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Muerte de Tupac Amaru

Víctor Heredia
Langue: espagnol


Víctor Heredia

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[1986]
Da concept album "Taki Ongoy", dedicato all'omonimo movimento indigeno peruviano di resistenza alla conquista spagnola (seconda metà del XVI secolo).

Titu Cusi Yupanqui, figlio di Manco Inca, fu messo sul trono di Vilcabamba dagli spagnoli (e ricevette pure il battesimo), ma non fu propriamente un collaborazionista, anzi, difese a tal punto la sovranità indigena su quella piccola porzione di regno inca non formalmente soggiogata che alla fine gli spagnoli lo fecero fuori, avvelenandolo. La morte di Titu Cusi portò al massacro dei missionari cattolici e a nuove sollevazioni guidate dal fratello, Tupac Amaru, l'ultimo grande leader della resistenza inca, poi catturato e giustiziato a Cuzco il 25 settembre 1572...
Peleamos en Vilcabamba
en contra del extranjero;
ya había perdido mi hermano
su fe en conseguir vencerlos.

Titu-Cusi era su nombre
y comandó la rebelión,
pero preso de la fiebre
entregó su corazón.

Tupac-Amaru es mi nombre
y asumo entonces el mando
Manco-Inca fue mi padre
su sangre guía mis manos.

Por América resisto
por América me muero
por América, mi vida
me arrancará el extranjero.

El español que me mata
no sabe que esta cortando
la cabeza que mañana
cantara en un canto eterno

Se muere el ultimo inca
Tupac-Amaru se muere
todo el Cuzco se desangra
por mi cabeza en la pica

Pachacamac me recibe
para preparar mi traje
yo, volveré con los míos
a reparar el ultraje.

Por América resisto
por América me muero
por América lo juro
nunca detendré mi vuelo

Tupac-Amaru es mi nombre
mi sangre y mi canto eterno
Tupac-Amaru no ha muerto
quien puede matar un sueño?

envoyé par Alessandro - 13/10/2009 - 11:06


Ovviamente Tupac Amaru fu mandato al patibolo nel 1572 e non nel 1972... I Tupac Amaru che furono massacrati nel XX secolo furono quelli del commando guidato dal comandante Nestor Cerpa Cartolini che nel 1996 prese in ostaggio 600 invitati ad un ricevimento dell'ambasciatore del Giappone a Lima... Il sequestro durò 4 mesi... poi, alla fine di aprile, le forze speciali peruviane, aiutate da esperti statunitensi e israeliani, intervennero uccidendo tutti i membri del commando, alcuni nonostante che si fossero arresi... Tanto per ricordarsi di episodi ormai dimenticati...

Alessandro - 13/10/2009 - 11:18


Lima, 22 aprile 1997.
fuji-mrta

L'allora presidente peruviano Alberto Fujimori - un vero criminale di stato, mandante di numerosi omicidi politici, e oggi detenuto per vari reati - osserva il corpo di due militanti del Movimiento Revolucionario Túpac Amaru (MRTA) uccisi durante l'intervento delle forze speciali per liberare le persone che il gruppo guerrigliero teneva in ostaggio da quattro mesi nell'ambasciata giapponese della capitale.
A destra, il corpo del comandante Néstor Cerpa Cartolini.
Il cadavere accanto, decapitato, è quello del suo luogotenente Roli Rojas...

Alessandro - 13/10/2009 - 14:00


Un ricordo per i compagni di MRTA assassinati a Lima nel 1997...
ciao, GS


"E TU ORA COSA PENSI?..."
- un incontro con Isaac e Norma Velazco-
(intervista a cura di Gianni Sartori 1997)

