Konstanty Ildefons Gałczyński: Na śmierć Esteriny, deportowanej przez hitlerowców, Wenecjanki
GLI EXTRA DELLE CCG / AWS EXTRAS / LES EXTRAS DES CCGLingua: Polacco
Na śmierć Esteriny
deportowanej przez hitlerowców
Wenecjanki
I
Po twych warkoczach mógłbym wejść do nieba
i nagle co? Zasłona.
Serce uciekło ci jak mysz czerwona,
nawet nie rzekło "przebacz".
Po cóż mi było ciułać moją wiedzę?
Szarpię cię: - Powiedz, po co? -
Świeczka dogasa. Brzask blisko. Siedzę
nad trupem twoim nocą.
Bo wskrzesić cię nie mogę. Rozumiesz?
Cień padł na twą urodę.
Nawet wody nie chcesz. Nie rozumiesz.
Z ciemnych rzek czerpiesz wodę.
Już gdzie indziej twoje oko błyska
błyskawicą szmaragdową,
kiedy idziesz przez podziemne grzęzawiska
a trzciny szumią za tobą.
A tu za oknem bór jak udręka
wciąż rosnąca, komu potrzebna?
I ptaki stoją na sękach,
nieruchome, głupie, jak z drewna.
II
Jeśli kiedy spotkam twoją matkę,
powiem, żem cię pogrzebał -
że nosiłaś uczesanie gładkie
i warkocze, co sfrunęły z nieba;
że rzuciłem raz kwiat konwalii
do twych stóp wąskich i bosych -
żeśmy, gnój ładując, rozprawiali
o Pietrzynce, pajacyku długonosym.
III
Ty się, lesie, ze mną pogrąż w rozpacz,
ty, dębino, brzezino, buczyno -
dziuro w bucie, ty się także rozpłacz
nad umarłą, nad piękną Esteriną!
Ptaszki szklane, drewniane jelenie,
fajansowe, skrzydlate zające,
pomagajcież mi rzucać ziemię,
wstrętną ziemię na usta pachnące.
Dzień nadchodzi. Deszcz konary obmył.
Rzeka bólu płynie i bełkocze.
Nuże, braciszkowie, zakopmy
ręce, usta, oczy i warkocze.
Konstanty Ildefons Gałczyński
1948
deportowanej przez hitlerowców
Wenecjanki
I
Po twych warkoczach mógłbym wejść do nieba
i nagle co? Zasłona.
Serce uciekło ci jak mysz czerwona,
nawet nie rzekło "przebacz".
Po cóż mi było ciułać moją wiedzę?
Szarpię cię: - Powiedz, po co? -
Świeczka dogasa. Brzask blisko. Siedzę
nad trupem twoim nocą.
Bo wskrzesić cię nie mogę. Rozumiesz?
Cień padł na twą urodę.
Nawet wody nie chcesz. Nie rozumiesz.
Z ciemnych rzek czerpiesz wodę.
Już gdzie indziej twoje oko błyska
błyskawicą szmaragdową,
kiedy idziesz przez podziemne grzęzawiska
a trzciny szumią za tobą.
A tu za oknem bór jak udręka
wciąż rosnąca, komu potrzebna?
I ptaki stoją na sękach,
nieruchome, głupie, jak z drewna.
II
Jeśli kiedy spotkam twoją matkę,
powiem, żem cię pogrzebał -
że nosiłaś uczesanie gładkie
i warkocze, co sfrunęły z nieba;
że rzuciłem raz kwiat konwalii
do twych stóp wąskich i bosych -
żeśmy, gnój ładując, rozprawiali
o Pietrzynce, pajacyku długonosym.
III
Ty się, lesie, ze mną pogrąż w rozpacz,
ty, dębino, brzezino, buczyno -
dziuro w bucie, ty się także rozpłacz
nad umarłą, nad piękną Esteriną!
