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Τò Ἄξιόν Ἐστι

Mikis Theodorakis / Mίκης Θεοδωράκης


Mikis Theodorakis / Mίκης Θεοδωράκης

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Mikis Theodorakis, Odysseas Elytis, Children's Choir: To Axion Esti. "Live at Lycabetus Theater. Part of Theodorakis' excellent "Axion Esti", which is based on the Nobel winning poem of Odysseas Elytis."


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To 'Axion Estí
theodypografi
Στίχοι: Οδυσσέας Ελύτης
Μουσική: Μίκης Θεοδωράκης
Πρώτη εκτέλεση: Γρηγόρης Μπιθικώτσης & Θόδωρος Δημήτριεφ
Άλλες ερμηνείες: Γιώργος Νταλάρας & Ανδρέας Κουλουμπής

Testo di Odysseas Elytis
Musica di Mikis Theodorakis
Prima esecuzione: Grigoris Bithikotsis (1964)
Altra esecuzione: Yorgos Dalaras (1988)

Οδυσσέας Ελύτης. Odysseas Elytis, 1911-1996.
Οδυσσέας Ελύτης. Odysseas Elytis, 1911-1996.


"Το 1964 ξεκίνησε η ηχογράφηση του μελοποιημένου Άξιον Εστί από τον Μίκη Θεοδωράκη ενώ η συνεργασία του Ελύτη με το συνθέτη είχε ξεκινήσει ήδη από το 1961. Το ορατόριο του Θεοδωράκη εντάχθηκε στο Φεστιβάλ Αθηνών και επρόκειτο αρχικά να παρουσιαστεί στο Ηρώδειο, ωστόσο το Υπουργείο Προεδρίας αρνήθηκε να το παραχωρήσει με αποτέλεσμα ο Ελύτης και ο Θεοδωράκης να αποσύρουν το έργο, το οποίο παρουσιάστηκε τελικά στις 19 Οκτωβρίου στο κινηματοθέατρο Rex." - el.wikipedia

“Nel 1964 ebbe inizio la registrazione della versione dell'
Axion Estí musicata da Mikis Theodorakis, mentre la collaborazione con Elytis era iniziata già dal 1961. L'oratorio di Theodorakis fu inserito nel programma del Festival di Atene; originariamente doveva essere rappresentato all'Anfiteatro Erodio, ma la Direzione si rifiutò con il risultato che Elytis e Theodorakis ritirarono l'opera, la quale fu infine rappresentata il 19 ottobre al cinema-teatro Rex.” (trad. RV)

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Avvertenza. La versione dell' 'Αξιον 'Εστί musicata da Theodorakis consta di excerpta dalle varie parti della lunga opera originale; la selezione fu concordata tra Theodorakis e Elytis stesso. In questa pagina vengono presentate, sia nel testo originale greco che nella traduzione di Gian Piero Testa, ovviamente soltanto le parti che formano l'opera musicata. Il testo greco completo dell'opera letteraria di Odysseas Elytis è invece reperibile a questo indirizzo, da dove (previa registrazione) può essere anche scaricato in formato .pdf e solo testo. La presentazione del testo greco in questa pagina, a causa della molteplicità delle fonti, presentava un'evidente dicotomia: alcune parti erano infatti presentate col il sistema politonico, mentre altre lo erano con il monotonico. Abbiamo quindi integrato il tutto nella direzione del politonico (tritonico), rispondente al testo originale elytiano. [CCG/AWS Staff]

Notice. The version of To 'Αξιον 'Εστί harmonized by Theodorakis consists in a number of extracts from the different parts forming the long, original poem; the selection was agreed between Theodorakis and Elytis himself. Rather obviously, this AWS page shows, both in the original Greek text and in Gian Piero Testa's Italian translation, only the parts which form the musical work. For the complete Greek text of Odysseas Elytis' poem please go to this page, whence (by previous subscription) it can be also downloaded in pdf and text format. The Greek text as shown in this AWS page was not homogeneous due to the various sources it has been drawn from: as a matter of fact, some parts were reproduced with the polytonic system, while others were printed in the monotonic system. The whole text is now provided in the polytonic (tritonic) system as used in Elytis' original text. [AWS/CCG Staff]

axionesti"In my opinion Axion Esti of Elytis constitutes a monument of Greek art. Moreover, its profound Hellenism places it in the forefront of our people's struggle for completeness both from a historical and ethical standpoint and in its presentation. Naturally, its dimensions as well as the form of the poetic text led to the consideration of a new musical form. The work covers the entire history of the Greek nation... from the Genesis of this small world, the Great, to the prophetic vision of the sufferings which were imposed on us. (...)

It has three basic parts, Genesis, the Passion and the Gloria (Axion Esti). So much for its surface divisions; - as for its internal structure, there are also three elements - the narration, the hymn and the chorale. For the first the poet uses prose for the second free verse and for the third measured verse. So in my work I used parallels - the Narrator who reads the [prose] work, the Psaltis [Orthodox Cantor] for the hymns and the Popular Singer for the choral sections. Another three equally basic elements complete the musical construction of the work : a) the mixed choir, b) the orchestra and c) the popular instruments. Beside the popular orchestra (two bouzoukis, guitar, piano, bass and drums) I came naturally to add two more organic units, one vocal and one instrumental which... had to fit into the new musical mood so as not to be a mere collation of heterogeneous elements."

Mikis Theodorakis in: "Music for the Masses"

“Secondo me, l’Axion Esti di Elytis è un monumento dell’arte greca. Inoltre, il suo profondo Ellenismo lo pone all’avanguardia della lotta del nostro popolo, sia per la sua completezza, sia dal punto di vista storico ed etico, sia per come si presenta. Naturalmente, sia le sue dimensioni, sia la forma del testo poetico hanno portato a prendere in considerazione una nuova forma musicale. L’opera copre l’intera storia della nazione Greca...dalla Genesi di questo mondo piccolo, il Grande fino alla visione profetiche che ci sono state imposte. [...]

L’opera è composta da tre parti fondamentali, la Genesi, la Passione e il Gloria (Axion Esti). Questo per la sua suddivisione esteriore; ma anche dal punto di vista della struttura intera è formato da tre elementi: la narrazione, l’inno e la corale. Per la prima il poeta usa la prosa; per la seconda il verso libero e per la terza il verso metrico. Così, nella mia opera mi servo di paralleli: il narratore che legge le parti in prosa, lo Psaltis (cantore ortodosso) per gli inni e il cantante popolare per le corali. Altri tre elementi, ugualmente fondamentali, completano la tessitura musicale dell’opera: a) il coro misto, b) l’orchestra e c) gli strumenti popolari. Oltre all’orchestra popolare (due buzuki, chitarra, piano, basso e percussioni) ho aggiunto in modo naturale due ulteriori unità organiche, una vocale e una strumentale, che [...] hanno dovuto inserirsi nella nuova atmosfera musicale in modo da non essere una pura e semplice accozzaglia di elementi eterogenei.”

Mikis Theodorakis in: "Musica per le masse"

axionesti2"With Axion Esti, it seemed as if Theodorakis had reached musical maturity. He had created a work which was popular with a large proportion of the Greek people (no other record of his has sold so well) and he had not lowered his musical standards. He had achieved something which is, I believe, unique in Western music, at least in the twentieth century. None of the techniques he employed was revolutionary but the synthesis of popular form with classical western technique had transformed complex intellectual expression into music that was, and still is, sung in the streets.

On one of his country tours in 1966 he gave a concert in the village of Serra, in the northern mountains. A large queue was waiting to buy records of Axion Esti which had been delivered from Athens. Theodorakis noticed an old man ride up on a mule and was curious to see him stop at the end of the queue. He walked over and asked him what he was doing. "Isn't this where they're selling that new Theodorakis record?" said the old man. Such a phenomenon is unlikely to occur in the so-called developed countries. As the composer himself stressed, the sources he drew on were deeply rooted in the collective memory of the 'people. The actual sound structure of much of Axion Esti was familiar to the population of a country which had only been urbanised for a generation, a country where folk song still played and important part in people's lives."

Gail Holst in: "Mikis Theodorakis. Myth and Politics in Modern Greek Music." - On Axion Esti

“Con l’Axion Esti, sembrava che Theodorakis avesse raggiunto la maturità musicale. Aveva creato un’opera divenuta popolare presso una larga parte del popolo greco (nessun’altra sua incisione aveva mai venduto tanto) senza per questo diminuire i suoi standard musicali. Era pervenuto, credo, a qualcosa di unico nella musica occidentale, almeno nel XX secolo. Nessuna delle tecniche di cui si era servito era rivoluzionaria, ma la sintesi tra la forma popolare e la tecnica classica occidentale aveva trasformato una complessa espressione intellettuale in musica che era, ed è ancora, cantata per le strade.

Durante una delle sue tournées in provincia, nel 1966, tenne un concerto nel paese di Serra, sulle montagne settentrionali della Grecia. C’era una lunga fila di persone che aspettava di poter acquistare i dischi dell’Axion Esti che erano stati mandati da Atene. Theodorakis si accorse di un vecchio che arrivava a dorso di mulo, e si incuriosì quando lo vide fermarsi alla fine della coda. Gli si avvicinò e gli chiese che cosa facesse. ”Ma non è qui che vendono il nuovo disco di Theodorakis?”, rispose il vecchio. Una cosa del genere è improbabile che accada nei cosiddetti “paesi sviluppati”. Come fece notare il compositore stesso, le fonti dalle quali aveva attinto erano radicate profondamente nella memoria collettiva della gente. La struttura sonora di larga parte dell’Axion Esti era familiare ad una popolazione urbanizzata soltanto da una generazione, in un paese dove la canzone popolare aveva ancora un ruolo importante nella vita delle persone.”

Gail Holst in: "Mikis Theodorakis. Myth and Politics in Modern Greek Music." - On Axion Esti
1. Ἡ Γένεσις


Τότε εἶπε καὶ γεννήθηκεν ἡ θάλασσα
Καὶ εἶδα καὶ θαύμασα
Καὶ στὴ μέση τῆς ἔσπειρε κόσμους μικρούς κατ'εἰκόνα καὶ ὁμοίωσή μου·
Ἵπποι  πέτρινοι μὲ τὴ χαίτη ὀρθὴ
 καὶ γαλήνιοι ἀμφορεῖς
 καὶ λοξὲς δελφινιῶν  ράχες
 ἡ Ἴος ἡ Σίκινος ἡ Σέριφος ἡ Μῆλος
"Κάθε λέξη κι ἀπό ᾽να χελιδόνι
γιά νὰ σοῦ φέρνει τὴν ἄνοιξη μέσα στὸ θέρος", εἶπε
Καὶ πολλὰ  τὰ λιόδεντρα
ποὺ νὰ κρησάρουν στὰ χέρια τοὺς τὸ φῶς
κι ἐλαφρὸ ν' ἁπλώνεται στὸν  ὕπνο σου
καὶ πολλὰ τὰ τζιτζίκια
ποὺ νὰ μὴν τὰ νιώθεις
ὅπως δὲ νιώθεις τὸ σφυγμὸ στὸ χέρι σου
ἀλλὰ λίγο τὸ νερό
γιὰ νὰ τὸ ᾽χεις Θεὸ καὶ νὰ κατέχεις τί σημαίνει ὁ λόγος του
καὶ τὸ δέντρο μονάχο του
χωρίς κοπάδι
γιὰ τὸ κάνεις φίλο σου
καὶ νὰ γνωρίζεις τ' ἀκριβό τοῦ  τ'ὄνομα
φτενὸ στὰ πόδια σου τὸ χῶμα
γιὰ νὰ μὴν ἔχεις ποῦ ν' ἀπλώσεις ρίζα
καὶ νὰ τραβᾶς τοῦ βάθους ὁλοένα
καὶ πλατὺς ἐπάνου ὁ οὐρανός
γιὰ νὰ διαβάζεις μόνος σου τὴν ἀπεραντοσύνη
 
ΑΥΤΟΣ
ὁ κόσμος ὁ μικρός ὁ μέγας

2. Τὰ Πάθη


ΙΔΟΥ ἐγὼ λοιπόν,
ὁ πλασμένος γιὰ τὶς μικρὲς Κόρες καὶ τὰ νησιὰ τοῦ Αἰγαίου·
ὁ ἐραστής τοῦ σκιρτήματος τῶν ζαρκαδιῶν
καὶ μύστης τῶν φύλλων τῆς ἐλιᾶς ·
ὁ ἡλιοπότης καὶ ἀκριδοκτόνος.
Ἰδοὺ ἐγὼ καταντικρύ
τοῦ μελανοῦ φορέματος τῶν ἀποφασισμένων
καὶ τῆς ἄδειας τῶν ἐτῶν, ποὺ τὰ τέκνα τῆς ἄμβλωσε,
γαστέρας, τὸ ἄγκρισμα !
Λύνει ἀέρας τὰ στοιχεία καὶ βροντὴ προσβάλλει τὰ βουνὰ.
Μοίρα τῶν ἀθώων, πάλι μόνη, νά σε, στὰ Στενά !
Στὰ Στενὰ τὰ χέρια μου ἄνοιξα
Στὰ Στενὰ τὰ χέρια μου ἂδειασα
κι ἂλλα πλούτη δὲν εἶδα, κι ἂλλα πλούτη δὲν ἄκουσα
παρὰ βρύσες κρύες νὰ τρέχουν
Ρόδια ἢ Ζέφυρο ἢ Φιλιά.
Ὁ καθεὶς καὶ τὰ ὅπλα του, εἶπα·
Στὰ Στενὰ τὰ ρόδια μου θ'ἀνοίξω
Στὰ Στενὰ φρουροὺς τοὺς ζέφυρους θὰ στήσω
τὰ φιλιὰ τὰ παλιὰ θ'ἀπολύσω ποὺ ἡ λαχτὰρα μου ἅγιασε !
Λύνει ἀέρας τὰ στοιχεία καὶ βροντὴ προσβάλλει τὰ βουνὰ.
Μοίρα τῶν ἀθώων, πάλι μόνη, νά σε, στὰ Στενά !

3. Ἡ πορεία πρὸς τὸ μέτωπο (Ἀνάγνωσμα Πρῶτο)

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Ξημερώνοντας τ' Ἀγιαννιού, μὲ τὴν αὔριο τῶν Φώτων, λάβαμε τὴ διαταγὴ νὰ κινήσουμε πάλι μπροστά, γιὰ τὰ μέρη ὅπου δὲν ἔχει καθημερινὲς καὶ σκόλες. Ἔπρεπε, λέει, νὰ πιάσουμε τὶς γραμμὲς ποὺ κρατούσανε ὡς τότε οἱ Ἀρτινοί, ἀπὸ Χειμάρρα ὡς Τεπελένι. Λόγω ποὺ ἐκείνοι πολεμούσανε ἀπ' τὴν πρώτη μέρα, συνέχεια, κι εἶχαν μείνει σχεδόν οἱ μισοὶ καὶ δὲν ἀντέχανε ἄλλο.

Νύχτα πάνω στὴ νύχτα βαδίζαμε ἀσταμάτητα, ἕνας πίσω ἀπ' τὸν ἄλλο, ἴδια τυφλοί. Μὲ κόπο ξεκολλῶντας τὸ ποδάρι ἀπὸ τὴ λάσπη, ὅπου, φορές, ἐκαταβούλιαζε ἴσαμε τὸ γόνατο. Ἐπειδή τὸ πιὸ συχνὰ ψιχάλιζε στοὺς δρόμους ἔξω, καθῶς μὲς στὴν ψυχή μας. Καὶ τὶς λίγες φορὲς ὅπου κάναμε στάση νὰ ξεκουραστοῦμε, μήτε ποὺ ἀλλάζαμε κουβέντα, μονάχα σοβαροί κι ἀμίλητοι, φέγγοντας μ' ἕνα μικρὸ δαδί, μία-μία ἐμοιραζόμασταν τὴ σταφίδα. Ἢ φορὲς πάλι, ἂν ἦταν βολετό, λύναμε βιαστικὰ τὰ ροῦχα καὶ ξυνόμασταν μὲ λύσσα ὧρες πολλές, ὅσο νὰ τρέξουν τὰ αἵματα. Τί μας εἶχε ἀνέβει ἡ ψεῖρα ὡς τὸ λαιμό, κι ἦταν αὐτό πιό κι ἀπ' τὴν κούραση ἀνυπόφερτο. Τέλος, κάποτε ἀκουγότανε στὰ σκοτεινά ἡ σφυρίχτρα, σημάδι ὄτι κινοῦσαμε, καὶ πάλι σὰν τὰ ζὰ τραβοῦσαμε μπροστὰ νὰ κερδίσουμε δρόμο, πριχοῦ ξημερώσει καί μας βάλουνε στόχο τ'ἀεροπλάνα. Ἐπειδή ὁ Θεὸς δὲν κάτεχε ἀπό στόχους ἢ τέτοια, κι ὅπως το 'χε συνήθειο του, στὴν ἴδια πάντοτε ὧρα ξημέρωνε τὸ φῶς.

Κι ὄτι ἤμασταν σιμὰ πολὺ στὰ μέρη ὅπου δὲν ἔχει καθημερινὲς καὶ σκόλες, μήτε ἀρρώστους καὰ γερούς, μήτε φτωχοὺς καὶ πλούσιους, το καταλαβαίναμε. Γιατί κι ὁ βρόντος πέρα, κάτι σὰν πίσω ἀπ' τὰ βουνά, δυνάμωνε ὁλοένα, τόσο ποὺ καθαρὰ στὸ τέλος νὰ διαβάζουμε τὰ ἀργό καὶ τὸ βαρὺ τῶν κανονιῶν, τὸ ξερὸ καὶ τὸ γρήγορο τῶν πολυβόλων. Ὕστερα καὶ γιατὶ ὁλοένα πιὸ συχνά, τύχαινε τώρα ν' ἀπαντοῦμε, ἀπ' τ' ἄλλο μέρος νά 'ρχονται, οἱ αργές οἱ συνοδείες μὲ τοὺς λαβωμένους. Ὅπου ἀπιθώνανε χάμου τὰ φορεία οἱ νοσοκόμοι, μὲ τὸν κόκκινο σταυρὸ στὸ περιβραχιόνιο, φτύνοντας μέσα στὶς παλάμες, καὶ τὸ μάτι τους ἄγριο γιὰ τσιγάρο.  Κι ὅπου σὰν ἀκούγανε γιὰ ποὺ τραβούσαμε, κουνοῦσαν τὸ κεφάλι, ἀρχινῶντας ἱστορίες γιὰ σημεία καὶ τέρατα. Ὅμως ἐμεῖς τὸ μόνο ποὺ προσέχαμε ἦταν ἐκείνες οἱ φωνὲς μέσα στὰ σκοτεινά, ποὺ ἀνέβαιναν, καυτὲς άκόμη ἀπὸ τὴν πίσσα τοῦ βυθοῦ ἢ τὸ θειάφι. "Ὄι, ὄι μάνα μου", "ὄι, ὄι μάνα μου", καὶ κάποτε, πιὸ σπάνια, ἕνα πνιχτὸ μουσούνισμα, ἴδιο ροχαλητό, πού 'λεγαν, ὅσοι ξέρανε, εἶναι αὐτός ὁ ρόγχος τοῦ θανάτου.

Ἦταν φορὲς ποὺ ἐσέρνανε μαζί τους κι αἰχμαλώτους, μόλις πιασμένους λίγες ὧρες πρίν, στὰ ξαφνικὰ γιουρούσια ποὺ κάναν τὰ περίπολα. Βρωμούσανε κρασὶ τὰ χνώτα τους, κι οἱ τσέπες τους γιομάτες κονσέρβα ἢ σοκολάτες. Ὅμως ἐμεῖς δὲν εἴχαμε, ὄτι κομμένα τὰ γιοφύρια πίσω μας, καὶ τὰ λίγα μουλάρια μας κι ἐκεῖνα ἀνήμπορα μέσα στὸ χιόνι καὶ στὴ γλιστράδα τῆς λασπουριᾶς.

Τέλος κάποια φορά, φανήκανε μακριά οἱ καπνοὶ ποὺ ἀνέβαιναν μεριὲς-μεριές, κι οἱ πρῶτες στὸν ὁρίζοντα κόκκινες, λαμπερὲς φωτοβολίδες.


4. Ἕνα τὸ χελιδόνι


Ἕνα τὸ χελιδόνι - κι ἡ ἄνοιξη ἀκριβή
γιὰ νὰ γυρίσει ὁ ἥλιος - θέλει δουλειὰ πολλή
Θέλει νεκροὶ χιλιάδες - νά 'ναι στοὺς τροχούς
Θέλει κι οἱ ζωντανοί - νὰ δίνουν τὸ αἷμα τους.

Θέ μου Πρωτομάστορα - μ' ἔχτισες μέσα στὰ βουνά
Θέ μου Πρωτομάστορα - μ' ἔκλεισες μὲς στὴ θάλασσα!

