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Isabella di Morra

Alessio Lega
Langue: italien


Alessio Lega

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(LA CCG NUMERO 25000 / AWS NUMBER 25000)


[2008]
Testo e musica di Alessio Lega
Lyrics and music by Alessio Lega
Il testo incorpora alcune parti del sonetto
"D'un alto monte onde si scorge il mare"
Dalle "Rime" di Isabella di Morra (1520-1546)

Rocca di Favale, Valsinni (MT). Il sonetto D'un alto monte onde si scorge il mare di Isabella di Morra su un dipinto ad esso ispirato, sulle mura del castello.
Rocca di Favale, Valsinni (MT). Il sonetto D'un alto monte onde si scorge il mare di Isabella di Morra su un dipinto ad esso ispirato, sulle mura del castello.


"Essere poeta non è mai stato facile", introduce Alessio Lega così la sua canzone sulla tragica vicenda di Isabella di Morra, la grande poetessa petrarchesca lucana del XVI secolo tenuta prima prigioniera dai fratelli nella rocca di Favale (ora Valsinni, in provincia di Matera), e poi da loro sgozzata per la relazione che ella aveva con un nobile spagnolo, Diego Sandoval de Castro. "Figuratevi esserlo, e donna, nel '500". Le poesie di Isabella di Morra, in tutto tredici, furono scoperte e pubblicate da Benedetto Croce; su una di esse, "D'un alto monte onde si scorge il mare", Alessio Lega ha costruito questa canzone di prigionia e di speranza. La poetessa, certa della morte che i fratelli, a loro volta prigionieri di un'ottusa e assassina "morale" maschile, le daranno, scorge il mare aspettando invano che giunga la nave del padre o qualcuno che venga a liberarla. Non fu così. Rimangono i suoi splendidi e desolati sonetti, una voce di donna che in qualche modo ha spezzato le catene della prigione e della morte. A mo' di avvertenza, le parti del sonetto inserite da Alessio sono qua e là modificate rispetto all'originale. Nel sonetto, Isabella dice fra l'altro "spargo querela", dizione rispettata da Alessio una volta e modificata in "sporgo querela" la seconda. Non essendo finora disponibile in rete, il testo della canzone è stato trascritto all'ascolto dal video YouTube, mediante confronto continuo con il testo del sonetto originale. Nel testo qui presentato, le parti riprese dal sonetto sono in corsivo. [RV]
Isabella di Morra

valsinniisabtarga



Isabella di Morra (Favale, 1520 – 1546) è stata una poetessa italiana. Giovane donna che nella prima metà del XVI secolo illuminò il panorama letterario italiano, figura tra le poetesse petrarchiste del Rinascimento; all'età di 26 anni fu uccisa dai suoi stessi fratelli per via di una presunta relazione clandestina con il barone spagnolo Diego Sandoval de Castro. La sua tragica storia è stata ripercorsa in Sexum Superando - Isabella Morra, film del 2005, diretto da Marta Bifano.

Era la terza degli otto figli di Giovanni Michele Morra, barone di Favale (odierna Valsinni in provincia di Matera), e di Luisa Brancaccio. Gli altri figli furono Marcantonio, Scipione, Decio, Cesare, Fabio, Porzia e Camillo. Fu costretto ad emigrare, nel 1528, assieme al secondogenito Scipione, a Parigi, dopo la sconfitta delle truppe di Francesco I di Francia di cui era alleato e la vittoria di Carlo V per il possesso della penisola. Il possesso del feudo di Favale, spettante ai di Morra fin dall'epoca normanna, fu alienato per alcuni anni, passando alla Corona di Spagna. Dopo varie trattattive legali, il feudo tornò ai di Morra, e fu affidato al primogenito Marcantonio.

A Favale rimase la moglie con sette degli otto figli, compresa la giovane Isabella che spesso invocò il padre nelle sue Rime, considerandolo l'unico in grado di aiutarla nella sua situazione: i rapporti con i fratelli erano infatti aspri e continuarono ad incrinarsi fino alla tragedia. Il preciso anno di nascita di Isabella rimane ignoto; Benedetto Croce lo situa attorno al 1520, mentre il Caserta pensa sia nata qualche anno prima, ponendo il 1515 come data ante quem.

