[2003]
Musica di Yann Tiersen Music by Yann Tiersen
Musique de Yann Tiersen
Musik von Yann Tiersen
Музика: Ианн Тиерсен
Good Bye Lenin!
Regia: Wolfgang Becker
Soggetto: Wolfgang Becker, Bernd Lichtenberg
Sceneggiatura: Wolfgang Becker, Bernd Lichtenberg
Interpreti: Daniel Brühl, Katrin Saß, Chulpan Khamatova, Maria Simon, Florian Lukas, Alexander Beyer, Burghart Klaussner
Fotografia: Martin Kukula
Montaggio: Peter R. Adam
Effetti speciali: Andreas Schellenberg
Musiche: Yann Tiersen
* Premi César 2004: miglior film dell'Unione europea
* 3 European Film Awards 2003: miglior film, miglior attore (Daniel Brühl), miglior sceneggiatura
Berlino (Germania Est), 26 agosto 1978. Dopo essere stata interrogata dalla Stasi a proposito di suo marito che è riuscito a scappare all'Ovest, Christiane (Katrin Sass), una fervente socialista, si dedica anima e corpo alla politica ed alla causa della Repubblica Democratica Tedesca. Ma il 7 ottobre 1989 (quarantennale della DDR), durante alcuni tumulti, la donna vede il figlio pestato e portato via dalla polizia: colpita da un infarto, cade in coma, ma pochissimo dopo lui è liberato.
Si risveglia 8 mesi dopo, ma in questo lasso di tempo -relativamente breve-, il mondo attorno a lei è cambiato: il muro di Berlino è caduto, il Paese si avvia alla riunificazione ed il governo socialista non esiste più. E i suoi figli si sono subito adattati alla nuova realtà: Alex (Daniel Brühl), dopo la fine della cooperativa di riparatori tv resta nel settore diventando installatore di parabole satellitari (e troverà tanto lavoro in quanto molta gente vuole vedere i Mondiali), Ariane (Maria Simon), ragazza-madre, lascia l'università e lavora al Burger King (nel corso del film aspetterà un altro figlio dal nuovo compagno Rainer conosciuto nel nuovo luogo di lavoro).
Per evitarle il contraccolpo psicologico, ritenuto fatale dai medici, il figlio, confidando nel fatto che la madre deve restare a riposo per molto tempo ed aiutato dalla riluttante sorella e dall'amico aspirante regista e compagno di lavoro Denis (Florian Lukas), "preserva" la normalità della DDR all'interno del proprio appartamento. Recupera cimeli, prodotti e giornali della Germania Est, insieme all'amico videoamatore realizza improbabili ma credibili telegiornali per tenere aggiornata la madre e coinvolge amici e vicini nella lunga pantomima, sperando che la donna non venga mai a sapere la verità. Tutto sembra precipitare quando un giorno Christiane, non controllata dai figli, si alza dal letto ed esce di casa. Percorrendo pochi metri vede intorno a sè un mondo completamente diverso: arredamenti creativi, automobili di lusso, immagini sante, pubblicità e non ultimo un elicottero che porta via una statua di Lenin. Ancora una volta Alex riesce a cavarsela e con uno stratagemma (una crisi economica) convince la madre che nulla è cambiato. Durante una gita la madre racconta ai due figli la verità riguardo al padre scappato a Ovest: lei aveva raccontato che aveva con sè un'altra donna, ma in realtà che lei stessa progettava insieme al marito la fuga dal regime ma, all'ultimo, non si era sentita di raggiungerlo per le difficoltà burocratiche per l'ottenimento del visto e per la paura di perdere i suoi figli.
Alex allora va a rintracciare il padre, anche perché la madre ha avuto un nuovo infarto e le resta poco da vivere. Il suo ultimo desiderio è di rivedere il marito. Mentre Alex è fuori in cerca del padre, la sua ragazza Lara (Chulpan Khamatova) approfitta per raccontare alla madre la verità, ma lei continua a credere ovvero a fingere di credere al gioco del figlio anche quando poco prima di morire, Alex prepara una decorosa uscita di scena della DDR. Mettendo fine alla sua creatura, Alex ribalta la storia consegnando la vittoria ad un socialismo cui pure le popolazioni dell'occidente ardentemente cercano di approdare; conseguenza di questo fatto è l'abbattimento del muro e la fine della divisione tedesca. La madre di Alex sopravvive così per tre giorni alla sua amata DDR spegnendosi serena dopo la festa della riunificazione del proprio Paese, il 3 ottobre 1990.