Ptaszki szklane, drewniane jelenie,
fajansowe, skrzydlate zające,
pomagajcież mi rzucać ziemię,
wstrętną ziemię na usta pachnące.
Dzień nadchodzi. Deszcz konary obmył.
Rzeka bólu płynie i bełkocze.
Nuże, braciszkowie, zakopmy
ręce, usta, oczy i warkocze.
Konstanty Ildefons Gałczyński
1948
inviata da L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 17/1/2017 - 00:32
Lingua: Italiano
Traduzione italiana di Giuseppe Mariano
Dalla rivista: L'Europa Letteraria, Anno I, n° 5/6, Edizioni Rapporti Europei, 1960; pp. 112-113.
Dalla rivista: L'Europa Letteraria, Anno I, n° 5/6, Edizioni Rapporti Europei, 1960; pp. 112-113.
In morte di Esterina,
Veneziana, deportata dagli hitleriani
I
Giungerei al cielo con le tue trecce,
E d'un tratto cosa vedrei? Un velo di buio.
Il cuore è fuggito da te come un topo rosso
senza dire neanche "perdonami".
Perché ho ammucchiato tutto quel che so?
Ti tormento: dimmi perché.
Muore la candela. Il giorno è vicino. Veglio
il tuo cadavere tutta la notte.
Poiché non posso resuscitarti. Capisci?
L'ombra s'è posata sulla tua grazia.
Ormai non vuoi più l'acqua. Ormai non senti.
La raccogli da te nel fiume sotterraneo.
Già in altro luogo i tuoi occhi brillano
come coralli di smeraldo.
Dietro i tuoi passi trema la rete
quando avanzi per le nere paludi.
E ora al di là della finestra il lutto dei boschi,
sempre crescente, e solo pianti.
Gli uccelli stanno sui rami,
immobili, ottusi, di legno.
II
Dirò a tua madre, se la incontro,
che quella volta t'ho seppellita
che portavi i capelli lisci
e le trecce che volavano dal cielo.
Che ho gettato un mazzo di mughetti
sui tuoi piedini stretti e nudi,
che abbiamo trasportato il letame
e sognato un clown dal lunghissimo naso.
III
Piangi con me, piangi, o bosco,
buco nella scarpa, e gemi adesso,
faggi, betulle, querce, scoppiate a piangere
sul cadavere della bella Esterina!
Uccelli di vetro, caprioli attoniti,
leprotti dalle ali di maiolica,
aiutatemi a gettare la terribile terra
sulle labbra profumate la terribile terra
Fuori fa giorno. La pioggia ha lavato le corna dei cervi.
Il fiume del dolore rotola feroce.
Seppelliamo ormai, fratelli miei,
le mani, la bocca, le trecce, gli occhi.
Konstanty Ildefons Gałczyński
1948.
Veneziana, deportata dagli hitleriani
I
Giungerei al cielo con le tue trecce,
E d'un tratto cosa vedrei? Un velo di buio.
Il cuore è fuggito da te come un topo rosso
senza dire neanche "perdonami".
Perché ho ammucchiato tutto quel che so?
Ti tormento: dimmi perché.
Muore la candela. Il giorno è vicino. Veglio
il tuo cadavere tutta la notte.
Poiché non posso resuscitarti. Capisci?
L'ombra s'è posata sulla tua grazia.
Ormai non vuoi più l'acqua. Ormai non senti.
La raccogli da te nel fiume sotterraneo.
Già in altro luogo i tuoi occhi brillano
come coralli di smeraldo.
Dietro i tuoi passi trema la rete
quando avanzi per le nere paludi.
E ora al di là della finestra il lutto dei boschi,
sempre crescente, e solo pianti.
Gli uccelli stanno sui rami,
immobili, ottusi, di legno.
II
Dirò a tua madre, se la incontro,
che quella volta t'ho seppellita
che portavi i capelli lisci
e le trecce che volavano dal cielo.
