quando questi passò con gli statunitensi ma, dai documenti desecretati dall'OSS, risulta che fu appoggiato sia da fascisti che dagli agenti segreti americani. Secondo quanto riportato dagli storici, risulterebbero alte probabilità che il bandito Giuliano sia addirittura stato un fascista della X MAS. È ancora da rimarcare che i capi mafiosi riciclati dagli americani assolvettero compiti polizieschi, ovvero quelli di eliminare i gruppi criminosi che lavoravano in modo autonomo, cosa che peraltro fecero con zelo. Di questa situazione di cambio di campo, o quantomeno di riciclaggio dei mafiosi amici o meno del fascismo, uno dei principali registi fu Lucky Luciano:
«Lucky Luciano, il noto boss rinchiuso nelle carceri americane, passò i nomi di 850 persone su cui "contare" e gli ufficiali dell'OSS, che dirigeranno sul campo "l'operazione sbarco", saranno Max Corvo, Victor Anfuso e Vincent Scamporino. Il loro gruppo sarà conosciuto come il "cerchio della mafia". Tra gli americani, in divisa dell'esercito, c'erano Albert Anastasia (ucciso nel dopoguerra in un negozio di barbiere) e don Vito Genovese, (il don Vito Corleone del film "Il padrino"), stretti collaboratori di Charles_Poletti. Scrivono Roberto Faenza e Marco Fini "Gli americani in Italia": "È così che quando nel 1943 gli americani sbarcheranno in Sicilia, la prima azione dell'OSS sarà [...] restituire la libertà ai mafiosi imprigionati dal regime fascista»."
Sempre dalla stessa fonte viene precisato gli scopi delle inchieste USA sulla criminalità organizzata italiana erano tutt'altri che quelli di cacciare dei criminali:
«Quando, nel 1951, la Commissione americana si occupò degli italiani è evidente che ne approfittò per liberarsi di alcune componenti anarchiche. Perché allora la componente anarchica era molto presente tra gli italiani negli Stati Uniti: penso a gente come Nicola Sacco, Bartolomeo Vanzetti e Carlo Tresca»
In un'intervista al regista Pasquale Scimeca, questi afferma:
«I mafiosi che erano sfuggiti alla repressione del Prefetto Mori, emigrando in America, avevano fatto fortuna, esercitavano una rispettabile influenza e disponevano di non poche entrature in vari ambienti come quelli militari, dove prestavano il loro ausilio come interpreti, o strani accompagnatori. Alcuni di loro furono addirittura arruolati direttamente nei servizi segreti della Marina Americana. Illustrissimi, del calibro di Joe Profacy, Vincent Mangano, Nick Gentile, Vito Genovese e l'immancabile Lucky Luciano, si resero disponibili ad offrire la loro preziosa consulenza sfruttando gli antichi legami mai interrotti con la terra natia. Per portarsi avanti, nel contempo, L'OSS (Office Strategic Service) mandò Max Corvo e Vincent Scamporino, il capo del settore italiano del secret intelligence, a Favignana dove erano rinchiusi i mafiosi "perseguitati" dal Prefetto di ferro e li fece liberare» "
Così scrive Giorgio Bongiovanni direttore di Antimafia 2000:
«Dopo lo sbarco il loro primo incarico fu quello di mettere ordine, chi poteva farlo meglio di coloro che avevano sempre avuto un controllo serrato del territorio? In pochissimo tempo i padrini ripresero il comando e eliminarono con accanita sistematicità le decine di bande che infestavano l'isola, tutte tranne una: quella di Salvatore Giuliano, ricondotta sotto l'egida della famiglia di Montelepre, che controllava da giusta distanza la mitica azione rivoluzionaria del bandito. In men che non si dica venne a crearsi in Sicilia una catena di persone e personaggi, in numero sempre crescente, disposti a mettersi dalla parte dei vincitori. I capimafia di fatto si sentirono nobilitati e vennero elevati al grado di "liberatori". Ma la vera legittimazione venne con l'assegnazione dei comuni ai vecchi boss che si ritrovarono di nuovo padroni dei loro feudi e con la fascia tricolore posta di traverso sul petto: Don Calò (Calogero Vizzini) divenne sindaco di Villalba, Salvatore Malta di Vallelunga, Genco Russo (Giuseppe Genco Russo) sovrintendente agli Affari Civili di Mussomeli e altri rivestirono incarichi ufficiali in diversi ambiti»
Tutto ciò si collocò nell'ambito di rivolte sociali messe in atto dagli strati meno abbienti della popolazione siciliana, che portarono ad un gran numero di caduti in piazza. I morti fra i manifestanti furono circa 80, a fronte di due appartenenti agli organi di polizia dello Stato (rapporto di circa 40 ad 1).
Salvatore Giuliano è stato spesso dipinto come una sorta di Robin Hood, in realtà è certa la sua relazione con gli ambienti fascisti e mafiosi antecedenti e seguenti l'8 settembre 1943.
Per inquadrare la sua storia si può partire dal rapporto statunitense intitolato I mafiosi (18 luglio 1943), che riferisce: «Ispettori della Milizia fascista sono stati inviati a Palermo e a Sciacca per aprire negoziati con esponenti mafiosi in prigione da lungo tempo. Ai mafiosi internati è fatta la seguente promessa: se contribuiranno a difendere la Sicilia, saranno allestiti nuovi processi per provare la loro innocenza». Infatti, più o meno un mese dopo, Giuliano cominciò il suo assalto alle caserme, uccise diversi carabinieri e soprattutto organizzò l'evasione di massa dei detenuti dalle carceri di Monreale (suo paese natale), nel quale soggiornavano numerosi mafiosi, non senza che la famiglia mafiosa dei Miceli desse la propria "benedizione" alle sue azioni.
Dell'esistenza di una "banda Giuliano" ne fecce cenno la spia calabrese dell'RSI Pasquale Sidari (arrestato nel marzo 1945):
«In Sicilia opera armata capeggiata da Giuliani (Salvatore Giuliano spesso si firmava come "Giuliani", N.d.R) Ogni milite arruolato percepisce 50000 Lire all'ingaggio e 6000 Lire come salario mensile [cifra straordinaria per l'epoca, N.d.R]. Questa ed altre bande operarono segretamente: Bande armate che funzionino segretamente … che esercitino in tutto il Paese il brigantaggio, che si mescolino alle manifestazioni popolari per suscitare torbidi. Ma soprattutto mimetizzati, penetrare nei partiti antifascisti e introdurvi fascisti a valanga, propugnare le tesi più spudoratamente radicali e il più insano rivoluzionarismo, sabotare e screditare l'opera del governo e soffiare a più non posso sul malcontento inevitabile. Così, seminando sciagure su sciagure, suscitare il rimpianto del fascismo e, al momento opportuno, riacciuffare il potere» (Documento di grande attualità rintracciato dallo storico Aldo Giannuli nell'Archivio centrale dello Stato, Rapporto Gamba, fondo Polizia militare di sicurezza, busta n. 2).
Il tutto fu orchestrato dall'Internazionale Nera, che smistava i soldi grazie alla collaborazione della Banca dell'Agricoltura e che dopo la guerra poté godere anche della collaborazione dei Peron (Juan ed Evita Peron).
Infatti nel febbraio 1944 Giuliano si infiltrò a Taranto nella X Mas badogliana per conto della rete fascista di Pignatelli. Quando a Taranto poi giunsero i fascisti Cecacci e Bertucci, si spostò con loro a Penne dove incontrò i fratelli Console di Partinico, che in seguito costituiranno una cellula clandestina dell'RSI proprio a Partinico ed in stretta relazione con la banda Giuliano e con Selene Corbellino, spia della banda Kock e coordinatrice dei nazifascisti meridionali.
I rapporti della banda Giuliano con la mafia sono inoltre testimoniati dal documento Sis del 25 giugno 1947: dal '43 agiva sotto il controllo dei vari capifamiglia delle zona in cui operava: Vincenzo Rimi (Alcamo), Santo Fleres (Partinico), Domenico Albano (Borgetto), Salvatore Celeste (San Cipirello), Giuseppe Troia (San Giuseppe Jato), don Ciccio Cuccia (Piana degli Albanesi), don Calcedonio Miceli (Monreale). Furono proprio loro a determinare la fine delle altre bande criminali della zona e a voler partecipare all'elaborazione di strategie antidemocratiche:
«Mormini del Fronte - si legge in un lungo rapporto del Sis) - avrebbe dovuto raggiungere in Sicilia la banda Giuliano, a contatto anche con la mafia locale in parte a disposizione del suo gruppo».
Non è chiaro chi sia questo Mormini, ma il documento riportava che egli lavorava per il Fronte antibolscevico nell'isola, cioè per il "Nuovo comando generale" neofascista. Questa strategia stragista darà i suoi frutti nella strage di Portella della Ginestra, di cui Giuliano fu il principale responsabile; il suo rapporto con i fascisti e con le forze reazionarie del paese è ben esemplificato dal rapporto SIS (25 luglio 1947): "Salvatore Giuliano, un bandito fascista".
Le dichiarazioni del boss Antonino Calderone, divenuto in seguito collaboratore di giustizia, protagonista della guerra di mafia con la famiglia di Nitto Santapaola, dopo il suo arresto, avvenuto a Nizza nel 1986, gettarono nuova luce sul "Golpe Borghese" (si sarebbe dovuto realizzare la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970), sino allora considerato come un evento quasi folkloristico messo in atto da vecchi nostalgici ex-fascisti. Calderone spiegò per bene sia il meccanismo che regolava la commissione interprovinciale di Cosa Nostra e sia i rapporti tra mafia e neofascisti:
…Mentre Liggio si nascondeva a Catania, ricevette la visita di due capi dello spessore di Sa«lvatore Greco e Tommaso Buscetta…dovevano discutere della partecipazione della mafia a un colpo di Stato, il cosiddetto Golpe Borghese…si trattava di aderire ad un golpe militare che sarebbe partito da Roma…e il ruolo della mafia era di partecipare alle operazioni in Sicilia. Al momento stabilito, i mafiosi dovevano accompagnare nelle diverse prefetture della Sicilia, un personaggio che si sarebbe sostituito al prefetto. Il tramite con i golpisti era un mafioso palermitano…un certo Carlo Morana…un tipo un po' pazzo molto amico di Giuseppe Di Cristina…Si concluse di aderire al colpo di Stato…Mio fratello Giuseppe andò a Roma per incontrare il principe Valerio Borghese…Questi disse a mio fratello che voleva degli uomini per occupare le prefetture siciliane e imporre nuovi prefetti…e se qualcuno avesse fatto resistenza lo avrebbero dovuto immediatamente arrestare…Pippo ascoltò pazientemente…ma quando il principe arrivò a parlare degli arresti ebbe un sussulto. Giuseppe replicò scandalizzato che noi mafiosi non ci mettiamo a fare arresti…che cose di polizia non le facciamo…noi non arrestiamo nessuno…Se dobbiamo ammazzare qualcuno va bene, ma servizi di polizia non se ne fanno. Valerio Borghese convenne che gli uomini d'onore non avrebbero fatto arresti…avrebbero appoggiato le azioni di forza necessarie, affiancando i giovani fascisti catanesi, palermitani e di altre città, che già sapevano cosa dovevano fare».
Borghese aveva offerto in cambio la revisione dei processi in atto, riferendosi soprattutto al processo Rimi (che aveva già visto la condanna di Filippo e Vincenzo Rimi), proprio per questo si cercò di coinvolgere anche Gaetano Badalamenti, che aveva a cuore la sorte dei due Rimi Salvatore Greco "Cicchiteddu", Salvatore Riina, Gerlando Alberti e Giuseppe Calderone incontrarono a Milano Badalamenti spiegando quanto loro proposto dai fascisti di Borghese.
Al termine dell'incontro la mafia decise di rifiutare l'offerta ma la famiglia mafiosa di Alcamo si interessò autonomamente del progetto di "golpe", tanto che Natale Rimi, figlio di Vincenzo Rimi, a cui importava la revisione del processo a carico del padre e del fratello, era tra coloro che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970 si recarono a prendere le armi in una caserma militare di Roma (dettaglio stato riferito a Buscetta da Gaetano Badalamenti). Nonostante il "golpe" non fu mai messo in atto, le circostanze esposte da Buscetta coincidono con quelle di Antonino Calderone.