Isabella manteneva una relazione segreta con Diego Sandoval de Castro, poeta a sua volta e barone di Bollita, inviandogli messaggi e versi tramite il suo pedagogo. Scoperta la relazione i fratelli di Isabella uccisero la poetessa e il suo pedagogo nel 1546. Poco più tardi ammazzarono in un agguato in bosco di Noepoli anche Diego Sandoval per poi fuggire in Francia.

Di che natura fosse la relazione tra Diego Sandoval de Castro e Isabella, nella Basilicata remota e al di fuori delle maggiori correnti culturali del tempo, rimane ad oggi un mistero. Certo si sa che le lettere che don Diego spedì ad Isabella furono inviate a nome di sua moglie, Antonia Caracciolo. Gli storici hanno così supposto che Isabella e Antonia Caracciolo si conoscessero già prima dell'inizio dello scambio epistolare. Perdute invece restano le risposte di Isabella a Diego, poeta di qualche reputazione, che nel 1542 aveva pubblicato, a Napoli, un volume di rime petrarchiste. Che si trattasse di una relazione sentimentale o di una semplice amicizia intellettuale in condizioni di duro isolamento, i fratelli ne furono informati già alla fine del 1545. Decio, Cesare e Fabio decisero rapidamente di porre fine alla relazione uccidendo prima la sorella e poi il nobile spagnolo. Alcune fonti anglosassoni ipotizzano che fu picchiata a morte, mentre altre fonti italiane indicano che fu pugnalata. Don Diego, temendo che la vendetta si abbattesse su di lui, si munì invano di una scorta: i tre assassini, con l'aiuto di tre zii, gli tesero un agguato vicino al bosco di Noepoli e lo uccisero.

L'assassinio di don Diego de Sandoval provocò, all'epoca, reazioni di deplorazione molto più ampie che non l'uccisione di Isabella. Nel codice d'onore del XVI secolo, era infatti ammissibile lavare col sangue il disonore arrecato alla famiglia da uno dei suoi membri, specie se donna. Ciò che non era ammissibile era il coinvolgimento di persone terze nella risoluzione di un contenzioso mediante duello e l'uccisione, a tradimento, di un superiore in rango. Per questi motivi, i tre fratelli furono costretti a fuggire in Francia, dove raggiunsero Scipione e il padre. Fonti coeve sostengono che il padre, Giovanni Michele, fosse deceduto prima di Isabella, ma Benedetto Croce ha dimostrato come ciò non fosse vero. Di Fabio non si hanno notizie certe dopo il suo arrivo in Francia; Decio si fece prete e Cesare sposò una nobildonna francese. Marcantonio non risulta essere tra gli ideatori del delitto; ciononostante, fu imprigionato per alcuni mesi e in seguito rilasciato. Camillo, l'ultimogenito, fu invece completamente assolto dall'accusa di complicità nel delitto.

Isabella trascorse la maggior parte della sua breve esistenza nel Castello di Valsinni, in Basilicata, dove eventi in commemorazione della sua vita e lavoro si svolgono durante tutto l'anno. Il castello di Valsinni, che fu sua dimora, risale all'incirca all'anno 1000; leggende locali vogliono il fantasma della poetessa infestare silenziosamente il sito.

