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Arbeit macht frei (il lavoro rende liberi)

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Lingua: Italiano


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[1973]
Testi: Frankenstein
Musica: Fariselli
Editore: Cramps/Milano
Produzione: Area

areaarbeit
Nelle tue miserie
riconoscerai
il significato
di un arbeit macht frei.

Tetra economia
quotidiana umiltà
ti spingono sempre
verso arbeit macht frei.

Consapevolezza
ogni volta di più
ti farà vedere
cos'è arbeit macht frei.



Lingua: Inglese

English version
Versione inglese
ARBEIT MACHT FREI (WORK SHALL MAKE YOU FREE)

In your vilenesses
you shall find out
the meaning
of an arbeit macht frei

Gloomy economy
daily humbleness
always lead you
to arbeit macht frei

Consciouness
each time a little more
shall make you see
what is arbeit macht frei

29/8/2005 - 14:46




Lingua: Francese

Version française – Marco Valdo M.I. – 2008

arbmach
On ne pouvait être plus clair.
Arbeit macht frei figure à l'entrée du camp de Dachau, où cette devise en fer forgé avait été fièrement installée par les nazis. Ceci indique une fois pour toute la signification réelle du travail dans une société où il est permis d'exploiter l'autre et les autres à des fins mercantiles. Arbeit macht frei : c'est le véritable fondement du libéralisme : le travail (celui des autres évidemment... et en tous cas, principalement) ainsi conçu.
Arbeit macht frei : c'est le fondement de toutes les politiques de l'emploi, du plein emploi et autres fadaises libérales. C'est le fondement de l'escroquerie gigantesque qu'on appelle : le salariat.
Mais de fait, le travail des uns rend libre ceux qui l'exploitent. En ce sens, c'est une vérité éclatante. Le travail des pauvres rend riche les riches; leur offre une liberté dont, par ailleurs, il est rare qu'ils usent avec qualité.
Arbeit macht frei : c'est précisément l'enjeu-même de la guerre de cent mille ans, cette guerre insensée que les riches mènent obstinément contre les pauvres.
Il va de soi que l'artiste, le poète, l'écrivain, le musicien, le chanteur, le danseur ... ne travaillent pas. Les artistes (les vrais – on ne parle pas ici de ceux qui se vendent) ne travaillent pas. De fait, ils créent et de fait, même pauvres, eux, sont libres.
Pour couper court au délire libéral et (faussement) moralisateur qui prétend à la sanctification du travail, il faut mettre en lumière toute la fausseté de celui qui prétend que le travail ennoblit l'homme, la femme... C'est évidemment absolument faux. Le travail – tel que nous le connaissons dans cette société d'exploitation et à cause de cette exploitation, est dégradant, indigne d'un être humain et il faut dire cela bien haut.

Que l'on comprenne bien une fois pour toutes également que ce qui est gênant dans le travail, ce n'est pas l'effort qu'il représente, l'intelligence qu'il sollicite, la volonté qu'il met en œuvre... toutes qualités éminemment appréciables, et que personnellement, j'apprécie énormément; ce qui est gênant dans le travail, c'est que l'opérateur, le travailleur doit se vendre, doit vendre son temps, sa force, la disponibilité de son corps et de son esprit à quelqu'un, personne ou société, qui en tire profit, qui en profite, qui en jouit et cela au travers d'un système coercitif, d'un chantage permanent. Ce même chantage qui est la base de la société de travail obligatoire (S.T.O.) dans laquelle on nous force à vivre (la seule sortie étant le suicide...).
En fait, comment appelle-t-on celui qui tire profit de la disponibilité du corps d'une femme par la coercition, la force, le chantage...?
Et, on fera remarquer que celui qui fait cela – proxénète, maquereau..., tout en étant une immense ordure, est un gagne-petit à côté de ceux qui se constituent des fortunes sur le dos des travailleurs.
Il n'y a aucun argument qui justifie l'exploitation. Jamais.