Un anno fa, il 17 dicembre 1996, un gruppo di guerriglieri del MRTA (Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru) occupava l’ambasciata giapponese a Lima, come estrema forma di protesta contro il sistema carcerario peruviano, per la liberazione dei prigionieri politici uccisi lentamente, giorno per giorno, nelle prigioni di Fujimori. L’occupazione finì quattro mesi dopo con l’intervento delle teste di cuoio peruviane, addestrate da istruttori americani. I guerriglieri vennero giustiziati e fatti letteralmente a pezzi (alcuni decapitati). Nei comunicati del MRTA si sostiene che "come gran parte del Sud del mondo, il Perù si trova sotto il tallone del neoliberismo e il suo sviluppo economico avviene a scapito delle masse popolari, in particolare delle popolazioni indigene". Da questo punto di vista l’azione per quanto estrema del MRTA è stata vista anche come "una risposta alla violenza del sistema politico ed economico, un tentativo di riaffermare la dignità umana".
Ne abbiamo parlato con Isaac Velazco, intervenuto con la moglie Norma in quanto rappresentati del MRTA, ad un incontro-dibattito tenutosi a Vicenza, presso Villa Lattes, il 15 dicembre. Isaac porta i segni indelebili delle torture cui è stato sottoposto, torture che comunque non hanno potuto scalfire il profondo senso di dignità che traspare dai suoi gesti e dalle sue parole, testimonianza vivente dei milioni di Indios massacrati e perseguitati dai colonizzatori europei.

Che cosa intende sottolineare dell’attuale situazione in America Latina e in particolare nel Perù?
Vorrei ricordare cosa rappresenta l’attuale modello neoliberista per i popoli dell’America Latina, dell’Asia, dell’Africa... i cosiddetti popoli sottosviluppati. Sono questi popoli che hanno reso possibile, subendo uno sfruttamento durato ormai 500 anni, lo sviluppo industriale e le attuali condizioni materiali di vita di coloro che ancora ci opprimono, i paesi sviluppati.

Come si è concretizzato tutto questo nei territori che costituiscono l’attuale Perù?
I diritti del nostro popolo non sono mai stati rispettati. Ci è stato impedito di parlare la nostra lingua e ci è stata imposta quella dei conquistatori; la nostra cultura è stata proibita. Abbiamo dovuto subire un modello economico portato dall’Europa e le nostre terre comuni sono diventate terre dei conquistatori. Con violenza ci hanno tolto la libertà e ci hanno trasformato in servi e schiavi, obbligandoci a lavorare quelle terre che erano state nostre, a scendere nelle profondità della terra per estrarre l’oro, insieme al denaro unico vero Dio dei conquistatori. Quell’oro estratto dai nostri avi servì per l’accumulazione originaria del capitale che permise lo sviluppo industriale in Europa. Ricordo che anche ai nostri giorni circa diecimila tonnellate di oro estratto in Perù prendono ogni anno la via dell’Europa e degli Stati Uniti. Per cinquecento anni tutto il continente denominato America Latina ha sopportato il saccheggio delle risorse naturali. Più di 13 milioni di indigeni in Perù, e 64 milioni in tutta l’America Latina, furono assassinati nel più grande genocidio mai registrato dalla storia dell’umanità e di cui quasi nessuno ha il coraggio di parlare.

Come vivevano gli indigeni prima dell’arrivo dei conquistatori?
Nel continente sudamericano si erano sviluppate culture autoctone che avevano fornito soluzioni molto positive alle necessità delle popolazioni. L’economia non si basava sulla proprietà privata ma sul lavoro comunitario e, grazie ad un complesso sistema di opere idrauliche, l’agricoltura era ben sviluppata. Gli indigeni non conoscevano la fame e vivevano in un buon rapporto con la natura. La colonizzazione bloccò lo sviluppo di queste culture e il nostro popolo subì la violenza di un nuovo modo di concepire l’organizzazione sociale -quello dei conquistatori- basato sull’oro, il denaro, la proprietà privata e il possesso di servi e schiavi. Era la visione del mondo dell’Europa feudale, monarchica, dove già esisteva la proprietà privata delle terre e per imporla anche nel nostro continente si ricorse al genocidio.

Cosa sta accadendo ai nostri giorni in Perù, e in genere nel "Cono Sud", con il Nuovo Ordine Mondiale?
Il colonialismo ha ceduto il passo al neocolonialismo e questo al neoliberismo che costituisce il vero e proprio imperialismo della nostra epoca, in grado di soddisfare la bramosia e l’avarizia dei pochi maggiori proprietari di capitali del mondo. Il capitalismo selvaggio attualmente applicato in Perù ha comportato la privatizzazione delle imprese statali, il fallimento di molte industrie e, come conseguenza, il licenziamento e la disoccupazione di migliaia e migliaia di lavoratori. Attualmente in Perù il 75% della popolazione attiva è senza lavoro o sottoccupata e questo si riflette anche a livello delle organizzazioni dei lavoratori. Nel 1990 gli operai iscritti al sindacato erano due milioni; oggi soltanto 600.000. Ovviamente il modello neoliberista favorisce condizioni che garantiscono un maggior sfruttamento dei lavoratori. Il diritto alla sindacalizzazione viene conculcato, oltre che con la repressione, attraverso contratti di lavoro precario, senza stabilità lavorativa, soprattutto per i giovani. In questo contesto si assiste ad un aumento della povertà; attualmente almeno 12 milioni di peruviani sono in condizioni di autentica miseria. Secondo i dati della Banca Mondiale, il Perù si trova al 10° posto come indice di povertà. Il 40% della popolazione sopravvive con meno di un dollaro al giorno.