Dalle testimonianze di altri pentiti, per esempio Tommaso Buscetta (in sintonia con quelle di Antonio Calderone), emerse come la Sicilia, anche in quel periodo fu teatro di un intensi rapporti tra la Massoneria (es. l'allora Capitano dei Carabinieri Giuseppe Russo, massone,avrebbe avuto il compito di arrestare il Prefetto di Palermo), la mafia (gran parte dei nomi coinvolti nel tentato Golpe erano iscritti alla loggia massonica "P2" di Licio Gelli) e i neofascisti, tutti accomunati da un viscerale odio per i comunisti.
In tale contesto si inserì anche l'assassinio del giornalista Mauro De Mauro (16 settembre 1970), colpevole di aver scoperto l'alleanza (tentata) tra i boss mafiosi e i golpisti, oltre ad una serie di sporchi affari che vedeva protagonisti alcuni insospettabili uomini delle istituzioni italiane .
Il dossier pubblicato dagli storici Casarrubea e Cereghino dimostra che esiste un filo logico che lega numerosi oscuri episodi verificatori dall'8 settembre 1943 in poi. Episodi, questi, troppo a lungo trascurati sia dalla "sinistra" italiana che da molti storici...
giorgio - 20/8/2011 - 14:38
Il Ghibellino - 22/5/2012 - 16:44
Ohimè, temo essere di fronte alla solita idealizzazione e visione idilliaca del famigerato ventennio e del suo stato criminale, e che vuole essere, pertanto, sorda a qualsiasi documentazione / recensione.
Un'altra cosa poi che non ho capito sono i "presunti neofascisti solo a parole" (??), che io avrei menzionato.
L'uomo, si sa, è un essere parlante.. Un fascista, si presume, vorrebbe vedere realizzato il suo fascismo e può dichiararlo apertamente, come un comunista il suo comunismo, etc. Non tutti, presi individualmente, abbiamo sempre, ovviamente e per fortuna!, la capacità di tradurre le nostre parole in fatti.
Mah!
Forse per non "essere di sinistra" (che Iddio ne scampi!) bisogna ragionare così.
giorgio - 23/5/2012 - 09:06
Mi dispiace: Il fascismo, caro il mio Ghibellino, è qualcosa di molto ben preciso, e fa ancora capolino, col suo brutto grugno, anche nel "mondo di oggi" più spesso di quanto tu non creda; basta guardarsi attorno..
Buona giornata!
giorgio - 23/5/2012 - 09:08
Quel che è certo è che la mafia è un fenomeno criminale “carsico” e quando è sotto attacco è capace di sopravvivere a lungo nelle viscere della società. Non credo quindi che né Mussolini né altri prima e dopo di lui possano vantarsi di averla mai sradicata.
Anche perché è in una ben precisa mentalità antisociale, costantemente presente nel tessuto sociale italiano, al sud come al nord, che la mafia trova nutrimento e radicamento.
Bartleby - 23/5/2012 - 10:42
Qualche tempo fa mi trovavo nella sala d'aspetto di un ambulatorio medico. Prima di me c'era un ragazzo siciliano, un tipo molto gioviale ed affabile che faceva conversazione con tutti e giocava coi bambini presenti, guadagnandosi subito la simpatia delle mamme di questi. Dopo un po', qualunque cosa dicesse costui, l'uditorio quasi unanimemente annuiva e acconsentiva. Ad un certo punto il ragazzo - un palermitano, diceva lui - se ne esce dicendo pressapoco: "Eeeee, da quando alla mafia gli stanno addosso, giù non c'è più lavoro, è tutto fermo, così siamo costretti a venire a soffrire quassù!" E tutti (tutte, a dire il vero), "Eeeee già, poveretti, è proprio così!" Io mi permisi a quel punto di rompere la mia apparente indifferenza e dissi semplicemente una frase un po' fatta del tipo: "Ma se è la mafia il problema del Sud e del Paese!"...
L'uditorio annuì solo in parte, e con meno entusiasmo di prima (non ero io il più simpatico)...
Il ragazzo scrollò le spalle, tacque e per il resto del tempo (pochi minuti, per fortuna) continuò a guardarmi con un mezzo sorriso tra il sufficiente ed il cattivo...
Qualche giorno fa mi trovavo in una grossa azienda nel cuneese, in una zona che doveva essere molto bella prima di essere devastata da ecomostri, capannoni e pesticidi. Il padrone - piemontesissimo - era uno simpatico, alla mano, disponibile e anche competente. Ci siamo presi bene, gli ho fatto qualche complimento per come aveva organizzato le cose, insomma, si è messo a chiacchierare e ad un certo punto se ne esce: "Eeeee, certo che fino a quando qui non ci stavano col fiato sul collo come ora si lavorava molto meglio, e di lavoro se ne dava tanto... Adesso invece dobbiamo fare attenzione persino coi rumeni, pure quelli ce li controllano"... Non credo che l'intervento abbia bisogno di una traduzione...
Non ho detto nulla, ma ho chiesto lo scontrino per quanto acquistato...
Ecco la mentalità antisociale, paramafiosa, che percorre la nostra bella e devastata Italia da sud a nord, o viceversa.
Bartleby - 23/5/2012 - 15:35
Non c'era bisogno di farmi esempi avevo già capito l'antifona. Anch'io te ne potrei raccontare di cotte e di crude, tantissime: Ma credo che le manifestazioni pro-Ciancimino ("perché con Lui si lavorava") siano più che sufficienti.
D'altro canto è pure normale. 'Sta mentalità è solo un'ovvia conseguenza. Cambiando la struttura economica cambierebbero rapidamente i fatti di costume più o meno "carsici" di cui ti lamentavi. Ma è proprio questo il punto. Cos'altro riusciamo a produrre, noi, se non proiezioni utopistiche e .. moralismi?
E poi.. 'sta favola che lo stato combatterebbe davvero la mafia… sarebbe meglio dire, 'sta bella rappresentazione! (→ vedi Napolitano a Palermo a commemorare Capaci)… Lasciamo stare: Qui il discorso si fa lungo e complesso.
Riguardo il tuo tema "tutto storico": Il link sul Basile che hai postato non porta da nessuna parte. Probabilmente è questo o questo; dammi conferma. Non credo comunque che questo, come tanti altri approfondimenti, possano interessare il Ghibellino (e affini). Hanno già le idee più che chiare, loro.
giorgio - 24/5/2012 - 08:23
ci tenevo a spiegarmi meglio e facendo quei due esempi volevo ragionare sul fatto che la mentalità paramafiosa, brodo di coltura della Mafia vera e propria, è diffusissima al sud come al nord... Per anni, infatti, tanti ipocriti nordisti, in primis i leghisti (quelli che dicevano di essere duri & puri & onesti & incorruttibili), hanno preteso di far credere che la Mafia al nord giammai... E invece, proprio qui intorno alla mia Torino, ci sono amministrazioni comunali (come quelle di Leinì, di Rivoli, di Orbassano...) in cui nel recente passato le infiltrazioni mafiose sono state pesantissime... Per dirtene un'altra: solo ieri è stato commissariato il comune di Rivarolo Canavese perchè in odore di mafia... E non è che le infiltrazioni esistono solo perchè qualche criminale del sud si è spostato a fare affari al nord, no, esistono anche perchè politici locali, settentrionali di nascita o di adozione, di destra come di sinistra, chiedono i voti alle mafie per farsi eleggere...
Comunque, hai ragione tu, il discorso sarebbe lungo e complesso...
Quanto al link, a me funziona (*)... l'ho provato anche in questo istante... comunque anche i tuoi vanno bene...
Saluti
Bartleby - 24/5/2012 - 09:23
Sfidiamo gli antifascisti a negare che la mafia ritornò trionfante in Sicilia ed in Italia al seguito degli "Alleati" e degli antifascisti, in ricompensa dell'aiuto concreto che essa fornì per lo sbarco e la conquista dell'isola!"
Giovanni Falcone, pagina 103 del suo libro "Cose di cosa nostra".
Contro corrente - 24/5/2012 - 13:18
La cosiddetta "mafia" è ormai (e in un certo qual modo è sempre stata) una realtà trasversalmente mondiale. Certo, vi sono aree più degradate e depresse, e proporzionalmente al grado di depressione essa attecchisce, mostrando magari i suoi connotati più violenti. Ma quando o laddove non si spara e non corre il sangue, non significa affatto che non ci sia.
Quella siciliana (il nome sembra proprio venire da qui, ma è fin troppo cliché parlare sempre e solo di mafiasiciliana) alle sue origini aveva persino peculiarità positive.
Uno studioso della lingua araba, Antonio Di Gregorio, ha di recente sostenuto che -afia significa forza, abuso, prepotenza, ma con davanti la lettera M = Non (come a- l'alfa privativa in greco, cioè un'M avversativa) significherebbe non-abuso, non-forza, non-prepotenza. Cioè mafia significa far del bene, nel caso nostro: sostituirsi al potere dello stato dominante o del feudatario e alle sue leggi inique, etc. che fanno soprusi; e pertanto il popolo ritrovava nella mafia un'istituzione che li difendeva (A. Di Gregorio -Sichillia vol.I° pagg.110 e segg.). Era quindi la difesa della nostra “identità” di fronte alle colonizzazioni (un po' come sarà in seguito anche il brigantaggio), un modo di reagire sotterraneo (da società segreta) ma tutto “nostro” ai soprusi e alla tirannide delle varie dominazioni. Per questo il siciliano e il meridionale in genere “preferisce”, quasi istintivamente, la “sua” mafia alle altre (e che è poi quello che fa dire a voi nordici che "ce la abbiamo nel sangue" o nel DNA).
Poi diventò organo di potere, un po' come i soviet in Russia, sempre più lontano e avulso dal popolo (anzi esercitando su di esso un dominio coercitivo e terroristico) e sempre più integrato ad altri poteri. Quindi, come spesso è accaduto storicamente, prima il compromesso, seguìto da collusione, fino al tradimento vero e proprio del significato originale (inversione semantica).
Ma fino a Turi Giuliano mantenne ancora una vaga (e del tutto gratuita) eco di riscatto degli oppressi, da Robin Hood del Sud.
Il Giuliano prima della strage di Portella, ovviamente.
giorgio - 25/5/2012 - 08:17
giorgio - 25/5/2012 - 08:19
E io sfido i fascisti e i vari difensori dei "meriti" di quel regime a spiegarmi come faceva la "mafia" essendo stata eliminata o cacciata dal suolo siciliano a ritornarvi "trionfante" e a fornire "aiuto concreto" per lo sbarco e la conquista dell’isola -se, di fatto (come volete affermare) aveva perso ogni forma di controllo sul territorio.
giorgio - 25/5/2012 - 08:24
In ogni caso, anche lui, proprio nel passo giustamente citato da Contro corrente parlava di un "tentativo" ed usava un "ritornò trionfante" non certo nel senso che la mafia sotto i colpi di Mori fosse stata costretta a fuggire chissà dove... si era semplicemente ritratta, nascosta, rimanendo quiescente finchè le condizioni per riemergere non furono di nuovo favorevoli. Così ha fatto e fa sempre.
E ancora: furono davvero gli antifascisti ad incoronare di nuovo la mafia dopo il 43? Anche qui un approfondimento storico sarebbe d'obbligo... Dico solo che mi viene subito in mente un grande antifascista siciliano, partigiano, socialista, sindacalista: si chiamava Placido Rizzotto e la mafia lo ammazzò, ed il funerale è durato 64 anni...
Mi vengono in mente anche quelle migliaia di persone che il 1 maggio 1947 salutavano la rinata festa dei lavoratori a Portella della Ginestra: erano antifascisti e morirono in 11, spezzonati dalle armi dei sodali del principe Junio Valerio Borghese (nazifascista), dei servizi USA e dei latifondisti (mafiosi) siciliani.
Bartleby - 25/5/2012 - 08:24
Grazie agli "zii d'America"...
Lucky Luciano
Non mi risulta che Rosi (uno dei migliori che abbiamo avuto nel cinema) fosse estimatore del Fascismo.
Contro corrente - 25/5/2012 - 12:22
Che c'erano gli "zii d'America" lo si sapeva già (senza vedersi un pezzetto del film di Rosi del '73 sul famigerato L.L.). Ma non possono mica aver fatto tutto da soli. Sarebbe come dire che le brigate partigiane (o le fabbriche che si ribellarono al fascismo) erano costituite solo da fuoriusciti.