Tutti a "celebrare" la caduta del muro, in questi giorni di ventennale. Il trionfo della libertà, la fine della guerra fredda, e tutto il resto. Festeggiano ex comunisti come Napolitano, il "presidente della repubblica", quello che nel '56 approvava l'aiuto fraterno per schiacciare la rivolta ungherese, e festeggiano i fascistoni e i fascistelli: a proposito, stasera "Good Bye Lenin!" sembra che sia persino in programmazione a "Casaggì", il "centro sociale di destra" in via Maruffi a Firenze. Ma che bravi. Noi, invece, che siamo meno bravi e meno proni a queste cucchiaiate di vomitevole retorica, "festeggiamo" a modo nostro. Proponendo sì la colonna sonora del bel film di Becker, ma contro tutti i muri. Non solo quelli che fanno comodo. E lo facciamo proponendo uno scritto, di questi giorni, di Redshadow. Uno scritto che no, non è in linea. Con un rimando anche noi alla Domenica delle Salme.
Siccome in questo Paese la “discussione politica” è praticamente un’infinita partita di calcio vissuta da ultras, con tanto di “devi morire!” e “se veniamo di li…” non pare vero alla fogna traboccante che rappresenta la maggioranza sbandierare l’anniversario della caduta del Muro di Berlino come “l’inizio della fine del comunismo”. Uno, che sapendomi non destrorso pensava di ferirmi o magari di offendermi ricordandomi l’avvenimento, era addirittura convinto che il muro dividesse in due non la città di Berlino, ma proprio tutta la Germania. E sarei disposto a scommettere che tra gli elettori PDL (e non solo) un buon 60% direbbe a riguardo strafalcioni di questo genere. L’altro 40% è all’oscuro dell’avvenimento, quella sera guardava Telemike.
E’ scontato dire che ritengo l’abbattimento di qualsiasi barriera un fatto positivo. Pur se spettacolarizzata all’inverosimile e pubblicizzata più per tirare acqua al proprio mulino che per reale interesse nell'altrui beneficio. Il capitalismo vinceva ed accoglieva nuovi…clienti? Adepti? Numeri? E’ sempre difficile il paragone su “prima” e “dopo” da chi ha sempre vissuto in Italia e tutto sommato ha avuto comodità e cibo a sufficienza (la felicità no, quella è un’altra cosa). Un altro punto di forza dei sedicenti “anticomunisti” è lo sbatterti in faccia la presunta incoerenza tra l’ideale stesso e le comodità della vita. Senza capire che è proprio nel vivere bene, tutti, senza serie A e serie B, che sta la sostanza stessa di quello per il quale ancora ritengo di potermi definire in qualche maniera comunista. Non nelle tristi parate militari sovietiche, nei proclami atomici nordcoreani o nei partiti comunisti italiani e nelle loro patetiche e-( in?)-voluzioni. Ma questa è un’altra storia.
Il Muro, si diceva. Si ricorda l’Evento festanti proprio in un periodo in cui di muri ne vengono costruiti di nuovi, e quelli che festeggiano la caduta di quello di vent’anni fa sono i principali promotori di quelli del 2009.
Muri di carceri. “Costruire più carceri!” è la soluzione che propongono per risolvere il problema del sovraffollamento delle stesse. Privare una persona della libertà personale perché ha commesso un’infrazione alle regole che loro hanno imposto; ecco la “giustizia” che dittature con qualsiasi etichetta, dalla “rossa” Cina al “nero” Cile passando per i colorati States, applicano.
Muri di quelli che chiamano “Centri di permanenza temporanea”. Non ospitano berlinesi che cercavano di raggiungere la parte Ovest, per una vita migliore. Rinchiudono senegalesi, etiopi, egiziani, con un cesso ogni trecento persone. Tanto sono solo “sporchi negri” o, per dirla col politically correct mode, “disperati”, come li chiamano quelli che, il 9 Novembre, festeggiano quel famoso crollo che permise ai “disperati” dell’Est di arrivare all’Ovest senza prendersi mitragliate nella schiena.
Poi ci sono i muri invisibili, quelli ancora più difficili da abbattere.