Qual è, in questo tragico scenario che ha delineato, la situazione dell’infanzia?
Ovviamente le principali vittime di questa situazione sono i soggetti più deboli, come appunto i bambini. Molti bambini cercano di alimentarsi rovistando tra le immondizie e chiedendo l’elemosina. Molti sono costretti a lavorare, sottopagati, in età giovanissima, altri si trasformano in mercanzia sessuale. È normale incontrare bambini tra i 9 e i 14 anni che si prostituiscono nelle zone residenziali. I giovani che non trovano lavoro sono spinti a rubare per sopravvivere. Attualmente le carceri sono piene di questi giovani cui il modello neoliberale non offre un futuro.Eppure il Perù è molto esteso e
relativamente poco popolato con i suoi 23 milioni di abitanti. Inoltre è ricco di risorse naturali che potrebbero garantire una vita dignitosa a tutti i suoi abitanti...

Il vostro movimento riconosce un ruolo particolare alle culture indigene?
Attualmente il Perù costituisce una società pluriculturale, sia dal punto di vista etnico che linguistico. Come MRTA riconosciamo questa realtà e la incorporiamo nel nostro processo di trasformazione e liberazione sociale. Noi lottiamo affinché le popolazioni indigene, assieme a tutto il popolo peruviano, vengano rivalutate in quanto esseri umani. In particolare riconosciamo nella cultura tradizionale indigena un elemento molto importante per la costruzione di una società basata sulla dignità umana: la comunità andina, una forma di produzione e di organizzazione sociale che ha come base il lavoro solidale e la proprietà comunitaria. La comunità andina implica la partecipazione di tutti i membri della comunità in quanto comuneros all’organizzazione sociale; le autorità vengono scelte da tutti, in modo democratico, diretto e partecipativo. Quando i rappresentanti non corrispondono alle esigenze della comunità vengono immediatamente revocati. Il prodotto del lavoro solidale viene distribuito tra tutti i membri della comunità. A questa tradizione india noi facciamo riferimento per il nostro modello di società.

Un’ultima domanda. Come giustifica l’azione compiuta a Lima dal vostro gruppo nella residenza dell’ambasciatore giapponese e conclusasi tragicamente?
Non ho niente da giustificare. Il nostro popolo è stato vittima di ogni violenza per più di 500 anni. Anche adesso la violenza è un elemento strutturale della società peruviana e lo Stato la applica sistematicamente contro la popolazione. È una vera e propria azione di sterminio contro chi si ribella ad un sistema economico che lo condanna a morire di fame. Penso che un popolo ha il diritto di difendersi. Come può la Comunità internazionale considerare democratico un governo che tra il ‘92 e il ‘95 ha incarcerato 10.000 prigionieri politici, che ha torturato quasi 100mila persone (soprattutto con scariche elettriche sulla lingua, sui genitali...) per ottenere informazioni, per far loro confessare azioni che non avevano commesso? Sono centinaia le donne violentate e le comunità indigene sterminate dall’esercito. I nostri compagni sono entrati nella residenza per denunciare la guerra non dichiarata del neoliberismo contro l’umanità, per mostrare a tutti come in questo paese solo pochi privilegiati possono vivere al livello del primo mondo, a prezzo della vita di milioni di diseredati. Eppure, anche se molti dei presenti nell’ambasciata erano complici della barbarie delle multinazionali e del governo, sono sempre stati trattati come esseri umani dal MRTA (i guerriglieri liberarono anche la madre di Fujimori ndr). La maggior parte dei media ha definito l’azione del MRTA un atto terrorista. E tu ora cosa ne pensi? E cosa credi penseranno quelli che leggeranno le mie dichiarazioni?