Quella che chiamiamo mafia, come dicevo a Bartleby, è un'organizzazione internazionale che, per motivi storici ha preso in prestito un nome siciliano che aveva ben altra origine. Dai suoi momenti più cruenti la possiamo definire anche un braccio armato del capitalismo che sa perseguire i propri scopi anche selvaggiamente, cioè senza porsi tanti scrupoli; un vero e proprio esercito illegale che può colpire anche laddove altri eserciti, e nemmeno i servizi segreti possono arrivare.
E temo sia ancora funzionale, soprattutto oggi che le (altre) guerre si fanno (o si farebbero) sempre per motivi più "nobili", quali "l'esportazione di pace e democrazia".
Quello cui oggi aspirano (aspirerebbero) le cosiddette istituzioni democratiche è che certi cambiamenti, anche quelli più stridenti, non producano scontri tanto cruenti, e che certe guerre (quelle loro) siano sempre le guerre giuste. (→ da qui le loro rituali celebrazioni "anti-mafia").
Ma non è sempre che gli riesce..
giorgio - 26/5/2012 - 12:29
E' in questo lungo periodo che la mafia siciliana allunga i suoi tentacoli in america e vi si afferma (la mafia americana per molto tempo non è stata altro che una filiale della mafia siciliana; dopo se ne staccò, ma le rimaneva fedele alleata, e successivamente ancora, divenne indipendente). ecco perche' la mafia siculo-americana, inizio' a collaborare con i servizi segreti americani gia' dal 1942, quando era necessario snidare le spie dell'asse in america! dopo i suoi servigi verso l'america continuarono nel prendere i contatti con la mafia dormiente in sicilia nel 1943, per organizzare un fronte interno antifascista, che avrebbe dovuto accelerare l'invasione e propiziare la caduta del fascismo! soprattutto avrebbe dovuto, caduto il fascismo, aiutare gli americani a governare in sicilia (sindaci, prefetti, e quant'altro, spesso scelti tra i mafiosi), e dopo allargare la rete delle connivenze, fino a dominare l'italia intera e l'europa! tutto questo e' puntualmente successo, ed e' durato, in nome della lotta al comunismo, fino al 1989 (fine del comunismo). nei primi anni '90, dinanzi ai cambiamenti storici, i poteri forti che stanno dietro l'america, hanno deciso di creare una nuova classe politico-economica, che fosse in grado, a differenza della precedente che aveva usurpato per 50 anni e ormai decrepita e inadatta, di gestire la nuova realta' storica che si stava creando!!! di qui la necessita' di far scoppiare tangentopoli, e di combattere sul serio, ma non per fini morali, quella che per almeno due secoli e' stata l'organizzazione criminale piu' potente del mondo, anche viste le sue collusioni con i poteri che contano (massoneria, capitalismo, n.a.t.o., ecc. ecc.): la mafia siciliana!!! ecco spiegato il motivo per cui la mafia, con tutto il fronte agrario, e con tutto quel potere politico-ideologico, affaristico e criminale che si sa, che ha dominato e domina l'italia, si è ripresa in sicilia nel 1943, e come conseguenza in italia (portella delle ginestre e terrorismo docet), fino a durare, più tracotante che mai, negli anni '90 (oggi il fenomeno è ridimensionato per i motivi detti; mentre la vecchia classe politico-economica è praticamente quasi scomparsa)!!! dunque caro giorgio, ritengo che sia tu a idealizzare e a non conoscere la storia, che vedi unicamente dal tuo distorto punto di vista ideologico!!! si', i cosiddetti "neofascisti", quelli per intenderci del terrorismo degli anni di piombo, e prima ancora tutte quelle organizzazioni nate nell'immediato dopoguerra in nome dell'anticomunismo, e che tu, o qualche tuo affine, hai menzionato (rileggiti i post che hai pubblicato e\o che altri hanno pubblicato!), erano dei fantocci dell'imperialismo u.s.a., della n.a.t.o., del regime democristiano (nato dalla resistenza!), di tutti i poteri forti e occulti che hanno dominato e dominano il mondo!!! altro che fascisti! infatti il fascismo combatte' una guerra mondiale proprio contro tutti questi poteri,oltre che contro il comunismo, in nome di ideali e valori che stanno agli antipodi (conosci, tra le altre cose che dovresti conoscere, j. evola? lo so che forse lo conosci solo per diffamarlo!)!!! questa e' la verita' storica inconfutabile! altro che idiozie! il mondo di oggi non e' per nulla fascista! esso e' stato creato da coloro che hanno vinto la guerra, non dai fascisti!!! per cui chi lo ha voluto si prenda gli i "meriti", ma anche i disonori: guerre, fame, poverta', ingiustizia, e quant'altro!!! basta con il nominare il fascismo per cose in cui il fascismo e i suoi ideali, per certi aspetti eterni, non c'entrano nulla ( si è arrivati al paradosso di definire gli ebrei "fascisti", quando massacrano i palestinesi; "fascisti" sono visti anche gli americani quando, con una scusa qualsiasi bombardano popoli inermi; al tempo stesso bin laden e la sua organizzazione sono considerati "fascisti"; la mafia, e le forze con essa colluse, era a "favore", secondo voi, di un ritorno del fascismo al sud, proprio, ironia della sorte, mentre i veri fascisti combattevano all'ultimo sangue contro quelle forze che stavano emergendo, e che dominavano gia' nel sud, proprio grazie alla caduta del fascismo (mafia, capitalismo, ecc. ecc.), ma che voi di sinistra, vi ostinate a definire inspiegabilmente "fasciste"!!! basta non se ne puo' piu' di questa ignoranza e malafede!!! basta!!! la tua ironia, che in realta' e' rabbia, non convince proprio caro giorgio!!! evidentemente è il tuo essere di sinistra che ti porta a sproloquiare così! tu non fai storia ma ideologia; un'ideologia estremamente pericolosa, proprio perche' finge di essere buona! a questo proposito mi vengono in mente le parole del grande nietzsche: "...pungono innocentemente, mordono innocentemente, come potrebbero essere buoni verso di me?". più o meno la frase è questa, riferita ai tanti falsi buoni, che poi sono piu' cattivi dei cattivi dichiarati, che imperversano, ieri come oggi!!! voi non sapete fare altro che definire "fascista" tutto il male di questo mondo, e non vi accorgete (miopi!) delle vere forze sataniche che dominano il mondo, e che sono l'antitesi di cio' che fu il fascismo e di cio' che e' e sara' tradizione!!! evola, guenon, schuon, savitri devi, ti dicono nulla???!!! ah certo, siete rimasti fermi alla lotta di classe dello zione marx, mentre le vere cause della tracollo morale, politico, economico, culturale e spirituale del mondo, vi sfuggono, nonostante la comprensione di esse sia a due passi da voi!!! preferite ancora oggi pensare al "cattivo fascista", che vi ostinate a vedere dappertutto!!! suvvia giorgio! suvvia!
Si da' il caso, caro giorgione, che le cose che hai letto, e qui riportato, sulla mafia, io, essendo sicilianissimo, le conosco meglio di te e di chiunque altro ( su quanto detto da bartleby sorvolo, il discorso e' lungo; ci sono cose condivisibili, altre meno! comunque lasciamo perdere!)!!! ti faccio presente che quando parlo di mafia, mi riferisco alla mafia propriamente detta, cioe' all'organizzazione criminale cosi' come la si conosce da due secoli, e che prima era tutt'altra cosa!!! queste cose da siciliano e da conoscitore della storia della sicilia, le so meglio di chiunque altro, te compreso!!! pertanto su cio' non aggiungo nulla!!! il male in genere, dalle sue manifestazioni piu' "banali", fino a giungere ai crimini contro l'uomo, dio e la natura, e' sempre esistito!!! perche' dunque denominarlo "mafia", come fai tu??? quello di cui parlate non e' mafia propriamente detta, ma male in genere! la mafia propriamente detta storicamente e' nata in sicilia, e proprio in virtu' di quanto hai detto, e che io ho sempre saputo, in origine, una origine che si perde nella notte dei tempi, era tutt'altra cosa, ossia rispecchiava le doti morali e logiche del popolo siciliano, a cui io mi onoro di appartenere!!! pensavi forse di aver rivelato chissa' quale misteriosa verita'???!!! eh povero giorgio quanto sei indietro!!! certo la mafia da due secoli a questa parte fa parte del male in genere! cio' non significa pero' che tutto il male in genere e' mafia; altrimenti non ci si capisce un tubo!!! non fate fare alla parola "mafia" la stessa fine della parola "fascismo"!!! ah vero per voi fascismo e mafia sono la stessa cosa!!! il vostro dramma e' che utilizzate termini specifici, che indicano particolarita' storiche, per denominare idee, morali, comportamenti, visioni del mondo e della vita, ecc. ecc., che nulla o poco hanno a che fare con quelle particolarita' indicate da quei termini specifici che spesso si riferiscono a precise epoche e\o a precisi territori (come nel caso della parola "mafia"), nati appunto per denominare qualcosa di particolare, e non questioni piu' vaste e infinitamente generali!!! chiaro il concetto???!!! ovviamente tali tematiche vanno approfondite! su giorgio! in fondo ti e' andata non tanto male!!!
Il Ghibellino - 13/7/2012 - 07:18
Il Ghibellino - 13/7/2012 - 13:11
CCG Staff - 13/7/2012 - 13:16
Cordial
Lucien Lane
Lucien Lane - 13/7/2012 - 13:40
Riccardo Venturi - 13/7/2012 - 15:30
Ho detto totale eliminazione? Mi correggo: mafia ridotta all'inattività e al letargo, in standing by in attesa ritorno zietti d'oltreoceano.
Agli admins
Lasciate al Ghibellino, vi prego, le sue maiuscole. Credo che sia un modo per caricare della giusta enfasi i suoi argomenti. Del resto dicono che, quello che presumo sia un suo idolo, il Benitone da Predappio, se non le avesse GRIDATE, dal suo balcone, le sue roboanti frasi storiche non avrebbero sortito alcun effetto...
giorgio - 13/7/2012 - 17:23
Gian Piero Testa - 13/7/2012 - 18:43
Torno a ripetere: la mafia propriamente detta, fu quasi del tutto eliminata; gran parte dei suoi affiliati finì al fresco o fuggì; anche moltissimi collusi fecero la stessa fine! In conclusione essa, in quanto tale, rimase diversi anni nel silenzio e nella clandestinità! E questo fu un risultato notevolissimo raggiunto dal fascismo! Certo non tutti finirono in carcere, ma rimasero immobili, fermi, dormienti, innocui per la società! Come quei virus che sono presenti nell'organismo, ma rimangono latenti, ossia non arrecano alcun danno, ma possono arrecarlo se dovessero presentarsi le condizioni buone! E queste "condizioni buone", per la mafia si presentarono nel luglio 1943 (contatti segreti comunque c'erano stati anche prima), con l'arrivo in forze degli "amici degli amici" giunti dall'America, e con l'arrivo della potenza americana al servizio delle Forze Oscure che dominano il mondo, con tutto il seguito che si sa!!! Se continui a far finta di non capire, io miracoli non ne posso fare!
Come vedi signor Giorgetto, mi riferisco alla mafia propriamente detta, cioè ai suoi affiliati diretti, ed anche ai collusi più stretti del mondo della politica, dell'economia e quant'altro! Poi ovviamente ci sono e ci sono state, forze politiche, economiche, sociali, culturali, ecc., che hanno fatto affari con la mafia, che con essa hanno mantenuto rapporti semiinvisibili, con un piede dentro e uno fuori, pronti a togliere il piede al momento giusto, per poi rimettercelo al momento buono! Queste forze è molto più difficile, ma non impossibile, individuarle, proprio per la loro natura sfuggente (spesso la loro condotta si basa sulla celebre frase de "Il Gattopardo": "Facciamo che tutto cambi, in modo che tutto rimanga com'è!". Bisogna vedere sotto il fascismo, in che modo e in che misura riuscirono in questo. Questo è però un altro discorso, non riguarda la mafia propriamente detta); e queste continuano a vivacchiare e a riciclarsi continuamente, sotto qualsiasi regime o governo, fascismo, democrazia e quant'altro! Non parliamo poi dell'immensa massa di indifferenti, arrivisti, menefreghisti, comodisti, mentalità ottuse e retrograde, opportunisti e delinquenti, ecc.! Insomma la mafia si nutre del male in genere, e il male in genere si rispecchia anche nella mafia, ma per favore, non mescoliamo le due cose! Capito Giorgetto?! Ovviamente tali "forze" di cui ho parlato, stanno parecchio sotto le elites delle Forze Oscure che dominano il mondo (Massoneria, Alta Finanza, Banche, Multinazionali, Società esoteriche ecc. ecc.), e sono quindi altra cosa!