Πάρθηκεν ἀπό μάγους - τὸ σῶμα τοῦ Μαγιοῦ
Το 'χουνε θάψει - σ' ἕνα μνῆμα τοῦ πέλαγου
σ' ἕνα βαθὺ πηγάδι - το 'χουνε κλειστό
μύρισε τὸ σκοτάδι - κι ὅλη ἡ ἄβυσσος

Θέ μου Πρωτομάστορα μέσα στὶς πασχαλιὲς καὶ Σύ
Θέ μου Πρωτομάστορα μύρισες τὴν Ἀνάσταση

5. Τὰ θεμέλιά μου


ΤΑ ΘΕΜΕΛΙΑ ΜΟΥ στὰ βουνά
καὶ τὰ βουνὰ σηκώνουν οἱ λαοὶ στὸν ὦμο τους
καὶ πάνω τους ἡ μνήμη καίει
ἄκαυτη βάτος.
Μνήμη τοῦ λαοῦ μου σε λένε Πίνδο καί σε λένε Ἄθω.
Ταράζεται ὁ καιρός
κι ἀπ' τὰ πόδια τὶς μέρες κρεμάζει
ἀδειάζοντας μὲ πάταγο τὰ οστᾶ τῶν ταπεινωμένων.
Ποιοί, πῶς, πότε ἀνέβηκαν τὴν ἄβυσσο;
Ποιές, ποιῶν, πόσων οἱ στρατιές;
Τ' οὐρανοῦ τὸ πρόσωπο γυρίζει κι οἱ ἐχθροί μου ἔφυγαν μακριά.
Μνήμη τοῦ λαοῦ μου σε λένε Πίνδο καί σε λένε Ἄθω.
Ἐσύ μόνη ἀπ' τὴ φτέρνα τὸν ἄντρα γνωρίζεις
Ἐσύ μόνη ἀπ' τὴν κόψη τῆς πέτρας μιλᾶς.
Ἐσύ τὴν ὄψη τῶν ἀγίων ὀξύνεις
κι ἐσύ στοῦ νεροῦ τῶν αἰώνων τὴν ἄκρη σύρεις
πασχαλιὰν ἀναστάσιμη !
Ἀγγίζεις τὸ νοῦ μου καὶ πονεῖ τὸ βρέφος τῆς Ἄνοιξης !
Τιμωρεῖς τὸ χέρι μου καὶ στὰ σκότη λευκαίνεται !
Πάντα πάντα περνᾶς τὴ φωτιὰ γιὰ νὰ φτάσεις τὴ λάμψη.
Πάντα πάντα τὴ λάμψη περνᾶς
γιὰ νὰ φτάσεις τὴ ψηλὰ τὰ βουνὰ τὰ χιονόδοξα.
Ὅμως τί τὰ βουνά; Ποιὸς καὸ τί στὰ βουνά;
Τὰ θεμέλιά μου στὰ βουνά
καὶ τὰ βουνὰ σηκώνουν οἱ λαοὶ στὸν ὦμο τους
καὶ πάνω τους ἡ μνήμη καίει
ἄκαυτη βάτος !

6. Μὲ τὸ λύχνο τοῦ ἄστρου


Μὲ τὸ λύχνο τοῦ ἄστρου - στοὺς οὐρανοὺς ἐβγῆκα
στὸ ἀγιάζι τῶν λειμώνων - στὴ μόνη ἀκτή τοῦ κόσμου
ποὺ νὰ βρῶ τὴν ψυχή μου - τὸ τετράφυλλο δάκρυ!

Τὰ κορίτσια μου πένθος - γιὰ τοὺς αἰώνες ἔχουν
Τ' ἀγόρια μου τουφέκια - κρατοῦν καὶ δὲν κατέχουν
ποὺ νὰ βρῶ τὴν ψυχή μου - το τετράφυλλο δάκρυ!

7. Ἡ μεγάλη Ἔξοδος (Ἀνάγνωσμα Τρίτο)

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Τὶς ἡμέρες ἐκεῖνες ἔκαναν σύναξη μυστικὴ τὰ παιδιὰ καὶ λάβανε τὴν ἀπόφαση, ἐπειδὴ τὰ κακὰ μαντάτα πλήθαιναν στὴν πρωτεύουσα, νὰ βγοῦν ἔξω σὲ δρόμους καὶ σὲ πλατείες, μὲ τὸ μόνο πρᾶγμα ποὺ τους εἶχε ἀπομείνει: μιὰ παλάμη τόπο κάτω ἀπό τ' ἀνοιχτὶ πουκάμισο, μὲ τὶς μαῦρες τρίχες καὶ τὶ σταυρουδάκι τοῦ ἥλιου. Ὅπου εἶχε κράτος κι ἐξουσία ἡ Ἄνοιξη.

Καὶ ἐπειδὴ σίμωνε ἡ μέρα ποὺ τὸ Γένος εἶχε συνήθειο νὰ γιορτάζει τὸν ἄλλο Σηκωμό, τὴ μέρα πάλι ἐκείνη ὁρίσανε γιὰ τὴν Ἔξοδο. Καὶ νωρὶς ἐβγήκανε καταμπροστὰ στὸν ἥλιο, μὲ πάνου ὡς κάτου ἀπλωμένη τὴν ἀφοβιὰ σὰν σημαία, οἱ νέοι μὲ τὰ πρησμένα πόδια ποὺ τους ἔλεγαν ἀλήτες. Καὶ ἀκολουθούσανε ἄντρες πολλοί, και γυναῖκες, καὶ λαβωμένοι μὲ τὸν ἐπίδεσμο καὶ τὰ δεκανίκια. Ὅπου ἔβλεπες ἄξαφνα στὴν ὄψη τους τόσες χαρακιές, πού 'λεγες εἴχανε περάσει μέρες πολλὲς μέσα σὲ λίγην ὧρα.

Τέτοιας λογῆς ἀποκοτιές, ὡστόσο, μαθαίνοντες οἱ Ἄλλοι, σφόδρα ταράχθηκαν. Καὶ φορὲς τρεῖς μὲ τὸ μάτι ἀναμετρῶντας τὸ ἔχει τους, λάβανε τὴν ἀπόφαση νὰ βγοῦν ἔξω σὲ δρόμους καὶ σὲ πλατείες, μὲ τὸ μόνο πρᾶγμα ποὺ τους εἶχε ἀπομείνει: μία πήχη φωτιὰ κάτω ἀπ' τὰ σίδερα, μὲ τὶς μαῦρες κάννες καὶ τὰ δόντια τοῦ ἥλιου. Ὅπου μήτε κλῶνος μήτε ἀνθός, δάκρυο ποτὲ δὲν ἔβγαλαν. Καὶ χτυπούσανε ὅπου νά 'ναι, σφαλῶντας τὰ βλέφαρα μὲ ἀπόγνωση. Καί ἡ Ἄνοιξη ὁλοένα τους κυρίευε. Σὰν νὰ μὴν ἤτανε ἄλλος δρόμος πάνω σ' ὁλάκερη τὴ γῆ γιὰ νὰ περάσει ἡ Ἄνοιξη παρὰ μονάχα αὐτός, καὶ νά τον εἶχαν πάρει ἀμίλητοι, κοιτάζοντας πολὺ μακριά, πέρ' ἀπ' τὴν ἄκρη τῆς ἀπελπισίας, τὴ Γαλήνη ποὺ ἔμελλαν νὰ γίνουν, οι νέοι με τα πρησμένα πόδια που τους έλεγαν αλήτες, καί οἱ ἄντρες, καὶ οἱ γυναῖκες, καὶ οἱ λαβωμένοι μὲ τὸν ἐπίδεσμο καὶ τὰ δεκανίκια.

Καὶ περάσανε μέρες πολλὲς μέσα σὲ λίγην ὧρα. Καὶ θερίσανε πλῆθος τὰ θηρία, καὶ ἄλλους ἐμάζωξαν. Καὶ τὴν ἄλλη μέρα ἐστήσανε στὸν τοῖχο τριάντα.


8. Τῆς δικαιοσύνης ἥλιε νοητέ


Τῆς δικαιοσύνης ἥλιε νοητέ- καὶ μυρσίνη σὺ δοξαστική
μὴ παρακαλῶ σας μή - λησμονᾶτε τὴ χῶρα μου!

Ἀετόμορφα ἔχει τὰ ψηλὰ βουνά - στὰ ἡφαίστεια κλήματα σειρά
καὶ τὰ σπίτια πιὸ λευκά - στοῦ γλαυκοῦ τὸ γειτόνεμα!

Τὰ πικρά μου χέρια μὲ τὸν κεραυνό - τα γυρίζω πίσω ἀπ' τὸν καιρό
τοὺς παλιούς μου φίλους καλῶ - μὲ φοβέρες καὶ μ' αἵματα!

9. Ναοὶ στὸ σχῆμα τ'οὐρανοῦ [Μόνο ὀρχηστρικό]


naoi


10. Τῆς ἀγάπης αἵματα


Τῆς ἀγάπης αἵματα - με πορφύρωσαν
καὶ χαρὲς ἀνείδωτες - με σκιάσανε
ὀξειδώθηκα μὲς στὴ νοτιά - τῶν ανθρώπων
μακρινὴ μητέρα - ρόδο μου ἀμάραντο

Στ' ἀνοιχτὰ τοῦ πελάγου - με καρτέρεσαν
Με μπομπάρδες τρικάταρτες - καὶ μοῦ ρίξανε
ἀμαρτία μου νά 'χα - κι ἐγώ μιὰν ἀγάπη
μακρινὴ μητέρα - ρόδο μου ἀμάραντο

Τὸν Ἰούλιο κάποτε - μισανοίξανε
τὰ μεγάλα μάτια της - μὲς στὰ σπλάχνα μου
τὴν παρθένα ζωὴ μιά - στιγμὴ νὰ φωτίσουν
μακρινὴ μητέρα - ρόδο μου ἀμάραντο

11. Ναοὶ στὸ σχῆμα τ' οὐρανοῦ


Ναοὶ στὸ σχῆμα τοῦ οὐρανοῦ
καὶ κορίτσια ὡραῖα
μὲ τὸ σταφύλι στὰ δόντια ποὺ μας πρέπατε!
Πουλιὰ τὸ βάρος τῆς καρδιᾶς μας ψηλὰ μηδενίζοντας
καὶ πολὺ γαλάζιο ποὺ ἀγαπήσαμε!
Φύγανε φύγανε
ὁ Ἰούλιος μὲ τὸ φωτεινὸ πουκάμισο
καί ὁ Αὔγουστος ὁ πέτρινος μὲ τὰ μικρά του ἀνώμαλα σκαλιά.
Φύγανε φύγανε
καὶ βαθιὰ κάτω ἀπ'τὸ χῶμα συννέφιασε ἀνεβάζοντας
χαλίκι μαῦρο
καὶ βροντές, ἡ ὀργὴ τῶν νεκρῶν
καὰ ἀργὰ στὸν ἄνεμο τρίζοντας
ἐγυρίσανε πάλι μὲ τὸ στῆθος μπροστά
φοβερὰ τῶν βράχων τ'ἀγάλματα !

12. Προφητικόν (Ἀνάγνωσμα Ἕκτο)

chronous


Χρόνους πολλοὺς μετὰ τὴν Ἀμαρτία ποὺ τὴν εἴπανε Ἀρετὴ μέσα στὶς ἐκκλησίες καὶ την εὐλόγησαν. Λείψανα παλιῶν ἄστρων καὶ γωνιὲς ἀραχνιασμένες τ' οὐρανοῦ σαρώνοντας ἡ καταιγίδα ποὺ θὰ γεννήσει ὁ νοῦς τοῦ ἀνθρώπου. Καὶ τῶν ἀρχαίων Κυβερνητῶν τὰ ἔργα πληρώνοντας ἡ Χτῖσις, θὰ φρίξει. Ταραχὴ θὰ πέσει στὸν Ἅδη, καὶ τὸ σανίδωμα θὰ ὑποχωρήσει ἀπό τὴν πίεση τὴ μεγάλη τοῦ ἥλιου. Ποὺ πρῶτα θὰ κρατήσει τὶς ἀχτίδες του, σημάδι ὅτι καιρὸς νὰ λάβουνε τὰ ὄνειρα ἐκδίκηση. Καὶ μετὰ θὰ μιλήσει, νὰ πεῖ: ἐξόριστε Ποιητή, στὸν αἰώνα σου, λέγε, τί βλέπεις;

- Βλέπω τὰ ἔθνη, ἄλλοτες ἀλαζονικά, παραδομένα στὴ σφῆκα καὶ στὸ ξινόχορτο.

- Βλέπω τὰ πελέκια στὸν ἀέρα σκίζοντας προτομὲς Αὐτοκρατόρων καὶ Στρατηγῶν.

- Βλέπω τοὺς ἐμπόρους νὰ εἰσπράττουν σκύβοντας τὸ κέρδος τῶν δικῶν τους πτωμάτων.

- Βλέπω τὴν ἀλληλουχία τῶν κρυφῶν νοημάτων.

[...]

Λείψανα παλιῶν ἄστρων καὶ γωνιὲς ἀραχνιασμένες τ' οὐρανοῦ σαρώνοντας ἡ καταιγίδα ποὺ θὰ γεννήσει ὁ νοῦς τοῦ ἀνθρώπου. Ἀλλὰ πρίν, ἰδοῦ, θὰ περάσουν γενεὲς τὸ ἀλέτρι τους πάνω στὴ στέρφα γῆς.

Καὶ κρυφὰ θὰ μετρήσουν τὴν ἀνθρώπινη πραμάτεια τους οἱ Κυβερνήτες, κηρύσσοντας πολέμους. Ὅπου θὰ χορτασθοῦνε ὁ Χωροφύλακας καί ὁ Στρατοδίκης. Ἀφήνοντας τὸ χρυσάφι στοὺς ἀφανεῖς, νὰ εἰσπράξουν αὐτοὶ τὸν μιστὸ τῆς ὕβρης καὶ τοῦ μαρτυρίου. Καὶ μεγάλα πλοῖα θ' ἀνεβάσουν σημαίες, ἐμβατήρια θὰ πάρουν τοὺς δρόμους, οἱ ἐξώστες νὰ ράνουν μὲ ἄνθη τὸν Νικητή. Ποὺ θὰ ζεῖ στὴν ὀσμή τῶν πτωμάτων. Καὶ τοῦ λάκκου σιμά του τὸ στόμα, τὸ σκοτάδι θ' ἀνοίγει στὰ μέτρα του, κράζοντας: ἐξόριστε Ποιητή, στὸν αἰώνα σου, λέγε, τί βλέπεις;

- Βλέπω τοὺς Στρατοδίκες νὰ καῖνε σὰν κεριά, στὸ μεγάλο τραπέζι τῆς Ἀναστάσεως.

- Βλέπω τοὺς Χωροφυλάκους νὰ προσφέρουν τὸ αἷμα τους, θυσία στην καθαρότητα τῶν οὐρανῶν.

- Βλέπω τὴ διαρκῆ ἐπανάσταση φυτῶν καὶ λουλουδιῶν.

- Βλέπω τὶς κανονιοφόρους τοῦ Ἔρωτα.

Καὶ τῶν ἀρχαίων Κυβερνητῶν τὰ ἔργα πληρώνοντας ἡ Χτῖσις, θὰ φρίξει. Ταραχὴ θὰ πέσει στὸν Ἅδη, καὶ τὸ σανίδωμα θὰ ὑποχωρήσει ἀπὸ τὴν πίεση τὴ μεγάλη τοῦ ἥλιου. Ἀλλὰ πρίν, ἰδοῦ, θὰ στενάξουν οἱ νέοι, καὶ τὸ αἷμα τους ἀναίτια θὰ γεράσει. Κουρεμένοι κατάδικοι θὰ χτυπήσουν τὴν καραβάνα τους πάνω στὰ κάγκελα. Καὶ θὰ ἀδειάσουν ὅλα τὰ ἐργοστάσια, καὶ μετὰ πάλι μὲ τὴν ἐπίταξη θὰ γεμίσουν, γιὰ νὰ βγάλουνε ὄνειρα συντηρημένα σὲ κουτιὰ μυριάδες, καὶ χιλιάδων λογιῶν ἐμφιαλωμένη φύση. Καὶ θὰ 'ρθοῦνε χρόνια χλωμὰ καὶ ἀδύναμα μέσα στὴ γάζα. Καὶ θά 'χει καθένας τὰ λίγα γραμμάρια τῆς εὐτυχίας.

Καὶ θά 'ναι τὰ πράγματα μέσα τοῦ κιόλας ὡραῖα ἐρείπια. Τότε, μὴν ἔχοντας ἄλλη ἐξορία, ποὺ νὰ θρηνήσει ὁ Ποιητής, τὴν ὑγεία τῆς καταιγίδας ἀπό τ' ἀνοιχτὰ στήθη τοῦ ἀδειάζοντας, θὰ γυρίσει γιὰ νὰ σταθεῖ στὰ ὡραία μέσα ἐρείπια. Καὶ τὸν πρῶτο λόγο του ὁ στερνὸς τῶν ἀνθρώπων θὰ πεῖ, ν' ὰψηλώσουν τὰ χόρτα, ἠ γυναῖκα στὸ πλάι του σὰν ἀχτίδα τοῦ ἥλιου νὰ βγεῖ. Καὶ πάλι θὰ λατρέψει τὴ γυναῖκα καὶ θά την πλαγιάσει πάνου στὰ χόρτα καθὼς ποὺ ἐτάχθη. Καὶ θὰ λάβουνε τα ὄνειρα ἐκδίκηση, καὶ θὰ σπείρουνε γενεὲς στοὺς αἰώνες τῶν αἰώνων!


13. Ἀνοίγω τὸ στόμα μου


Ἀνοίγω τὸ στόμα μου κι ἀναγαλλιάζει τὸ πέλαγος
καὶ παίρνει τὰ λόγια μου στὶς σκοτεινές του τὶς σπηλιές
καὶ στὶς φώκιες τὶς μικρὲς τὰ ψιθυρίζει
τὶς νύχτες ποὺ κλαῖν τῶν ἀνθρώπων τὰ βάσανα.

Χαράζω τὶς φλέβες μου καὶ κοκκινίζουν τὰ ὄνειρα
καὶ τσέρκουλα γίνονται στὶς γειτονιὲς τῶν παιδιῶν
καὶ σεντόνια στὶς κοπέλες ποὺ ἀγρυπνοῦνε
κρυφὰ γιὰ ν' ἀκοῦν τῶν ἐρώτων τὰ θαύματα.

14. Σὲ χώρα μακρινὴ καὶ ἀρυτιδώτη


ΣΕ ΧΩΡΑ μακρινὴ καὶ ἀρυτίδωτη τώρα πορεύομαι.
Τώρα μ' ἀκολουθοῦν κορίτσια κυανά
κι ἀλογάκια πέτρινα
μὲ τὸν τροχίσκο τοῦ ἥλιου στὸ πλατὺ μέτωπο.
Γενεὲς μυρτιάς μ' ἀναγνωρίζουν
ἀπό τότε ποὺ ἔτρεμα στὸ τέμπλο τοῦ νεροῦ,
ἄγιος, ἄγιος, φωνάζοντας.
Ὁ νικήσαντας τὸν Ἅδη καὶ τὸν Ἔρωτα σώσαντας,
αὐτός ὁ Πρίγκιπας τῶν Κρίνων εἶναι.
Κι ἀπό κεῖνες πάλι τὶς πνοὲς τῆς Κρήτης,
μιὰ στιγμὴ ζωγραφιζόμουν.
Γιὰ νὰ λάβει ὁ κρόκος ἀπό τοὺς αἰθέρες δίκαιο.
Στὸν ἀσβέστη τώρα τοὺς ἀληθινούς μου Νόμους
κλείνω κι ἐμπιστεύομαι.
Μακάριοι, λέγω, οἱ δυνατοὶ ποὺ ἀποκρυπτογραφοῦνε τὸ Ἄσπιλο.
Γι' αὐτῶν τὰ δόντια ἡ ρόγα ποὺ μεθᾶ,
στῶν ἡφαιστείων τὸ στῆθος καὶ στὸ κλῆμα τῶν παρθένων.
Ἰδοῦ ἂς ἀκολουθήσουνε τὰ βήματά μου!
Σὲ χώρα μακρινὴ καὶ ἀρυτίδωτη τώρα πορεύομαι.
Τώρα τὸ χέρι τοῦ Θανάτου
αὐτό χαρίζει τὴ Ζωή
καὶ ὁ ὕπνος δὲν ὑπάρχει.
Xτυπᾶ ἡ καμπάνα τοῦ μεσημεριοῦ
κι ἀργὰ στὶς πέτρες τὶς πυρρὲς χαράζονται τὰ γράμματα:
ΝΥΝ καὶ ΑΙΕΝ καὶ ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ.
Αἰὲν αἰέν καὶ νῦν καὶ νῦν τὰ πουλιὰ κελαηδοῦν
ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ τὸ τίμημα.