L'interesse attorno alla figura e all'opera di Isabella di Morra si è accresciuto nel corso dei quattro secoli e mezzo che ci separano dalla sua morte, nonostante il corpus (soltanto tredici poesie) estremamente esiguo a noi pervenuto. Se fino al XIX secolo i meriti della sua opera poetica furono sufficienti a tramandarne la fama, per parte dell'Ottocento e per tutto il Novecento, la sua tragica biografia ha in larga parte oscurato la comprensione e il pieno apprezzamento dei suoi testi. Molte sono state, infatti, le letture della sua opera in chiave meramente femminista, specie in ambito americano senza che tenessero in sufficiente considerazione il retroterra culturale e storico dell'epoca. È generalmente assodato che i tredici testi giunti fino a noi fossero stati scoperti dagli ufficiali del Viceré, durante l'indagine che seguì l'uccisione di Don Diego de Sandoval, quando il Castello di Valsinni fu perquisito. Pochissimi anni dopo la morte di Isabella, qualche sua poesia apparve nel terzo libro di Ludovico Dolce, che raccoglieva le Rime di diversi illustri signori napoletani (Venezia, Giolito, 1552), e fu positivamente accolta dall'ambiente letterario italiano. Non ci furono notizie ufficiali inerenti alla sua vita fino a che Marcantonio (figlio del fratello minore Camillo), non pubblicò una storia della famiglia, nel 1629. Nei due secoli passati, la tragica esistenza di Isabella colpì a tal punto l'immaginazione dei critici tanto da oscurarne e travisarne la poetica, in parte a causa della natura strettamente personale e intima dei suoi versi, che ha incoraggiato l'indagine della sua arte in relazione con gli eventi della sua vita. La poetica di Isabella fu incoraggiata dalla corrente, in voga al tempo, del Petrarchismo, ma i suoi versi dispiegano, un'originalità inusitata ai poeti petrarchisti, e altre influenze includono Dante e i classici della letteratura italiana. Qualche critico cita Isabella come precorritrice delle tematiche esistenziali care a Leopardi, incluse la descrizione del natio borgo selvaggio e dell'invettiva alla crudel fortuna. - it:wikipedia
Sopra la rocca c'è Isabella, anima mia,
Consuma gli occhi e guarda il mare
Messa in prigione dai fratelli, bella mia
Chi vuol venirla a liberare?

D'un alto monte onde si vede il mare
miro sovente io, tua figlia Isabella
s'alcun legno spalmato in quello appare
che di te, padre, a me doni novella.


Gioca alla morra le sue carte, anima mia
e pugno, e pietra e una carrozza,
e tuo fratello sulla soglia, bella mia
è lui la forbice che sgozza.

Ma la mia incerta e dispietata stella
non vuol ch'alcun conforto possa entrare,
nel tristo cor, che di pietate è nulla
la calda speme in pianto fa mutare.


Sopra la rocca il vento vola, anima mia
il mare frange nella gola,
la vita aspetta sola sola, bella mia,
che poi si chiuda la tagliola.

Ma non veggo nel mar remo né vela,
così deserto è lo infelice lito
che il mare solchi o che lo solchi il vento
io non veggo nel mar remo né vela.

Contro fortuna allor spargo querela
e tengo in odio il denigrato sito
come sola cagion del mio tormento,
contro fortuna allor sporgo querela.


Sopra la rocca c'è Isabella, anima mia,
ha chiuso gli occhi e vede il mare.
Messa in prigione su una stella, bella mia,
chi vuol venirla a liberare?

envoyé par CCG/AWS Staff - 24/2/2010 - 14:47




Langue: anglais

English version by Riccardo Venturi
February 24, 2010

The Favale Castle, Valsinni, Italy, where the poetess Isabella of Morra was imprisoned and killed by her brothers in 1546.
The Favale Castle, Valsinni, Italy, where the poetess Isabella of Morra was imprisoned and killed by her brothers in 1546.
ISABEL OF MORRA

High in the castle, Isabel lies, woe to my soul,
Looking at the sea, wearing her eyes out,
Put into prison by her brothers, woe to my soul,
Who will then come and set her free?

From a high rock whence I can see the sea,
So often stand I, your daughter Isabella,
Looking if some vessel appears on the main
And brings me news of you, my father.


Playing mora with her cards, woe to my soul,
A fist, a stone and a carriage
Your brother's standing on the threshold, woe to my soul,
It's him the scissors slitting your throat.

But my uncertain and merciless fate
Prevents me from getting any comfort,
No pity upon me, and in my sad heart
The warm hope is turned into tears.


High on the castle blows the wind, woe to my soul,
The sea waves break in my throat,
My life is waiting all alone, woe to my soul,
That the snare finally closes on me.

I cannot see no sail nor row at sea
And so deserted is this sorrowful shore,
Ploughing through the waves or the wind
I cannot see no sail nor row at sea.

Then I complain against my fate
And hate so darkly this loathsome place
Being the sole cause of my sorrow,
Then I complain against my fate.


High in the castle, Isabel lies, woe to my soul,
She closed her eyes, can see the sea.
Put into prison on a star, woe to my soul,
Who will then come and set her free?