I muri dei segreti di Stato, quelli che nascondono le vigliaccherie di chi sostiene di essere lì a difendere la dignità delle persone. E che dietro a quei muri rassicuranti come le cosce di mammà fa picchiare ragazzi dai suoi bracci armati, mette bombe sui treni, difende assassini conclamati, ordina repressioni sanguinarie alle manifestazioni, maschera guerre a fine economico come missioni di pace, concede appalti per costruire case in terreni paudosi, permette alle banche e agli imprenditori amici di fare il bello e il cattivo tempo, di mandare in miseria migliaia di poveracci, continuare a rovinare l’economia dei paesi indifesi e commerciare armi. Affacciandosi poi da quel muro per chiederti di rispettare le sue leggi sempre più restrittive, di accontentarti della minestra insipida perché “c’è la crisi” (sempre per gli stessi) e, magari, di donare un euro con un SMS per curare il piede del bimbo africano mutilato dalle armi di cui sopra o per ricostruire la casa del terremotato rimasto senza la sua abitazione di cartone messa su con due lire col beneplacito dello Stato stesso e di un bel giro di tangenti milionarie.
E poi altri cento muri, mille muri. Quelli della diffidenza nel diverso, che sia di colore, di religione, di gusti sessuali o anche solo di provincia, magari 600 km più a Sud del tuo fiume Po o a Nord del tuo Colosseo. Frontiere, dogane, passaporti, permessi di soggiorno… altri tipi di muri, da tutti glorificati e ritenuti indispensabili ed indiscutibili. Ma sempre muri restano.
E ancora, muri di case ben protette, porte blindate, chè fuori c’è la brutta gente, quella che ha scavalcato i muri dei loro paesi “non liberi” ma mica può venire di punto in bianco a mangiare nel nostro piatto…
Muri che vengono rinforzati, ogni giorno di più, foderandoli di bandiere, di eserciti, di patriottiche esibizioni d’orgoglio e di petti in fuori, di informazione spazzatura utilizzata come un fucile verso coscienze e cervelli ormai lobotomizzati e che assorbono tutto, anche le più palesi e brutali falsità.
Il 9 Novembre 1989 è crollato sicuramente qualcosa di più di un semplice muro. Avevo poco più di 11 anni, cominciavo appena a capire di esserci dentro con tutte le scarpe e di dovere imparare a difendermi. Difendermi proprio da loro, da quelli che oggi festeggiano, quelli che il Muro l’hanno ricostruito subito dopo e molto ma molto più grande… masso per masso, schiavo per schiavo, comunista per comunista...
Musica di Yann Tiersen
Music by Yann Tiersen
Musique de Yann Tiersen
Musik von Yann Tiersen
Музика: Ианн Тиерсен
Good Bye Lenin!
Regia: Wolfgang Becker
Soggetto: Wolfgang Becker, Bernd Lichtenberg
Sceneggiatura: Wolfgang Becker, Bernd Lichtenberg
Interpreti: Daniel Brühl, Katrin Saß, Chulpan Khamatova, Maria Simon, Florian Lukas, Alexander Beyer, Burghart Klaussner
Fotografia: Martin Kukula
Montaggio: Peter R. Adam
Effetti speciali: Andreas Schellenberg
Musiche: Yann Tiersen
* Premi César 2004: miglior film dell'Unione europea
* 3 European Film Awards 2003: miglior film, miglior attore (Daniel Brühl), miglior sceneggiatura
Berlino (Germania Est), 26 agosto 1978. Dopo essere stata interrogata dalla Stasi a proposito di suo marito che è riuscito a scappare all'Ovest, Christiane (Katrin Sass), una fervente socialista, si dedica anima e corpo alla politica ed alla causa della Repubblica Democratica Tedesca. Ma il 7 ottobre 1989 (quarantennale della DDR), durante alcuni tumulti, la donna vede il figlio pestato e portato via dalla polizia: colpita da un infarto, cade in coma, ma pochissimo dopo lui è liberato.
Si risveglia 8 mesi dopo, ma in questo lasso di tempo -relativamente breve-, il mondo attorno a lei è cambiato: il muro di Berlino è caduto, il Paese si avvia alla riunificazione ed il governo socialista non esiste più. E i suoi figli si sono subito adattati alla nuova realtà: Alex (Daniel Brühl), dopo la fine della cooperativa di riparatori tv resta nel settore diventando installatore di parabole satellitari (e troverà tanto lavoro in quanto molta gente vuole vedere i Mondiali), Ariane (Maria Simon), ragazza-madre, lascia l'università e lavora al Burger King (nel corso del film aspetterà un altro figlio dal nuovo compagno Rainer conosciuto nel nuovo luogo di lavoro).