15. Τὸ Ἄξιόν Ἐστί – Δοξαστικόν


ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ τὸ φῶς καί ἡ πρώτη
χαραγμένη στὴν πέτρα εὐχή τοὺ ἀνθρώπου
ἡ αλκὴ μὲς στὸ ζῶο ποὺ ὁδηγεῖ τὸν ἥλιο
τὸ φυτὸ ποὺ κελάηδησε καὶ βγῆκε ἡ μέρα

Ἡ στεριὰ ποὺ βουτᾶ καὶ ὑψώνει αὐχένα
ἕνα λίθινο ἄλογο ποὺ ἱππεύει ὁ πόντος
οἱ μικρὲς κυανὲς φωνὲς μυριάδες
ἡ μεγάλη λευκὴ κεφαλὴ Ποσειδῶνος

ΟΙ ΣΗΜΑΝΤΟΡΕΣ ΑΝΕΜΟΙ ποὺ ἱερουργοῦνε
ποῦ σηκώνουν τὸ πέλαγος σὰ Θεοτόκο
ποὺ φυσοῦν καὶ ἀνάβουνε τὰ πορτοκάλια
ποὺ σφυρίζουν στὰ ὄρη κι ἔρχονται

Οἱ ἀγένειοι δόκιμοι τῆς τρικυμίας
οἱ δρομεῖς ποὺ διάνυσαν τὰ οὐράνια μίλια
οἱ Ερμήδες μὲ τὸ μυτερὸ σκιάδι
καὶ τοῦ μαύρου καπνοῦ τὸ κηρύκειο

Ο Μαΐστρος, ὁ Λεβάντες, ὁ Γαρμπής
ὁ Πουνέντες, ο Γραῖγος, ὁ Σιρόκος
ἡ Τραμουντάνα, ἡ Ὄστρια


ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ τὸ ξύλινο τραπέζι
τὸ κρασὶ τὸ ξανθὸ μὲ τὴν κηλίδα τοῦ ἥλιου
τοῦ νεροῦ τὰ παιχνίδια στὸ ταβάνι
στὴ γωνιὰ τὸ φυλλόδεντρο ποὺ ἐφημερεύει

Οι λιθιές και τα κύματα χέρι με χέρι
μιὰ πατοῦσα ποὺ σύναξε σοφία στὴν ἄμμο
ἕνας τζίτζικας ποὺ ἔπεισε χιλιάδες ἄλλους
ἡ συνείδηση πάμφωτη σὰν καλοκαίρι.

ΤΑ ΝΗΣΙΑ μὲ τὸ μίνιο καὶ μὲ τὸ φοῦμο
τὰ νησιὰ μὲ τὸ σπόνδυλο καποιανοῦ Δία
τὰ νησιὰ μὲ τοὺς ἔρημους ταρσανάδες
τὰ νησιὰ μὲ τὰ πόσιμα γαλάζια ἡφαίστεια

Στὸ μελτέμι τα ὀρτσάροντας μὲ κόντρα-φλόκο
Στὸ γαρμπὴ τ' ἀρμενίζοντας πόντζα-λαμπάντα
ἕως ὅλο τὸ μάκρος τους τ' ἀφρισμένα
μὲ λιτρίδια μαβιὰ καὶ μὲ ἡλιοτρόπια

Ἡ Σίφνος, ἡ Αμοργός, ἡ Αλόννησος
ἡ Θάσος, ἡ Ἰθάκη, ἡ Σαντορίνη
ἡ Κῶς, ἡ Ἴος, ἡ Σίκινος


ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ στὸ πέτρινο πεζούλι
ἀντίκρυ τοῦ πελάγους ἡ Μυρτὼ νὰ στέκει
σὰν ὡραῖο ὀκτὼ ἢ σὰν κανάτι
μὲ τὴν ψάθα τοῦ ἥλιου στὸ ἕνα χέρι

Τὸ πορώδες καὶ ἄσπρο μεσημέρι
ἕνα πούπουλο ὕπνου ποὺ ἀνεβαίνει
τὸ σβησμένο χρυσάφι μὲς στοὺς πυλώνες
καὶ τὸ κόκκινο ἄλογο ποὺ δραπετεύει

ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ ἑορτάζοντας τὴ μνήμη
τῶν Ἀγίων Κηρύκου καὶ Ιουλίτης
ἕνα θαῦμα νὰ καίει στοὺς οὐρανοὺς τ' ἀλώνια
ἱερεῖς καὶ πουλιὰ νὰ τραγουδοῦν τὸ χαῖρε :

ΧΑΙΡΕ ἡ Καιομένη καὶ χαῖρε ἡ Χλωρή
Χαῖρε ἡ Ἀμεταμέλητη μὲ τὸ πρωραῖο σπαθί

Χαῖρε ἡ ποὺ πατεῖς καὶ τὰ σημάδια σβήνονται
Χαῖρε ἡ ποὺ ξυπνᾶς καὶ τὰ θαύματα γίνονται

Χαῖρε τοῦ παραδείσου τῶν βυθῶν ἡ Ἀγρία
Χαῖρε τῆς ἐρημίας τῶν νήσων ἡ Ἀγία

Χαῖρε ἡ Ὀνειροτόκος χαῖρε ἡ Πελαγινή
Χαῖρε ἡ Ἀγκυροφόρος καί ἡ Πενταστέρινη

Χαῖρε μὲ τὰ λυτὰ μαλλιά ἡ χρυσίζοντας τὸν ἄνεμο
Χαῖρε μὲ τὴν ὡραῖα λαλιά ἡ δαμάζοντας τὸν δαίμονα

Χαῖρε ποὺ καταρτίζεις τὰ Μηναία τῶν κήπων
Χαῖρε ποὺ ἁρμόζεις τὴ ζώνη τοῦ Ὀφιούχου

Χαῖρε ἡ ἀκριβοσπάθιστη καὶ σεμνή
Χαῖρε ἡ προφητικιὰ καὶ δαιδαλική

ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ τὸ χῶμα ποὺ ἀνεβάζει
μιὰν ὀσμὴ κεραυνοῦ σὰν ἀπὸ θειάφι
τοῦ βουνοῦ ὁ πυθμένας ὅπου θάλλουν
οἱ νεκροὶ ἄνθη τῆς αὔριον

Μιᾶς νυχτὸς Ἰουνίου ἡ νηνεμία
γιασεμιὰ καὶ φουστάνια στὸ περιβόλι
τὸ ζωάκι τῶν ἄστρων ποὺ ἀνεβαίνει
τῆς χαρᾶς ἡ στιγμὴ λίγο πρὶν κλάψει

ΤΑ ΚΟΡΙΤΣΙΑ ἡ πόα τῆς οὐτοπίας
τὰ κορίτσια οἱ παραπλανημένες Πλειάδες
τὰ κορίτσια τ' Ἀγγεία τῶν Μυστηρίων
τὰ γεμάτα ὡς πάνω καὶ τ' ἀπύθμενα

Τὰ στυφὰ στὸ σκοτάδι καὶ ὅμως θαῦμα
τὰ γραμμένα στὸ φῶς καὶ ὅμως μαυρίλα
τὰ στραμμένα ἐπάνω τοὺς ὅπως οἱ φάροι
τὰ ἡλιοβόρα καὶ τὰ σεληνοβάμονα

Ἡ Ἔρση, ἡ Μυρτώ, ἡ Μαρίνα
ἡ Ἐλένη, ἡ Ρωξάνη, ἡ Φωτεινή
ἡ Ἄννα, ἡ Ἀλέξανδρα, ἡ Κύνθια


ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ τὸ ἀναίτιο δάκρυ
ἀνατέλλοντας ἀργὰ στὰ ὡραῖα μάτια
τῶν παιδιῶν ποὺ κρατιοῦνται χέρι-χέρι
τῶν παιδιῶν ποὺ κοιτάζονται καὶ δὲ μιλιοῦνται
Τῶν ἐρώτων τὸ τραύλισμα πάνω στὰ βράχια
ἕνας φάρος ποὺ ἐκτόνωσεν αἰώνων θλίψη
τὸ τριζόνι τὸ ἐπίμονο καθώς ἡ τύψη
καὶ τὸ μάλλινο ἔρημο μέσα στ' ἀγιάζι

ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ τὸ χέρι ποὺ ἐπιστρέφει
ἀπὸ φόνο φριχτὸν καὶ τώρα ξέρει
ποιὸς ἀλήθεια ὁ κόσμος ποὺ ὑπερέχει
ποιὸ τὸ "νῦν" καὶ ποιὸ τὸ "αἰὲν" τοῦ κόσμου :

ΝΥΝ το ἀγρίμι τῆς μυρτιᾶς Νῦν ἡ κραυγὴ τοῦ Μάη
ΑΙΕΝ ἡ ἄκρα συνείδηση Αἰέν ἡ πλησιφάη

Νῦν νῦν ἡ παραίσθηση καὶ τοῦ ὕπνου ἡ μιμική
Αἰὲν αἰέν ὁ λόγος καὶ Τρόπις ἡ ἀστρική

Νῦν τῶν λεπιδόπτερων τὸ νέφος τὸ κινούμενο
Αἰὲν τῶν μυστηρίων τὸ φῶς τὸ περιιπτάμενο

Νῦν τὸ περίβλημα τῆς Γῆς καί ἡ Ἐξουσία
Αἰέν ἡ βρώση τῆς Ψυχῆς καί ἡ Πεμπτουσία

Νῦν τῆς Σελήνης τὸ μελάγχρωμα τὸ ἀνίατο
Αἰὲν τὸ χρυσοκύανο τοῦ Γαλαξία σελάγισμα

Νῦν τῶν λαῶν τὸ ἀμάλγαμα καί ὁ μαῦρος Ἀριθμός
Αἰὲν τῆς Δίκης τὸ ἄγαλμα καί ὁ Μέγας Ὀφθαλμός

Νῦν ἡ ταπείνωση τῶν Θεῶν
Νῦν ἡ σποδὸς τοῦ Ἀνθρώπου

Νῦν Νῦν τὸ μηδέν

καὶ ΑΙΕΝ Ο ΚΟΣΜΟΣ Ο ΜΙΚΡΟΣ, Ο ΜΕΓΑΣ !

inviata da Gian Piero Testa & CCG/AWS Staff - 31/1/2009 - 18:03




Lingua: Italiano

Gian Piero Testa.
Versione italiana di Gian Piero Testa
[1998]

E poiché era prossimo il giorno in cui la Nazione aveva l'usanza di festeggiare l'altro Risorgimento, di nuovo in quel giorno decisero per l'Esodo. E per tempo uscirono proprio di fronte al sole, con dispiegata dall'alto in basso l'intrepidezza come una bandiera, i giovani con i piedi gonfi che li chiamavano vagabondi. E seguivano molti uomini, e donne, e feriti con i bendaggi e le stampelle. Ovunque vedevi all'improvviso nei loro aspetti tante rughe, che avresti detto che fossero passati molti giorni in breve tempo.
E poiché era prossimo il giorno in cui la Nazione aveva l'usanza di festeggiare l'altro Risorgimento, di nuovo in quel giorno decisero per l'Esodo. E per tempo uscirono proprio di fronte al sole, con dispiegata dall'alto in basso l'intrepidezza come una bandiera, i giovani con i piedi gonfi che li chiamavano vagabondi. E seguivano molti uomini, e donne, e feriti con i bendaggi e le stampelle. Ovunque vedevi all'improvviso nei loro aspetti tante rughe, che avresti detto che fossero passati molti giorni in breve tempo.
GLORIA [DIGNUM EST]

1. La Genesi


ALLORA PARLO’ e nacque il mare.
E vidi e ammirai.
E nel suo mezzo disseminò piccoli mondi a mia
immagine e somiglianza:

Cavalli di pietra dalla criniera eretta
e anfore serene
e ricurvi dorsi di delfini
Io, Sìcino, Sèrifo, Milo
«Ogni parola la porti una rondine
perché ti porti la primavera dentro l'estate» disse
E tanti tanti olivi
che setaccino la luce nelle loro mani
e leggera si distenda essa sul tuo sonno
e tante tante cicale
da non averne la sensazione
come non hai la sensazione del pulsare nel tuo braccio
ma poca sia l'acqua
perché tu l'abbia a Dio ed apprenda il significato della sua parola
e l'albero sia tutto solo
non imbrancato
perchè tu te lo faccia amico
e ne conosca esattamente il nome
sottile sia il suolo sotto i tuoi piedi
sì che tu non abbia da estendere radici
ma debba senza sosta spingerle in profondità
ma largo in alto il cielo
perché tu possa da solo leggerne
l'infinitezza

QUESTO
il cosmo, il piccolo il Grande !

2. La Passione


ECCOMI dunque,
io che fui foggiato per le piccole Kore e per le isole dell'Egeo
l'amante del salto dei daini
l'iniziato delle foglie d'olivo
il bevitore di sole lo sterminatore di locuste
Eccomi in faccia
alla nera toga dei risoluti
e agli anni della licenza, quando il parossismo,
come un utero, abortì i propri figli !
Scioglie il vento gli elementi e un tuono s'abbatte sui monti.
Destino degli innocenti, ancora una volta lasciato solo, eccoti negli Stretti
Negli Stretti ho aperto le mie mani
Negli Stretti ho svuotato le mie mani
né altro bene vidi, né d'altro bene udii parlare
se non di fredde fontane che scorrono
Rodia, Sèfiro, Filià.

Ognuno con le sue armi, dissi:

Negli Stretti aprirò le mie melograne
Negli Stretti porrò a guardia gli zefiri
darò congedo ai baci di un tempo santificati dal mio trasporto
Scioglie il vento gli elementi e un tuono si abbatte sui monti.
Destino degli innocenti, sei il mio stesso Destino !

3. La Marcia verso il Fronte (Prima lettura)

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All'alba di San Giovanni, il giorno prima dell'Epifania, ricevemmo l'ordine di avanzare ancora, verso quei luoghi dove non esistono giorni feriali né festivi. Bisognava, ci dicono, prendere le linee tenute fino allora da quelli i Arta, da Chimara a Tepeleni. Siccome quelli avevano combattuto fin dal primo giorno, senza sosta, ed erano ridotti quasi alla metà e non ce la facevano più.

Notte dopo notte avanzavamo senza fermarci, uno dietro l'altro, come fanno i ciechi. Con la pena di liberare le gambe dal fango, dove, a volte, affondavano fino al ginocchio. Poiché il più delle volte piovigginava fuori sulle strade, ma anche nella nostra anima. E le rare volte che facevamo una sosta per riposarci, non ci scambiavamo parola, solo seri e taciturni. Facendo luce con una piccola torcia, dividevamo chicco a chicco l'uva passa. Oppure qualche volta, se era possibile, slacciavamo di furia i vestiti e ci grattavamo con accanimento per ore fino a far scorrere il sangue.

Perché eravamo pieni di pidocchi fino al collo, e questo era ancor più insopportabile della fatica.
Insomma, talora si sentiva nell'oscurità il fischietto, segnale di metterci in marcia, e di nuovo come bestie tiravamo avanti per guadagnare strada prima che albeggiasse e gli aeroplani ci prendessero a bersaglio.

Siccome Dio non si occupava di bersagli e cose simili, come era sua abitudine, sempre alla stessa ora faceva giorno.
E che si fosse molto vicini ai luoghi dove non esistono giorni feriali né festivi, né ammalati né sani, né poveri né ricchi, lo capivamo. Perché il rumore più in là, qualcosa come un temporale dietro le montagne, diventava sempre più forte, tanto che alla fine distinguevamo quello lento e pesante dei cannoni e quello secco e rapido delle armi automatiche. E anche perché sempre più spesso ci capitava d'incontrare, che venivano dall'altra parte, i lenti convogli con i feriti. Dovunque deponevano a terra le barelle gli infermieri con la croce rossa sul bracciale, sputando nelle palme e con lo sguardo torvo per la voglia di fumare.

E quando poi sentivano dove eravamo diretti, scuotevano la testa, cominciando a raccontare storie mirabolanti e mostruose. Ma noi, l'unica cosa cui badavamo erano quelle voci nell'oscurità, che salivano bruciate ancora dal catrame e dallo zolfo. « Ohi, mamma mia », « ohi, mamma mia », e talora, più raramente, un respiro soffocato, come un russare che dicevano, quelli che lo sapevano, questo è il rantolo della morte.
C'erano volte che trascinavano con loro anche i prigionieri, catturati appena poche ore prima negli assalti a sorpresa che facevano le pattuglie. Puzzavano di vino i loro fiati, e le loro tasche erano piene di conserva e cioccolata. E noi non ne avevamo, ché erano tagliati i ponti dietro di noi, e i nostri pochi muli anche loro erano fuori uso in mezzo alla neve e nella fanghiglia. Alla fine, ad un certo momento, apparvero di lontano colonne di fumo che salivano di qua e di là, e all'orizzonte le prime rosse e brillanti segnalazioni luminose.


4. Unica è la Rondine


Unica è la rondine – costosa la Primavera
Per far girare il sole – ci vuole tanta fatica

Occorre che morti a migliaia - stiano alle Ruote
Occorre che anche i vivi – diano il loro sangue

Dio mio, Capomastro * -mi hai costretto dentro le montagne
Dio mio, Capomastro -mi hai serrato dentro il mare !

Fu preso dai Magi – il corpo del Maggio
L'hanno seppellito – in una tomba marina

In un pozzo profondo – l'hanno rinchiuso
Profumò la tenebra – e tutto l'Abisso

Dio mio, Capomastro - tra i lillà di Pasqua anche Tu
Dio mio, Capomastro- hai sentito profumare la Resurrezione!


5. Le mie Fondamenta


Le mie fondamenta sono sulle montagne
e le montagne i popoli reggono sulle spalle e sopra di loro la memoria arde
come roveto inestinguibile. Memoria del mio popolo, hai nome Pindo, hai nome Athos.
Tu sola parli dalla fenditura della roccia.
Tu rendi acuta la vista dei santi,
e tu trai al bordo della corrente dei secoli
il fiore della resurrezione !
Tu sfiori la mia mente e soffre il bimbo della Primavera!
Castighi la mia mano e si fa candida nell'oscurità !
Sempre sempre passi oltre il fuoco per attingere lo splendore
Sempre sempre passi oltre lo splendore per attingere in alto le montagne, gli arcobaleni di neve.
Ma perché le montagne ? E chi e che cosa sulle montagne ?
Le mie fondamenta sono sulle montagne
e le montagne i popoli reggono sulle spalle
e sopra di loro la memoria arde
come roveto inestinguibile !

6. Al Lume della stella


Al lume della stella – uscii verso i cieli
Verso la frescura dei limoni – verso l'unica riviera del cosmo

Dove posso trovare la mia anima – la lacrima quadrifoglia !
Le mie fanciulle portano – il lutto nei secoli

I miei ragazzi imbracciano – fucili e non comprendono
Dove posso trovare la mia anima – la lacrima quadrifoglia !

7. Il grande Esodo (Terza lettura)

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In quei giorni i ragazzi fecero una riunione segreta e presero la decisione,visto che le cattive nuove si moltiplicavano nella capitale, di uscire sulle strade e nelle piazze con l'unica cosa che gli fosse rimasta: una spanna di magrezza sotto la camicia aperta, con i peli neri e la piccola croce con il sole. Dovunque era signora e padrona la Primavera.
E poiché era prossimo il giorno in cui la Nazione aveva l'usanza di festeggiare l'altro Risorgimento, di nuovo in quel giorno decisero per l'Esodo. E per tempo uscirono proprio di fronte al sole, con dispiegata dall'alto in basso l'intrepidezza come una bandiera, i giovani con i piedi gonfi che li chiamavano vagabondi. E seguivano molti uomini, e donne, e feriti con i bendaggi e le stampelle. Ovunque vedevi all'improvviso nei loro aspetti tante rughe, che avresti detto che fossero passati molti giorni in breve tempo.

Tal genere di temerità venendo tuttavia gli Altri a sapere, molto ne furono turbati. E per tre volte soppesando con l'occhio i loro averi, presero la decisione di uscir fuori sulle strade e sulle piazze con la sola cosa che gli fosse rimasta: un cubito di fuoco dentro il ferro, con le nere canne e i denti del sole.
Dovunque, né ramoscello né fiore, mai versarono una lacrima. E colpivano dove capitava, serrando le palpebre con disperazione. E la primavera senza sosta li dominava. Come se non ci fosse sulla terra intiera altra strada, se non quella per dove doveva passare la Primavera, e l'avevano presa in silenzio, guardando molto lontano, oltre il limite estremo della disperazione, la Bonaccia in cui sarebbero stati, i giovani con i piedi gonfi, che li chiamavano vagabondi, e gli uomini e le donne e i feriti con i bendaggi e le stampelle.

E trascorsero molti giorni in poco tempo. E mieterono una moltitudine quelle belve, e fecero concentramento degli altri. E il giorno seguente trenta ne misero al muro.


8. Sole Ideale della Giustizia


Sole ideale della giustizia – e tu mirto della gloria
no, vi prego, - non dimenticate il mio paese !

Ha gli alti monti in forma di aquile - e sui vulcani festoni di vigne
e le case più bianche – nel quartiere dell'azzurro !

Le mie mani tristi con il Fulmine – le riporto indietro dal Tempo
chiamo i miei vecchi amici – con minacce e sangue!