24/2/2010 - 15:58




Langue: français

Version française – ISABELLE DE MORRA – Marco Valdo M.I. – 2010
Chanson italienne – Isabella di Morra – Alessio Lega – 2008

D'abord et avant tout, Lucien l'âne mon ami, je te prie de considérer la belle chose que nous a concoctée Alessio Lega, celui-là même à la voix rocailleuse que tu aimes tant. Une histoire tragique, un drame, l'assassinat d'une de ces belles poétesses qui feraient chavirer tous les cœurs et qui reviennent comme des fantômes quatre cents ans plus tard. Une chanson shakespearienne en diable que l'histoire de l'assassinat d'Isabelle de Morra et de son amant par un mari des plus jaloux et dès lors, des plus stupides qui se puissent être.

Je brûle de la connaître cette chanson et aussi de rencontrer ce joli fantôme, dit Lucien l'âne en frémissant de la tête à la queue.

Juste un mot pour attirer l'attention sur la proche similarité de l'histoire d'Isabelle de Morra (Favale, 1520 – 1546) et de celle de Marie d'Avalos (1560 environ – 1590 ), qui eut le malheur d'épouser le Prince de Venosa (Venouse en français) et d'être en cette « civilisation » propriétaire et machiste, des femmes libres, dignes et audacieuses… Vois aussi, ce qu'en dit Tasso : « Piangete o Grazie, e voi piangete Amori, feri trofei di morte, e fere spoglie di bella coppia cui n’invidia e toglie, e negre pompe e tenebrosi orrori...la bella e irrequieta Maria.»

Et plus encore ce qu'en dit l'abbé Brantôme, qui s'y connaissait en femmes, ainsi que l'attestent ses écrits sur les femmes parmi les plus célèbres sur ce sujet:

« Done Marie d’Avalos, l’une des belles princesses du païs, mariée avec le prince de Venouse, laquelle s’estant enamourachée du comte d’Andriane, l’un des beaux princes du païs aussy, et s’estans tous deux concertez à la jouissance et le mary l’ayant descouverte…. les fit tous deux massacrer par gens appostez ; si que le lendemain on trouva ces deux belles moictiez et créatures exposées ettendues [1] sur le pavé devant la porte de ia maison, toutes mortes et froides, à la veue de tous les passants, qui les larmoyoient et plaignoyent de leur misérable estat. »
(Pierre de Bourdeilles, abbé et seigneur de Branthôme. Recueil des dames, seconde partie.)

Je ne résiste d'ailleurs pas à te citer encore ce Brantôme (1535 -1614), abbé « laïc », s'il en fût. Et qui raisonnait sainement quand il disait : « Si tous les cocus et leurs femmes qui les font se tenoyent tous par la main et qu'il s'en pust faire un cerne, je croy qu'il seroit assez bastant pour entourer et circuire la moitié de la terre ». (« Les vies des dames galantes »). (Si tous les cocus et leurs femmes qui els font se tenaient tous par la main et qu'on en put faire un cercle, je crois qu'il serait assez grand pour entourer la moitié de la terre ) - que Paul Fort réinterpréta en « Si tous les gars du monde... (y compris les cocus, je suppose) et après lui, bien d'autres, dont Sergio Endrigo avec son « Girotondo intorno al mondo»...

Et le même Brantôme encore, dans un « Je fais l'amour, pas la guerre » (quoique, on a vu plus haut... y en a qui confondent) « Make love, not war », bien antérieur aux années 60 du siècle dernier. Lis bien ce sonnet et regarde comme il conclut... On pourrait y souscrire et je pense qu'il devrait figurer en toute autonomie dans les Canzoni contro la Guerra..

Ah! Je voudrois estre Roy de la France,
Non pour avoir tant de villes à moy,
Ny pour donner à un peuple la Loy,
Ou estonner chacun de ma presence;
Non pour briser vertement une lance,
Ni pour braver sur tous en un tournoy,
Pour dire apres:- Ah Dieu! que nostre Roy
Est bon gendarme et meilleur qu'on ne pense!
Ny pour avoir aussi tant de veneurs,
Ny tant de chiens, de chevaux, de piqueurs,
Ny pour tirer honneur de la Noblesse,
D'un Duc, d'un Comte, ou d'un Prince du sang,
Ou pour marcher le premier en mon rang,
Mais pour jouïr bien-tost de ma Maîstresse.
(Pierre de Bourdeille, abbé de Brantôme,
« Recueil d'aulcunes Rymes de mes Jeunes Amours »).