Per evitarle il contraccolpo psicologico, ritenuto fatale dai medici, il figlio, confidando nel fatto che la madre deve restare a riposo per molto tempo ed aiutato dalla riluttante sorella e dall'amico aspirante regista e compagno di lavoro Denis (Florian Lukas), "preserva" la normalità della DDR all'interno del proprio appartamento. Recupera cimeli, prodotti e giornali della Germania Est, insieme all'amico videoamatore realizza improbabili ma credibili telegiornali per tenere aggiornata la madre e coinvolge amici e vicini nella lunga pantomima, sperando che la donna non venga mai a sapere la verità. Tutto sembra precipitare quando un giorno Christiane, non controllata dai figli, si alza dal letto ed esce di casa. Percorrendo pochi metri vede intorno a sè un mondo completamente diverso: arredamenti creativi, automobili di lusso, immagini sante, pubblicità e non ultimo un elicottero che porta via una statua di Lenin. Ancora una volta Alex riesce a cavarsela e con uno stratagemma (una crisi economica) convince la madre che nulla è cambiato. Durante una gita la madre racconta ai due figli la verità riguardo al padre scappato a Ovest: lei aveva raccontato che aveva con sè un'altra donna, ma in realtà che lei stessa progettava insieme al marito la fuga dal regime ma, all'ultimo, non si era sentita di raggiungerlo per le difficoltà burocratiche per l'ottenimento del visto e per la paura di perdere i suoi figli.
Alex allora va a rintracciare il padre, anche perché la madre ha avuto un nuovo infarto e le resta poco da vivere. Il suo ultimo desiderio è di rivedere il marito. Mentre Alex è fuori in cerca del padre, la sua ragazza Lara (Chulpan Khamatova) approfitta per raccontare alla madre la verità, ma lei continua a credere ovvero a fingere di credere al gioco del figlio anche quando poco prima di morire, Alex prepara una decorosa uscita di scena della DDR. Mettendo fine alla sua creatura, Alex ribalta la storia consegnando la vittoria ad un socialismo cui pure le popolazioni dell'occidente ardentemente cercano di approdare; conseguenza di questo fatto è l'abbattimento del muro e la fine della divisione tedesca. La madre di Alex sopravvive così per tre giorni alla sua amata DDR spegnendosi serena dopo la festa della riunificazione del proprio Paese, il 3 ottobre 1990.
Tutti a "celebrare" la caduta del muro, in questi giorni di ventennale. Il trionfo della libertà, la fine della guerra fredda, e tutto il resto. Festeggiano ex comunisti come Napolitano, il "presidente della repubblica", quello che nel '56 approvava l'aiuto fraterno per schiacciare la rivolta ungherese, e festeggiano i fascistoni e i fascistelli: a proposito, stasera "Good Bye Lenin!" sembra che sia persino in programmazione a "Casaggì", il "centro sociale di destra" in via Maruffi a Firenze. Ma che bravi. Noi, invece, che siamo meno bravi e meno proni a queste cucchiaiate di vomitevole retorica, "festeggiamo" a modo nostro. Proponendo sì la colonna sonora del bel film di Becker, ma contro tutti i muri. Non solo quelli che fanno comodo. E lo facciamo proponendo uno scritto, di questi giorni, di Redshadow. Uno scritto che no, non è in linea. Con un rimando anche noi alla Domenica delle Salme.
da Minimi Termini Reload
Siccome in questo Paese la “discussione politica” è praticamente un’infinita partita di calcio vissuta da ultras, con tanto di “devi morire!” e “se veniamo di li…” non pare vero alla fogna traboccante che rappresenta la maggioranza sbandierare l’anniversario della caduta del Muro di Berlino come “l’inizio della fine del comunismo”. Uno, che sapendomi non destrorso pensava di ferirmi o magari di offendermi ricordandomi l’avvenimento, era addirittura convinto che il muro dividesse in due non la città di Berlino, ma proprio tutta la Germania. E sarei disposto a scommettere che tra gli elettori PDL (e non solo) un buon 60% direbbe a riguardo strafalcioni di questo genere. L’altro 40% è all’oscuro dell’avvenimento, quella sera guardava Telemike.