9. Templi in forma di cielo [Solo per orchestra]

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10. Il Sangue dell'Amore


Il sangue dell'amore – mi imporporò
E gioie impensabili – mi sgomentarono

Al vento caldo degli uomini – ruggine mi ricoprì
Madre Lontana – Rosa mia Incorruttibile

In mare aperto -mi attesero
Trealberi con bombarde - e mi tirarono

Mea culpa se ho avuto – anch'io un amore
Madre Lontana – Rosa mia Incorruttibile

Di Luglio a un tratto – si socchiusero
I suoi grandi occhi – dentro le mie viscere

Per illuminare un istante – la mia vergine vita
Madre Lontana -Rosa mia Incorruttibile

11. Templi in forma di cielo


Templi in forma di cielo e belle ragazze
col grappolo d'uva tra i denti, fatte per noi !
Uccelli che dall'alto annullavano il peso del nostro cuore
e tanto tanto azzurro che abbiamo amato!
Se ne andarono, se ne andarono
Luglio con la sua camicia di luce
e Agosto pietroso con i suoi irregolari scalini
Se ne andarono, se ne andarono
e giù giù sotto la terra si formò una nube, facendo risalire un nero lapillo
e tuoni, la collera dei morti
e lentamente stridendo al vento
ritornarono col petto proteso in avanti
spaventose, le statue dei macigni

12. Profetico (Sesta lettura)

chronous


Molti anni dopo il Peccato che dentro le chiese fu chiamato Virtù e benedetto.
Spazzando l'uragano gli avanzi delle vecchie stelle e gli angoli del cielo coperti di ragnatele dove nascerà la mente dell'uomo.
E pagando le opere degli antichi Governanti l' Edificio fremerà. Turbamento cadrà sull'Ade, e il tavolato cederà sotto la grande pressione del sole.
Il quale dapprima tratterrà i suoi raggi, segno che sarà tempo per i sogni di prendere la loro vendetta.
E poi parlerà, per dire: Poeta esiliato, cosa vedi nel tuo secolo ?

Vedo le nazioni, un tempo proterve, consegnate alla vespa ed alle erbe agre.
Vedo le scuri nel vento, che fendono busti di Imperatori e di Generali.
Vedo i mercanti che, piegando il capo, incassano il guadagno dei loro stessi cadaveri.

Spazzando l'uragano gli avanzi delle vecchie stelle e gli angoli del cielo coperti di ragnatele dove nascerà la mente dell'uomo. Ma prima, ecco, le generazioni passeranno il loro aratro sopra le terre sterili. E di nascosto i Governanti faranno la stima della loro merce umana, dichiarando guerre. Dovunque si sazieranno il Gendarme e il Giudice Marziale. Lasciando i monili d'oro agli ignobili, che siano loro a riscuotere il salario dell'oltraggio e del martirio.
E grandi navigli alzeranno bandiere, cortei si impadroniranno delle strade, perché i balconi facciano piovere fiori sul Vincitore. Il quale vivrà nel lezzo dei cadaveri. E presso la bocca della fossa, aprirà la tenebra per quanta è la sua statura gridando: Poeta esiliato, cosa vedi nel tuo secolo ?
Vedo i Giudici Marziali bruciare come candele, sulla grande tavola della Risurrezione.
Vedo i Gendarmi offrire il loro sangue, sacrificio alla purezza dei cieli.
Vedo l'incessante rivoluzione delle piante e dei fiori.

E pagando le opere degli antichi Governanti l' Edificio fremerà. Turbamento cadrà sull'Ade, e il tavolato cederà sotto la grande pressione del sole.
Ma prima, ecco gemeranno i giovani ed il loro sangue senza colpa invecchierà.
Condannati rasati batteranno le loro gavette sopra le sbarre. E si svuoteranno tutte le fabbriche, e poi torneranno a riempirsi con la requisizione, per trarne sogni conservati in scatole innumerevoli, e la natura imbottigliata di migliaia di forme di vita.
E giungeranno annate pallide e magre dentro le bende. E ciascuno avrà i suoi pochi grammi di fortuna. E le cose dentro di lui saranno rovine ancorché belle. Allora, senza avere altro esilio, che il Poeta debba piangere, liberando le forze salutari dell'uragano dal suo petto aperto, ritornerà per riversarsi dentro le belle rovine. E l'ultimo uomo dirà la sua prima parola, che cresca l'erba, che esca la donna al suo fianco come raggio di sole. Ed ancora adorerà la donna e la farà coricare sopra l'erba non appena sia pronta. Ed i sogni prenderanno la loro vendetta, e semineranno generazioni in saecula saeculorum!


13. Apro la mia Bocca


Apro la mia bocca- ed esulta il mare
E attira le mie parole – nelle sue grotte tenebrose

E le sussurra – alle piccole foche
Le notti quando piangono – i tormenti degli uomini.

Mi incido le vene – e si arrossano i sogni
E diventano cerchi – nei quartieri dei bambini

E lenzuola sulle ragazze – che vegliano
Per ascoltare di nascosto – le meraviglie dell'amore

14. Ora mi dirigo


Ora mi dirigo verso una terra lontana e levigata.
Ora mi seguono fanciulle azzurre
e cavallucci di pietra
con la piccola ruota del sole sulla larga fronte.
Generazioni di mirti mi riconoscono
da quando tremavo al cospetto dell'iconostasi dell'acqua,
santo santo gridando.
Colui che ha trionfato sull'Ade, che ha salvato Eros
è lui, il Principe dei Gigli.
E da quei respiri di Creta
venivo ritratto in un istante.
Affinché il croco prendesse incorruttibilità da quei soffi.
Ora chiudo nella calce le mie Leggi veritiere e gliele affido.
Beati, dico, i possenti che decodificano
l' Immacolato.
E' per i loro denti il capezzolo che inebria
sul petto dei vulcani e nella vigna delle vergini.
Ecco, che seguano i miei passi!
Ora mi dirigo verso una terra lontana e levigata.
Ora la mano della Morte
lei stessa regala la Vita
e non esiste il Sonno.
Batte la campana del mezzogiorno
e lentamente sulle pietre infuocate si incidono le lettere:
ORA e SEMPRE e E' COSA BUONA E GIUSTA.
Sempre, sempre ed ora gli uccelli cinguettano
E' BUONO E GIUSTO il prezzo.

15. Dignum Est [Gloria]


E' cosa buona e giusta la luce e la prima
preghiera dell'uomo incisa nella pietra
la forza dentro il bruto che guida il sole
la pianta che cinguettò e ne uscì il giorno

La costa dove di tuffa ed erge il collo
un cavallo di pietra cavalcato dal mare
le innumerevoli piccole voci turchine
la grande bianca testa di Poseidone

I venti àuguri che officiano
che sollevano il mare come una Theotokos
che soffiano e accendono le arance
che fischiano sui monti e giungono

Gli imberbi novizi della burrasca
i corrieri che hanno percorso le miglia celesti
i figli di Ermes col petaso adunco
e col caduceo di nero fumo

Il Maestrale, il Levante, il Garbino
il Ponente, il Grecale, lo Scirocco
la Tramontana, l'Austro.

E' cosa buona e giusta il tavolo di legno
il vino biondo segnato dal sole
i giochi dell'acqua sul tetto
l'albero frondoso che nell'angolo adempie il suo sacro ufficio

Le scogliere e le onde mano nella mano
un'impronta che la sapienza ha composto nella sabbia
una cicala che da sola ne ha accordate altre migliaia
la coscienza splendente come un'estate

Le isole con il minio e la polvere nera
le isole con il rocchio di qualche Zeus
le isole con i porticcioli solitari
le isole che bevono le azzurre sorgenti vulcaniche

Col meltémi orzandole al contro-fiocco
col garbino scapolandole con la barra alla banda
spumeggianti per quanto son lunghe
di fiori color malva e di girasoli

Sifanto, Amorgo, Alonisso
Taso, Itaca, Santorini
Coo, Io, Sicandro

E' cosa buona e giusta che sul pilastro di pietra
di fronte al mare sosti Mirtò
come un bell'otto o come un orcio
col cappello di paglia del sole in una mano

Il mezzogiorno bianco e poroso
una piuma di sonno volitante
l'oro spento dentro i portali
e il cavallo rosso che ha preso la fuga

E' cosa buona e giusta quando si festeggia
la memoria dei santi Quirico e Giulita
che un prodigio divampi nelle aie nei cieli
che sacerdoti ed uccelli cantino il salve:

Salve, o Riarsa e salve, o Verdeggiante
salve, o Impenitente con la spada prodiera

Salve a te, al cui tocco svaniscono le piaghe
salve a te che ti svegli ed avvengono i prodigi

Salve, o Selvaggia del paradiso degli abissi
salve, o Santa della solitudine delle isole

Salve, o Madre dei sogni, salve, o Marittima
salve, o Portatrice di Ancora e Quinquestellata

Salve a te, che indori il vento con i capelli sciolti
salve a te, che con la bella favella domi il demone

Salve a te che appronti i Libri degli uffici degli Orti
salve a te che cingi la cintura del Serpentario

Salve, infallibile e venerabile schermitrice
salve, o profetica e dedàlea

E’ COSA BUONA E GIUSTA la terra che esala
un odore sulfureo di fulmine
l’abisso della montagna dove fioriscono
i morti fiori del domani

Una notte di Giugno senza vento
gelsomini e gonne nella campagna
la lucciola delle stelle che ascende
l’istante di gioia prima del pianto

Le fanciulle verzura dell’utopia
le fanciulle Pleiadi ingannate
le fanciulle Vasi dei Misteri
quelli pieni fino all’orlo e quelli senza fondo

Quelle acerbe nell’ombra eppure miracoli
quelle inscritte nella luce eppure tenebra
quelle che ruotano come fari su se stesse
quelle che si pascono di sole e quelle chi si tingono di luna

Ersi, Mirtò, Marina
Elena, Rossana, Fotinì
Anna, Alessandra, Cinzia

E’ COSA BUONA E GIUSTA la lacrima innocente
che spunta lenta sugli occhi belli
dei ragazzi che si tengono per mano
dei ragazzi che si guardano senza parlarsi

Il balbettio degli amori sopra gli scogli
un faro che ha lenito un dolore secolare
il grillo ostinato come il rimorso
e il manto solitario nel gelo mattutino

E’ COSA BUONA E GIUSTA la mano che ritorna
da un odioso omicidio e ora sa
qual è in verità il cosmo che sovrasta
quale l’ « ora » e quale il « sempre » del cosmo

ORA il selvatico del mirto ora il frastuono del Maggio
SEMPRE l’estrema consapevolezza sempre la piena luce
ORA ora l’illusione e la simulazione del sonno
SEMPRE sempre la ragione e la Carena siderale
ORA la nuvola agitata dei lepidotteri
SEMPRE la luce dei misteri che aleggia intorno
SEMPRE la statua della Giustizia e il grande Occhio
ORA l’involucro della Terra e l’ Arbitrio
SEMPRE l’alimento dell’ Anima e la quintessenza
ORA l’irrimediabile opacità della Luna
SEMPRE lo splendore oro-azzurro della Via Lattea ORA la confusione dei popoli e il nero Numero
ORA l’umiliazione degli Dei Ora la cenere dell’Uomo
Ora ora il nulla

E Sempre il cosmo, il piccolo, il Grande !
NOTA alla traduzione

* “Dio Capomastro”: nulla di massonico, qui. Allusione alla leggenda, materia di cantari popolari, del capomastro di Arta, la cui sposa si fece murare ( in luogo del solito malcapitato pollo) nel ponte che il marito stava costruendo. Il ponte sarebbe così durato pressoché in eterno.

inviata da Gian Piero Testa & CCG/AWS Staff - 31/1/2009 - 18:51




Lingua: Italiano

La versione italiana di “Ένα το χελιδόνι” (4. Unica è la Rondine) offerta da Leoncarlo Settimelli nel disco del Canzoniere Internazionale intitolato “Questa grande umanità ha detto Basta! - Canzoni di lotta di tutto il mondo”, pubblicato da I Dischi Dello Zodiaco nel 1972.

canzointe
UNA E’ LA PRIMAVERA

Una è la primavera
con la rondine verrà
(Una è la primavera
con la rondine verrà)
ma il sole per tornare
quanto sudore chiederà
(ma il sole per tornare
quanto sudore chiederà).

Per far girare il sole
serve forza nelle ruote
(Per far girare il sole
serve forza nelle ruote)
dei vivi occorre il sangue
non serve la pietà.

Nel buio più profondo
incatenato aspetterò
la primavera che ritornerà
e avrà i profumi della libertà.
(la primavera che ritornerà
e avrà i profumi della libertà).

inviata da Bernart Bartleby - 12/8/2014 - 22:03


ΤΟ ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ DI ODYSSEAS ELYTIS E MIKIS THEODORAKIS - CRONACA DI DUE VITE PARALLELE E DI UN PARTO ARDUO E FELICE

Dove si parla anche di "Epitafios", di “Sole il Primo”, del “Canto eroico e funebre per il Sottotenente caduto in Albania” e della “Canzone del Fratello morto”


di Gian Piero Testa


aksionesti


Riusciamo finalmente a pubblicare, speriamo in una degna veste grafica, l'autentico e esauriente saggio che Gian Piero Testa, a suo tempo, ha scritto appositamente per questo sito, definendolo simpaticamente una "spatafiata". Il saggio è stato poi pubblicato per la prima volta dalla rivista Sinestesie ed è disponibile in formato .pdf. [CCG/AWS Staff]



I.


elytspecchio
Sul finire dell’estate del 1960, in un caffè parigino, ritrovo degli intellettuali ateniesi, il trentacinquenne Mikis Theodorakis (Μίκης Θεοδωράκης) fu avvicinato da Odysseas Elytis (Οδυσσέας Ελύτης), un poeta che già godeva di discreta notorietà e che era destinato a ricevere quasi vent’anni dopo il secondo Nobel greco per la letteratura, dopo quello di Yorgos Seferis (Γιώργος Σεφέρης).
Il poeta, allora quasi cinquantenne, disse al musicista di avere assai apprezzato la musica di Επιτάφιος, (“Epitafios”, Epitaffio, o Venerdì Santo) i cui dischi da pochi mesi stavano, paradossalmente, circolando in due edizioni: una curata da Manos Hatzidakis (Μάνος Χατζιδάκις), con la voce di Nana Mouskouri (Νάνα Μούσχουρη) e l’altra curata dallo stesso compositore, con la voce di Grigris Bithikotsis (Γρηγώρης Μπιθικώτσης).

In patria “Epitafios” aveva suscitato aspre reazioni sul terreno politico; perché quasi nulla in quei tempi sfuggiva alle forche caudine della politica. Né la destra, né il centro, né la sinistra - parliamo delle sfere dirigenti – riuscivano a digerire la nuovissima opera. Destra e moderati vedevano nell’esperimento qualcosa di pernicioso: e, forti dell’essere al potere, si davano da fare per vietarne ogni trasmissione radiofonica e per sguinzagliare poliziotti e provocatori a turbarne le esecuzioni pubbliche. Il Partito Comunista (KKE) lo considerava addirittura “sacrilego”: e, pur con lo svantaggio di trovarsi fuori legge, riusciva a organizzare pubblici dibattiti ( il primo fu presso il Circolo Grecia-Cina ) per lanciare zdanoviani anatemi e mettere in guardia i militanti. (La cosa si sarebbe ripetuta, due anni più tardi, con la rappresentazione della pièce Το τραγούδι του νεκρού αδελφού (“To tragoùdi tou nekroù adelfoù”, La canzone del fratello morto): l’anatema sarebbe venuto dall’EDA, il partito di sinistra nato per surrogare il KKE illegale. Preso così a bersaglio, Theodorakis era tornato in fretta a rifugiarsi a Parigi, dove stava cercando di concludere gli studi musicali interrotti da anni e dove, soprattutto, si guadagnava faticosamente da vivere componendo musica per anonimi film londinesi, oltre che musica sinfonica per sé; mentre la moglie Mirtò aveva un impiego presso l’Istituto Curie. Lo consolava il fatto che in patria i giovani, sia della strada, sia dell’Università, respingevano gli anatemi e facevano il tifo per la sua musica.

Elytis disse a Theodorakis di considerare molto interessante l’esperimento di interpretare secondo i moduli della musica popolare da ballo i versi di un poeta di grande levatura come Yannis Ritsos (Γιάννης Ρίτσος), e aggiunse: “ Ho appena terminato “Το Ἄξιον Ἐστί”, (“To Axion Estì”, Dignum Est), l’opera – credo – della mia vita. Vorrei prima o poi mandarvelo, perché qualcosa mi dice che vi ispirerà”.
Neppure un mese dopo il postino recapitava il volumetto fresco di stampa presso lo squallido appartamentino dove viveva Theodorakis con la moglie e due bimbetti. Immediatamente il musicista si immerse nel lavoro, perché il poeta aveva colto nel segno. Tutto il poemetto ispirava il compositore, che avrebbe desiderato musicarlo da cima a fondo, se ciò non avesse comportato, se e quando fosse stato finito, decine di ore di esecuzione…In conclusione – ma lo vedremo – sarebbe stata musicata una limitata ma intelligente scelta, in forma di oratorio.

Yorgos Seferis.
Yorgos Seferis.
Quello che ascoltiamo dunque non è tutto l’ ”Axion Esti” di Elytis. Con la sua trasposizione musicale il non facile poema sarebbe diventato popolare, fino a porsi come parte insostituibile dell’ethos greco: ma, come è avvenuto per altri componimenti poetici dei quali alcune parti sono state riprese musicalmente (vedi ad esempio Yannis Ritsos) le rimanenti avrebbero avuto fortuna minore di quelle “toccate” dalla musica *1.

Un incontro come quello di Elytis con Theodorakis, due persone con alle spalle vicende assai diverse, era sorprendente, ma non unico, in quel momento. Nello stesso autunno in cui i due si incontravano a Parigi, era accaduto a Londra che Yorgos Seferis, il quale si trovava là come ambasciatore ellenico, cogliesse l’occasione della prova generale di un balletto musicato dal giovane connazionale, per trascinarlo ex abrupto dal Covent Garden alla sua residenza, dove gli proponeva di musicare alcune sue liriche, che furono, poi, quelle di Επιφάνεια (“Epifània”, Epifania o Apparizione). Se Elytis, nel seguire le sue strade artistiche, si era tenuto discosto dal potere e dalla contesa politica diretta, Sefèris appariva addirittura come uomo dell’establishment. Durante l’occupazione, Seferis aveva seguito la Corte tra gli agapanti di Alessandria e del Cairo, e ora, nelle severe vesti del diplomatico, stava rappresentando un governo ultraconservatore proprio nel Paese che più si era speso per schiacciare il tentativo rivoluzionario al quale Theodorakis, duramente pagando, aveva partecipato. Entrambi i poeti avevano capito che l’intuizione di Theodorakis e le sue risorse artistiche aprivano una strada che anche loro erano interessati a percorrere e, molto intelligentemente, non si mostravano turbati dal frastuono politico e non si intimidivano davanti agli steccati.


II.


Certo, anche Elytis la sua rivoluzione l’aveva tentata e, a differenza del Mikis politico, anche compiuta, non nel campo politico e sociale, ma in quello dell’espressione artistica, come attivo partecipe del movimento surrealista, dal quale, sul piano politico, aveva contratto e avrebbe conservato un’attitudine anarchica, diffidente di ogni potere mondano e spirituale e di ogni contropotere organizzato *2. Theodorakis, invece, si era “gettato nel ferro e nel fuoco”, per dirla con Ritsos, quando era ancora poco più che ragazzo, dapprima nella resistenza all’occupazione italo-tedesca, e, poi, inquadrato tra i “ribelli”, nella lunga e sanguinosa guerra civile che era seguita alla liberazione del Paese. Ma entrambi stavano cercando un modo “greco” per esprimere ciò che sentivano della Grecia e del suo popolo, cui intendevano rivolgersi nella loro interezza. Al momento dell’incontro con Elytis, anche Theodorakis, impegnato allora nella composizione della “Canzone del Fratello Morto”, stava tentando di approdare a una “catarsi” degli odi della guerra civile all’interno di una nuova “mitologia” greca e vagheggiava, nello stesso tempo, la fondazione di un melodramma nazionale sostanziato delle tragedie contemporanee. Tra i due fuochi dell’aperta ostilità del potere dominante, da un lato, e di un logoratissimo rapporto col KKE, dall’altro, scorgeva anche lui, nell’insieme delle ideologie, il volto nascosto del Potere: e ne aveva paura. Il poeta di “Axion Estì” e il compositore di “Epitafios” scoprivano dunque di potersi capire, nonostante le loro biografie così diverse. E la cosa valeva evidentemente anche per Sefèris.

Anche se con il premio Nobel del 1979 era diventato una gloria nazionale, Elytis trascorse i suoi ultimi anni in un modesto appartamentino di Atene. Ma era nato e cresciuto in una agiata famiglia di capitalisti. Il padre, Panayotis Alepoudhelis, originario di Lesbo, aveva impiantato a Creta una fabbrica per la lavorazione dei sottoprodotti oleari (saponi, vernici, oli scadenti), che sarebbe stata svenduta solo nel 1978. A Candia (oggi Iraklion, come nell’antichità) Odisseo era nato nel 1911, lo stesso anno in cui i Turchi levavano le loro “sette scuri” *3 dall’isola dopo 250 anni di dominio. Nel primo dopoguerra la fabbrica era stata trasferita in Attica, al Pireo; mentre la famiglia poneva la sua residenza ad Atene. Odisseo era cresciuto nell’agiatezza: belle dimore, buone scuole, viaggi in Europa, lunghe vacanze e giri in barca nelle isole dell’Egeo. Ancora ragazzo aveva avuto il privilegio di esplorare in automobile tutta la Grecia, della quale si era perdutamente innamorato. E poi si era potuto permettere di intraprendere - e di trascurarli alquanto - gli studi di giurisprudenza, attratto dalla poesia, dalla pittura, dalla vita dei caffé e dagli amori.