Ovviamente per quanto concerne il fascismo, va spiegata in altra sede la relazione tra questo, la borghesia, il mondo liberale o ex liberale e quant'altro! Noi qui stiamo parlando di mafia propriamente detta!
Sinceramente egregio Giorgino, io non ho bisogno di caricare di enfasi quanto dico; è la giustezza del mio ragionare e dei fatti che porto a sorreggere il tutto, non c'è bisogno di enfasi! Il tuo sarcasmo è tipico dei deboli! Il "Benitone da Predappio" non è il mio idolo, è soltanto un personaggio storico che rispetto, senza comunque negare eventuali suoi errori! Magari oggi ci fossero personalità simili a quella di Mussolini, con quel carisma e quell'intelligenza, ma anche con quella onestà e tanto altro! L'Italia andrebbe sicuramente meglio! Voi però per partito preso dovete per forza condannarlo, così come condannate tante altre cose dall'alto della vostra boria e finto perbenismo e inutile sarcasmo da operetta!
Prova tu, mister Giorgino, a dimostrare con argomenti validi che mi sto sbagliando, che la mafia continuò ad imperversare sotto il fascismo, e che nulla cambiò, anzi potere del fascismo, della mafia e quant'altro erano la stessa cosa! La sfida te la lancio io! Vediamo se riuscirai a fare un discorso serio, o invece caricherai di enfasi i tuoi discorsetti per darle più forza, magari urlando dal balcone di casa tua, come "Benitone da Predappio"!!! Così "Dì forte, dì forte, si che paia vero", sarò io a dirlo; altrimenti te lo dirà il signor Gian Piero Testa, dall'alto del suo trono e della sua "sapienza"!!! Ma tra amici questo non succede! Non è vero signor Testa?!
Il Ghibellino - 14/7/2012 - 01:27
Infatti, pur partendo anch'io da un pre-giudizio che sempre nutro tra me e me: che cioè il fascismo sia stato grande maestro di propaganda, e che di fandonie ne abbia somministrate ben più d'una agli Italiani (cosa indispensabile a qualsiasi regime totalitario), mi sembrava non metodicamente fuorviante la diffidenza verso affermazioni drastiche, come quella che accredita Mussolini come sradicatore della mafia siciliana. Ma il fatto che abbia realmente messo in campo forze e azioni intese a restringerne l'influenza e a dominarla, specialmente negli anni di costruzione del "regime", non contrasta per nulla con il permanere di una mia (e non solo mia) diffidenza circa i risultati conclamati. E' nota l'ostilità di Mussolini, durante la fase della fascistizzazione del Paese, per tutto ciò che vi fosse di organizzato (non solo, ovviamente, il movimento operaio: ma anche l' Azione Cattolica, la massoneria, l'esercito realista, il mondo accademico, addirittura gli scout) e avesse abbastanza forza da non farsi assimilare. La mafia siciliana, peraltro, era stata funzionale ai regimi parlamentari precedenti, e non aveva per nulla contribuito all'affermazione del Fascismo, che nei suoi primi inizi fu movimento squisitamente "padano". Quale meraviglia, allora, se negli anni Venti Mussolini l'abbia affrontata violentemente e, in stile fascista, lasciato carta bianca alle forze di polizia? Ma io domando: è sufficiente riverberare su tutto il periodo fascista quell'esordio energico fino alla brutalità e all'illegalità di Stato? Sarebbe come decidere della politica del cosiddetto duce nei confronti del Vaticano sulla base dell'anticlericalismo primitivo del movimento e della sorte dell'Azione Cattolica: non riusciremmo a venire a capo del Concordato... Allora, mi chiedo: è possibile sapere qualcosa, oltre ai villaggi assediati e agli arresti indiscriminati, circa la sorte dei padrini delle cosche siciliane? Intendo riferirmi a qualche nome illustre, a qualche notabile influente. Non dico questo per negare: lo chiedo semplicemente perché non lo so.
E mi sento legittimato a chiederlo, in quanto anche a me, che non sono certo uno specialista, risulta che, al momento dello sbarco alleato e negli anni immediatamente successivi, la mafia si rivelò piuttosto viva e vegeta, e pronta a nuove alleanze e a imporre nuovi condizionamenti e/o ricatti politici. Se fosse stata sgominata, come si dice, come ha potuto essere così da subito pronta a interferire nelle vicende post- belliche? Non è forse più ragionevole ipotizzare che, finiti i primi fuochi d'artificio e superati gli iniziali contrasti tra il Fascismo sovversivo e quello in via di istituzionalizzazione, si sia approdati a qualche compromesso tra i mafiosi e il regime?
Su questo snodo mi aspettavo di veder focalizzato questo dibattito, il quale si svolge tra persone che sembrano intendersene del problema. Insomma, mi aspettavo che affluissero su queste pagine fatti, nomi, argomenti, ipotesi più proprie a un un confronto tra cultori di storia che a un talk-show televisivo.
Gian Piero Testa - 14/7/2012 - 12:21
Al Guelfo.. Pardon. Al Ghibellino.
Non ti stavo "sfottendo"… Cercavo solo di spiegarmi la tua necessità di scrivere tutto in maiuscole. Sei semmai tu che ti prendi con me libertà di "vezzeggiativi" (in chiaro odore di "sfottò"), quando non è proprio possibile che abbiamo fatto il militare assieme, in quanto mi onoro essere stato obiettore.
E lasciamo perdere, per favore, Nietzsche, Zarathustra e il ressentiment tipico dei lillipuziani, per cortesia. A meno che non stai descrivendo te stesso: Non hai bisogno di enfatizzare i tuoi argomenti? E allora perché usi lettere maiuscole e tanti esclamativi? Se avessi dalla tua parte veramente "la giustezza del tuo ragionare e dei fatti che porti" non avresti certo bisogno di scalmanarti tanto.
Quanto finora hai scritto e ribadito è solo un'accozzaglia di luoghi comuni (peraltro triti e ritriti) di una ben precisa corrente politica. "Mafia propriamente detta"?. Perdonami, detta da chi? Sicuramente è esistita ed esiste la "mafia" e le "mafie" (in tutto il mondo!). Ma quella che chiamiamo comunemente così sono pesci piccoli a cui fanno sporcare le mani spesso, ahimé, anche di sangue per riempirgliele d'oro e di altre "garanzie". Insieme ai pesci piccoli ci stanno a volte, è vero, anche boss storici e notabili vari ma sempre in fase tramontante e in serie difficoltà. Lo stato ("democratico" o non) con le sue istituzioni dà puntualmente il colpo di grazia a chi è già in agonia, e invece protegge, legittima e garantisce il potente che è invece all'apice della sua "fortuna". E questa è la cosiddetta "lotta alla mafia" tanto decantata dai media e da manifestazioni istituzionali. Ai tempi del famigerato ventennio i piccoli cocci (marionette dei boss) venivano inesorabilmente gettati in galera, o, peggio, condannati a morte e con essi anche tanti innocenti. Senza appello. Perché quel regime criminale, per definizione, "non commetteva errori giudiziari".
Sorvolo sulle altre tue provocazioni finali. Si giudicano da se.
Buon sabato a tutti. Anche al Ghibellino, :-)
giorgio - 14/7/2012 - 15:15
Riccardo Venturi - 14/7/2012 - 17:22
Naturalmente la testimonianza, che ci viene dal 1901-1904, non tocca il centro della questione qui dibattuta, la quale ha preso le mosse da avvenimenti posteriori di una ventina d'anni almeno. Però è più che sufficiente a farmi porre alcuni interrogativi, affrontando i quali i dialoganti potrebbero riportarsi, credo, su di un terreno metodologicamente più sodo.
Nel quadro sommario delineato da Bolton King, la mafia appare come un'organizzazione criminale della Sicilia rurale, né molto diversa da altre similari diffuse nell'arretrato mondo agricolo dell'area mediterranea, né particolarmente estesa; ma ciò nonostante resa pericolosa anche a livello nazionale per essere funzionale, da un lato, ai ceti possidenti dell'isola, che coadiuva nel controllo e nello sfruttamento delle masse povere, e, dall'altro, al ceto politico romano, che se ne serve per assicurare il successo dei candidati governativi. Ovviamente, fra i tre soggetti in questione, l'intrinsichezza e lo scambio di benefici sono la regola basilare, cui non si deroga neppure se ci sia da violare ogni legge penale.
Tra la situazione descritta e le imprese del prefetto Mori passano, dunque, più di vent'anni: durante i quali, come fatti principali indicherei il suffragio "universale" e, nientemeno, la prima guerra mondiale. Fatti certamente capaci di modificare in gran parte l'ethos politico e nazionale dei Siciliani: ma non credo anche le condizioni strutturali dell'economia e della società dell'isola, semplicemente perché, in un'area tutto sommato periferica del Paese e vocata, per vocazione delle sue classi dirigenti, al conservatorismo, non penso ci sia stato sufficiente tempo (né molte occasioni) per radicali trasformazioni strutturali. Questo è, tuttavia, un aspetto che chiedo a chi ne sa di più di illustrare con i suoi dati, se ne ha.
Se, come mi viene da assumere, la situazione siciliana agli inizi degli anni Venti non si presentava radicalmente diversa da quella di vent'anni prima, scontando pure che in qualche corrente più "sovversiva" di un Fascismo ancora vicino ai suoi esordi ci potesse essere un qualche fine di riscatto sociale e di "emancipazione" dalla mafia, propendo a valutare come prettamente politica l'azione affidata da Mussolini al Mori. A un ceto possidente abituato a contare sulla mafia e sul gioco parlamentare romano per salvaguardare e coltivare i propri interessi, il Fascismo deve avere dato, attraverso le gesta del Mori, un bel chivalà, per fargli intendere con chi da allora in poi avrebbe dovuto compromettersi.
Risulta, dalla nota in wikipedia che Riccardo ha suggerito di leggere, che abbastanza rapidamente l'ala fascista "sovversiva" fu fatta fuori in Sicilia; e che, abbastanza presto, il Mori fu invitato a smetterla, risultando il problema ormai "risolto"; mentre altre testimonianze più tarde garantiscono che le intimidazioni mafiose, comprese le uccisioni, proseguirono imperterrite. Si potrebbe saperne di più su questi aspetti?
Al momento dello sbarco alleato (che notoriamente fu preparato anche con intese con la mafia) non si ha notizia che il Fascismo avesse modificato i rapporti di forza e di proprietà tra le classi dell'isola: per questo, emigrazione africana a parte, non si può ipotizzare che il perpetuarsi delle condizioni miserevoli dello strato rurale e minerario povero non abbia richiesto il consueto controllo, o poliziesco, o mafioso. Se la mafia in quanto organizzazione ha avuto meno da fare durante il periodo fascista (cosa per me da appurare), ciò si potrebbe spiegare col fatto che il Fascismo l'abbia egregiamente surrogata, sia nei fini sia nei mezzi.
Ecco, secondo me, queste sono questioni sulle quali potrebbe continuare la discussione. Io non ho molto tempo per dare un contributo serio: ma chi ha già molto approfondito la conoscenza del tema potrebbe portare i suoi risultati. E gliene sarei infinitamente grato.