E’ scontato dire che ritengo l’abbattimento di qualsiasi barriera un fatto positivo. Pur se spettacolarizzata all’inverosimile e pubblicizzata più per tirare acqua al proprio mulino che per reale interesse nell'altrui beneficio. Il capitalismo vinceva ed accoglieva nuovi…clienti? Adepti? Numeri? E’ sempre difficile il paragone su “prima” e “dopo” da chi ha sempre vissuto in Italia e tutto sommato ha avuto comodità e cibo a sufficienza (la felicità no, quella è un’altra cosa). Un altro punto di forza dei sedicenti “anticomunisti” è lo sbatterti in faccia la presunta incoerenza tra l’ideale stesso e le comodità della vita. Senza capire che è proprio nel vivere bene, tutti, senza serie A e serie B, che sta la sostanza stessa di quello per il quale ancora ritengo di potermi definire in qualche maniera comunista. Non nelle tristi parate militari sovietiche, nei proclami atomici nordcoreani o nei partiti comunisti italiani e nelle loro patetiche e-( in?)-voluzioni. Ma questa è un’altra storia.
Il Muro, si diceva. Si ricorda l’Evento festanti proprio in un periodo in cui di muri ne vengono costruiti di nuovi, e quelli che festeggiano la caduta di quello di vent’anni fa sono i principali promotori di quelli del 2009.
Muri di carceri. “Costruire più carceri!” è la soluzione che propongono per risolvere il problema del sovraffollamento delle stesse. Privare una persona della libertà personale perché ha commesso un’infrazione alle regole che loro hanno imposto; ecco la “giustizia” che dittature con qualsiasi etichetta, dalla “rossa” Cina al “nero” Cile passando per i colorati States, applicano.
Muri di quelli che chiamano “Centri di permanenza temporanea”. Non ospitano berlinesi che cercavano di raggiungere la parte Ovest, per una vita migliore. Rinchiudono senegalesi, etiopi, egiziani, con un cesso ogni trecento persone. Tanto sono solo “sporchi negri” o, per dirla col politically correct mode, “disperati”, come li chiamano quelli che, il 9 Novembre, festeggiano quel famoso crollo che permise ai “disperati” dell’Est di arrivare all’Ovest senza prendersi mitragliate nella schiena.
Poi ci sono i muri invisibili, quelli ancora più difficili da abbattere.
I muri dei segreti di Stato, quelli che nascondono le vigliaccherie di chi sostiene di essere lì a difendere la dignità delle persone. E che dietro a quei muri rassicuranti come le cosce di mammà fa picchiare ragazzi dai suoi bracci armati, mette bombe sui treni, difende assassini conclamati, ordina repressioni sanguinarie alle manifestazioni, maschera guerre a fine economico come missioni di pace, concede appalti per costruire case in terreni paudosi, permette alle banche e agli imprenditori amici di fare il bello e il cattivo tempo, di mandare in miseria migliaia di poveracci, continuare a rovinare l’economia dei paesi indifesi e commerciare armi. Affacciandosi poi da quel muro per chiederti di rispettare le sue leggi sempre più restrittive, di accontentarti della minestra insipida perché “c’è la crisi” (sempre per gli stessi) e, magari, di donare un euro con un SMS per curare il piede del bimbo africano mutilato dalle armi di cui sopra o per ricostruire la casa del terremotato rimasto senza la sua abitazione di cartone messa su con due lire col beneplacito dello Stato stesso e di un bel giro di tangenti milionarie.
E poi altri cento muri, mille muri. Quelli della diffidenza nel diverso, che sia di colore, di religione, di gusti sessuali o anche solo di provincia, magari 600 km più a Sud del tuo fiume Po o a Nord del tuo Colosseo. Frontiere, dogane, passaporti, permessi di soggiorno… altri tipi di muri, da tutti glorificati e ritenuti indispensabili ed indiscutibili. Ma sempre muri restano.
E ancora, muri di case ben protette, porte blindate, chè fuori c’è la brutta gente, quella che ha scavalcato i muri dei loro paesi “non liberi” ma mica può venire di punto in bianco a mangiare nel nostro piatto…
Muri che vengono rinforzati, ogni giorno di più, foderandoli di bandiere, di eserciti, di patriottiche esibizioni d’orgoglio e di petti in fuori, di informazione spazzatura utilizzata come un fucile verso coscienze e cervelli ormai lobotomizzati e che assorbono tutto, anche le più palesi e brutali falsità.
Il 9 Novembre 1989 è crollato sicuramente qualcosa di più di un semplice muro. Avevo poco più di 11 anni, cominciavo appena a capire di esserci dentro con tutte le scarpe e di dovere imparare a difendermi. Difendermi proprio da loro, da quelli che oggi festeggiano, quelli che il Muro l’hanno ricostruito subito dopo e molto ma molto più grande… masso per masso, schiavo per schiavo, comunista per comunista...