Andreas Embirikos.
Andreas Embirikos.
Nel 1935 il Surrealismo era approdato anche in Grecia, importato dal poeta-psicanalista Andreas Embirìkos (Ανδρέας Εμπειρίκος), un trozkista figlio di un armatore, e si era diffuso in piccoli cenacoli di giovani studenti, i quali, con gli occhi rivolti all’ “Europa”, aspiravano a rivoluzionare la cultura e le lettere del loro Paese. Tra di loro c’era il giovane Alepoudhelis. Come spesso accade, i rivoluzionari si divisero presto in dogmatici e in revisionisti. Di solito, i dogmatici, le loro rivoluzioni le uccidono tout-court. Agli altri tocca invece, o di tradirle, oppure di salvarne il principio innovatore e di trasferirlo in altre forme a situazioni nuove. Formalmente, Elytis si trovò tra i primi; agli occhi di altri, fu dei secondi; nella sostanza, fu dei terzi. Assunse anche un nome d’arte, Elytis, ricavato, si dice, da una surrealistica combinazione di anafore, assonanze e omoteleuti : Éluard, Eléni, Alìtis (vagabondo), Ellàs (Grecia), Eleftherìa (Libertà), Ilios (Sole): un “-élis”, peraltro, era già contenuto nel suo cognome volpino *4. Conservò sempre amicizia e stima per il “dogmatico” Embirikos; ma non gli riusciva di accettare l’intera precettistica dei Manifesti. Soprattutto non si sapeva adattare al precetto della scrittura automatica (la parola, per lui, doveva essere o esatta o espunta) e sempre si sarebbe imposto, come in un trobar clus medievale, complicate geometrie compositive e ostacoli metrici da superare. Ma la libertà assoluta, nell’arte e nella vita, che gli aveva saputo indicare il Surrealismo, quella non l’avrebbe mai più rinnegata.

Che cosa, del Surrealismo, si sarebbe conservato in Elytis ? Ricaviamolo dalle sue parole, e da quelle della poetessa Iulita Iliopoulou , che fu la sua giovanissima compagna del periodo della maturità.
Dirà Elytis: “ Io e la mia generazione – includo anche Seferis - ci siamo adoperati per trovare il vero volto della Grecia. Ciò era necessario, perché fino allora come vero volto della Grecia appariva quello che vedevano gli Europei. Per raggiungere lo scopo dovevamo fare piazza pulita della tradizione razionale che gravava sull’Occidente. Ciò spiega la grande eco del nostro Surrealismo, quando apparve sulla scena letteraria… e ci offrì la possibilità di unirci fisicamente alla nostra terra e di guardare la realtà greca senza i pregiudizi che regnavano dal Rinascimento”.
E Iulìta: “ …prende forma una cosmologia lirica la cui rotta poetica è rigidamente regolata da principi base: la trascendenza e la geometria, la sostituzione della realtà, la durata, la teoria dell’ Analogia, la concezione erotica del mondo, la santità dei sensi, la grazia, la frugalità, l’ideologia della materia, la giustizia, il recupero dell’innocenza, l’eternità, la Metafisica Solare”.

Lavorando intorno a questi principi base, in particolare quello solare e quello dell’innocenza (che, naturalmente, attendevano il progressivo affinamento durato l’intera esistenza del poeta), Elytis era approdato alle sue prime importanti raccolte liriche alla vigilia degli anni Quaranta, con le prime sparse poesie e i Προσανατολισμοί, (“Prossanatolismì” - Orientamenti). La materia scomposta dalla luce greca come in un quadro cubista, un dio solare immanente, un’innocenza infantile vissuta o rimpianta, un coinvolgimento panico dei sensi con ogni frammento di vita e di natura: principi apparentemente fragili in quel 1940, che avrebbe riversato il Male in ogni interstizio della vita individuale e collettiva dei Greci. Ma, di fronte alle prove estreme, il Surrealismo non si rivelava affatto un gioco intellettuale, per Elytis. Non era l’illusione destinata a cadere all’apparir del vero. Costituiva, invece, tutto quanto gli permetteva di farsi “annunciatore e araldo” della verità, del solo modo di vedere e ripristinare la vita, da contrapporre alla menzogna dell’incubo.

Elytis era andato alla guerra. Richiamato alle armi col grado di sottotenente di fanteria, come il pari grado del futuro Ἄσμα ἠρωϊκὸ καὶ πένθυμο γιὰ τὸν ἀνθυπολοχαγὸ χαμένον στὴν Ἀλβανία (“Asma iroikò ke pénthimo ghià ton anthipolohagò haménon stin Alavanìa”, “Canto eroico e funebre per il sottotenente caduto in Albania”), era stato avviato al fronte albanese nel momento in cui gli Italiani cercavano con accanimento di raddrizzare una situazione ritortasi con vergogna contro di loro. Aveva visto la morte da vicino per un fuoco amico che, per ben due ore, si era rovesciato sul suo reparto condotto allo scoperto; e più da vicino l’aveva vista quando, contratta un’infezione tifica, si era ridestato un giorno nella camera mortuaria di un ospedale militare nella retrovia di Giànina. In entrambi i casi si era accorto che la sostituzione della realtà non era un velleitario artifizio di letterati sedotti dalle novità, ma era la vita che reclamava se stessa. Sotto il tiro degli obici greci, Elytis si era sorpreso a rileggersi mentalmente Andreas Kalvos (Αντρέας Κάλβος), un fondatore della poesia neogreca, un compatriota di Solomòs (Διονύσιος Σολωμός) e amico del Foscolo, e a pensare che fosse giunto il tempo di svoltare verso quelle sorgenti; mentre, dall’obitorio, aveva preteso con furore belluino di essere restituito ai viventi.

Andreas Kalvos.
Andreas Kalvos.
Il lento cammino verso la guarigione era stato accompagnato dalla composizione di Ἥλιος ὁ Πρῶτος ( “Ilios o Protos”, Sole il Primo) che sarebbe proseguita anche dopo la smobilitazione. Nello stesso tempo, tutti i fronti cedevano e gli eserciti di tre Stati nemici invadevano la Grecia. Nella notte che calava, le liriche di “Sole il Primo” avevano un valore di estremo esorcismo, e sarebbero state pubblicate, quasi contemporaneamente all’ Αμοργός (“Amorgòs”, l’isola di Amorgo, la più orientale delle Cicladi) dell’amico Nikos Gatsos (Νίκος Γκάτσος) *5, proprio nel 1943, in una Atene stremata dalla carestia e dalla paura; mentre il poligono delle esecuzioni di Kessarianì macinava senza sosta il suo lugubre lavoro e l’intera comunità sefardita di Salonicco svaniva nel fumo dei lager centroeuropei *6. Ma se il corpo dell’estate è offuscato dalla grandine e sommerso da livide onde infuriate, non potrà non ritrovare la sua ora immortale; la notte non sarà più un pauroso, impronunciabile sinonimo di morte, se una flotta di stelle viene a gettare l’ancora sul fondale dell’anima; la figura titanica che si fa avanti a dire d’essere padrona della vita non sarà fulminata dalla morte e vivrà con tutti i suoi sensi un’eterna giovinezza che non si vanta del peccato perché neppur sa cosa sia. Ogni resurrezione presuppone la morte: Elytis rifiutava di ritrarre la nera realtà per abbandonarsi al pathos o al silenzio (e ci risuona qui, per antitesi, il “come potevamo noi cantare” del nostro Quasimodo). “Η ψυχή μου ζητούσε Σημάτωρο καί Κήρυκα” (“la mia anima reclamava un Annunciatore e un Araldo”), avrebbe detto nell’ “Axion Estì”, intravedendo il proprio compito di poeta. E il compito sarebbe stato quello di annunciare la Resurrezione, il ritorno alla levigatezza di un’innocenza non più gratuita, ma pagata a caro prezzo attraverso la ruggine della Storia; il compito di annunciare il dominio del sole della giustizia e della consapevolezza, e di congiungere intorno a un unico centro di luce il passato e il futuro, il microcosmo e l’infinito: insomma, l’integrità e l’unicità dei sensi e dell’anima umani. L’impresa sarebbe riuscita con l’ “Axion Estì”: ma prima bisognava tuffare anche la poesia nella Storia; e il Surrealismo non sembrava più bastare a tanto compito.

Il primo tentativo, fallito, era stata un’ “Albaniade”. Ma poi erano venuti il “Canto eroico e funebre del Sottotenente caduto in Albania” e “La Bontà al Passo dei Lupi”, pubblicati nel 1945 e nel 1947, quando gli eserciti nemici si erano o dissolti o ritirati e mentre divampavano i primi fuochi della guerra civile.
Il “Canto eroico e funebre”, poiché narrava la morte al fronte greco-albanese di un sottotenente omonimo di Athanasios Diakos, rinomato eroe e martire del 1821, aveva dato a Elytis una fin troppo facile maschera di poeta nazionale *7 e conferito allo sfortunato ufficiale l’aura del simbolo di tutti i caduti per la Grecia immortale. Ma più che un encomio simonideo, il componimento di Elytis voleva essere un θρῆνος, un mirologio sulla giovinezza perduta di un alter ego del poeta, un innocente nato alla pienezza della vita e dei sensi e invece destinato a opporre il suo fuoco al “fuoco ingiusto” e a sacrificare così una innocenza e una vita appena sfiorate. Ma il mirologio, come abbiamo visto, non era nella mente e nelle corde poetiche di Elytis, il cui assunto era già quello di rovesciare, attraversandolo, il Male. Così aveva collocato il sottotenente nel percorso prefigurato da Cristo: natività, passione e morte, Resurrezione. L’avrebbe fatto, nell’ “Axion Estì”, anche con la Grecia: ma, applicato il modulo liturgico a una singola persona irrimediabilmente defunta e per di più dotata di piastrina di riconoscimento, la Resurrezione non poteva che trasformarsi in una equivoca sublimazione, in una Apoteosi dell’Eroe. L’equivoco sarebbe continuato, nel 1948, con la recita pubblica del “Canto eroico e funebre” in un teatro (l’Aliki) di Atene e con la sua adozione/surgelamento da parte delle Autorità per le celebrazioni annuali del 28 Ottobre, la ricorrenza del NO opposto nel 1940 dal dittatore Metaxàs *8 al suo pur ammirato modello Mussolini.

Ma proprio nel 1948 Elytis aveva lasciato la Grecia, precipitata ormai in un abisso di sangue e di ferocia. Con la resa dei conti apparentemente vicina per il venir meno della retrovia jugoslava alle spalle dei “ribelli”, da entrambe le parti si moltiplicavano episodi di barbarie. Sopra i villaggi controllati dai ribelli sul monte Grammos, al confine albanese, la RAF scaricava il napalm per la prima volta nella storia delle guerre. E intanto si trasformavano le isole del sacro Egeo in lager per il “trattamento” dei ribelli catturati e da catturare.
Atterrato a Losanna, il poeta racconta di avere avuto là il primo impulso che lo avrebbe portato a comporre negli anni seguenti l “Axion Estì”. Lo ebbe vedendo i bambini di un Paese che si godeva la pace, mentre lui aveva ancora negli occhi l’immagine dei miserabili piccoli ateniesi, intravisti nelle borgate ai margini dell’aeroporto. La Resurrezione doveva essere sole di giustizia o non essere.

Ma molto ancora doveva sedimentare, nel poeta, prima che riuscisse a trovare la forma capace di contenere quasi simultaneamente i mille opposti che si andavano componendo nella sua visione sempre più totalizzante. Prima di tutto aveva voluto rivedere di persona i padri del suo Surrealismo, per verificare se e in quale direzione lo stessero ora spingendo. Aveva, però, incontrato un Breton incapace di uscire dal suo passato e un Ėluard fattosi quel docile “piffero della rivoluzione” che il nostro Vittorini (e così pure Elytis) si rifiutava di diventare. In letteratura si era sentito in sintonia solo con Camus. Molto di più invece consentiva coi pittori: Matisse – che era riuscito a eliminare il detestabile chiaroscuro, “peste morale dell’arte occidentale”, Léger, e soprattutto Picasso. Il Picasso di Vallauris, con il quale, durante un lungo soggiorno a Villa Natacha di Saint Jean-Cap-Ferrat (dove era ospitato dall’amico greco e mercante d’arte Tériade), aveva avuto modo di incontrarsi e sul quale aveva scritto un saggio in francese, era il più vicino al suo modo di vivere la vita e l’arte. Ma è significativo che lo stesso Elytis, insieme a Tériade, abbia amato e fatto conoscere il pittore naïf Theophilos, dell’isola avita di Lesbo.

Il soggiorno europeo, durato dal 1948 al 1951, aveva fatto emergere in Elytis tutta la Ρωμιοσύνη, la “Grecità” che portava annidata nelle viscere e nell’anima. Nelle “Cronache di un Decennio” confesserà che la sua avversione per la cultura europea, impregnata di razionalismo e di Rinascimento, aveva raggiunto in quel tempo livelli di fanatismo. Gli pareva perfino che la gotica non fosse arte cristiana, perché il Cristianesimo non fugge - sia pur verso l’alto - dall’uomo, ma lo accoglie e lo racchiude sotto le sue mediterranee cupole, forma simbolo perfetta di quella fede, come il Partenone lo era stato per l’anima del mondo antico. E intanto già sapeva che il Cristianesimo non bastava più all’uomo intiero e innocente, perché negava la santità dei sensi e caricava di peccato la pienezza della vita: solo i suoi simboli, i suoi “topoi” e le sue pratiche valevano come parole di un linguaggio misterioso ma per ciò stesso chiarissimo al popolo, come lo sono gli scongiuri apotropaici e le erbe magiche e salvifiche delle vecchie. La Croce, però, Elytis l’avrebbe volentieri sostituita con un simbolo del mare e dell’acqua: un delfino attorto su di un tridente.

Riscopriva il privilegio del suo possesso nativo della lingua greca che, da Omero a Saffo a Romano il Melode a Solomòs aveva attraversato i secoli esprimendo tutta la varietà dell’anima mundi e la eleusina unità di tutte le cose del cosmo, il piccolo e il Grande, pur restando se stessa; scopriva il privilegio della posizione mediterranea della sua terra, collocata, tra gli estremi del pianeta, in un punto di magico equilibrio che consente alla vita dell’uomo di svolgersi in luminosa integrità senza generare le fantasie deformi dei nord e dei sud, esattamente come la Terra percorre nel sistema solare quell’orbita che, sola, permette la vita, esattamente come la condotta morale è un punto, al di qua o al di là del quale c’è il troppo o c’è il manco; scopriva il privilegio del suo popolo, forse inadeguato all’era dell’utilitarismo e della tecnologia, ma capace di uscire indenne, come nessuno o pochi altri sarebbero capaci, dalle tremende e spesso colpevoli sciagure della sua lunga storia; e intanto già sapeva che la natura, da qualche demone postagli intorno, sopra, sotto e dentro, si poteva leggere, come in un libro, nei ciottoli della riva, nella trasparenza dell’acqua, nel vento, nella lucertola immobile su un altare di Olimpia, nel capezzolo di una ragazza addormentata sfiorato un istante da una farfalla, nell’epifania di un delfino alle undici di una mattina tra Naxos e Paros, pur che si fosse stati iniziati, non da una scuola ma dal vivere sotto “quel” cielo e tra “quelle” memorie, alle sue crittografie. E sapeva che l’immaginazione che sa decifrare è perenne e incessante atto di creazione cosmica. “Quello che amo è sempre al suo inizio”.

Alla vigilia di rientrare nella patria ufficialmente pacificata dal generale Papagos, l’ “Axion Estì” aveva dunque pronte le sue linee guida e le prime righe di scrittura; ma sarebbero occorsi ancora otto anni per arrivare alla stampa.


III.


theodks


Nel periodo (1943-1959) in cui Elytis compiva il percorso che abbiamo riassunto, da “Sole il Primo” all’ “Axion Estì”, il giovane Theodorakis – e l’abbiamo già detto – era entrato “nel ferro e nel fuoco”. Nel 1943 Mikis, diciottenne, abitava a Tripolis di Arcadia, dove il lavoro del padre, un impiegato pubblico originario dell’Asia Minore, l’aveva condotto. Di quel periodo abbiamo, di lui, alcuni componimenti liturgici per la settimana santa. Già da alcuni anni il ragazzo componeva canzoni – ancora assai godibili – su versi di noti poeti, come Palamàs e Drosinis: ciò avveniva in famiglia, ma ci rivela la precoce vocazione musicale che l’avrebbe fatto trasferire nella capitale per intraprendere gli studi, presto interrotti, al Conservatorio dell’Odìon di via Singroù. Era stato a Tripoli *9, però, che Mikis aveva assaggiato le prime violenze di una lunga “carriera” di torturato, perché molto presto si era manifestata in lui anche l’urgenza di mettersi fisicamente in gioco nella resistenza contro l’occupante e, adottato un marxismo abbastanza vago in versione “umanitaria”, nella lotta per la giustizia sociale. Ad Atene, affiliatosi al braccio giovanile dell’ EAM (il Fronte di Liberazione Nazionale, orientato a sinistra), era stato “pizzicato” più volte durante l’attività clandestina, cavandosela però “solo” con robuste bastonature. Le cose si erano messe assai peggio, per lui e i molti altri giovani che durante l’occupazione si erano organizzati nelle formazioni della sinistra, quando sul declinare del 1944 gli Inglesi sostituirono i Tedeschi nella guida effettiva del Paese, con il compito di disarmare i partigiani dell’ELAS (Esercito Popolare Greco di Liberazione, il braccio militare dell’EAM), far ritornare un Re già compromessosi col dittatore Metaxàs, e assicurarsi che il Paese non fuoriuscisse dal campo occidentale. Ma nella Messenia, la ritirata dei Tedeschi nell’autunno del 1944 aveva aperto la strada a una strage indiscriminata e all’infoibamento di centinaia di combattenti nazionalisti (spudorati e feroci collaborazionisti, ci si giustifica) e di altrettanti civili (anche donne e bambini al loro seguito, e non si giustifica) nella πηγάδα (Dolina) di Meligalàs, dove le forze di repressione italiane – i Reali Carabinieri, e tedesche – avevano posto una base operativa *10. Era un gran brutto segno della piega che di lì a poco avrebbero preso le cose. E infatti, sia stata o no una provocazione dell’ Amministrazione Britannica per accelerare una resa dei conti *11, o un calcolo dei comunisti per forzare le intese di Yalta e portare la Grecia nell’altro campo, sfruttando la contiguità con i tre Stati vicini divenuti di fresco “socialisti”, è noto che nel Dicembre 1944 ci fu la prima crisi (Τα Δεκεμβριανά) con circa settanta πρῶτοι νεκροί, i primi morti di una guerra civile che sarebbe durata, latente per i primi due anni e con l’ELAS arroccato, armi al piede, sui monti dell’Epiro, e quindi conclamata e sanguinosissima fino alle soglie degli anni Cinquanta. Ma per chi, di sinistra, non aveva lasciato le città, la vita era diventata insostenibile: bande e ronde di cosiddetti “cittadini sdegnati”, ovvero il παρακράτος ("parastato"), spalleggiate o dai berretti blu della polizia militare greca e da quelli rossi degli Inglesi, davano la caccia nelle vie e nelle piazze principali a chiunque fosse o sembrasse “bulgaro”, e il terrore dilagava. Theodorakis aveva subito una violentissima aggressione nei pressi dell’Università solo perché una squadraccia l’aveva sentito pronunciare una parola con la desinenza demotica al posto di quella purista: tanto bastava allora, a uno studente, per essere “classificato” e tartassato. In pochi mesi la somma degli omicidi, dei ferimenti, degli arrestati e torturati arrivò a cifre impressionanti. Theodorakis racconterà: “Bande di extragovernativi, ex collaborazionisti e ghestapisti greci, attraversavano tutti i quartieri, e guai a finire nelle loro grinfie. Il 38% dell’ EAM in base all’ordine di Churchill doveva essere distrutto”.