Ecco il passo di Bolton King:
«La Mafia in Sicilia ha quasi del tutto perduto il suo mistero, e con quello, è da sperare, il suo fascino. Recenti rivelazioni l'hanno ridotta a ciò che è in realtà, ossia ad un'associazione a scopo di estorsione, quasi così sordida e malvagia come la Camorra. Ci è per altro un senso svisato della parola, in cui può essere intesa per una "forma degenerata di cavalleria". Tradizioni, le cui origini si perdono nella storia, han fatto della vendetta una legge sacra in Sicilia; e nelle piccole città dove l'un coll'altro si è sforzati a uno stretto contatto, e le contese dei vicini sono molto violente, un uomo "si fa rispettare", vendicando un'ingiuria o un atto di spregio mediante qualche delitto appena celato, coll'assassinare l'offensore o insultarlo nell'onore della sua famiglia, col rapirgli il bestiame, o recidergli le viti. La Mafia esprime il generale sospetto della legge pubblica, qualche volta esercitando una rozza forma di giustizia fra i suoi affiliati o regolando i loro affari. La pubblica opinione protegge il delinquente, e la potente legge non scritta dell' "omertà" ritiene disonorato un uomo se si adopera a consegnare alla giustizia l'assassino o il predone di bestiame, e lo spinge a spergiurare o ad andare in carcere per la vita, anziché incolpare un altro. In questo senso lo spirito della Mafia è comune alla gran massa dei Siciliani, fuori delle grandi città, specie tra i contadini più per bene; ma questa è una tradizione sociale piuttosto che un'organizzazione, ed è tutt'altro che limitata alla Sicilia.
Nel suo vero senso, per Mafia s'intende un numero di piccole bande o "cosche" (carciofi), i membri delle quali si tengono stretti l'uno all'altro precisamente come le foglie di un carciofo. Di rado, una banda è composta di più di una dozzina di membri, guidati da un delinquente sperimentato, che per altro, tranne nelle grandi occasioni, si astiene dal lavoro attivo, quando la sua reputazione di ribelle alla legge è abbastanza alta, e delega le operazioni pratiche della banda ai suoi membri più giovani. La Mafia appena può ritenersi un'associazione segreta, come quella che quasi certamente non ha né riti né formule d'iniziazione, e ci è poca o punta organizzazione comune fra le diverse bande.
Essa è una specie di aristocrazia criminale, di rado pigliando i suoi membri dai molti poveri, generalmente della classe dei piccoli proprietari e dei minuti negozianti. Alle volte, i suoi capi stanno in una buona posizione sociale, e i sui "latifondi" è spesso adoperata dai gabellotti come parte dei loro meccanismi per smungere i contadini. Abitualmente vive di estorsioni praticate nella maniera più dolce e cortese; e ricorre al furto e all'assassinio solamente quando la necessità richiede d'intimidire qualche raro individuo, che si rifiuta al tributo o punire un tradimento nelle sue file.
La vera Mafia non è un fenomeno molto terribile in sé stesso. Il numero delle bande non è forse grande; appena esiste nella parte orientale dell'isola, e nelle grandi città non ha serio sviluppo. Forse solo nei villaggi attorno Palermo e nelle provincie solfiere di Girgenti e Caltanissetta, essa è nel suo rigoglio completo. Il pericolo risiede nei suoi rapporti colle classi ricche e col Governo. E' tradizione fra i nobili siciliani di rendersi "rispettati", intervenendo presso le autorità a favore dei delinquenti del loro distretto. Spesso un ricco proprietario paga un tanto per salvare un danneggiamento delle sue vigne e del suo bestiame. Ma, d'altra parte, il tributo cava più sangue di un'eventuale razzia, e perciò la complicità del ricco è dovuta in sostanza a fini politici. La Mafia, come la Camorra, ha fatto largo uso dell'urna elettorale, specie dopo l'allargamento del suffragio. Dove la Mafia è potente, non è possibile a un candidato di vincere in un'elezione politica o amministrativa se non le assicura la sua protezione. E così ha patroni nel Senato e nella Camera che l'adoperano per fini politici e peggiori, e il Governo ha le sue ben intese relazioni coi grandi elettori "mafiosi". Alle bande sono lasciate libere redini; hanno licenze per porto d'armi, che sono negate a onesti cittadini, e ben conoscono che non saranno molestate nelle loro discrete estorsioni, posto che in cambio terrorizzino gli elettori di opposizione, e così con la loro ingerenza mantengano liberi i seggi pei candidati ministeriali. Questa mano invisibile, che è in Roma, paralizza la polizia, la quale forse è anche disposta alla connivenza. Ha ereditato, infatti, le tradizioni dei funzionari borbonici, che permettevano l'impunità e l'oblio dei piccoli misfatti, sempre che i grandi delinquenti sapessero astenersi da scandali troppo clamorosi. Ma se un funzionario più energico e onesto dei suoi compagni riesce a porre una forte mano sulla Mafia, si vede sconfessato dai suoi superiori e traslocato in qualche punto remoto.
Gli scandali del processo Palizzolo, e di quello di diffamazione contro il De Felice del 1900, hanno fatto il giro d'Italia e distrutto quel poco che rimaneva di fede in un onesto Governo e in una giustizia imparziale. Niente è più sinistro nella vita italiana dell'alleanza tra Mafia e Governo allo scopo di aiutare i malfattori altolocati. Sotto il loro riunito patrocinio, i consiglieri comunali e provinciali apertamente abusano del controllo che hanno sul danaro pubblico, per empirsene le tasche. A Palermo i proventi del dazio di consumo vengono meno, perché il Consiglio comunale permette ai suoi amici un contrabbando lucroso; e, quando nelle elezioni amministrative del 1900 i Socialisti cercarono di eleggere uomini impegnati a reprimere lo scandalo, la polizia consentì a gente di malaffare, amici del partito al potere, di portare armi e intimidire gli elettori. La prova più manifesta di tale brutto gioco è venuta alla luce nel processo Palizzolo, non ancora terminato. Nove anni fa il Notarbartolo, direttore del Banco di Sicilia, scoprì alcune frodi da parte del suo collega Palizzolo, e inviò un rapporto segreto dei fatti al Ministero del commercio. Pochi giorni dopo ebbe la sorpresa di sentir leggere il suo rapporto in una riunione del Consiglio direttivo. Era questo sparito misteriosamente dal Ministero ed era pervenuto nelle mani del consigliere accusato. Trascorse una o due settimane, e il corpo del Notarbartolo fu trovato con una ventina di ferite, sulla ferrovia, venti miglia lontano da Palermo. La polizia, come poi è stato provato, ebbe degl'indizi molto seri per ritenere che l'assassinio era stato commesso da alcuni "mafiosi" molto noti; ed erano conosciute le relazioni del Palizzolo con la Mafia. Ma il Palizzolo era deputato: e, dopo non molto, gli fu data una decorazione dal Di Rudinì. Gli scandali bancarî di Roma e di Napoli avevano recentemente colpito tutta l'Italia, e i malversatori, che avevano predato il Banco di Sicilia, temevano che qualcosa potesse venire a luce se gli assassini del Notarbartolo fossero stati deferiti alla giustizia. Essi seppero premere sul Governo, e quindi le prove furono soppresse, il delitto messo a tacere, e non prima di sei anni dopo, e in seguito alla perseveranza del figliolo dell'assassinato Notarbarolo, le autorità furono costrette a consegnare alla giustizia Palizzolo e i suoi complici. La condanna del Palizzolo e dei due suoi complici ha rinforzato la fiducia nella magistratura italiana, ed è sperabile arrecherà un serio colpo alla Mafia per quanto forte essa sia ancora». (Bolton King e Thomas Okey, L'Italia d'oggi, 2a ed. italiana, 1904, Laterza, Bari p. 184-190)
Gian Piero Testa - 15/7/2012 - 15:17
Lei parla di "dati" e di "abbassare i toni", ma in una discussione via computer, non è che per ogni parola che si dice si può fornire l'indicazione bibliografica, come in un libro? Poi bisogna ragionare con la testa e non riportare, con tutto il rispetto, frasi e pezzi di libri, così senza un minimo di riflessione e senso critico! Non sempre gli studiosi hanno ragione, e questo per vari motivi. Comunque anch'io sono in grado di fornire indicazioni bibliografiche! Ribadisco però che questo non basta! Tra l'altro, spesso la verità è talmente ovvia e facile da capire, che non è necessario riportare frasi altrui; il problema è però che spesso non si ragiona con il cervello, ma ci si fa guidare da idee preconcette, per partito preso, figlie di ideologia e non di ragionamento sereno e obiettivo. Questo non lo dico solo nei confronti del signor Giorgio, così fintamente buonista e fazioso, ma anche nei suoi, perché da quello che dice e da come lo dice, si evince, tra le altre cose, un certo sentirsi superiori, mascherato da finta calma e neutralità.
Lei parla di "propaganda del fascismo"; ma signor Testa, non sa che la propaganda è stata sempre presente in qualsiasi epoca e sotto qualsiasi regime, compreso quello democratico?! Anzi mi sa che in fatto di propaganda le democrazie hanno sempre superato quella del fascismo, a partire dalla suprema menzogna, propinata dalla Rivoluzione francese, ammirata anche dai marxisti, che "i popoli si autogovernano con la democrazia". Come vede le fandonie servono più ai figli della Rivoluzione francese (marxisti e democratici), che non al fascismo. Si ricordi poi che le fandonie, molto più gravi e numerose, che le democrazie e i comunismi hanno propinato alle masse, fanno davvero vomitare! Altro che "fandonie fasciste"!
Il fatto che Mussolini abbia messo a tacere la mafia, è un dato storico, che solo chi non vuol vedere non vede. Io ho già spiegato come ciò avvenne e perché avvenne; se si continua per partito preso a dire che questo "è falso", io non posso più fare nulla (in merito le consiglio, così a mo' di esempio, la lettura de "Il fascismo e la lotta contro la mafia", del prof. G. Tricoli, edito dall'I.S.P.E.S.). Poi, con obiettività, ho detto che un certo potere socio-economico, in parte colluso con la mafia, continuò a vivacchiare anche sotto il fascismo, "aderendo" al regime solo per i suoi interessi, ma pronto a tradirlo al momento giusto (non si dimentichino però le enormi realizzazioni sociali volute dal regime a favore del proletariato, presi anche contro il volere di tale borghesia ex mafiosa o paramafiosa che dir si voglia, e sostanzialmente antifascista). Questa "adesione" costituì una zavorra per i veri ideali sociali del fascismo (si pensi a quel fascismo sansepolcrista delle origini, ripreso dalla R.S.I., e alle polemiche interne al regime, tra l'ala socialrivoluzionaria e quella che potremmo definire più "destra borghese" che fascismo vero e proprio), improntati, tra le altre cose, sull'anticapitalismo e sull'andare verso il popolo. Ovviamente tale discorso andrebbe approfondito!
La mafia è sempre stata, tra le altre cose, influenza sulla politica per fare i propri interessi, a prescindere da ogni ideale, e al di là di chi ci fosse al potere. Tutti quei partiti e uomini politici che non hanno combattuto la mafia o che si sono accordati con essa, inevitabilmente hanno rinunciato alla loro vera autorità politica, e di conseguenza l'hanno fatta perdere allo Stato e al governo: chi fa accordi con la mafia rinuncia a fare vera politica in nome di ideali, e cede la sua autorità e quella del suo partito, e se è al potere anche quella del governo e dello Stato, alla mafia e a tutti quei poteri ad essa connessi! Si pensi alla realtà siciliana prima dell'avvento del fascismo, e dopo la sua caduta, fino ad arrivare agli anni più recenti: l'autorità dello Stato è stata estromessa, in quanto gli accordi tra mafia e mondo politico-economico e sociale, hanno sostituito l'autorità statale: lo Stato non ha più alcuna influenza su quel territorio, dove si è costituito un vero e proprio regime sotterraneo, rappresentato appunto dalla mafia e dagli altri poteri forti presenti in quel territorio (anche se in circostanze storiche più vaste, che esulano da quel territorio, ad es. la Guerra fredda, è stato lo Stato, con tutti i poteri forti mondiali che davvero contano, che ha utilizzato la mafia).
Ora io vi chiedo: come poteva essere possibile, considerando ciò che ho detto, che un regime totalitario, fondato sul culto dell'autorità dello Stato, fortemente nazionalista, che non ammetteva concorrenza di chicchessia, potesse ammettere l'esistenza in un certo territorio di forze che estromettevano, essendo uno Stato nello Stato alternativo al vero Stato, la sua autorità, impedendole di realizzare i suoi propositi???!!! Ciò non poteva essere possibile, e infatti non lo è stato, per i motivi messi in evidenza. Nella democrazia pre e post fascista invece ciò è stato possibile, perché in Sicilia chi rappresentava lo Stato e i vari governi e partiti, tranne delle eccezioni, non aveva il culto dello Stato, né lui e neanche il suo partito! Questa è la fondamentale differenza tra fascismo e antifascisti. Non parliamo poi del fatto che la cricca politico-affaristico-mafiosa, non poteva influire sui politici fascisti, dal momento che essi venivano nominati nelle loro cariche, non tramite elezioni "popolari", spesso influenzate da tale cricca (voti di scambio), ma dal governo fascista direttamente. E tutto questo è durato non solo negli anni di costruzione del regime, ma per tutta la sua durata: il pericolo sarebbe sussistito sempre, perché dunque permettere alla mafia e complici di continuare ad esistere anche dopo?! Riguardo a certo potere economico-sociale che aveva avuto una certa collusione con la mafia, e che si riciclò sotto il fascismo fingendosi fascista, si consideri quanto detto sopra!
