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Romance de la guardia civil española

Federico García Lorca
Lingua: Spagnolo


Federico García Lorca

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Consiglio la visione della clip di Atilio y Los Alimonados, un bel montaggio di immagini e film di repertorio.




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[1924-27]
Versi di Federico García Lorca, nella raccolta “Romancero Gitano” pubblicata nel 1928
Dedicati a Juan Guerrero Ruiz (1893-1955), uomo di lettere ed editore spagnolo, cui Lorca si rivolge con l’appellativo di “Cónsul general de la Poesía Española”
Musica del gruppo argentino Atilio y Los Alimonados (la voce è di Atilio Basaldella).
Nell’album intitolato “Atilio y Los Alimonados cantan Lorca”

Romancero Gitano
Atilio y Los Alimonados cantan Lorca

Il mondo e la cultura dei gitani, degli zingari andalusi, stava molto a cuore a Lorca che aveva già dedicato ad essi un’intera sua raccolta, il “Poema del cante jondo” pubblicata nel 1921, in cui è presente la poesia 24 Bofetadas (Canción del gitano apaleado)‎, messa in musica negli anni 70 da Los Aguaviva. Come in quella canzone, anche in questo “Romance de la guardia civil española” Lorca raccontava la perenne e crudele lotta dei gitani (spesso chiamati “cartagineses”) contro l’autorità e i suoi sgherri, la Guardia Civil (i “romanos”). Lorca si schierò sempre coi primi, partecipe delle loro sofferenze e della loro ribellione. E non è un caso che nel 1936 sia stato purtroppo lui stesso vittima dei “romanos”, i falangisti di Francisco Franco.

Guardia civil, fotografia di Eugene Smith, 1950.
Guardia civil, fotografia di Eugene Smith, 1950.


“I cavalli sono neri. Nere le finiture. Sui mantelli brillano macchie d'inchiostro e cera. Hanno di piombo i teschi, per questo non piangono. Con l'anima di vernice salgono dalla strada. Curvi e notturni, ovunque si manifestano impongono silenzi di gomma oscura e paure di sabbia fina. Passano, se vogliono passare, e nascondono in testa una vaga astronomia di pistole astratte.”

Los caballos negros son.
Las herraduras son negras.
Sobre las capas relucen
manchas de tinta y de cera.
Tienen, por eso no lloran,
de plomo las calaveras.
Con el alma de charol
vienen por la carretera.
Jorobados y nocturnos,
por donde animan ordenan
silencios de goma oscura
y miedos de fina arena.
Pasan, si quieren pasar,
y ocultan en la cabeza
una vaga astronomía
de pistolas inconcretas.

¡Oh ciudad de los gitanos!
En las esquinas banderas.
La luna y la calabaza
con las guindas en conserva.
¡Oh ciudad de los gitanos!
¿Quién te vió y no te recuerda?
Ciudad de dolor y almizcle,
con las torres de canela.

Cuando llegaba la noche,
noche que noche nochera,
los gitanos en sus fraguas
forjaban soles y flechas.
Un caballo malherido,
llamaba a todas las puertas.
Gallos de vidrio cantaban
por Jerez de la Frontera.
El viento, vuelve desnudo
la esquina de la sorpresa,
en la noche platinoche
noche, que noche nochera.

La Virgen y San José
perdieron sus castañuelas,
y buscan a los gitanos
para ver si las encuentran.
La Virgen viene vestida
con un traje de alcaldesa,
de papel de chocolate
con los collares de almendras.
San José mueve los brazos
bajo una capa de seda.
Detrás va Pedro Domecq
con tres sultanes de Persia.
La media luna, soñaba
un éxtasis de cigüeña.
Estandartes y faroles
invaden las azoteas.
Por los espejos sollozan
bailarinas sin caderas.
Agua y sombra, sombra y agua
por Jerez de la Frontera.

¡Oh ciudad de los gitanos!
En las esquinas banderas.
Apaga tus verdes luces
que viene la benemérita.
¡Oh ciudad de los gitanos!
¿Quién te vio y no te recuerda?
Dejadla lejos del mar,
sin peines para sus crenchas.

Avanzan de dos en fondo
a la ciudad de la fiesta.
Un rumor de siemprevivas
invade las cartucheras.
Avanzan de dos en fondo.
Doble nocturno de tela.
El cielo, se les antoja,
una vitrina de espuelas.

La ciudad libre de miedo,
multiplicaba sus puertas.
Cuarenta guardias civiles
entran a saco por ellas.
Los relojes se pararon,
y el coñac de las botellas
se disfrazó de noviembre
para no infundir sospechas.
Un vuelo de gritos largos
se levantó en las veletas.
Los sables cortan las brisas
que los cascos atropellan.
Por las calles de penumbra
huyen las gitanas viejas
con los caballos dormidos
y las orzas de monedas.
Por las calles empinadas
suben las capas siniestras,
dejando detrás fugaces
remolinos de tijeras.
En el portal de Belén
los gitanos se congregan.
San José, lleno de heridas,
amortaja a una doncella.
Tercos fusiles agudos
por toda la noche suenan.
La Virgen cura a los niños
con salivilla de estrella.
Pero la Guardia Civil
avanza sembrando hogueras,
donde joven y desnuda
la imaginación se quema.
Rosa la de los Camborios,
gime sentada en su puerta
con sus dos pechos cortados
puestos en una bandeja.
Y otras muchachas corrían
perseguidas por sus trenzas,
en un aire donde estallan
rosas de pólvora negra.
Cuando todos los tejados
eran surcos en la tierra,
el alba meció sus hombros
en largo perfil de piedra.