Mentre si ingrossavano le file degli αντάρτες (ribelli, o partigiani) sopra le montagne, cresceva la spirale degli odi e presto la guerra civile sarebbe divampata al ritorno dello squalificato re Giorgio II Glücksberg. A Theodorakis, più che l’ “onore” del combattimento era toccato il calvario delle detenzioni dietro i fili spinati di Psittalìa, Ikarìa, Atene, Makrònissos, che furono i suoi alberghi nello stesso periodo in cui Elytis conversava con Pablo Picasso a Villa Natasha di Cap Ferrat. (Questo parallelo non vuole essere sprezzante verso Elytis, il quale aveva fatto altre scelte - “ciascuno con le sue armi” è un comandamento che ricorre nell’ Axion Estì - e aveva tutto il diritto di non aspettarsi niente di buono da un’eventuale vittoria di stalinisti come Zahariadis. Spesso a chi scrive è capitato di dire ai suoi amici greci di sinistra: “Sono sicuro che se avessimo vinto noi, e dico noi, dopo l’89 avremmo visto anche voi Greci attraversare sui gommoni lo Ionio, come gli Albanesi l’Adriatico”. Il parallelo vorrebbe invece mostrare la grandezza dell’uomo Theodorakis, quando lo vediamo nel 1960, con il corpo ancora segnato dalle sevizie subite e la mente ingombra degli orrori attraversati, intento, tra l’incomprensione dei suoi, a superare gli steccati dell’odio, a scrivere “La Canzone del Fratello Morto”, a collaborare con un Elytis e con un Seferis nella speranza di far nascere una nuova generazione di Greci).

Le peripezie delle detenzioni avevano fatto incrociare i dolenti percorsi di Mikis con quelli di altri intellettuali internati come lui. Fu considerevole il numero degli uomini di lettere che stentarono nelle prigioni o nei campi di concentramento allestiti per disciplinare gli αντάρτες. Vale la pena di fare qualche nome, come quello di Manolis Anagnostakis (Μανώλης Αναγνωστάκης), condanna a morte commutata, di Kostas Virvos (Κώστας Βίρβος), di Georgia Deliyanni Anastasiadi (Γεωργία Δελιγιάννη Αναστασιάδη), di Mihalis Kàtsaros (Μιχάλης Κάτσαρος), di Tasos Livaditis (Τάσος Λειβαδήτης, che conobbe per tre anni i campi di Moudros, Makrònissos, Ayios Efstràtios/Ai Stratis, di Aris Alexandrou (Αρης Αλεξάνδρου), otto anni di concentramento dopo un esilio, di Aristotèlis Nikolaidis (Αριστοτέλης Νικολαΐδης) , di Titos Patrikios (Τίτος Πατρίκιος), due anni ad Ai Stratis e, naturalmente, di Yannis Ritsos, quattro anni buoni distribuiti tra Limnos, Makrònissos, Ai Stratis: detenzioni le sue che, come per Mikis, non sarebbero state le ultime. Va notato che parecchi dei nomi sopra citati si ritroveranno tra gli autori dei testi di molta musica di Theodorakis.

Nel 1952 era terminato il periodo delle carcerazioni. Restava ancora un conto in sospeso con la Patria: il servizio militare, che tra resistenza e internamenti Theodorakis aveva “omesso” di assolvere. E si fece anche quello, di stanza a Hanià di Creta.
La musica era stata ovviamente trascurata in quegli anni: ma qualche nota era stata scritta anche a Ikarìa, a Makrònissos e a Hanià. Canzoni, che sarebbero state messe in circolazione più tardi.

Poteva finalmente riprendere una vita “normale”. Nel 1953 aveva potuto sposare Mirtò grazie al ricavato della musica scritta per un film greco-americano. Raggranellava quattrinelli suonando nelle orchestre, ricopiando spartiti, orchestrando musiche altrui, come alcune di Manos Hatzidakis. Nel 1954, vinta una borsa di studio, la coppia si era trasferita a Parigi, lei per lavorare al Curie, lui per seguire al Conservatorio la classe di analisi musicale di Olivier Messiaen e quella di direzione d’orchestra di Eugène Bigot. Sarebbero più tardi arrivati due bambini, un maschio e una femmina.
Tutto lo sforzo di Theodorakis era concentrato sulla musica: concerti per piano, suites, sonatine. Di lì a poco avrebbe fatto un contratto con una casa londinese per scrivere musiche per i film britannici. Poi sarebbero arrivati impegni artistici più consistenti, musiche per altri film, teatro, balletti. Per rilassarsi quando era stanco, aveva la vecchia abitudine di comporre qualche canzone, senza pensare che quello potesse diventare un lavoro.

epitafcovMa un giorno cominciarono ad arrivargli le poesie che gli mandava Yannis Ritsos, e tra queste Ἐπιτάφιος, una cosa scritta nel 1937 durante la dittatura di Metaxas. Nel 1937 era accaduto un tragico episodio a Salonicco: durante una manifestazione sindacale degli operai dei tabacchi o delle concerie, un giovane era stato ucciso. Una fotografia, dove si vedeva la madre in nero china sul figlio riverso nella strada, era finita su qualche giornale, e Ritsos, ricorrendo a un metro della tradizione, aveva dato voce a quella madre e aveva composto un lamento riecheggiante quelli che ab antiquo si solevano mettere sulle labbra della Madonna il Venerdì Santo, giorno dell’ “Epitafios”, quando si immagina di riporre il Cristo Deposto in sepolcri fatti di fiori perché devono accogliere Ἡ Ζωή ἐν Τάφῳ (“I Zoì en Tafo”: la Vita nel Sepolcro), in attesa della Resurrezione.
Quel testo aveva prodotto una scossa in Theodoràkis. Non poteva musicarlo con le note sinfoniche che, da un lato, stava imparando a comporre e, dall’altro, già produceva. Occorreva una musica popolare, perché la voce data da Ritsos a quella donna-madonna era voce del popolo; e il musicista ricordava che gli umili compagni delle sue prigionie, quando potevano, davano espressione al loro καïμός, al dolore greco, silenziosamente danzando nelle tende il ballo del popolo, lo ζεïμπέκικο, la danza solitaria preferita nei bassifondi. Aveva intuito, così, una nuova strada per la propria musica, ma anche per il suo popolo, per i suoi poeti e per gli altri musicisti colti e incolti che già c’erano e che sarebbero venuti. Mise in musica sette brani di Ritsos (sarebbero diventati otto, più tardi) sui ritmi del χασάπικο e del χασαποσέρβικο, poi inviò il tutto a Manos Hatzidakis, che si affrettò a farne un disco con la voce di Nana Mouskouri, una cantante destinata a diventare una delle interpreti greche più famose nel mondo. Ma l’interpretazione di Hatzidakis-Mouskouri non era quella che intendeva il compositore: essa esaltava il pathos di cui era intrisa la situazione; mentre Theodorakis voleva che fosse salvo e privilegiato il ritmo. Rientrò in Grecia e fece la sua edizione, con la voce di Grigoris Bithikotsis, una bellissima voce, perfetta per i κέντρα, i locali popolari di Plaka, dove il popolo andava a divertirsi colla musica μάγγικα *12 dei “rebetes”, con la musica dei Vassilis Tsitsanis (Βασίλης Τσιτσάνης) e dei Markos Vamvakaris (Μάρκος Βαμβακάρης).
In margine: anche Bithikotsis, che avrebbe cantato il primo “Axion Estì”, di galera ne aveva fatta, e tanta.

Lasciamo Theodorakis e il suo conto in sospeso col generoso Hadtzidakis, il quale – bisogna capirlo – c’era rimasto un po’ male; diciamo solo che i due Epitafios ebbero entrambi grande successo, nonostante gli anatemi dei politici; e ritorniamo al punto di partenza: a Mikis Theodorakis che si trova tra le mani l’ Axion Estì mandatogli da Odisseo Elytis.


IV.
La materia dell' 'Αξιον Εστί


Il testo di Elytis ha un’architettura che a colpo d’occhio si mostra assai studiata e complessa. L’occhio vi scorge subito le varianti tipografiche, il corpo minuscolo di alcune parti, il corsivo di altre, strani segni diacritici, simili a fiorellini (*), tra gli emistichi di alcuni passi lirici, versi brevi che cominciano al centro della pagina, versi lunghissimi che invadono tutto il rigo e talora l’oltrepassano.

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Due esempi dal testo stampato dell' 'Αξιον Εστί: rispettivamente l'inizio (con i versi brevi che cominciano al centro della pagina) e il brano lirico 'Ενα το Χελιδόνι coi diacritici "a fiorellino" fra gli emistichi.


Poi l’occhio legge: “La Genesi” e coglie le primissime parole “In principio fu la luce”. Allora la mano sfoglia le pagine e corre all’indice: dopo la Genesi, una Passione; dopo la Passione, un Δοξαστικόν, vale a dire una sezione di “Lodi”, vale a dire un “Gloria”. Ci sono tre parti, dunque, e tutte denominate in modo da far sentire che si sta leggendo un testo religioso. E in epigrafe il versetto di un Salmo. Il titolo stesso, in lingua antica ed ecclesiastica, ha preparato ad accostarsi a un altare o, forse meglio, a un’ iconòstasi: è 'Αξιον εστί, formula liturgica che il Latino, ben reggendo la sfida, rende con un bel Dignum est, e che il nostro volgare postconciliare sbrodola un poco in un : “È cosa buona e giusta”. Siamo in Chiesa, dunque. No, non siamo in Chiesa, siamo come in una chiesa, una chiesa che coincide con il cielo fisico e con tutto quanto ci sta sotto: ed è, e non è, la stessa cosa. Ritornando al frontespizio a lettura finita (spesso il frontespizio è l’ultima cosa che si legge), ci accorgeremo che neanche la Croce potevamo trovare in questa chiesa, perché Elytis al suo posto ci ha messo un delfino attorto sul tridente di Poseidone.
Gli occhi di un Greco non hanno, però, solamente letto la pagina: per mezzo delle parole scritte hanno visto. Hanno visto l’icona più familiare della loro sterminata agiografia, la Madre di Dio, la Θεοτόκος dell’ Axion Estì, il cui archetipo si conserva in un monastero del Monte Athos, ma che ogni Greco, e anche ogni Greca cui l’Athos è interdetto, conosce fin da quando ha aperto i suoi piccoli occhi.


La Madonna Θεοτόκος del Monte Athos.
La Madonna Θεοτόκος del Monte Athos.


Tranne una, ma fondamentale, non c’è, in fondo, altra contraddizione tra un poeta battezzato nel surrealismo e un credente battezzato nella fede dei suoi avi. Entrambi possono vedere il presente e il passato nella loro simultaneità, leggere nell’attimo l’eternità, sostituire il significato di ogni cosa e di ogni parola; non sembra esserci limite al loro immaginare: lo spazio e il tempo non gli fanno da gabbia, la morte e la vita trapassano l’una nell’altra. Sembrano dunque parlare uno stesso linguaggio: ma il fedele segue un norma non sua nell’ immaginare, e deve vedere solamente le profondità e le altezze che Altri hanno già visto per lui e che a lui hanno imposto, essendo così stato scritto e pertanto prescritto. Il poeta invece immagina senza limiti, è libero, è Lui che scrive. Non si potranno l’un l’altro sopportare, per questo motivo, e potrebbero anche arrivare a maledirsi: ma le parole che usano non c’è motivo che non siano le stesse. Ciò che è sacro al poeta, anche quando scandalizza il fedele, può essere espresso, se il poeta lo vuole, con le stesse parole che usa il fedele. Perché anche il fedele sta usando parole, ormai cristallizzate, di uomini che un tempo furono a loro volta visionari e poeti, che hanno visto l’invisibile e pronunciato l’ineffabile.

CCG/AWS Staff - Ελληνικό Τμήμα - 13/1/2010 - 15:31



La Genesi (Η Γένεσις)

diavazi


Noi diciamo: “Ho fatto un sogno”. I Greci dicono: “Ho visto un sogno” (είδα όνειρο). È come fosse rimasta impigliata, nel loro modo di dire, l’antichissima idea dei sogni inviati dall’ Altro. Ora lo sappiamo, dopo Freud, che l’Altro non è un dio che si veneri nei templi, ma è una forza altrettanto cogente: è l’altro noi stessi, che sta in relazione con tutto quanto l’uomo è stato anche prima di essere diventato uomo, con i sensi e gli elementi che l’hanno plasmato, con la storia e le civiltà che ha attraversato e che l’hanno attraversato, e che a un certo punto torna a urgere in tutti noi e nella penna del poeta. Elytis ama assecondare questo “colui che non conosco e cioè me stesso nel mio intero, non quel tale dimezzato che si aggira per le strade ed è iscritto all’anagrafe dei maschi”, e, nella Genesi, lo rende precettore onnisciente e demiurgo del mondo – il piccolo il Grande – che si costruisce intorno e dentro il bimbo che, già attraversato dall’asse del sole ma con la bocca ancora impastata di fango, ha preso ad esistere. Elytis lo chiama: “colui che in verità fui Colui che molti secoli prima fui Ancora verdeggiante nel rovo inestinguibile”. Possiamo immedesimarci nel Figlio dell’Uomo che progredisce nella epifania di quella che è la Sua creazione in quanto Dio Padre ? Se ci riusciamo, possiamo, forse, avvicinarci a quell’ io-lui che parla e crea negli inni della Genesi di Elytis. Ogni nuova percezione, ogni nuova sensazione, ogni allargarsi dell’orizzonte del bimbo è una creazione/rivelazione che lo fa avvicinare a se stesso, alla luce di purezza e di consapevolezza dell’archetipo. Non è il luogo qui, e nemmeno ne avremmo l’ ingegno, per dire quanto Eraclito o Platone o Plotino o che altro di filosofico riecheggi nella visione del poeta. Non è neppure possibile e lecito incorniciare di glosse le pagine e i versi di Elytis in un “Comento” che puntualmente disveli l’oscura Minerva: non si sta leggendo Dante. Nessuno traduce la formula della vecchia che recita un esorcismo, nessuno commenta la foglia d’innocenza che tiene intanto tra le dita: è l’oscurità stessa del rito che parla e che si fa intendere (“Tanto evidente l’Incomprensibile”). Nessuno, aggiungiamo noi, mette richiami e note a piè …di tela per spiegare a una a una le Muse Inquietanti come se fossero allegorie. Dispiegate, perderebbero forse qualche loro capacità di inquietare.
Elytis, del resto, aveva ripreso con severo sarcasmo un critico che, volonteroso, tentava di spiegare “le brache dell’orso nella valle gelata” dell’Ἀμοργός di Gatsos…
Ma essendo noi “Europei” intossicati fin dal Liceo di didascalie, proviamo a elencare almeno alcuni dei temi (contraddistinguendo con la sigla AET le parti musicate) che si riconoscono nella Genesi: la percezione/creazione della prima luce, della famiglia, del luogo di nascita, delle estensioni del paesaggio con le case gli armenti, i monti le fontane i fiori, (AET) il mare le isole dell’Egeo gli ulivi e le cicale le sementi gli ortaggi gli insetti, il primo sillabare di un colloquio con le nuove antichissime cose, le parole confuse ma già contenenti il tutto, il fondale marino, l’immersione nelle acque e nei libri, l’isola di Lesbo avita, la consapevolezza che cresce con l’acuirsi dei sensi, la purezza del primo erompere dell’eros e gli scricchiolii delle prime incrinature del tempo dell’innocenza: la morte l’assassinio il sacrificio, il concetto degli Altri, l’identità raggiunta e la necessità/dovere della lotta. “Vedi disse sono gli Altri è impossibile Loro senza te è impossibile Tu senza di Loro vedi disse sono gli Altri e devi proprio affrontarli poiché molti indossano la camicia nera e altri parlano la lingua del porcospino … ciascuno con le sue armi”. A quel punto l’ io archetipo “mi passò dentro e divenne colui che sono”.


La Passione (Τα Πάθη)


Un suggerimento che da alcuni studiosi viene offerto per cogliere la struttura di 'Αξιον Εστί è quello di pensare a un trittico d’altare: sulla tavola centrale il Gloria, su di un’anta la Genesi, sull’altra la Passione. Ma poiché la Passione è scomponibile in tre livelli tra di loro intrecciati: uno prosastico in forma di sei letture (narrative o profetiche) e gli altri lirici, in forma o di salmo o di ode (con la preferenza - non tassativa - della prima per la riflessione dell’individuo Elytis/Elytis; e della seconda per la riflessione dell’individuo Elytis/popolo greco), le letture in prosa si potrebbero anche immaginare come “storie” illustrate in una ipotetica predella. Se, pur con grave arbitrio, da queste prendiamo l’avvio, l’andamento ideale (non la sequenza della scrittura !) sarebbe all’incirca anagogico, dallo storico al metafisico, dal “basso” verso l’ “alto”.

Ιl Tetractys pitagorico in rappresentazione matematica.
Ιl Tetractys pitagorico in rappresentazione matematica.
La sequenza di Salmo - Odi - Letture è regolare, e si ripete identica per tre volte secondo lo schema: S S O L O S S O L O S S . Pertanto ogni due Letture (in tutto 6) ci sono quattro Odi (in tutto 12) e sei Salmi ( in tutto 18).
Non si deve avvertire la misteriosa sequenza del discorso che si snoda nella Passione come in contrasto con la chiave aritmetica che ci introduce alla simmetria visibile dell’edificio: non è forse anche il Partenone la cella di un mistero ? E il Τετρακτύς pitagorico, che Elytis ama citare, non condensava forse in sé verità accessibili solamente agli iniziati ? Il numero peraltro si lega al mistero per lunghissimo tratto della storia umana, fino a che, scivolato nei libri mastri dei mercanti, non verrà adibito a sentinella di un barile colmo delle più banali certezze. Sfortunatamente, due più due fa sempre quattro.

Prima Lettura: (AET) La marcia verso il fronte (il fronte albanese sotto il contrattacco italiano). Lo stentare degli uomini e degli animali, la rassegnazione all’avversità (“perché quando interminabili avversità colpiscono sempre la stessa gente, questa si abitua al Male e finisce per cambiargli nome in Destino o Fatalità”), i preannunci di morte e distruzione.
La precedono due Salmi: (AET) il primo, esordio della Passione, ha come tema il destino degli innocenti rappresentati dal poeta: il ragazzo, il bevitore di sole, all’irrompere del Male deve uscire dal suo gratuito Paradiso e accettare la sfida ritrovando le sorgenti identitarie nella memoria degli Stretti, luoghi simboli del mito ( il passaggio-simplegade verso il Vello d’Oro) e della grandezza della storia greca antica e bizantina, perduta ma spiritualmente reintegrabile. Il secondo rileva l’altra sorgente dell’identità: la lingua greca, privilegio nativo e supremo.
Due odi affiancano la Lettura: una, alla libertà custodita “dal taglio terribile della spada” dell’inno (poi inno nazionale) di Dionisio Solomòs; l’altra, alla pazienza del popolo che non è né può essere irenismo, a causa dell’ingiusta ripartizione dei beni.

Due salmi chiudono la prima e insieme avviano alla seconda lettura parlando dei due presidi della libertà greca: l’uno, la frugalità del popolo, la cui gioia nativa è stata dai dominatori ricacciata come una statua nella pietra da cui fu tratta; l’altro, la sua fierezza e la sua capacità di titanica ribellione.

frontegrecoSeconda Lettura: I mulattieri. Una breve pausa nella guerra, mentre un trasporto di muli rifornisce di aringhe e uva passita la truppa, consente al soldato Lefteris (λευτεριά, Libertà) di mostrare due verità di vita al sergente Zois (ζωή, Vita): che chi è destinato all’aringa e all’uva passita sempre a quelle ritornerà mentre gli altri godranno i loro soffici letti, che credono di possedere ma che invero non possiedono. Infatti il vero possesso dipende dall’amore con il quale chi lo voglia recupera ogni cosa perduta, purché sia cosa del cuore.
La lettura è affiancata da due odi: una alla dolente e orgogliosa solitudine del poeta che lotta con le armi dell’innocenza contro la distruzione della vita; (AET) la seconda, al sacrificio collettivo che costano la resurrezione e il ritorno della primavera e della luce.
I due salmi sono dedicati ai luoghi della memoria, le fondamenta del popolo che stanno sui monti – il Pindo e l’Athos – dai quali risaliranno spaventose le statue ricacciate nella roccia, e nel mare, da cui riemergeranno le barche, ridipinte dal poeta, dei “santi” Kanaris , Maioulis, Mandò Mavrogeni, gli eroi e le eroine marinari del risorgimento greco.

Terza Lettura: (AET) La grande sortita. È l’inizio della guerra civile. I veri e unici difensori della Patria, mutilati miseri e disprezzati, fanno una sortita verso la Primavera, con l’unica arma che hanno, l’intrepidezza; e gli Altri, turbati, rispondono con l’unico argomento che hanno, il fuoco delle armi, e ne fanno strage.