Dunque i suoi dubbi, signor Testa, sono assolutamente infondati!
Sui "padrini" le dico che finirono o in carcere a vita come V. Cascio Ferro (assassino di Petrosino), o caddero in disgrazia come don C. Vizzini, al quale furono sequestrati tutti i beni (anche lui fece un po' di carcere), o fuggirono in America. Le ricordo che la mafia sia in Sicilia che in America collaborò con gli Alleati in funzione antifascista!
Eh no, signor Testa! La mafia per sua natura contrastava con il fascismo, quindi andava combattuta ad ogni costo; l'Azione Cattolica, al di là di qualche polemica, no, poiché in sé e per sé il fascismo non era contro la religione. Dunque ciò che lei dice in merito è fuorviante.
Torno a ripeterle: la mafia (quel po' che era rimasta nascosta e inattiva) e tutto il fronte agrario, rialzarono la testa grazie all'enorme appoggio ricevuto dagli U.S.A.: sindaci, prefetti, capi provincia e quant'altro, erano mafiosi nominati dagli americani, con l'avallo delle forze antifasciste. Questa politica non la adottò il fascismo, ma l'America ed i suoi servi democratici italiani! Non lo dimentichi! Sa che i mafiosi, liberati dagli Americani e dagli antifascisti, dalle carceri in cui il fascismo li aveva messi, per premiarli della loro fede antifascista, furono migliaia! Dunque come non poteva riprendersi la mafia? Essa si è ripresa non perché continuò ad esistere durante il fascismo in virtù di inspiegabili accordi, ma perché fu ingozzata dagli Americani e dagli antifascisti, di potere politico ed economico; quindi sono loro che l'hanno legittimata non il fascismo, in vista anche dei loro progetti futuri! Ha presente quei virus che sono nel corpo umano, ma finché si prendono delle medicine essi se ne stanno buoni? Bene, se lei smette di prendere le medicine e continua ad infettarsi con altri virus, è logico che tali virus esploderanno fino a crearle la malattia! Spero che abbiate capito! Ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire!
Il Ghibellino - 16/7/2012 - 08:29
Se continua ad identificare la mafia con tutti i poteri forti, crea soltanto confusione! Le ricordo che spesso i poteri forti che detengono il vero potere mondiale, in Italia hanno fatto ricadere la colpa dei loro crimini, esclusivamente sulla mafia, dopo averla utilizzata, in modo che si parlasse solo di mafia, e non si arrivasse a loro! Continui pure a fare il loro gioco! Mescoli pure le carte! Io non ho più nulla da dirle, dal momento che insiste con le sue sciocchezze da talk show, per parafrasare il suo amico Testa! Si rilegga quanto ho scritto fino adesso!
Le cose si possono anche dire con enfasi, ma questo non inficia la sostanza di ciò che si dice! Lei invece finge calma da bravo signorino di sinistra, e poi sfotte in maniera non tanto velata, come un perfetto "lillipuzziano".
Comunque W Nietzche eppure Zaratustra! Maestri di vita.
Ciò che lei afferma, signor Testa, nell'introduzione all'articolo dello storico britannico, al di là di diverse inesattezze e opinioni sue personali sbagliate, frutto del suo essere di parte, contiene una sia pur vaga verità, che io ho ripetuto continuamente. Dunque rimando a questo proposito (lotta alla mafia intrapresa dal fascismo, rapporto del fascismo con la nobiltà e borghesia terriera) a quanto detto nei post precedenti! Consiglio vivamente la lettura dell'opera di G. Tricoli, edita dall'I.S.P.E.S: "Il fascismo e la lotta alla mafia", in cui vengono spiegati con chiarezza proprio le questioni che lei pone!
Ho dato una lettura veloce all'articolo del britannico; tuttavia, al di là di qualche intuizione e di qualche corretta osservazione, così ad occhio, non credo che l'autore di questo articolo abbia capito fino in fondo cosa era la mafia, né la Sicilia! Lei, signor Testa, ha riportato tale articolo, perché è confacente alle vostre idee! Nulla più. Comunque se ho tempo, lo leggerò con più attenzione.
Il Ghibellino - 16/7/2012 - 09:51
Prima di consegnarmi alla piccola chirurgia, mi preme solo di rilevare tre punti, non so se a vantaggio o a svantaggio di Ghibellino, perché, da quel buonista che sono anch'io, non mi divertirebbe che l'affanno e l'ira con cui s'intriga di questioni, che necessitano di calma e ragionevolezza per essere sviscerate, gli facessero superare per mia colpa certi limiti di guardia, con detrimento anche delle sue arterie.
Preciso:
- Ho scelto la citazione di Bolton King, non perché faccia il mio gioco (non sto neanche giocando, io), ma proprio perché il suo background è perfettamente estraneo al mio, e poteva pertanto costituire un terreno abbastanza condivisibile per individuare non delle conclusioni, ma degli interrogativi. L'ho fatto appunto per evitare quell'accusa che adesso mi vedo inopinatamente rivolta.
- Non c'è nessun bisogno di inneggiare a Nietsche o a Zaratustra, perché non credo che qui ci sia nessuno che li voglia spregiare. Al massimo si spregiano le caricature che (ma non è successo solamente a loro) i loro sedicenti proseliti ne hanno fatto a loro proprio uso e consumo.
- Mi vedo anche imputato di un atteggiamento di "superiorità" (che peraltro non dovrebbe indignare uno pseudo-nicciano...), quando, da parte mia, più di una volta ho ripetuto di non essere uno specialista, di non essere informato a fondo, di essere qui per imparare, eccetera; mentre Ghibellino, richiamandosi alla sua sicilianità pretende di saper tutto, come se con la prima boccata d'aria in sala parto abbia aspirato anche tutto lo scibile siculo. Personalmente, io sono nato piemontese e cresciuto lombardo, e di storia lombarda mi sono occupato nei miei lontani studi universitari: ma proprio perché un pocolino ne so, ho piena consapevolezza di quanto ancora mi resterebbe da sapere. Però, occupandomi di storia, una cosa l'ho imparata: che esiste un metodo, il quale va rispettato, sia che si scriva un saggio, sia che discuta con chicchessia.
Gian Piero Testa - 16/7/2012 - 12:39
Il suo atteggiamento di "superiorità", nulla ha a che fare con la Superiorità esaltata da Nietszche. Poi "pseudo-nietszchiano" a chi?! Conosco benissimo il pensiero di questo grande filosofo, e so perfettamente cosa pensava della vostra democrazia ipocrita e del vostro socialismo falso. In raltà lei sa benissimo ciò che dice, ma finge di non sapere nulla per vedere fin dove arrivino la mia capacità e cultura! Per cui lancia le sfide velatamente, un po' come Socrate che fingeva di "non sapere"; lei però è ad un livello molto basso rispetto al grande ateniese!
No signor Testa! Magari sapessi tutto! Però, a parte un po' di cultura che anch'io ho (sa ho fatto anch'io l'università!), ritengo che il vivere intensamente in un posto, ti permetta di cogliere tutte le sfumature e particolarità, di quel posto! Nulla di più! Anch'io, proprio perché ne so, so anche che ci sono cose ancora da sapere! Ma su quello di cui abbiamo discusso, può dormire sogni tranquilli, ne so più di voi, che siete faziosi! Parla di metodo? Beh siete i primi a non rispettarlo!
Continui pure con il sarcasmo mal celato da perbenismo, e con la finta umiltà, con la quale, ipocritamente, pretende in verità di "insegnare"!
Auguri per la sua salute!!!
Il Ghibellino - 19/7/2012 - 06:57
Va bene, Ghibellino, continui pure a considerare la mafia come un'organizzazione a se stante, non concatenata ad altri poteri ed eretta non si capisce bene a qual scopo, se le fa piacere, e se ciò contribuisce a lasciarle immacolata la purezza e il fascino del "suo" fascismo antimafioso. Partito all’assalto, lancia in resta, era questa, credo, la ragione di tanta aggressività verbale, non sostenuta da nient'altro, se non dai suoi stessi proclami auto-referenziali.
Non ha nient'altro da aggiungere? Neanch'io. Neanche un "buona giornata" (gliel'ho augurato la volta scorsa, anche per smorzare un po' i toni, ma non è servito). Chissà che non verrebbero presi (o lo siano già stati) per "sfottò" o "provocazione" o "insulto" perfino i normali convenevoli che gli esseri umani si scambiano..
giorgio - 19/7/2012 - 08:43
Non te la prendere per l'accusa di 'atteggiamento di "superiorità"' lanciata da Ghibellino, non ne vale proprio la pena (Magari, fossero tutti come te!). È lui, come puoi chiaramente constatare, quello che è abbondantemente 'atteggiato' in quel senso per sue necessarie dinamiche compensative.
D'accordissimo con te (e con Bartleby) che simili questioni complesse per poter essere dipanate necessitano di approfondimenti ma soprattutto di calma e ragionevolezza (!) oltre che dell'adeguato supporto storiografico. Ma non certo in un tale contesto, che sfocia nella polemica sterile, fine a se stessa, se non in talk-show.
E per quello neanch'io ho proprio né il tempo, né voglia, né interesse.
Cari saluti e auguroni per i tuoi problemi di salute.
giorgio - 19/7/2012 - 08:45
Non tanto sull'oggetto del contendere, sul quale non sarei in grado di aggiungere alcunché di originale; esprimerei soltanto mie opinabilissime opinioni legate, ovviamente, a certe mie convinzioni e sempre con il preciso sentimento di non aver mai la verità in tasca.
Questo mio intervento servirà invece a chiarire definitivamente alcune cose alla persona che si firma "Il Ghibellino".
Come sicuramente avrà potuto notare, stimato sig. Ghibellino, in questa pagina di questo sito nessun intervento è mai stato censurato.
Le farei però presente un elementare concetto, che mi sembra in Lei piuttosto carente: quello di educazione e di ospitalità. Siamo chiaramente un sito schierato da una certa parte (pur tenendo conto delle normali, e a volte forti, differenze tra ognuno di noi e dei diversi gradi di "radicalità"), ma non abbiamo mai rifiutato il confronto con persone della parte opposta. E se Le dico "mai", può credermi visto che la raccolta delle "Canzoni contro la guerra", praticamente, l'ho iniziata io quasi dieci anni fa, ancor prima che questo sito esistesse.
Il problema, pregiato sig. Ghibellino, è che non mi sembra che Lei abbia agito correttamente, qui dentro, sia nei confronti dei Suoi interlocutori (che sono, vorrei ricordarglielo, due valentissimi collaboratori fissi del sito), né nei confronti del sito in generale. Quando si entra in casa d'altri, vi si entra in punta di piedi; vorrei vedere se io, sig. Ghibellino, mi presentassi a casa sua ("reale" o "virtuale") spalancando la porta a calci e berciando (tra l'altro, nelle convenzioni di Rete scrivere in tutte maiuscole significa "urlare", non so se lo sapeva).
Si tratta quindi di una questione di semplicissima educazione. Non faccio, come vede, nessun riferimento alle sue "idee" e opinioni, che trovo aberranti come Lei del resto, a buon diritto, potrebbe trovare aberranti le mie.
Ho trovato comunque molto puerile il suo continuo riferimento all' "ironia", un'ironia che dimostra di non avere affatto. Oppure di avere a senso unico, perché se la si fa, l'ironia, bisogna accettare anche di subirla. In questo, glielo devo dire, mi ricorda parecchio un suo conterraneo, peraltro di idee radicalmente avverse alle sue, che ho ben conosciuto in passato. Convinto di essere portatore di un "umorismo" per il quale distribuisce patenti a dritta e a manca, ma che però, quando viene attaccato, ricorre soltanto all'insulto sanguinoso. Lei ovviamente non conosce questa persona, ma mi colpisce il fatto che, pur essendo di "parti avverse", il vostro comportamento sia sostanzialmente identico. Vorrei ben sperare che la famosa e tanto sbandierata "ironia siciliana" non si riduca a questo modo di fare; purtroppo, gli esempi che ne ho avuto sono pessimi. Grattata la patina di "ironia", compare la violenza, la prevaricazione, la volontà di annientare. E la violenza non ha nessun colore.
