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[1969]
Testo di Piero Ciampi
Musica di Giuseppe Marchetti

livstaQuella sera, eterna sera
di Riccardo Venturi

Rispetto all'originale del 9 dicembre 2007 il testo è stato leggermente modificato; altro periodo, altre sensazioni, la vita...va. Non mi piacciono i testi immutabili e eterni; quel che si scrive sono tracce che seguono la vita. Così, sembra, faceva anche Piero Ciampi.

Ho una cinquantina o un centinaio di canzoni che vorrei che mi seguissero nella famosa tomba. Certo che quella tomba, a sentire le cose che dichiaro periodicamente di volermici portare, dovrebbe rassomigliare più al magazzino d'un emporio che a un sepolcro. Fra canzoni, libri, oggetti e ogni altra cosa, ci vorrebbe quantomeno una tomba tripla; non so se la cosa mi verrà concessa. Magari gli altri morti si potrebbero pure incazzare.

Così, delle cose che si vorrebbero portare nella tomba è sempre meglio parlarne in vita, ché non si sbaglia mai a essere vivi prima di morire. Questa canzone, appunto. Un'altra canzone di Piero Ciampi che parla di quella che era la sua città, ed anche la mia per cinque anni e mezzo. E di quei cinque anni e mezzo, questa canzone sarà una delle cose che mi resterà per sempre.

Non solo perché a tre passi dalla casa in cui Piero Ciampi era nato, io ci abitavo. Non solo perché uscivo di casa e la statua nella piazza ce l'avevo davanti agli occhi dopo un minuto di passi. Via Garibaldi, piazza Garibaldi. Era diventato una specie di pellegrinaggio notturno, durante le mie camminate senza nulla e con uno sguardo come un coltello; anche se avevo deciso di andare nel senso opposto, verso via Palestro o verso il Cisternone, prima passavo da piazza Garibaldi a dare un'occhiata alla statua. Che faceva cacare, come quasi tutte le statue (sarà per questo che sono così amate dai piccioni?); ma era quella statua.

Quando ripenso a quella mia specie di identificazione con Piero Ciampi, qualche volta mi scappa da ridere; anche perché cosa cazzo vuoi identificare. Lui era altissimo, ma anche magrissimo; io magrissimo lo sono stato solo a tredici anni. Sapeva perlomeno suonare uno strumento, io non so suonare nemmeno il campanello di casa. Sul passaporto ci aveva scritto "poeta", e io ci ho scritto "interprete e traduttore". Lui amava giocare ai cavalli, io non compro nemmeno i gratta e vinci (e detesto l'ippica, il gioco delle carte, i casinò e tutto il resto). Insomma, lui aveva tutte le carte in regola per essere un artista, io ce le ho tutte quante per essere una gran testa di cazzo. E ci sto pure riuscendo!

Qualche cosina in comune, però, magari ce la avevamo davvero; o almeno così mi garbava di pensare. L'odio profondo verso il lavoro. Il bere, sebbene neanche in quei cinque anni di alcool mi sia mai permesso di pensare di poter competere con lui. Un'espressione degli occhi che lui aveva fissa, e che a me viene soltanto poche volte: lo sguardo perso elegantemente e con una dura dolcezza nel vuoto dell'oltre (ci si rende conto degli sguardi che si ha, se ci si fa l'abitudine ma a condizione di coglierli e basta, e di non forzarli per alcuna ragione). E quelle camminate senza nulla. Questa canzone parla di una di quelle camminate. Il testo è qui sotto. Ora ve la voglio raccontare, con parole mie. Si chiama come la città. Livorno.

Comincia subito male per me, perché c'è un pianto che si scioglie. Non sono quel che si definisce un lacrimatore. Non mi piace averci la gola secca, ma non mi curo molto delle ghiandole lacrimali. Non dico di non avere mai pianto, sarebbe una menzogna. Ma con molta parsimonia. Il beneficio, è che mi ricordo di tutte le volte che l'ho fatto; però, subito dopo, viene la statua nella piazza.

Di fronte alla piazza della statua, ci sono i fossi e gli Scali delle Cantine. La scala che scende al fosso con le barche ancorate, i gatti randagi ai quali una volta, senza nessun pentimento, sacrificai un maglione di gran marca, uno dei pochi che abbia mai avuto, per avvolgere e mettere al caldo una cucciolata. Era una delle scuse per uscire, quella, portare da mangiare ai gatti. A volte ci mettevo cinque ore. Tanto che c'ero ci potevo mettere dodici anni, mica è detto che debba essere sempre per comprare le sigarette. E sono immagini quasi sempre invernali. Per quanto mi sforzi, Livorno continuo a rivedermela d'inverno, intabarrato nel mio spigato perduto in altre nebbie (e anche quello avrebbe dovuto seguirmi nella tomba).