Le due odi sono dedicate (AET) l’una, alla ricerca dell’anima, alla luce dell’astro acceso nel cielo dalle parole dell’innocenza; l’ altra, al sole concettuale della Giustizia e al mirto dell’encomio, invocati perché non scordino la Grecia.
Tutt’intorno gli Altri, i nemici, ciascuno descritto nei quattro salmi: i falsi amici, detentori della scienza della tecnica e del potere, ma privi di anima e incapaci di offrire alle mani, aperte in attesa, nient’altro che ferro e fuoco; i protettori, venuti dal Nord e dall’Est a prendersi la gloria e a lasciare ai Greci il sacrificio; il capitalista, eterno Giuda invisibile, che “non ha una sua lingua perché tutte sono sue e non ha nessuna donna perché tutte sono sue”; gli intellettuali, “i poeti alessandrini”, che non sopportano il Poeta “reietto da tutti i mercati del secolo”, perché non trae profitto dal pianto altrui e si arma di sole mentre intorno è lutto e si arma di coltello mentre ovunque si proclama la pace.

rastrellamentoQuarta Lettura: Il terreno delle ortiche. E’ il racconto di un episodio che può riferirsi sia alla resistenza sia alla guerra civile (a seconda che si voglia intendere il Grande Straniero come Tedesco oppure Inglese), tanta è la ripetitività di certi orrori. La borgata-bidonville di Lefteris è investita da un rastrellamento. Il solito sicofante incappucciato, l’ Uomo dal Viso Spento, indica nella folla concentrata coloro che i soldati “col piombo sulla faccia e coi capelli come fieno” passano per le armi sul posto. Giunto il suo turno, Lefteris sovrasta i nemici in grandezza, con il suo sguardo che già è nel futuro di un mondo diverso, e viene percosso e ucciso dallo Straniero umiliato, mentre il grande orologio degli angeli suona esattamente il mezzogiorno.
La prima ode è dedicata agli opposti di questo mondo, “questo stesso mondo del sole e della polvere”, alla consapevolezza della dialettica tra male e bene e, dunque, alla realtà del male. Nella seconda, parrebbe che uno dei due opposti, il bene, sia ormai inghiottito nell’abisso: il raggio del sole è diventato filo di Thànatos. Regnano solo fame e tenebre. Ma nella città deserta e vuota la mano solitaria (del poeta/popolo) dipingerà sui grandi muri le parole: pane e libertà.

I salmi sono, l’uno alla voce della verità, affinché come acqua pura, dalla poesia di Solomòs e di Papadiamàndis, ruscelli nelle fontane civiche dei benefattori Mavrogeenis *13, per quanto intorno necrofagi e adoratori dell’Erebo governino il futuro con gli escrementi. Il secondo è l’invocazione di un nuovo simbolo al posto di quello cristiano, che ormai denota una civiltà evidentemente logora: un simbolo di purezza d’acqua di fontana e d’acqua di mare, un delfino attorto sul tridente, “il segno che realmente io sono con la mia giovinezza” .

Quinta Lettura: Il cortile degli agnelli. Altra sintesi della guerra civile. Da secoli il popolo è escluso dai beni che gli appartengono e viene aizzato, dalle due schiere contrapposte di “coloro che sanno”, a usare ogni violenza per impadronirsi di ciò che è suo (rappresentato dal cortile degli agnelli). “E il figlio prendeva di mira il padre e il fratello grande il minore..e il Male durò trentatré mesi”. “ E non si udì voce di agnello se non sotto il coltello” di chi il popolo continua a derubare. L’incendio brucerà ogni bene.
Nella prima ode è la visione delle statue di roccia, simbolo del popolo tarpato e miserabile che con l’anima oscurata dalla fame si slancia nei venti di un nuovo futuro. La (AET) seconda ode è dedicata al “sangue dell’amore”, al passionale coinvolgimento nella Storia, all’ammissione della colpa per la separazione dalla materna purezza, prima del ricongiungimento: “il sangue degli assassini ripago con la luce”.

Il primo salmo è rivolto al ritrovamento della purezza infettata dalle inquità: la prima giovinezza è perduta, ma “tanta terra hai gettato nelle mie radici che perfino la mia mente è tornata a verdeggiare”: la giovinezza sopravvive al pericolo nel canto, e la coscienza riemerge integra. Il secondo salmo è come un ultimo nostalgico sguardo alla giovinezza perduta nei sensi, seppur destinata a sopravvivere nella coscienza: il “buonsenso” degli uomini ha purtroppo sacrificato la corporeità sul suo altare e chiuso così le porte del cielo.

Sesta Lettura: (AET) Profetico. È giunto il tempo che i sogni prendano la loro vendetta. Il poeta, esiliato nel suo secolo, interpellato dal Sole (“che ha trattenuto i suoi raggi perché la vendetta si compia”), interpellato dalla donna più innocente e più offesa, la prostituta, e interpellato dalla Tenebra, vede l’imminente schiantarsi del Sistema (la “Costruzione”) sotto la pressione del Sole che travolgerà saggi dignitari governanti guardie giudici militari e le nazioni un tempo arroganti, per quanto ancora ciò costerà di lutti. L’Ade scomparirà dal Creato, il Poeta ritornerà dall’esilio. Mentre l’uomo tornerà all’adorazione della donna; i sogni, finalmente vendicati, semineranno generazioni nei secoli dei secoli.
La prima ode è per il Poeta, che ha il primato del coraggio, della forza fisica, della potenza e della giustizia e servirà la natura, la donna, la prodezza d’amore, il mondo di giustizia che l’undicesimo comandamento prescrive. Nella seconda ode il poeta ripristina con la sua parola il mare, i sogni, l’amore, seppellisce i morti, punisce il secolo delle armi, e suscita dal suo petto i venti che, spazzando le nuvole, rivelano le Piacevoli Praterie.
Due salmi precedono la Lettura incastonata tra le due odi, e altri due concludono la Passione.
Il primo salmo è di rimprovero a Dio, che ha comandato la luce la vita l’elevazione a Lui ma anche ha disseminato la tenebra, la mortificazione dei sensi, e la morte: “gli elementi che tu sei, giorno e notte, sole e stelle, tempeste e quiete, inverto il loro ordine e li dispongo contro la mia morte, che tu hai voluto !”.
Gli ultimi due salmi, che iniziano entrambi con le parole “verso una contrada [senza peccato nel primo, levigata nel secondo] ora procedo” , mostrano, il primo, la definitiva ascesa al bene contraddistinto dal tridente col delfino al posto della Croce, “le lacrime traditrici e le umiliazioni essendo mutate in brezze e uccelli intramontabili”; e (AET) l’ascesa/ritorno alla bellezza (simboleggiata dal ricongiungimento all’icona del Principe dei Gigli, prima epifania del bello nella natia Creta) e alla consapevolezza dell’immacolata unità del Tutto, il piccolo e il grande, “ora che è la mano della Morte ad elargire la Vita e il sonno non esiste”. Risplende la luce del mezzogiorno, mentre sulla pietra si incidono le lettere Ora e Sempre e Axion estì. E’ buona cosa e giusta il prezzo pagato.


Gloria (Δοξαστικόν)


Scandita dall’elogio dei (AET) venti, (AET) delle isole greche, dei fiori, (AET) delle fanciulle, delle barche dei pescatori, delle montagne, degli alberi ( tutti evocati con un loro nome proprio *14), l’intiera esperienza sensibile, sensuale e morale del poeta e del suo popolo viene illuminata dalla lode come se il sole, risorgendo da dietro le creste delle montagne, andasse via via riversando la sua luce sulle cose piccole e minime e, nello stesso modo, sulle grandi e le massime, poiché nulla sfugge al suo raggio: il quale ricade con la stessa benefica potenza sugli istanti divenuti eterni e sull’insieme del cosmo. Impossibile riassumere il Gloria finale, che va semplicemente letto, perché sarebbe imperdonabile ὕβρις tentare di scindere i particolari dal generale. (AET) Il Gloria culmina nella Resurrezione dal male alla nuova innocenza consapevole: e le estreme lodi vanno alla Grecia, luminosa e insieme misteriosa, e alla “mano che ritorna dalle odiose uccisioni e ora sa quale mondo è davvero superiore e nel mondo quale l’ ORA e quale il SEMPRE” delle piccole e delle infinite cose.

Non resta che da svelare il versetto del Salmo 129,2 in epigrafe: “Spesso mi afflissero per la mia giovinezza, ma non poterono sopraffarmi”.


V.


Di fronte al testo di Elytis, Theodorakis individua due modelli musicali sui quali disporre la materia che sarà trascelta: Gli oratori di Bach (che comportano arie, recitativi e cori) e la liturgia ortodossa (che comporta il salmodiare dei sacerdoti, la lettura dei Vangeli e l’antifona dei due salmisti di destra e di sinistra): entrambi adibiti a sviluppare le tre tappe della Genesi, della Passione e del Gloria lungo le quali è disposto anche l’ 'Αξιον Εστί. Riceve l’assenso del poeta. E, infatti, l’esecuzione dell’ oratorio prevederà una voce maschile solista per le odi – che diventano canzoni -, un salmista per gli inni, una voce recitante per le letture, un coro di voci femminili per il Gloria, un’orchestra sinfonica classica e insieme l’uso di strumenti della musica popolare.

Mentre il poeta, ormai “laureato” dall’ammirazione internazionale, conclude “Sei e uno rimorsi per il cielo” (l’opera, concepita parallelamente ad 'Αξιον Εστί, ne riflette materia e concetti ma in forma svincolata dalle rigide architetture compositive e metriche) e, soprattutto, tra un viaggio e l’altro in Europa, negli U.S.A. e nell’ U.R.S.S., prende a scrivere i testi autobiografici che sono stati saccheggiati per queste note, il musicista si dedica a una composizione che procede faticosamente lungo un triennio di quasi incredibile intensità.

La composizione, infatti, dura dal 1960 al 1963. Sono anni di grandissima passione artistica e politica per il musicista.
Già nel 1960, concluse le quattro canzoni di Επιφάνεια sui testi datigli a Londra da Seferis, tra i quali Ἄρνηση ("Rinuncia") anche nota come Στο περιγιάλι το κρυφό ("Sulla spiaggia nascosta"), la gemma migliore forse dell’immenso canzoniere di Mikis, che contiene l’amara riflessione dei combattenti sconfitti, e Κράτησα τη ζωή μου ("Presi la mia vita per mano"), ripresa successivamente e ampliata in Επιφάνεια Αβέροφ (durante la detenzione nell’omonimo carcere di Atene nel periodo della Giunta), incide Αρχιπέλαγος ("Arcipelago") su testi propri (vedi la festosa Μαργαρίτα Μαργαρώ, del fratello Yannis, di Nikos Gatsos, come Ροδόσταμο ("Acqua di rose"), un mirologio che entrerà nel film “Fedra” di Jules Dassin, e Μυρτιά ("Un mirto"); di Dimìtris Christodoulou (Δημήτρης Χριστοδούλου), come Θ’ αφήσω την μανούλα μου ("Lascerò la mia mammina"), di Panos Kokkinopoulos (Πάνος Κοκκινόπουλος) e dello stesso Elytis, come Ανάμεσα Σύρο και Τζία ("Tra Siro e Kea" ). L’anno dopo, Πολιτεία ("Città"), la prima di quattro, su testi di Tasos Livaditis, tra cui l’immortale Δραπετσώνα (“Drapetsòna”, un quartiere di baracche del Pireo da cui furono cacciati gli abitanti, Greci della diaspora microasiatica) e, amatissima dal pubblico, Η μάνα μου κι η Παναγιά ("Mia madre e la Madonna") e, ancora, di Hristodoulou, con Βράχο βράχο ("Di scoglio in scoglio") e Καημός ("Dolore") che in Italia diventerà, in una versione quasi rispettosa, “Fiume Amaro”.




La canzone "Fiume Amaro" nella classica interpretazione di Iva Zanicchi.


Ha già da tempo composto, ma finalmente riesce a far uscire Λιποτάκτες ("Disertori") su testi del fratello, che contiene altre due struggenti canzoni mai più dimenticate: ’Ομωρφη πόλη ("Bella città") e Χάθηκα ("Mi sono perso"). Poi scrive quattro canzoni (una si canta ancora: Τον Χάρο τον αντάμωσα ("Caronte l’ho incontrato", o "La morte l'ho incontrata") per la rivista 'Ομορφη Πόλη e altre due per “L’isola delle Azzorre” di Bost, altre per il dramma irlandese Ένας όμηρος ("L’Ostaggio", di Brendan Behan, trad. di Vassilis Rotas) con quella Το γελαστό παιδί ("Il ragazzo sorridente") destinata a diventare la canzone simbolo della resistenza alla Giunta del 1967/74 e purtroppo vergognosamente sconciata, in Italia, da tal Albano Carrisi. Altre canzoni sparse (Σκόρπια "Sparse"), tra cui Αν μ’αγαπάς, αγάπη μου ("Se mi ami, amore mio"), Μη με ρωτάς ("Non chiedermi"), Ο Μήμης ο Τσιγγάνος ("Mimis lo Zingaro"), Δελιβωριά Δελιβωριά (“Delivorià Delivorià”: è un cognome) e quella Μελακρινή μου κοπελιά ("Ragazza mia moretta") che, per la voce di Yota Lydhia, (Γιώτα Λύδια) preannuncia il famoso tema della danza finale del balletto Ζορμπάς (“Zorba il Greco”), nel quale approderà dopo essere diventato lo Στρώσε το στρώμα σου για δυό ("Prepara il tuo letto per due") della rivista Η γειτωνιά των Αγγέλων ("Il quartiere degli Angeli") di Iakovos Kambanellis (Ιάκωβος Καμπανέλλης), rappresentata nel 1963. Sempre per il teatro, le canzoni di Μαγική Πόλη ("Magica città"), tra le quali altri successi: Βάρκα στο γιαλό ("Una barca a riva"), Το φεγγάρι κάνει βόλτα ("La luna va a spasso"), Πέντε στρατιώτες ("Cinque soldati") e Μαργαρίτα μαγιοπούλα ("Margherita la streghetta"). E ancora, alla vigilia dell’uscita di 'Αξιον Εστί, nel 1963, Elytis porta a Theodorakis sette canzoni, tra le quali Μαρίνα (“Marina”, nome di donna tra i preferiti dal poeta), che si ascolta anche nel balletto “Zorba il Greco”, Ο κῆπος έμβαινε στην θάλασσα ("Il giardino entrava nel mare") e Του μικρού βορριά ("Al venticello"), a costituire il ciclo Μικρές Κυκλάδες ("Piccole Cicladi"). Scrive le musiche per i film: “Elettra” di Kakoyannis, “Quartiere Sogno” di Alexandrakis, “Tradito Amore” di E. Thalassinòs, “L’isola di Afrodite” di L. Malenis, con una famosissima canzone, Χρυσοπράσινο φύλλο ("Foglia verde-oro") dedicata all’isola di Cipro, “Fedra” di Dassin, con l’inserimento di “Rodòstamo” e una nuova canzone, indimenticabile, Αγάπη μου ("Amore mio"), meglio nota come Αστέρι μου φεγγάρι μου ("Stella mia, luna mia") su versi del fratello Yannis. E, inoltre, musiche per le rappresentazioni classiche del Teatro Nazionale di Epidauro e le solite colonne sonore, oggi dimenticate anche dall’autore, per i film londinesi.

E’ questo il triennio nel quale l’artista assume la statura che manterrà sino ad oggi, la voce della Grecia più autentica e più capace di raggiungere i confini del mondo. Attraverso la musica e i testi che i poeti gli forniscono (e molti ne scrive lui stesso), Theodorakis sembra costruire un percorso inverso, ma non così diverso da quello di Elytis. A chi guardi appena un po’ da vicino, molta materia e molte vedute appaiono condivise tra i due artisti; ma mentre Elytis ha concentrato tutto il suo sforzo per ottenere una sintesi totale, affidata si può dire a una sola opera, per quanto altre ne seguiranno, Theodorakis appronta le singole tessere di un mosaico coerente ma leggibile solo nel tempo, il tempo della sua vita. I fili che si intrecciano nel disegno complessivo sono saldi e coerenti, per quanto non sottoposti alla trazione spasmodica di Elytis. Non a caso, anche Theodorakis sin dal 1960, l’anno dell’incontro con Seferis e con Elytis, vorrebbe tentare, anzi: sogna il superamento della storia terribile appena attraversata dal suo popolo, non per dimenticare, ma per riuscire a una sintesi che sia superiore all’odio inoculato dalla guerra civile nella società, e del quale, egli stesso ammette di non essersi negato il piacere lungo il decennio precedente. Gli sembra che la strada possa essere quella della fondazione di un teatro tragico, che i Greci non hanno più dall’antichità o, meglio ancora, di un melodramma popolare, che i Greci non hanno mai avuto. Le vicende e i personaggi della storia recente potrebbero, così sogna, assumere in vesti moderne la tragicità antica, se la storia recente venisse trattata come una Mitologia. Per realizzare il progetto ci sono e la materia e gli strumenti: della materia abbiamo detto; gli strumenti sono a portata di mano: sono i poeti e i musicisti di cui la Grecia sembra essere diventata sotto i suoi occhi singolarmente prolifica. E anche il ritmo per la musica c’è: è lo zeimbekiko, l’espressione più istintiva, ma meno folklorica, dei suoi concittadini più umiliati e offesi i quali, nelle occasioni di divertimento collettivo, riescono a vivere, danzando solo con se stessi e per se stessi, mostrando ma non condividendo, un’antica struggente pena individuale. Vorrebbe arrivare a musicare una vera e propria tragedia, nella quale i personaggi siano quelli di una famiglia i cui figli si affrontino per distruggersi come i figli guerrieri di Edipo. Ha già in mente un archetipo di Madre, e due nuovi “eroi”: un figlio storicamente identificabile in Pavlos (un compagno di Mikis, che era stato davvero trucidato insieme col suo “pilade” Nikoliòs), e un altro di invenzione, Andreas, a rappresentare quei sodali della prima giovinezza che si erano schierati dall’altra parte, a uccidere e a farsi uccidere nella lotta fratricida. Propone il progetto a Iakovos Kambanellis, un amico e uno straordinario uomo di teatro: ma non è tempo ancora, per lui, per un passo tanto ardito. Perchè, se Mikis è passato per Makronisso, Iakovos è passato per Mauthausen: e tanto basta. Lavoreranno ancora a egregie cose, fino a comporre insieme la Cantata per Mauthausen, che sarà tradotta in quasi tutte le lingue europee e persino eseguita nell’aula della Knesset di Tel Aviv: ma in questo caso Theodorakis deve andare avanti da solo, e da solo scrive Το τραγούδι του νεκρού αδελφού, la “Canzone del Fratello Morto”, in forma di dramma con intermezzi cantati. Kostas Virvos gli scriverà però la dolcissima, amara e severa, ninna nanna Κοιμήσου αγγελούδι μου ("Dormi angioletto mio").




La ninna-nanna "Dormi angioletto mio" (Κοιμήσου αγγελούδι μου) di Kostas Virvos, su musica di Mikis Theodorakis


Theodorakis è lontano le mille miglia dal pensare a una soluzione “brechtiana” secondo l’auge del tempo: vorrebbe che “gli attori si muovessero in ogni istante come se si trovassero a un passo prima del sogno e a un passo dopo la vita” per esprimere il valore simbolico di quanto si rappresenterà. Chi ascolti la maravigliosa canzone Στα περβόλια ("Negli Orti") che, nel dramma, accompagna la morte del fratello di destra, il δεξιός Andreas, comprende all’istante cosa intendesse il musicista.
Ma non andrà esattamente così, come vedremo.




"Negli orti" (Στα περβόλια), dalla "Canzone del Fratello Morto" di Theodorakis, nell'interpretazione di Grigoris Bithikotsis


Mikis Theodorakis giovane corrispondeva a quello che i Greci chiamano quando παλληκάρι, quando λεβέντης (levéndis): era ed è un uomo d’animo e di atti forti e coraggiosi, che in ogni campo ha sempre accettato le sfide più ardue e incresciose. Fisicamente, è grande e prestante della persona, anche se le fotografie del tempo di cui parliamo ce lo mostrino un po’ più smilzo di quanto oggi, a ottantatré anni suonati, non sia. Le due caratteristiche giustificano il popolare epiteto di “Arcangelo”, che lui stesso si attribuisce nel titolo della autobiografia: (Οι δρόμοι του Αρχαγγέλου, "Le strade dell’Arcangelo", appunto). Ma i ritmi della vita “senza respiro” di questo triennio, caratterizzato non solo dall’incredibile attività artistica che si svolge tra Atene, Londra e Parigi, ma anche da quella politica, sono tali da abbattere nonché un Arcangelo, anche un Serafino. Le febbri di una grave forma tubercolare lo attaccano ad Atene nell’estate del 1962 durante le prove di 'Ομορφη Πόλη; ma deve per forza trascinarsi a Parigi per le musiche del film “Mezzanotte meno cinque” di Litvak (con la Loren e Anthony Perkins), estrema speranza per sistemare le sue finanze alquanto provate, probabilmente dall’acquisto di un appartamento a Nea Smirni: e là lo colgono le emottisi e le scambia per i segni di un tumore. Amalia Fleming, la grande amica inglese della democrazia greca, che sarà la prima moglie di Andreas Papandreu, venuta a saperlo, provvede al suo trasferimento in un sanatorio londinese, dove viene accertata la tubercolosi; e di lì un altro amico greco, pneumologo, lo conduce in patria presso un istituto situato tra le più salubri pinete del Pendeli. Pur ammalato, cerca di allestire a distanza la messa in scena del “Fratello morto” con l’ attore-impresario Manos Katrαkis (lo ritroveremo tra le voci di 'Αξιον Εστί) e il regista Pelos Katsεlis, che non riesce tuttavia a “iniziare” alla propria visione dell’opera. Il regista vuole farne un dramma contemporaneo; l’autore vorrebbe invece che si svolgesse in una zona intermedia tra il realistico e il fantastico, sottolineato anche dai costumi e dal trucco degli strumentisti e dei cantanti. In un disperato tentativo di correggere la rotta, una sortita dal sanatorio fino al Teatro Kalouta si risolve in una scenata sgradevole con Katrakis. L’occasione di imprimere al teatro drammatico la svolta sognata è perduta.