Tutto questo, e glielo vorrei ribadire, senza intervenire in merito alle sue idee, credenze, convinzioni, superomismi e also sprach. Friedrich Nietzsche, d'altronde, è un pensatore complesso che, da alcuni, è visto persino come vicino a certo anarchismo; e magari le sarà familiare anche una figura come Ernst Jünger. Qui dentro non censuriamo le idee, fedeli al principio che "Niente è sacro e tutto si può dire" (espresso e teorizzato dal filosofo anarchico e situazionista Raoul Vaneigem).
Le vorrei quindi raccomandare, in eventuali interventi futuri su questa o su altre pagine, di attenersi a certe regole di comportamento. In un impeto di sincerità, le confesso che io stesso, su alcune pagine di questo sito, in passato non mi ci sono attenuto; sbagliando fortemente e cercando di correggermi. Come può vedere, sig. Ghibellino, non siamo "ipocriti" (uno dei suoi cavalli di battaglia, come epiteti). Con altrettanta mancanza di ipocrisia, le dirò quindi che un simile atteggiamento da parte sua, qui dentro, non verrà più tollerato. Potrà esprimere ciò che vuole, ma senza fare sfoggio di "gare di muscoli", sarcasmi, ironie e quant'altro. Naturalmente, nel fare questo raccomando la stessa cosa a chiunque altro. Il riferimento a quella perniciosa e vuota cosa che sono i talk show è azzeccato, ma questo sito non è un talk show e non lo sarà mai.
Se le dico che "non verrà tollerato" un dato atteggiamento, è perché mi posso permettere di dirglielo e anche di agire di conseguenza. Aborro ogni tipo di autorità e autoritarismo, ma aborro altrettanto chi si approfitta della cosa per cercare di imporsi. Non vorrei essere costretto a ridurLa al silenzio, perché, Le ripeto, è una cosa che non mi piace per niente; ma "a mali estremi". E le assicuro che, per ridurla al silenzio, mi basta l'attimo necessario per un click. Guardi quindi bene al modo in cui, eventualmente, mi risponderà, e ci pensi due volte facendo un salutare sforzo di autocontrollo.
Saluti cordiali a Lei e a tutti.
Riccardo Venturi - 19/7/2012 - 11:09
Vi ringrazio anche degli auguri che mi avete fatto per il mio piccolo guaio fisico. Ho già fatto tutto, e tra pochi giorni ricomincerò a mandare qualche contributo greco e autentico (cioè non di mia confezione), senza più intrigarmi nei talk-show.
Gian Piero Testa - 19/7/2012 - 19:42
Gian Piero Testa - 19/7/2012 - 20:21
E chissà se il Ghibellino abbia mai letto quanto spiegava tempo fa, con clamoroso auting e rara capacità di sintesi, proprio un sito che non dovrebbe affatto dispiacergli, "duce.net", sul rapporto che vi fu fra fascismo e mafia e sull'inefficienza dell'azione di Cesare Mori: «In effetti il fascismo, dopo la grande retata di "pesci piccoli" realizzata da Cesare Mori, viene a patti con l'"alta mafia", nel 1929 richiama a Roma il "Prefetto di Ferro" (verrà nominato senatore) e, in un certo senso, "restituisce" la Sicilia ai capi mafiosi ormai fascistizzati...».
Rischieremmo poi veramente le sue arterie se per es. ci mettessimo a parlare del già citato "padrino" don Vito Genovese (e qui alziamo un po' il tiro) riaccolto da Mussolini in Italia nel '37 quand'era ricercato negli USA per l'omicidio di Ferdinand Boccia, soldato e ex socio nella Famiglia.. Mussolini gli conferì, per i servigi resi al regime fascista fuori d'Italia, la prestigiosa onorificenza di Commendatore del Regno. Dal terrazzo della sua casa di Risigliano (contrada di Tufino) il boss, trionfante, gettava mazzetti di banconote (denaro sporco) alla povera gente che impazziva..
Se fossi vissuto all'epoca di Cesare Mori sarei stato anch'io, extrema ratio, molto tentato a schierarmi con quella cosiddetta mafia (come fu per altri miei conterranei del popolino non certo mafiosi) perché quella guerra condotta da Mori, in realtà, più che sbarazzarci della suddetta, dolorosamente concretizzò e quasi irreversibilmente concluse il nostro forzatissimo processo di annessione all'Italia, proprio con tutte le caratteristiche (e mi riferisco proprio all'aspetto indiscriminatamente repressivo) con cui era cominciato.
Probabilmente è questa la vera ragione per cui quel fascismo, che si riteneva prosecutore del Risorgimento (e, per molti versi, lo era), e quindi gran cultore dello Stato Unitario, lo aveva particolarmente a cuore, al di là di ogni bella idealizzazione mitica e/o propagandistica e relativi bei infiocchettati mascheramenti (cosiddetta "lotta. alla mafia, piaga secolare dell'isola")
Sarà bene ricordare anche che l'incarico di Mussolini al "Prefetto di ferro", che fa da incipit alla canzone, era stato preceduto da una visita del duce in Sicilia nel maggio del 1924, durante la quale l'allora sindaco mafioso di Piana de' Greci (dal 1939 Piana degli Albanesi), don Ciccio Cuccia (insignito della Croce di Cavaliere della Corona d'Italia dal re Vittorio Emanuele III che lo aveva pure onorato di una sua visita) peraltro mandatario delle uccisioni dei socialisti Mariano Barbato (cugino del più celebre Nicola) e Giorgio Pecoraro, si rivolse a Mussolini dicendogli: « Ccà Voscienza 'un havi bisognu 'i tutti 'sti sbirri ca si portau appressu », cioè « Qui Vostra Eccellenza non ha bisogno di tutti questi poliziotti che si è portato dietro ». Frase che ferì profondamente il duce che, di lì a poco, ce ne fece piovere giù anche troppi e col prefettissimo alla loro testa..
Quanto alla uccisione di Carlo Tresca credo proprio non si possa più, dopo tutti questi anni, assolvere il "padrino" don Vito Genovese, Frank Garofalo e Carmine Galante e tirar ancora fuori la pista stalinista → Vittorio Vidale, che vollero sospettare essere implicato perfino nell'assassinio di Lev Trotskij solo perché si trovava anche lui a Città del Messico il 21 agosto 1940..
Vittorio Vidali era stato miliziano degli Arditi del Popolo e uno dei fondatori del Partito Comunista d'Italia nel '21. Terzinternazionalista-stalinista fu, è vero, acerrimo nemico degli anarchici in Spagna, ma nel suo reggimento d'élite nell'esercito repubblicano spagnolo, el Quinto Regimiento, confluirono tanti antifascisti non stalinisti, attirati dalla sua grande preparazione militare.
Tresca e Vidale sin dalla gioventù si erano dati reciproco aiuto in nome del comune antifascismo fin dai primi anni dell'espatrio.
Come riferisce Ezio Taddei (bersagliere decorato nella prima guerra mondiale ed anarchico, divenuto poi noto scrittore) nel suo libro dedicato all'assassinio di Carlo Tresca: «i responsabili del delitto, secondo le ammissioni di un agente dell'Ufficio Narcotici, furono i boss Frank Garofalo e Carmine Galante, latitanti da anni».
Carlo Tresca si era opposto con tutte le sue forze all'ingresso nella "Mazzini Society" (organizzazione antifascista creata negli USA nel 1943 alla vigilia dello sbarco alleato) di elementi come Generoso Pope e di altri ex sostenitori del fascismo.. come don Vito Genovese esigeva a tutti i costi aver fatto il "favore" di accoglierli… Che don Vito facendo eliminare Carlo Tresca volesse ancora fare un "favore" a Mussolini lo escluderei: si era già "sdebitato", per essere stato riaccolto in Italia quando era latitante, facendo costruire la casa del fascio di Nola con il cospicuo contributo di
250.000 dollari. E poi.. la stella di Mussolini stava per tramontare e si stava facendo in modo di affrettarne la capitolazione.
Ma tale strategia di inquinare il movimento antifascista con fascisti opportunamente riciclati, è del tutto coerente con la strategia antipopolare ed antioperaia che fu applicata dalla mafia dopo lo sbarco in Sicilia. Basta ricordare proprio Portella della Ginestra…e lo stesso don Vito Genovese in divisa da alto ufficiale dell'esercito americano con accanto Salvatore Giuliano (vedi foto sopra) esecutore di quell'eccidio, dove furono usati mitragliatori pesanti sulla massa dei contadini che festeggiava il Primo Maggio.
Turi Lucania di Lercara-Friddi, che assunse in America il nome di Charles Luciano, e successivamente il nickname di "Lucky" ("fortunato"), fu, senza dubbio, uno dei principali artefici della strategia…A suo tempo detenuto nelle carceri americane, fornì agli alleati anglo-americani i nomi di 850 persone su cui "contare". Gli ufficiali dell'OSS (in seguito si trasformerà in CIA), che dirissero sul campo "l'operazione sbarco" furono Max Corvo, Victor Anfuso e Vincent Scamporino, quest'ultimo anche legale dei sindacati controllati da Cosa Nostra. In Sicilia, prima dello sbarco, le missioni degli agenti di Scamporino si avvalsero di una fitta rete di protezione che, oltre a dare riparo e assistenza, fornì loro ogni genere d'informazione di valore militare . Il loro gruppo fu noto come il "Cerchio della Mafia". Tra gli americani in divisa dell'esercito, oltre al "padrino" don Vito Genovese, c'era anche.Albert Anastasia (ucciso nel dopoguerra in un negozio di barbiere). Con don Vito Genovese furono stretti collaboratori di Charles Poletti, il generale plenipotenziario inviato dagli USA per la "Questione Meridionale".
Scrissero Roberto Faenza e Marco Fini in Gli americani in Italia (Milano, Feltrinelli, 1976): « È così che quando nel 1943 gli americani sbarcheranno in Sicilia, la prima azione dell'OSS sarà…restituire la libertà ai mafiosi imprigionati dal regime fascista, o perlomeno, quelli che erano ancora in galera, viste le collusioni di cui abbiamo detto fra fascismo ed alcuni boss molto importanti come Vito Genovese » .
giorgio - 9/8/2012 - 09:00
Gian Piero Testa - 9/8/2012 - 09:56
mi sa che sei rimasto un po' scottato dalle gratuite quanto contorte insinuazioni / illazioni di Ghibellino :-)) Torno a ripeterti: non ne vale proprio la pena. E aggiungo: dietro alle tante arie che si dava, si nascondeva un incredibile complesso di inferiorità nei tuoi confronti. Anche così va il mondo: con ostentati atteggiamenti di superiorità che nascondono vuoti abissali. Aspettiàmoceli sempre da chi con protervia proclama, sentenzia e mai dubita.
Voglio però ancora credere, anche se per svariate ragioni non si può essere sempre in perfetta sintonia, che una persona decentemente assennata non ti può prendere per tutto quello che non sei. A meno che, per suoi neanche tanto reconditi motivi, non ti ha già "preso" per quello che vuole lui.
Quanto a me, posso pure arrivare a capire che una battuta scherzosa (mica poi tanto) su Mussolini lo possa disturbare e vederci ironia e "sfottò" nei suoi riguardi. Ma da qua a scatenarsi ed arrivare a vedere pure degli insulti laddove non ci sono, ce ne corre!
L'amico nostro non era venuto qui a dialogare, ma a suonarci, tamburo e grancassa, la sua tiritera, e credo pertanto doveva avere po' di recondita "paura" per quelle che potevano essere le nostre reazioni. E giacché la migliore difesa è l'attacco (tattica che non mi piace neanche nel football), continuava a brandire il "suo" Zarathustra come un'arma, una specie di asso pigliatutto. (che, tra l'altro, al fine di stabilire se il suo caro regime avesse o no eliminato davvero la mafia c'entrava ovviamente come i cavoli a merenda. Ma il signorino si era prefisso, ormai al colmo dell'esaltazione, di demolire noi come suoi interlocutori! Perché, come già scrisse qualcuno, quando ci si accorge che si finirà con l'aver torto, si diventa oltraggiosi e grossolani; si passa cioè dall'oggetto della contesa – dato che lì si ha partita persa – al contendente e si attacca la persona.