Che ho gettato un mazzo di mughetti
sui tuoi piedini stretti e nudi,
che abbiamo trasportato il letame
e sognato un clown dal lunghissimo naso.
III
Piangi con me, piangi, o bosco,
buco nella scarpa, e gemi adesso,
faggi, betulle, querce, scoppiate a piangere
sul cadavere della bella Esterina!
Uccelli di vetro, caprioli attoniti,
leprotti dalle ali di maiolica,
aiutatemi a gettare la terribile terra
sulle labbra profumate la terribile terra
Fuori fa giorno. La pioggia ha lavato le corna dei cervi.
Il fiume del dolore rotola feroce.
Seppelliamo ormai, fratelli miei,
le mani, la bocca, le trecce, gli occhi.
Konstanty Ildefons Gałczyński
1948.
inviata da L'Anonimo Toscano del XXI Secolo - 17/1/2017 - 00:41
Ciao,
volevo segnalare che nella quarta strofa nella parola "grzęzawiska" (paludi) si è persa la "a" finale si è persa la "a" finale. Non mi risulta che questa bella poesia di Konstanty Ildefons Gałczyński fosse mai stata musicata, ma il fatto che non se ne trova la traccia di un addattamento simile in Internet conta poco, visto che tante altre sue opere erano e sono cantate in Polonia fino ai giorni nostri. Una precisazione. Gałczyński durante il secondo conflitto mondiale era sì un prigioniero del campo di concentramento tedesco, ma era uno Stalag in Germania, non era un campo di sterminio. Giusto per non fare troppa confusione.
Salud
volevo segnalare che nella quarta strofa nella parola "grzęzawiska" (paludi) si è persa la "a" finale si è persa la "a" finale. Non mi risulta che questa bella poesia di Konstanty Ildefons Gałczyński fosse mai stata musicata, ma il fatto che non se ne trova la traccia di un addattamento simile in Internet conta poco, visto che tante altre sue opere erano e sono cantate in Polonia fino ai giorni nostri. Una precisazione. Gałczyński durante il secondo conflitto mondiale era sì un prigioniero del campo di concentramento tedesco, ma era uno Stalag in Germania, non era un campo di sterminio. Giusto per non fare troppa confusione.
Salud
Krzysiek - 30/1/2017 - 18:19
E noialtri s'è reintegrata la "a" mancante nel testo, e grazie a te Krzysiek. Utile anche la precisazione sullo Stalag, anche se qua dentro, rispetto alle belle invenzioni germaniche di un tempo, si tende a non fare troppa differenza: a dir bene, la Esterina della bella poesia di era morta là dentro, così come in un campo di sterminio "doc". Stalag, cioè "Staatslager": curioso come le sigle di morte dei totalitarismi si assomiglino tutte, Stalag, Gulag... Salud!
CCG/AWS Staff - 30/1/2017 - 19:07
Credo che Esterina fu una amica d'infanzia di Konstanty Ildefons, lo si evince dal testo... credo. Negli stalag (da lager, ГУЛаг - Главное управление исправительно-трудовых лагерей) stavano i soldati e i sotto-ufficiali. Anche i piantoni (il personale) erano maschi. Ma anche questa è solo una mia supposizione. Perché poi questa ragazza ebrea era anche veneziana... non sacci. La poesia è del 1948 e pure questo dovrebbe far pensare a una scoperta del fatto della morte dell'amica dopo il ritorno dalla prigione.