Décidément, dit Lucien l'âne, je renonce à la naturalisation humaine, je te promets que je ne mangerai jamais ces roses qui m'y ramèneraient... Âne, je suis... Âne, je resterai. D'ailleurs, regarde mon destin exceptionnel et même, extraordinaire. Pour un âne et même pour un humain. Me voici en ta compagnie, échappé comme toi du travail obligatoire et de sa société qui tourne avide et ambitieuse dans un néant sidéral en ce qui touche au bonheur et à la joie de vivre, préoccupée qu'elle est de toujours s'enrichir et d'étendre son pouvoir sur les hommes et les choses. Me voici, dis-je, trottinant à ma guise à travers les lieux et les temps et devisant comme je l'entends de ce qui me plaît et quand cela me plaît. Et mieux encore, comme tu le sais, ce faisant, je fais œuvre littéraire. Ce qui, soit dit en passant, ne m'empêche nullement de fustiger les imbéciles et leurs imbécilités. Ou l'avarice et les avaricieux, comme disait ce bon Molière. Par exemple, ces frères qui s'en vont tuer leur sœur parce qu'elle se livre à des pratiques des plus naturelles sont forcément de majuscules crétins. Cela dit, ces dames galantes me plaisent beaucoup et si j'avais su, j'aurais couru les voir à cette époque... Mais peut-être, hantent-elles encore les châteaux de leur jeunesse et jolies fantômes cherchent-elles encore des cavaliers charmants... Si tu le veux, allons-y... Allons voir les dames du temps jadis.

À ce propos, n'était-ce pas François Villon qui fit une ballade des Dames du temps jadis et Brassens, tonton Georges lui-même, qui la chanta ? Dites-moi, où, en quel pays... Mais où sont les neiges d'antan ? Derrière tout çà, derrière cette guerre atroce contre les femmes libres (certains même en vont jusqu'à vouloir les fouetter publiquement, puis leur lancer la pierre et pour se dédouaner les pleutres!, faire lancer la pierre par d'autres également, et cela ne se passe pas qu'en Iran) et, j'insiste, contre les hommes libres, derrière tous ces idiots et leurs sadiques idioties, vois-tu Lucien l'âne mon ami, il y a ce foutu désir de propriétaire, cet indécent vouloir de possession... C'est le même mauvais penchant que celui qui anime la Guerre de Cent Mille Ans que les riches mènent avec la même sournoiserie et semblable sauvagerie contre les pauvres.

Ainsi, dit Lucien l'âne en hérissant les poils de son échine, pour ces atrocités faites aux femmes, pour ces conneries qui menacent et oppriment les hommes, il nous faut tisser et tisser encore le linceul de ce monde imbécile et cacochyme.


Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien Lane
ISABELLE DE MORRA

Sur la tour, il y a Isabelle, mon aimée
Elle brûle ses yeux et regarde la marée
Emprisonnée par ses frères, mon aimée
Par qui sera-t-elle libérée ?

D'un mont d'où l'on voit la mer
Je scrute souvent, moi, ta fille Isabelle
Si un bois calfaté paraît sur cette mer
Qui, mon père, me donnerait de tes nouvelles?


Elle joue son destin à la morra, mon aimée
Caillou, papier, ciseau
Et ton frère sur le seuil, ma belle aimée
C'est lui l'égorgeur au couteau.

Mais mon étoile incertaine et sans pitié
Ne veut qu'aucun répit ne puisse entrer
Dans mon cœur triste, où déjà, il n'y a aucune pitié,
Qu'en pleurs l'espérance chaude ne fasse muer


Par-dessus la tour, vole le vent, mon aimée
La mer se déchire dans la bouche
La vie attend seule, seule, ma bien aimée
Que le piège se bouche.

Je ne vois ni rame ni voile sur la mer,
Ce rivage de malheur est désert
Que tu sillonnes le vent ou la mer,
Moi,je ne vois ni rame ni voile sur la mer.

Contre le destin, je me répands en querelle
Et je prends en haine le site malaimé
Comme seule raison de mon tourment,
Contre le destin, je me répands en querelle.


Sur la tour, il y a Isabelle, mon aimée
Elle a clos ses yeux et elle voit la mer
Emprisonnée sur une étoile, ma belle aimée
Par qui sera-t-elle libérée ?

envoyé par Marco Valdo M.I. (et fier de l'être) - 5/9/2010 - 23:04




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