Par contre, dans une société commune, où l'ensemble de l'effort nécessaire pour faire vivre la communauté est partagé, où chacun apporte en quelque sorte sa pierre à l'édifice, porte sa part de la charge commune, le travail aurait une autre signification et dans cette mesure deviendrait une activité honorable. Il faut bien le dire et le répéter : ce n'est malheureusement pas le cas dans le système actuel.

Ainsi parlait Marco Valdo M.I.
ARBEIT MACHT FREI

Dans tes misères
Tu reconnaîtras
la signification
d'arbeit macht frei.

La pénible économie
la quotidienne humilité
te poussent toujours
vers l'arbeit macht frei.

La conscience
chaque fois plus
te fera connaître
ce qu'est arbeit macht frei.

inviata da Marco Valdo M.I. - 6/12/2008 - 20:47


---Maggiore Rudolf Höß, come si sente ricordato così?
<>
Quante anime passate sotto quei cancelli, quante?! Direi... molti. Lavorare per la prosperità altrui, sto amando il prossimo come me. In alternativa, una bella respirata di Zyklon B, dicono che curi i reumatismi. (IG Farben, che bacchettoni!)
Oh Diefenbach, Diefenbach, Diefenbach... l'eroe del suo romanzo trova la strada della virtù tramite il lavoro. Ebbene sì, l'unico modo di trovar virtù è quello di lavorare e lasciarsi morire, lasciarsi abbracciare da quel dio del tetragramma, o dalla natura, o dall'ideale, o dall'amore. Quanto si sono sentiti liberi coloro che sono sopravvissuti?
Nelle tue miserie riconoscerai il significato di un arbeit macht frei. La etra economia e la quotidiana umiltà ti spingono sempre verso arbeit macht frei. La consapevolezza ogni volta di più ti farà vedere cos'è arbeit macht frei...
VIVA L'ETICO CANDORE...
Proletari di tutto il mondo, unitevi sotto l'unica ègida dell'arbeit macht frei, ogniqualvolta lavorerete per morire o morirete per lavorare.---

Gli spettri delle morti bianche v'affliggan, adepti del NWO! Verrà il giorno che le vostre Aucshwitz, Birkenau, Monowitz salteranno in aria!

ΔΙΩRAMA Poco Ligio All'Ufficialità! - 14/12/2008 - 23:07


Questo articolo, se ce ne fosse bisogno aggiunge valore al percorso: "La guerra del lavoro: emigrazione, immigrazione, sfruttamento, schiavitù"

http://www.repubblica.it/solidarieta/c...

DonQuijote82 - 8/6/2011 - 16:33


Il rapporto sul lavoro nel mondo
somiglia ad un bollettino di guerraL'analisi annuale del Sindacato Internazionale (ITUC) traccia un quadro sulla condizione di milioni di persone. La repressione più forte in America Latina. In Colombia il primato degli omicidi. Situazioni drammatiche anche in Bangladesh, Pakistan, Filippine, Uganda e Swaziland. Noam Chomsk: è in atto un'opera di desindacalizzazione, flessibilizzazione e deregolamentazione nei paesi poveri, ma anche industrializzati

di VITTORIO LONGHI

ROMA - È un vero e proprio bollettino di guerra il rapporto annuale del sindacato internazionale ITUC 1 sulle violazioni dei diritti del lavoro: nel 2010 sono stati uccisi 90 sindacalisti, almeno 2.500 sono stati arrestati e almeno 5 mila "semplicemente" licenziati. "In tutto il mondo ci sono lavoratori e cittadini che tentano di rivendicare i diritti elementari a un lavoro dignitoso e a una vita dignitosa, ma in molti paesi queste persone trovano solo violenza e repressione da parte dei governi e delle imprese, fino ai casi estremi degli omicidi", commenta la segretaria generale Sharan Burrow.