Gianni Sartori (1997)

Gianni Sartori - 5/11/2014 - 22:15


CONDANNE - PERALTRO TROPPO LIEVI - PER ALCUNI MILITARI CHE AVEVANO VIOLENTATO DONNE QUECHUA IN PERU’

Nel secolo scorso, nel corso delle operazioni di contro-insurrezione, i militari peruviani si resero responsabili di molteplici violazioni dei diritti umani ai danni delle popolazioni indigene, in particolare contro le donne

Meglio tardi che mai si suol dire. Anche se quaranta anni sembrano veramente troppi. Inoltre le pene inflitte (dai sei ai dodici anni) ai dieci militari condannati per stupro appaiono relativamente miti se confrontate alla gravità degli atti compiuti su una decina di donne e ragazze (contadine di etnia quechua, la maggior parte minorenni) delle città andine di Manta e Vilca (Dipartimento di Huancavelica). Alcune di loro erano rimaste incinte, in qualche caso anche più volte, a causa degli stupri ripetutamente subiti.

I fatti risalivano al periodo tra il 1984 e il 1995 (mentre l’inizio delle indagini risaliva al 2004) quando nella regione andina di Huancavelica, una delle più povere del paese, venne inviato l’esercito per contrastare la guerriglia maoista di Sendero Luminoso. All’epoca il governo aveva classificato alcuni territori andini come “zone in emergenza” installandovi basi militari.

E’ ormai ampiamente assodato che diversi reggimenti più che nel combattere i guerriglieri si distinsero per aver ulteriormente aggravato le sofferenze della popolazione civile. Con le torture, le esecuzioni extragiudiziali, le rappresaglie indiscriminate (preventive ?) e appunto gli stupri. Allo scopo di terrorizzare ulteriormente la popolazione sradicando ogni forma di solidarietà con le forze antigovernative.

I militari sono stati giudicati e condannati a Lima, nella Sala Penal Nacional.

Per Sabino Valentín Rutti 12 anni di carcere; 10 anni per Rufino Rivera Quispe, Amador Gutiérrez Lizarbe, Lorenzo Inga Romero, Epifanio Quiñonez Loyola, Raúl Pinto Ramos, Vicente Yance Collahuacho e Arturo Simarra García; 8 anni per Martín Sierra Gabriele; 6 anni per Pedro Pérez López.

Particolare non secondario, nessuno di loro era presente in aula e alcuni risulterebbero espatriati.

Per altri tre (ex) militari la sentenza è stata rinviata in quanto contumaci.

Disappunto e delusione da parte di alcune donne presenti in aula dato che la Fiscalia aveva chiesto tra i 18 e i 20 anni di carcere.

Una delle vittime ha così commentato: “Sto male. La condanna inflitta è troppo poco. Abbiamo lottato per vent’anni continuando a lavorare, educando i nostri figli, andando ovunque, a destra e a sinistra, per ottenere giustizia. Ma alla fine dobbiamo constatare che in Perù non c’è una giustizia giusta e che le autorità non hanno alcuna considerazione per gli indigeni”.

Va ricordato che il conflitto che ha insanguinato per almeno un ventennio il Perù (grosso modo tra il 1980 e il 2000) aveva causato circa 70mila vittime tra cui il 75% apparteneva all’etnia quechua. In quale percentuale il numero delle vittime sia attribuibile alla guerriglia, all’esercito o genericamente alle forze dell’ordine è ancora oggetto di discussione.

Secondo il documento finale prodotto nel 2003 dalla Comisión de la Verdad y Reconciliación (ampiamente citato nella sentenza) la maggior parte delle vittime di violenza sessuale vivevanonelle regioni di Ayacucho e di Huancavelica. Oltre l’83% degli stupri sarebbero imputabili alle forze statali.

In un precedente procedimento (poi annullato per ragioni procedurali) era stato negato l’intervento di un interprete per la varietà di lingua quechua parlata dalle vittime. Inoltre queste vennero costrette a testimoniare davanti ai loro aggressori. Un secondo processo era stato avviato nel 2019.

Augurandosi, come hanno voluto precisare alcune delle vittime che “altri processi del genere che si dovessero celebrare in futuro si svolgano in condizioni migliori rispetto a quelle che noi abbiamo dovuto subire”.

Gianni Sartori

Gianni Sartori - 22/6/2024 - 15:52




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