Questa canzone parla di un uomo abbandonato. Non solo da una donna, abbandonato da tutti e da ogni cosa. Chi prova questo tipo di sensazione, anche soltanto per un periodo della sua vita, si mette immediatamente a camminare da solo. Cerca di incontrare qualcuno. Gli rimane solo la speranza nell'incontro casuale che possa cambiargli la vita. Può accadere in qualsiasi momento, è dietro l'angolo; è così si fa una collezione interminabile di angoli che non hanno proprio nessun dietro.

La vita che si sceglie è il sogno di una pazza, dice la canzone. Chissà cosa sognano le pazze. Magari fanno sogni normalissimi, oppure i sogni sono semplicemente pazzi per definizione, anche quelli delle persone sane di mente. Si sceglie? O ogni cosa che si crede scelta è un'illusione? Oppure l'unica cosa che si sceglie veramente, è illudersi? Fatto sta che ci si mette a camminare, una volta calata la sera. Mai di giorno, e mai d'estate; se si deve incontrare qualcuna come te, bisogna che sia in una sera d'inverno, con l'umido di Livorno al posto di quella che in altre plaghe sarebbe stata la nebbia.

Poi c'è il ritornello, quello che mi cantavo sempre. Ci avevo una persona, una persona ben precisa in testa. Una persona persa già allora da non so quant'anni, e ce n'è voluto di tempo perché se ne andasse via dalla mia mente, c'è voluto l'incontro con qualcuna più di lei. Triste triste quella sera. Tristi tristi tutte le sere, o quasi; tristi e lunghissime. Sere che diventavano notti profonde, a camminare, chilometri, i portici di via Grande, le strade della Venezia, il porto, il viale Italia fino ai cantieri Orlando; e risalire per il centro, per Corso Amedeo, per il Borgo Cappuccini, e tutti gli stratagemmi di distrazione. Chissà quali saranno stati quelli di Piero Ciampi. Io avevo, ed ho, tutto il mio set. Imparare a memoria i nomi delle strade, dopo cinque giorni che abitavo a Livorno ero già in grado di dare indicazioni stradali ai livornesi. Le targhe delle macchine, ma quelle vecchie con la sigla e le sei cifre; quelle nuove mi fanno schifo. I numeri strani. Mi ricordo di quando in via della Pina d'Oro vidi la targa LI 444444, quasi un momento di gloria.

E la tristezza. Ho sempre amato gli ossimori e le agudezas. La tristezza arriva a un certo punto a traboccare nel divertimento. Quando sei talmente triste da superare il momento dell'inconscio per renderti invece conto dei disastri che stai vivendo, subentra una sorta di gioco, il gioco del vedersi triste e di compiacersene con tutti i suoi corollari. E' quello che accade quando si passa all'ironia, al prendersi in giro, ai sorrisi solitari e più o meno amari. Questi sono segni inequivocabili. Quando si è inconsciamente tristi, senza ancora nessun tipo di gioco, non si è per nulla ironici. Si è cupi. Ci si incazza per un nonnulla.

Successe che a forza di cantarmela, questa canzone, ogni sera, lunga sera, non seppi nemmeno più se fosse tutto vero o se stessi recitando. Ho trovato una nave che salpava, dice; questione di pochi metri, a Livorno. Di navi che salpavano ce n'erano quante ne volevo, anche a sera e a notte. Mi mettevo a guardarle e a immaginare storie, e non so neppure io quante delle storie che ho raccontato, anche senza mai scriverle, sono nate in quei momenti. Sono la mia fonte inesauribile.

Però non ho mai potuto seguirla fino in fondo. Non ho mai chiesto a nessuno dove andasse quella nave che salpava, nessun capitano mi ha mai risposto in Corsica, in Tunisia, all'Elba, a Genova, in Giappone. Nessun porto delle illusioni. Stavo soltanto lì a guardare, e quelle navi dovevano forse essere un modo per comunicare.

Può essere che la cerchi pure io, la chimera. Anche senza camminare. Mi sono ritrovato in periodi che avrebbero avuto tutte le carte in regola per essere come quello. Ma non camminavo più. Perlomeno non a quel modo. Stavo tranquillo. Bevevo pochissimo; niente più giocare alla tristezza, forse ero cambiato e non mi volevo nemmeno chiedere se fosse un bene o se fosse un male. Non volevo incontrare qualcuna come te, non me ne fregava un cazzo. Toccava a te, stavolta, incontrare qualcuno come me. Mi ero rotto i coglioni di consumarmi le suole, le scarpe costano un occhio della testa e porto il 48 di piede.

Ma la chimera c'era sempre. Anche senza porto. Anche senza navi. Anche senza statue nelle piazze. Sai, Livorno di Piero Ciampi, alle volte m'è capitato di cantarti guardando dalla finestra. Qualche volta ti canto ancora, e ti canto come si canta una sorella. Si vede che ci sei, da qualche parte. Si vede che, prima o poi, una sera, un'eterna sera, ci troveremo. Magari scopriremo persino che abbiamo la stessa faccia.
Un pianto che si scioglie,
la statua nella piazza,
la vita che si sceglie,
è il sogno di una pazza.