Krzysiek - 31/1/2017 - 22:10
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Poesia di Konstanty Ildefons Gałczyński
Presso la Biblioteca pubblica dell'Isolotto, il mio quartiere, esiste una benemerita istituzione: lo “Scambialibro”. In pratica e in breve: all'ingresso della Biblioteca (che è uno splendore, va detto), c'è una specie di scaffale dove chiunque può lasciare liberamente vecchi libri di casa propria, vecchie riviste, qualsiasi cosa; e dove la Biblioteca stessa ripone i suoi libri dismessi e sostituiti da copie più nuove. Il famoso chiunque può prenderseli, e lasciarne a sua volta altri; poi c'è il sottoscritto, che ha la tendenza a prenderseli e basta. Confesso. Ci si trova di tutto: dai manuali per il nuovissimo computer del 1982 alle riviste legali, dai romanzacci rosa, neri, gialli e di ogni colore ai vecchi libri scolastici, da Shakespeare agli sconosciuti poeti. Ecco, sto per parlare di un poeta semisconosciuto, almeno dalle nostre parti, che ho scoperto grazie allo “Scambialibro” e a una copia di una rivista del 1960, “L'Europa Letteraria”. Non uno scherzetto: in copertina vengono annunciate pagine di Tudor Arghezi, Moravia, Frénaud, Nâzim Hikmet, Italo Calvino. Nonché un saggio di Giancarlo Vigorelli: “Sesso e letteratura”. Alla pagina 111 di detta rivista, ecco spuntare due poesie del poeta polacco Konstanty Ildefons Gałczyński, tradotte in italiano da Giuseppe Mariano. Talmente belle, oltre che “in tema”, che ho pensato di metterle qua dentro; ovviamente negli “Extra”, perché di poesie si tratta ed ignoro totalmente se qualcuno, in Polonia o altrove, le abbia mai messe in musica. Qui, eventualmente, chiedo aiuto a Krzysztof Wrona.
Nella rivista, il traduttore così introduce la figura di Konstanty Ildefons Gałczyński per il lettore italiano del 1960; riporto interamente l'introduzione aggiustando solo un po' la grafia, dato che nelle tipografie italiane dell'epoca era semplicemente impensabile che esistessero i caratteri polacchi.
“ Konstanty Ildefons Gałczyński è uno dei maggiori rappresentanti della poesia polacca moderna. Nato a Varsavia il 23 gennaio 1905 da padre polacco, ferroviere, e da madre cèca, all'inizio della prima guerra mondiale, insieme con la famiglia, si trasferì a Mosca, dove frequentò le scuole. Nel 1919 fece ritorno a Varsavia, nella cui università studiò filologia classica e letteratura inglese; da qui il suo profondo amore per la poesia antica e per Shakespeare. Era ancora studente quando pubblicò il primo libro, L'asino Porfirion, oppure il Club dei sacrileghi (1929), che in verità è un romanzetto fantastico-satirico di non grande valore. Prima della seconda guerra mondiale, fu per qualche tempo funzionario al consolato polacco di Berlino, e nel '37 raccolse le sue poesie. Il dramma dell'occupazione e della guerra nazista ha profondamente scosso la vita e l'arte di Gałczyński. Quale soldato dell'esercito polacco sconfitto, trascorse sei anni nel campo di concentramento di Altengrabow, presso Magdeburgo. Dopo la fine della guerra, andò vagabondo per l'Europa; e nel 1946 fece ritorno in patria. Collaborò a numerose riviste letterarie e satiriche. Negli ultimi anni precedenti la morte, avvenuta nel 1953, Gałczyński viene riconosciuto dalla critica e dal pubblico come uno dei poeti più autentici e più dotati della letteratura nazionale. Gałczyński ha pubblicato: Il carro incantato (1948), Anelli nuziali (1949), Niobe (1951), Wit Stwosz (1952).”
Ecco dunque la prima delle due poesie, per la quale ho reperito il testo originale polacco da questa pagina. Segue la traduzione italiana di Giuseppe Mariano ripresa (e ricopiata di sana pianta) da “L'Europa Letteraria”. Parla, almeno credo, di una bambina o di una ragazzina veneziana deportata e morta in un lager nazista; dal nome, presumibilmente, ebrea. E il poeta ne parla, disgraziatamente, in prima persona. [AT-XXI]