Sindacalisti sotto tiro. La repressione più forte continua a essere registrata in America Latina, dove la Colombia detiene il primato degli omicidi, con 49 casi. Dieci morti anche in Guatemala e altri in Brasile, a El Salvador, in Honduras. L'altra metà è distribuita tra Bangladesh, Pakistan e Filippine, in Asia, e Swaziland e Uganda in Africa. Importante anche il caso dell'Iran, dove il rappresentante degli insegnanti è stato impiccato dopo un processo sommario, nonostante le proteste popolari e le pressioni internazionali. L'unica nota positiva riguardo all'Iran è il rilascio - solo qualche giorno fa - di Mansoor Onsanloo, in carcere da cinque anni per avere avviato uno sciopero dei trasporti a Teheran. Le minacce di morte e le intimidazioni sono molto diffuse anche in altri paesi: dalle dittature
evidenti, come la Bielorussia, lo Zimbabwe e la Birmania, alle democrazie apparenti, come la Russia, il Messico e la Nigeria. I due diritti fondamentali del lavoro, ovvero la libertà sindacale e la contrattazione collettiva, sono ancora molto limitati per legge nei paesi emergenti come la Cina o in quelli più ricchi, nell'area mediorientale e del Golfo.

L'attacco globale al lavoro. Un mese fa, a margine della festa del primo maggio, Noam Chomsky aveva scritto che ci troviamo di fronte a un "attacco internazionale al lavoro". Secondo il linguista americano è in atto un'opera di desindacalizzazione, flessibilizzazione e deregolamentazione mirata a creare insicurezza e condizioni di vita precaria, non solo nei paesi in via di sviluppo ed emergenti, ma anche nei paesi industrializzati. Il rapporto del sindacato internazionale sembra confermare questa teoria. A tre anni dalla crisi finanziaria ed economica che ha creato oltre 30 milioni di disoccupati, sembra esserci stata un'ulteriore erosione dei diritti del lavoro nell'ultimo anno. Secondo l'ITUC, infatti, "ai grandi poteri finanziari ed economici è stato permesso di dominare le politiche dei governi mentre disoccupazione, povertà e insicurezza sociale continuano a crescere".

Più colpiti i migranti, le donne e i giovani. Ci sono alcune tendenze globali precise che la ricerca mette in evidenza: la scelta di molti governi di ignorare le norme fondamentali a tutela del lavoro; la mancanza di sostegno finanziario alle ispezioni e agli strumenti di tutela sociale; la mancanza di diritti e l'abuso sui lavoratori immigrati, in modo particolare nei paesi del Golfo Persico; lo sfruttamento della forza lavoro, prevalentemente femminile, nelle zone franche per l'esportazione. Senza parlare della crescente disoccupazione giovanile, non contrastata da politiche adeguate né da ammortizzatori sociali, ma solo da azioni repressive che ovunque scatenano ulteriori rivolte, come bene dimostrano i fatti del Nord Africa e del Medio Oriente. Il sindacato dedica una parte del rapporto al mondo arabo, denunciando la brutalità con cui i governi hanno risposto alla domanda di giustizia sociale e di democrazia, dall'Egitto alla Tunisia, al Bahrain.

I diritti e lo sviluppo. D'altra parte, per decenni molti governi e alcune istituzioni economiche internazionali hanno scelto di perseguire politiche liberiste con forti accenti antisindacali, nella convinzione che una solida regolamentazione del mercato del lavoro e l'attività dei sindacati indipendenti fosse un ostacolo allo sviluppo e una minaccia alla crescita. Al contrario, secondo le norme internazionali del lavoro, la libertà di associazione e la contrattazione collettiva sono fattori determinanti per uno sviluppo che si possa definire socialmente sostenibile. È soprattutto attraverso la contrattazione che si interviene sui redditi, si legano i salari alla crescita di produttività, si estendono le tutele sociali. Tutto questo serve ad alimentare la domanda interna, il consumo, e perciò favorisce l'economia nel suo complesso. Ma soprattutto favorisce la redistribuzione della ricchezza, unico vero modo di assicurare la stabilità politica e la coesione sociale.


(08 giugno 2011)

DonQuijote82 - 9/6/2011 - 08:15




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