La sera è già calata,
comincio a camminare
sperando di incontrare
qualcuna come te.

Triste triste
troppo triste è questa sera,
questa sera, lunga sera.
Ho trovato
una nave che salpava
ed ho chiesto dove andava.
Nel porto delle illusioni,
mi disse quel capitano.
Terra terra
forse cerco una chimera,
questa sera, eterna sera.

[...]

Ho trovato
una nave che salpava
ed ho chiesto dove andava.
Nel porto delle illusioni,
mi disse quel capitano.
Terra terra
forse cerco una chimera,
questa sera, eterna sera.

inviata da Ahmed Arroìto da' Ponci - 12/3/2009 - 18:08



Lingua: Francese

Version française de Riccardo Venturi
12 mars 2009

Livourne: Place de la République (Piazza del Voltone).
Livourne: Place de la République (Piazza del Voltone).
LIVOURNE

Les larmes qui se versent
le monument sur la place
la vie qu'on choisit
c'est le rêve d'une folle.

Le soir vient de tomber,
je commence à marcher
en espérant trouver
quelqu'une comme toi.

Triste, triste
bien trop triste est ce soir,
ce soir, ce long soir.
J'ai trouvé
un bateau qui allait lever l'ancre,
j'ai demandé où il allait.
Au port des illusions,
m'a répondu le capitaine.
Terre, terre,
peut-être cherché-je une chimère
ce soir, cet éternel soir.

[...]

J'ai trouvé
un bateau qui allait lever l'ancre,
j'ai demandé où il allait.
Au port des illusions,
m'a répondu le capitaine.
Terre, terre,
peut-être cherché-je une chimère
ce soir, cet éternel soir.

12/3/2009 - 18:30


Bell'articolo di Simone Coacci su Ondarock:

La guerra di Piero

"Le canzoni, il vino, le fughe, gli amori. Dall’oscura gavetta come primo e unico chansonnier italiano a Parigi, ai capolavori degli anni 70 che reinventeranno la nostra musica d’autore. Piero Ciampi è un'eccezione assoluta. Una porta che si spalanca sui mondi più oscuri e (im)possibili della patria canzone. Una vita a precipizio: fuori dalle logiche e dagli schemi. E una musica che le somiglia: eccentrica e avveniristica, spiazzante e inimitabile precorritrice della scena alternativa italiana. La guerra di Piero non finisce mai: perché "non si combatte con le armi ma col cuore"

Alessandro - 16/3/2009 - 22:48


Fonte: Comune di Livorno - Ufficio Stampa


Una lapide commemorativa in ricordo di Piero Ciampi sarà posta fuori del palazzo di via Roma 1, dove il poeta e cantautore livornese ebbe i natali il 28 settembre 1934.
Lo ha deciso la Giunta Comunale con delibera n.645 del 14/11/2017. Il caso ha voluto che la casa dove nacque si trovasse di fronte a quella dove ebbe i natali Amedeo Modigliani. La lapide sarà affissa all'inizio dell'anno prossimo, questo il testo che vi sarà riportato:

Qui nacque Piero Ciampi (Livorno 1934-Roma 1980) poeta e
cantautore "Fino all'ultimo minuto".

Flavio Poltronieri - 28/11/2017 - 09:15


Che dirti...io a Livorno abitavo in via Garibaldi 41, nel quartiere si diceva che Piero Ciampi era nato in via Pelletier al n° 12 (tra le altre cose, proprio all'inizio di Via della Campana, quando ci abitavo io, c'è stato per un periodo un locale dove Piero Ciampi veniva suonato e cantato parecchio). Si vede che anche Piero ci avrà avuto le sue "leggende metropolitane"; ma non fa niente. Mi fa comunque piacere che il Comune di Livorno abbia provveduto a questo riconoscimento; una "via Piero Ciampi" da qualche anno c'è dalle parti del Montenero, e questa me la ricordo di persona. Mi dispiace un po' per via Pelletier, era una cosa che mi ha sempre accompagnato, ma pazienza.

Riccardo Venturi - 28/11/2017 - 10:28


Della serie: "Il Comune di Livorno spezza i ricordi di Riccardo Venturi"
(Flavio Poltronieri)

Eh che ci vuoi fare, nel mio destino non c'è mai stato un gran feeling con le istituzioni... Salud! [RV]

28/11/2017 - 11:13


Ecco la lapide commerativa dedicata a Piero Ciampi

ciampi


inoltre vorrei comunicare che:

A Catanzaro Piero Ciampi ci andava perchè c'era Pino Pavone, oggi i giardini della Gutta, sul lungomare gli sono stati intitolati e su alcune panchine colorate si possono leggere i versi delle sue canzoni.

Flavio Poltronieri - 3/8/2018 - 13:29


Flavio Poltronieri - 11/8/2022 - 11:16




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