¡Oh, ciudad de los gitanos!
La Guardia Civil se aleja
por un túnel de silencio
mientras las llamas te cercan.
¡Oh, ciudad de los gitanos!
¿Quién te vio y no te recuerda?
Que te busquen en mi frente.
juego de luna y arena.

inviata da Bernart Bartleby - 7/2/2015 - 15:05



Lingua: Italiano

Traduzione italiana di Oreste Macrì da “Poesia spagnola del Novecento”, Garzanti 1985.

BALLATA DELLA GUARDIA CIVILE SPAGNOLA

Coperti di nero i cavalli.
Nere le ferrature.
Sui mantelli rilucono
macchie d’inchiostro e cera.
Hanno di piombo i crani,
per questo non piangono.
Con l’anima di lacca
camminano nella rotabile.
Gobbi e notturni,
per dove spronano impongono
silenzi di gomma oscura,
paure di fine sabbia.
Se voglion passare, passano,
e occultano nelle teste
d’astratte pistole
una vaga astronomia.

O città dei gitani!
Agli angoli, bandiere.
La luna e la zucca
con le amarene in conserva.
Oh città dei gitani!
Chi t’ha vista e non ti ricorda?
Città di dolore e di muschio,
con le torri di cannella.

Quando cadeva la notte,
notte di notte, notturna,
i gitani nelle fucine
forgiavano soli e frecce.
Un cavallo a morte ferito
bussava a tutte le porte.
Galli di vetro cantavano
per Jerez de la Frontera.
Ignudo il vento volta
la cantonata dell’agguato,
nella notte argentonotte,
notte di notte, notturna.

La Vergine e San Giuseppe
perdettero le loro nacchere,
e vanno cercando i gitani
per veder se le ritrovano.
La Vergine viene vestita
d’un abito di sindachessa,
di stagnola per cioccolato,
con i vezzi di mandorle.
San Giuseppe muove le braccia
sotto il mantello di seta.
Dietro va Pedro Domecq
con tre sultani di Persia.
La mezzaluna sognava
un’estasi di cicogna.
Lampioncini e stendardi
invadono le terrazze.
Negli specchi singhiozzano
ballerine senza fianchi.
Acqua e ombra, ombra e acqua
per Jerez de la Frontera.

Oh città dei gitani!
Agli angoli, bandiere.
Spegni le verdi tue luci,
arriva la benemerita.
Oh città dei gitani!
Chi t’ha vista e non ti ricorda?
Lasciatela lungi dal mare,
senza pettini per la riga.

Marciano due per due
sulla città della festa.
Un rumore di semprevivi
invade le loro giberne.
Marciano due per due.
Notturno rintocco di tela.
Il cielo se lo immaginano
una vetrina di sproni.

La città libera da paura
moltiplicava le porte.
Quaranta guardie civili
vi passano per saccheggiarla.
Gli orologi si fermarono,
e il cognac nelle bottiglie
si mascherò da novembre
per non destare sospetti.
Un volo di lunghi gridi
ascese alle banderuole.
Le sciabole tagliano brezze
dagli zoccoli travolte.
Nelle strade di penombra
le vecchie gitane in fuga
coi cavalli addormentati
e gli orcioli di monete.
Nelle strade inerpicate
Le cappe sinistre salgono,
lasciandosi dietro fugaci
mulinelli di forbici.

Nel portico di Betlemme
i gitani si radunano.
San Giuseppe crivellato
Acconcia una fanciulla morta.
Aspri fucili implacabili
Echeggiano tutta la notte.
La Vergine sana i bambini
con dolce saliva di stella.
Ma la Guardia Civile avanza
Seminando falò,
dove l’immaginazione
giovane e nuda avvampa.
Rosa de los Camborios geme
seduta sulla sua porta
con le due poppe recise
sopra un vassoio posate.
Ed altre ragazze correvano
dalle loro trecce inseguite,
in un’aria dove deflagrano
rose di polvere nera.
Quando solchi nella terra
divennero tutti i tetti,
dondolò l’alba le spalle
in lungo profilo di pietra.

Oh città dei gitani!
La Guardia Civile dilegua
sotto un tunnel di silenzio
mentre le fiamme t’accerchiano.

Oh città dei gitani!
Chi t’ha vista e non ti ricorda?
Cercatela sulla mia fronte.
Gioco di luna e di sabbia.

inviata da Bernart Bartleby - 7/2/2015 - 15:05


ritengo sia migliore la traduzione in italiano di Carlo Bo, peraltro immortalata da Arnoldo Foà...

francesco maestri - 2/5/2020 - 18:12




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