Ha fatto quindi bene Riccardo a parlargli solo di galateo e a non entrare nel merito della questione perché non era più quello il punto, se lo era mai stato).
Già è abbastanza atroce per noi siciliani essere stati spogliati di tutto. Ma sopperire a questo vuoto gonfiandoci i muscoli (d'aria) aderendo alla più "bella ideologia" mai importata da fuori (d'origine padana, facevi giustamente osservare) è quanto di più deleterio (e paradossale) possa capitarci. Ne viene fuori, come dicevo, un essere composito e strano, proprio un brutto concerto.
Il siciliano, d'altronde, per la sua storia, si è ridotto a essere un inguaribile cultore contemplativo della Morte/Crisi. E anche qui il discorso si fa lungo e complesso, e devo pure confessare che ho difficoltà a portarlo avanti in questa sede. Non so se le esperienze negative che ha avuto Riccardo con miei conterranei siano riconducibili a ciò, ma non mi meraviglierebbe.
Se poi il culto della morte si coniuga a un'ideologia della morte è proprio la fine.
Infatti, lo affermo senza inutili pudori, non c'è peggior fascista di un fascista siciliano.
(Le ideologie della morte non sono comunque solamente le ideologie fasciste, ma anche certi aspetti retrivi della religione, o l'ipostasi di certi valori tradizionali, e via dicendo.. -non certo però la filosofia di Friedrich Nietzsche che è proprio tutt'altra cosa (nichilismo sì, ma attivo → trasvalutazione dei valori).
L'unica àncora di salvezza per noi è cercare di rimetterci nel ciclo della storia dalla quale siamo stati cacciati e lottare per un domani migliore, ma anche per una migliore qualità di vita oggi (e riuscire anche a crederci), altrimenti sprofonderemo, inevitabilmente e quasi automaticamente, nel fatalismo, nel pessimismo, nel vittimismo, nell'apatia, nella rassegnazione, etc. che sono tutte articolazioni della nostra più profonda tanatofilia contemplativa..
giorgio - 15/8/2012 - 10:23
giorgio - 15/8/2012 - 10:27
Riguardo alla "tanatofilia" dei Siciliani, confesso di avere esperienze personali contrastanti, che mi impediscono di venire a una opinione univoca. Da un lato, ho ricordi ben netti delle arti e delle forme assunte dalle usanze popolari, e così pure delle canzoni siciliane, nelle quali la Morte è spesso una presenza cruda e persistente; dall'altro ho conosciuto molti e molti Siciliani, tra i quali quello che è stato uno dei miei migliori amici - potrei dire il migliore, che ho perso pochi mesi fa. In loro non ho mai percepito questa tanatofilia; e soprattutto non l'ho mai percepita nell'amico che ho perso da poco, il quale, fu sfidato due volte dalla Morte. La prima sfida - circa un quarto di secolo fa - la vinse lui; ma la seconda, protrattasi per gli ultimi due anni, l'ha invece perduta, con la Morte che gli ha fatto pagare con speciale crudeltà lo smacco precedente. In tutte e due le occasioni, questo mio amico siciliano ha trattato la Morte con gran "dispitto", come se fosse una laida intrusa nella sua casa e nel suo corpo, di cui non riusciva a liberarsi, ma alla quale non concedeva la benché minima frazione dei suoi sentimenti, sia come paura, sia come "complicità". Dal suo canto amava la vita, l'eros, il suo mare, i suoi animali, e, pur con qualche cautela sicula (ma non solo sicula), l'umanità intera, per la quale si spendeva con acume e generosità. Ma alla Morte non diede né credito né confidenza fino all'ultimo istante: non si abbassava neppure a pronunciarne il nome. Può darsi che in questa ostinata reticenza si nascondesse uno dei modi della tanatofilia siciliana: e magari tu pure conosci esperienza simili.
Non sapevo che Vidali fosse confidenzialmente chiamato Vidale. Scusami della mia inutile precisazione.
Gian Piero Testa - 16/8/2012 - 14:13
Mi fa piacere che non pervieni a un'opinione univoca: diffido delle opinioni univoche. Ce le hanno puntualmente univoche e stereotipate certi nordici che sono venuti a contatto solo con meridionali emigrati (cioè i più abbienti che deridono i meno abbienti, dopo che li hanno resi tali). Ben vengano dunque la ricchezza dei contrasti e delle contraddizioni.
La tanatofilia a cui alludevo non ha a che fare (almeno non in modo diretto) con l'approccio-rapporto con la Nera Signora, che è, anche per i Siciliani, come per qualsiasi altro essere umano, strettamente individuale e personale..
È qualcosa che è presente (prendendo in prestito un termine dalla psicoanalisi junghiana) nel nostro inconscio collettivo. È un sentimento che si da e che ripercorre, hai detto bene, in svariate nostre manifestazioni culturali (e non solo) e comporta un eccessivo indugiare su quelli che sono i temi della Morte e della Crisi fino alla sublimazione/cristallizzazione dei concetti, sebbene il siciliano sia un popolo strenuamente attaccato alla vita, forse (per questo) anche più di altri popoli. Nei tarocchi siciliani la carta della Morte è quella fascinosamente più importante, indicando ineluttabili quanto sofferti cambiamenti di corso degli eventi.
Non la si deve, però, solamente intendere sempre come un destino ineluttabile da subire passivamente e/o inconsapevolmente, perché questa nostra familiarità con la Grande Consolatrice, credo, ci ha più volte molto aiutato anche nello sforzo eroico di opporci ai nostri dominatori. Spesso accompagnò i nostri briganti, con tutta l'epicità di un Sansone che muore portandosi dietro più nemici possibili, proprio col beffardo sorriso di un Jolly Roger piratesco ("Amiamo talmente la libertà al punto di non temere la morte, che diventa, sempre più, nostra sorella e amica"). È, quindi, in questo senso, sicuramente voglia di annullamento (suicidio indiretto), come i pellirosse americani che, di fronte alla soverchiante superiorità bellica dei bianchi, dicevano: “Oggi è un buon giorno per morire”, davanti al dilagare aggressivo di una "civiltà" troppo diversa ed estranea che non lasciava loro più spazio. (Quando la lotta è impari a ragione dei mezzi di cui dispone il dominatore, e la guerriglia senza quartiere è l'unico modo di opporsi, → vedi per es. gli attentatori suicidi in Medio Oriente, si produce nei dominati quelle parossistiche forme di tanatofilia come l'ideologia da kamikaze, che accomunano, non a caso, tutto il "Sud" del mondo).
Siamo "morti" troppo spesso, caro Gian Piero, ogni qualvolta è stata messa nuovamente alle strette una qualsiasi nostra "identità", magari appena appena decentemente e faticosamente consolidata.
Dato il personale disagio che io accuso qui, e la complessità della questione in se, vieppiù rapportandomi con un compagno nordico, ricorrerei a un colloquio fra un sudista e un nordista in letteratura (che, fra l'altro, descrive le nostre antiche difficoltà comunicative) citando un passo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Naturalmente premetto che il quadro che traccia il suo principe di Salina della nostra tanatofilia contemplativa è raccapricciante, troppo esagerato e catastrofico (apocalittico, direi), e c'è una ragione evidente: fra il vecchio e il nuovo, l'eccentrico aristocratico siciliano è angosciato e irritato (come ogni siciliano che non si adatta); inoltre, in quella famosa crisi, egli scorge l'approssimarsi di due morti: quella sua come individuo "disfiziato" dall’incalzare degli eventi, e l'altra, altrettanto sua, come classe sociale (→ la fine del feudalesimo).
Riporto qui a seguire parte del suo dialogo con Chevalley, un candido e onesto funzionario piemontese di Monterzuolo (in buonafede come tutti i candidi e gli onesti), che è venuto a proporre a don Fabrizio la carica di Senatore del nuovo Regno d'Italia:
“Abbia pazienza, Chevalley, adesso mi spiegherò; noi Siciliani siamo stati avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si sfuggiva agli esattori bizantini, agli emiri berberi, ai viceré spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così. Avevo detto 'adesione' non 'partecipazione'. In questi ultimi sei mesi, da quando il vostro Garibaldi ha messo piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento; adesso non voglio discutere di svilupparle e portarle a compimento; adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è male o bene; per conto mio credo che parecchio sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che Lei capirà solo quando sarà stato un anno tra noi. In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già completamente perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il 'la'; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è in gran parte colpa nostra, ma siamo stanchi e svuotati lo stesso.”
Adesso Chevalley era turbato. “Ma ad ogni modo tutto questo adesso è finito; adesso la Sicilia non è più terra di conquista ma libera parte di un libero stato.”
“L'intenzione è buona, Chevalley, ma tardiva; del resto le ho già detto che in massima parte la colpa è nostra; Lei mi parlava poco fa di una giovane Sicilia che si affaccia alle meraviglie del mondo moderno; per conto mio mi sembra piuttosto una centenaria trascinata in carrozzella alla Esposizione Universale di Londra, che non comprende nulla, che s'impipa di tutto, delle acciaierie di Sheffield come delle filande di Manchester, e che agogna soltanto di ritrovare il proprio dormiveglia fra i suoi cuscini sbavati e il suo orinale sotto il letto.”
Parlava ancora piano, ma la mano attorno a S. Pietro si stringeva; l'indomani la crocetta minuscola che sormontava la cupola venne trovata spezzata. “Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio d'oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorzonera o di cannella; il nostro appetito meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò deriva il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semi-desti; da ciò il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane; le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l'incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto.”
Non ogni cosa era compresa dal buon Chevalley; soprattutto gli riusciva oscura l'ultima frase: aveva visto i carretti variopinti trainati dai cavalli impennacchiati e denutriti, aveva sentito parlare del teatro dei burattini eroici, ma anche lui credeva che fossero vecchie tradizioni autentiche.
Disse: “Ma non le sembra di esagerare un po', principe? Io stesso ho conosciuto a Torino dei Siciliani emigrati, Crispi per nominarne uno, che mi son sembrati tutt'altro che dormiglioni.”
Il Principe si seccò: “Siamo troppi perché non vi siano delle eccezioni; ai nostri semi-desti, del resto, avevo di già accennato. In quanto a questo giovane Crispi, non io certamente, ma Lei potrà forse vedere se da vecchio non ricadrà nel nostro voluttuoso vaneggiare: lo fanno tutti. D'altronde vedo che mi sono spiegato male: ho detto i Siciliani, avrei dovuto aggiungere la Sicilia, l'ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse più che le dominazioni estranee e gl'incongrui stupri hanno formato l'animo: questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, umano, come dovrebbe essere un paese per la dimora di esseri razionali; questo paese che a poche miglia di distanza ha l'inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che c'infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; li conti Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo; lei non lo sa ancora, ma si può dire che qui da noi nevica fuoco, come sulle città maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un Siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l'energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l'acqua che non c'è o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora, le piogge, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio lì dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d'arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d'imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità d'animo”
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, edizione conforme al manoscritto del 1957, Feltrinelli Editore, Milano, 1999.
Condoglianze, Gian Piero, per il tuo fraterno amico, mio conterraneo, che, da quanto mi dici, doveva essere proprio un siciliano autentico. Sit illi terra leuis
Cordialità e buona domenica a te e a tutti.
Elena - 10/8/2015 - 03:53
Rosario Vitale - 7/3/2016 - 16:52
Carlo Valguarnera - 12/5/2018 - 16:45
Musica: Ennio Morricone, colonna sonora del film "Il Prefetto di ferro" [1977] di Pasquale Squitieri
Arrangiamento: Rosa Balistreri
L'indimenticabile voce di Rosa faceva da sottofondo al discutibilissimo film di Squitieri che a tratti aveva l'aria di uno spaghetti-western…Alla fine del film Cesare Mori confidava al fido Spanò: «Mi sento come un chirurgo che ha operato a metà, che ha fatto soffrire ma non ha guarito » . Infatti l'epica siciliana ricorda "il prefetto di ferro" (con pieni poteri in Sicilia dal 1925 al '29) più per i risoluti metodi repressivi (illegali!) - che finirono per colpire sopratutto l'antifascismo - ma con scarsi risultati sul piano della concreta lotta alla mafia…