La rappresentazione si svolge nell’ Ottobre del 1962. Alcuni critici approvano, ma presto si chiudono in un inquietante silenzio: l’atmosfera politica che si crea intorno al dramma e alla musica che comincia a circolare su disco è pesantissima. Theodorakis, rievocando quei tempi, non esita a usare le parole “lapidazione” e “terrorismo” ideologico”. L’ EDA (la Sinistra Democratica), proprio il suo Partito, giunge a proibire ai militanti di assistere alle rappresentazioni; e il suo giornale, Αυγή (Aurora) nel quale lavora il fratello Yannis, non scrive neppure una riga. Katrakis, che alterna crisi di furore e crisi di depressione, gli rinfaccia: “Sei nel mirino della Polizia e dello Stato e i tuoi ti proibiscono”. “E non c’era nulla da replicare”, ricorda Theodorakis, il quale si sentiva come il toro nell’arena quando, debilitato dai colpi ricevuti, è pronto per la spada del matador. La spada cala puntuale su Katrakis, che deve sparire inseguito da un’incriminazione per i debiti contratti. In quattro mesi il sogno di rinnovare il teatro greco è svanito; e anche l’Arcangelo deve ripiegare le sue ali. L’atmosfera politica è torbida, sono tornati a circolare i brutti ceffi del Παρακράτος, la mano illegale della polizia, che nel Maggio successivo eliminerà il deputato dell’ EDA Grigoris Lambrakis. Nonostante il rospo disgustoso che i suoi compagni gli hanno propinato, non può permettersi di restare isolato. Non c’è proprio da scherzare. Restano però le canzoni: Το όνειρο ("Il sogno"), Ενα δειλινό("Una sera"), Τον Πάυλο και τον Νικολιό ("Paolo e Nicola"), Στα περβόλια ( “Sta pervolia”)...semente per un raccolto futuro, si spera.




Il video ricostruisce la vicenda umana e politica di Grigoris Lambrakis, il deputato pacifista di sinistra assassinato il 22 maggio 1963 a Salonicco. Nel video le celebri immagini della "Marcia per la Pace" da Atene a Maratona, i cui partecipanti furono tutti arrestati dalla polizia. Tranne Lambrakis, protetto dall'immunità parlamentare, che la percorse da solo.


L' Αξιον Εστί venne eseguito per la prima volta nel Marzo del 1964 nel Teatro REX della capitale. La scelta delle parti da musicare e le idee musicali erano già pronte alla fine del 1962, e spesso Theodorakis si metteva al pianoforte per far ascoltare agli amici la nuova musica. C’era però ancora da fare tutto il lavoro artistico di orchestrazione e quello organizzativo, per trovare l’orchestra, il coro, le voci, e convincere la riluttante Columbia a provvedere all’edizione discografica. E c’erano ancora dei dubbi, soprattutto quello relativo all’accoglimento di una nuova e strana “cosa” da parte di un pubblico ormai molto ben disposto, anzi in adorazione per il suo nuovo musicista, delle creazioni del quale aveva imparato però ad amare lo spirito popolare. Come avrebbe preso un Oratorio in grande parte sinfonico? Ma quella era l’opera che Mikis desiderava concludere, e quello e non altro era il pubblico cui l’artista desiderava rivolgersi. E poi c’era la salute. E poi c’era la politica: nella primavera del 1963, Mikis era tornato suo malgrado a “visitare” una cella della polizia. Fu quando Grigoris Lambrakis organizzò la marcia della pace da Maratona ad Atene. Tutti i partecipanti furono dispersi e taluni, tra cui il musicista, arrestati. Solo Lambrakis, essendo deputato, non potè essere toccato, in quell’occasione. E tutti coloro che sono della generazione di chi scrive hanno negli occhi la fotografia di Lambrakis mentre percorre da solo il tracciato della marcia reggendo sulle braccia spalancate lo striscione col nome della patria e il simbolo della pace [Si veda il video sopra, CCG/AWS Staff]. Circa un mese dopo, il 22 Maggio a Salonicco, gli venne preparato l’agguato, sotto forma di incidente stradale, che lo eliminò dalla scena. Tutti ricordiamo la ricostruzione dell’assassinio di Lambrakis/Montand nel film “Z” di Kosta-Gavras.




Dal film Z, l'orgia del potere di Costa-Gavras (1969) con Yves Montand, Jean-Louis Trintignant, Irene Papas.

Theodorakis, di fronte alla sfida, dovette intensificare l’impegno politico con la costruzione del Movimento della Gioventù Lambrakis, e, verso la fine dell’anno, con la candidatura per la sostituzione alla Βουλή del deputato assassinato. La sua ormai grande notorietà rendeva probabile la sua elezione nel popolare II collegio del Pireo, quello del deputato ucciso. E così sarebbe avvenuto, nel marzo 1964, proprio in coincidenza con la prima dell’ Αξιον Εστί.
Il problema del pubblico fu affrontato intelligentemente, pur nella ristrettezza di tempo. Mikis aveva già messo in piedi, l’anno precedente, la Piccola Orchestra di Atene, sinfonica, e la condusse a suonare per la gente più semplice, gente, lui dice, “assetata di bellezza e verità”. Fu così che la preparò all’evento, utilizzando la propria produzione sinfonica, in particolare quella scritta per il pubblico elevato delle rappresentazioni dei classici a Epidauro. Funzionò. E intanto già preparava le canzoni di Πολιτεία Β’ ("Città n° 2"), che sarebbero uscite l’anno dopo, con pezzi ormai classici come Οι μοιραῖοι ("I rassegnati") e Η μπαλάντα του Αντρίκου ("La ballata di Andreuccio") su testi di Kostas Varnalis (Κώστας Βάρναλης); Γωνιά γωνιά ("Di angolo in angolo") e Βραδιάζει ("Si fa sera)" di Hristodoulou; Στράτα τη στράτα ("Una strada dopo l’altra") di Nikos Gatsos.

Sorvoliamo su molte delle difficoltà organizzative, ma ricordiamo almeno quella della Casa Discografica, la Columbia, che paventava il “flop *15 e, costretta alla fine da minacce legali, mise a disposizione il meno possibile per una buona incisione: sicché la prima edizione fu un collage un po’ difettoso di pezzi eseguiti in tempi e sedi differenti. Ενα τὸ χελιδώνι ("Unica è la rondine") fu incisa in mezzo al brusio di una classe scolastica in visita agli studi e in proposito Theodorakis scrive: “ Magari non si sente, ma io so che in quella musica ci sono anche il respiro e il battito del cuore di quei bambini”. (Theodorakis ha dedicato molta della sua musica ai bambini). Quanto ai difetti tecnici, la prendeva con filosofia: “Il pubblico - diceva - non ascolta con le orecchie; ascolta con la fantasia. Se ne ha”. Elytis seguiva l’allestimento passo a passo. Il cantante solista - ovviamente Grigòris Bithikòtsis -, i quattro musicisti degli strumenti popolari, la Piccola Orchestra di Atene erano già a disposizione. Per il coro si offrì Talia Vizandiou. Il salmista, Thodoros Dimitrief fu scovato nel coro dell’ “Aiace” in preparazione a Epidauro. Il lettore fu ancora lo sfortunato Katrakis delle peripezie del “Fratello Morto”.
D’accordo con Elytis fu deciso di inserire nel disco anche le “Letture”, che sono in prosa. Entrambi gli autori volevano che le generazioni future ricevessero come un Vangelo le moderne Passioni della gente greca: l’Albania, la Resistenza, la Guerra Civile.

La prima copia dell’incisione fu fatta ascoltare alla “élite” intellettuale che si incontrava al circolo Flokas: il consiglio fu di non andare avanti, perché la gente si sarebbe messa a ridere. La fiducia di Elytis nelle capacità di Theodorakis ne fu parecchio scossa. Il musicista non si arrese, e fece comporre anche la copertina del disco da Yannis Tsarouhis, il quale invece apprezzava quanto aveva ascoltato.
Nel pieno della tempesta elettorale si passò alle prove per l’esecuzione dal vivo dell' 'Αξιον Εστί al Teatro REX. La candidatura di Theodorakis inquietava i musicisti. L’amico Bithikotsis lo aveva implorato di non farlo: “Perderai quello che di genuino c’è in te”. Altri temevano per le loro carriere, non volevano essere coinvolti nelle imprese di un sovversivo. Qualcuno, pur amando la musica del maestro, si spostò sulla riva politica opposta e prese a odiarlo. Filosoficamente Theodorakis commenta: “Io continuo a credere che fosse l’odio dell’amore”.
L’esecuzione, affrontata da tutti, in primo luogo da Elytis, con i nervi a fior di pelle, andò abbastanza bene; ma l’accoglienza non fu così calda come ci si aspettava. Il vero successo l’avrebbe dato il disco, che cominciò a circolare subito dopo la rappresentazione.

Concludiamo annotando due diversi tipi di reazione ricordati da Theodorakis.
Il primo ministro Yorgos Papandreou gli scrisse: “Cosa degna (“άξιον”) il tuo 'Αξιον Εστί. Ma è indegno (“ανάξιον”) che tu appartenga a quello schieramento che nega la Libertà, alla quale vai inneggiando”.
Per l’altra reazione, traduciamo la testimonianza di Theodorakis:
“Mi trovo nell’autunno del 1964 a Serres *16 per un concerto. I soldati di leva in coda davanti al teatro non hanno i soldi per il biglietto. Io dico: “Che entrino tutti”. Si intromette il funzionario del fisco, istigato dagli agenti di pubblica sicurezza: “Bisogna che paghino la tassa”. “Li conti, che pago io” gli rispondo. In quel momento, davanti alla rivendita dei dischi, che era collocata di fronte al teatro, vedo formarsi una lunga coda. “Di che si tratta ?” chiedo. “E’ arrivato il disco dell’ 'Αξιον Εστί ”. Fui molto contento. Allora in fondo vedo che si mette in coda un paesano insieme al suo mulo. Che strano, mi avvicino. “Compare, gli dico, perché sei qui in coda ? Cosa vendono in quella bottega ?” Sta a guardarmi un po’ dall’alto in basso, alla fine si decide a parlarmi. Evidentemente, temeva che fossi uno della polizia. “Abbiamo saputo al paese che oggi arrivava a Serres l’ 'Αξιον Εστί e il paese mi ha mandato a comprare il disco...” . “Ah, gli rispondo, grazie dell’informazione”. E pensai in quel momento: “Ci sarà qualcos’altro di più significativo da fare nella tua vita ?...Chissà che questo non sia il culmine...”

Non era il culmine dell’opera di Theodorakis, ma, certamente, era la fine di un periodo. Gli anni seguenti sarebbero andati a precipizio verso un’altra Passione della gente greca e dei suoi artisti. Ma sarà un altro discorso. E un’altra musica.

CCG/AWS Staff - Ελληνικό Τμήμα - 17/1/2010 - 22:50


NOTE E BIBLIOGRAFIA
di Gian Piero Testa


aksest


[1] Una versione italiana completa dell' 'Αξιον Εστί, quella di Mario Vitti, è agevolmente reperibile tra i Nobel delle edizioni UTET.


  • [2] Elytis si prestò tre volte ad assumere la direzione dei programmi radiofonici nazionali, ma li lasciò sempre dopo pochi mesi, infastidito dal ruolo di dirigente e dalle conseguenti beghe. Si impegnò invece nella Associazione degli scrittori.


  • [3] Le sette scuri rappresentavano i sette reparti militari che avevano strappato Candia ai Veneziani.


  • [4] Αλεπούς, plurale αλεπούδες, è in greco moderno la volpe (per il classsico ἄλωπηξ


  • [5]V. nota bibliografica. Ampi frammenti del componimento di Gatsos furono musicati da Manos Hatzikakis, ed. Syrios.


  • [6] Si calcola che i morti per fame e stenti durante l’occupazione siano stati 300.000; piu di 100.000 i giustiziati o periti nelle rappresaglie; circa 80.000 gli Ebrei di Salonicco spariti nei “campi”. Questo in un Paese di circa 5-6 milioni di abitanti. La comunità sefardita di Salonicco fu una delle più popolose e vitali dei Balcani, anche perché nei primi periodi del loro dominio gli Ottomani avevano disposto che in quella fondamentale città la comunità cristiana non dovesse mai più essere maggioritaria.


  • [7] La Giunta dei Colonnelli (1967-1974) offrì una pensione onorifica ad Elytis, che il poeta rifiutò: aveva d’altra parte aderito alla direttiva dell’Associazione degli scrittori di non pubblicare nulla in patria fino al ripristino della democrazia.


  • [8] In realtà, non fu Metaxàs a usare l’espressione OXI (NO), che fu invece ideata e diffusa dalla stampa. All’ambasciatore italiano Grazzi, Metaxas disse: “Dunque questo significa la guerra”. Tanto gli dispiacque, che di lì a non molto morì.


  • [9]Tripolis, nel Peloponneso, era nella zona di competenza italiana; mentre Atene in quella tedesca; anche se sull’Acropoli si alzavano alternativamente le bandiera hitleriana e il tricolore sabaudo. Una notte, però, due bravi greci, Manolis Glezos e Alekos Sandos, fecero sparire quella con la svastica.


  • [10] La strage di Meligalàs è ovviamente stata, ed è, un cavallo di battaglia dell’estrema destra, che se ne è appropriata al punto che, dopo la caduta della Giunta, i governanti greci presero atto di non poter più presenziare alle cerimonie ufficiali. La citiamo perché le nefandezze, se tali sono, non devono essere taciute, pur se portino la firma di un eroe della Resistenza come Aris Velouhiotis, la cui barbuta testa, dopo il suo suicidio, fu presto esibita dalla Gendarmeria nazionale sulla piazza di Trikala, conficcata su di una baionetta. Bene farebbe la destra a citare anche quelle commesse dalla sua parte, e a non tentare di posticipare la cronologia del fatto, per trasformarlo in un episodio della successiva guerra civile, trattandosi invece di un regolamento di conti alla fine di una spietata occupazione straniera: orribile, comunque, perché perpetrato, non solo contro chi l’aveva fattivamente sostenuta, ma anche contro chi, in un modo o nell’altro gli era stato intrinseco. Per un’ idea approssimativa del clima di quel periodo, si legga il testo della canzone Το μοιρολόϊ του Bασίλη, inviata da Riccardo Venturi e tradotta da me.


  • [11] Come appare più probabile, considerando la dinamica degli avvenimenti e il fatto che la prima sparatoria fu effettuata su di una folla perfettamente disarmata.


  • [12] Μάγγας, da cui l’aggettivo μάγγικο, indica, come ρεμπέτης se maschio e ρεμπέτησσα se femmina, la persona irregolare, che preferisce il gioco, il divertimento, la musica, il ballo, l’ hashish, le donne (o gli uomini) ecc. al lavoro alla casa e alla famiglia. Modestissimo il rispetto di costoro per ogni autorità. Le baraccopoli e i quartieri poveri sorti intorno alle principali città (e che le resero popolose) dopo la tragedia anatolica e lo spostamento dei Greci dell’Asia Minore nella antica madrepatria pullulavano di “manghes”. La musica greca, con il genere ρεμπέτικο (Rebetico), deve moltissimo ai “manghes”. Come, del resto, il jazz, il tango, il fado ai manghes di casa loro.


  • [13] I Mavrogenis, ricca famiglia di armatori di Paros, tra Sette e Ottocento furono generosi verso i loro isolani; e la fontana da loro donata ai concittadini è intesa da Elytis come simbolo di virtù civica. La bellissima Mandò Mavrogeni mise a disposizione la flotta di famiglia per combattere i Turchi. Lo stesso fece Laskarina Bubulina di Spetses che, però, era un po’ meno bella.


  • [14] Elytis utilizza anche una “mitologia” personale, con nomi di luoghi, di donne (spesso ricorre quello di Marina o di Elèni), di episodi a lui occorsi (es. il delfino alle ore undici), ecc. cui conferisce un carattere di universalità.


  • [15] E sbagliava. Theodorakis annota che nella sua carriera lui stesso ha guadagnato di più con Axion Estì che con le canzoni di più facile consumo.


  • [16] Serres (Σἐρρες), all’estremo nord della Grecia.


  • Riferimenti bibliografici


  • Ὀδυσσέα Ἐλύτη Το Ἄξιον Ἐστί . Ἴκαρος Ἐκδοτικὴ Ἑταιρία, Ἀθήνα 1959 (per questo articolo l’ edizione utilizzata è la 17°, 1996)

  • Odisseo Elytis, a cura di Mario Vitti. Collana Scrittori del Mondo: i Nobel. UTET, Torino 1989 (con le traduzioni di Προσανατολισμοί, di Ἥλιος ὁ Πρῶτος, di Ἇσμα ἡροϊκό [...] e di Ἄξιον Ἐστί).

  • Odisseo Elytis: Il giardino entrava nel mare (Poesie dal 1940 al 1946), a cura di Massimo Cazzulo e prefazione di Ioulita Iliopoùlou. Argo, Lecce, 2004

  • AA.VV.: Antologia della poesia greca contemporanea. A cura di Filippo Maria Pontani con introduzione di Maurizio de Rosa. Crocetti Editore, Milano, 2004


  • Ringrazio la signora Margarita Theodoraki, di Atene, che gentilmente mi ha inviato in dono i seguenti volumi di suo padre Mikis Theodorakis, utilissimi per la cronologia storica e delle opere:

  • Mikis Theodorakis: La casa con gli scorpioni. Introduzione e traduzione di Crescenzo Sangiglio. Argo, Lecce 2007 (con la traduzione dei brani musicati di Το Τραγούδι του Νεκρού Αδελφού).

  • Μίκη Θεοδωράκη: Μελοποιήμενη Ποίηση. Τόμος Α’. Τραγούδια. “ὕψιλον Βιβλία”, Αθήνα 1997 (per questo articolo l’edizione utilizzata è la 2°, 2003)

  • Ghiannis Ritsos: Epitafios e Makronissos. Traduzione di Nicola Crocetti. Guanda, Parma, 1970 (con la traduzione integrale di Επιτάφιος. Il volume non compare nel catalogo corrente ).


  • Nota: su testi di Elytis ho rintracciato nel sito greco stixoi.info e tradotte tutte, eccetto alcune cui avevano già provveduto altri volonterosi, più di un centinaio di “canzoni” (v., sotto, la nota discografica).
    Per raggiungerle, i percorsi possono essere i seguenti:

    A) Per raggiungere solo mie traduzioni:


  • 1) In Home page: selezionare Ανά μεταφραστή
  • ,

  • 2) Cliccare sul numero (delle traduzioni inviate) nella colonna a destra di "Gian Piero Testa"


  • 3) Scorrrere quindi le pagine dei passi o canzoni in traduzione. Per integrare le informazioni sul brano (fornite in lingua greca), cliccare sulla bandierina ellenica.


  • B) Per raggiungere altre traduzioni italiane, il percorso più consigliabile è il seguente:


  • 1) In Home Page selezionare Ανά στιχουργό/ ποιητή e scegliere la lettera iniziale dell’autore prescelto


  • 2) cliccare sul nome dell’Autore dei testi, es: Ελυτης Οδυσσεας, per aprire tutti i testi presenti di Elytis. Alla traduzione si accede cliccando sulla bandierina italiana ( o su quella di altri paesi, se si voglia accedere a traduzioni in altre lingue). Il sito richiede in minimo di familiarità con l’alfabeto greco; ma è abbastanza lineare, poiché evita ogni caratteristica commerciale (niente pubblicità, banner, link indesiderati, ecc.). Se si dispone del titolo in greco, si può cercare, dalla Home Page, scegliendo Αλφαβετικά.


  • Riferimenti discografici.


    a) Album musicali solo su testi di Elytis:

  • Θεοδωράκης, Μίκης: Μικρές Κυκλάδες, 1963

  • Θεοδωράκης, Μίκης: Το Ἀξιον Εστί, 1964

  • Μαβρουδής, Νότης: Ἀσμα Ηροϊκό και Πένθιμο για τον Ανθυπολοχαγό χαμένο στην Αλβανία, 1968

  • Μαρκόπουλος, Γιάννης: Ήλιος ο Πρώτος, 1969

  • Κόκοτος, Λίνος: Το θαλασσινό τριφίλι, 1972

  • Τρανουδάκης, Μιχάλης: Η ποδηλάτισσα 1979

  • Θεοδωράκης, Μίκης: Το Romancero Gitano του Φεντερίκο Γκαρθία Λόρκα, μετ. O. Ελύτης, 1979

  • Λάγιος, Δημήτρης: Ο ήλιος ο ηλιάτωρας, 1983

  • Ανδριόπουλος, Ιλιάς: Προσανατολισμοί, 1984

  • Θεοδωράκης, Μίκης: Αντάγιο για το Μονόγραμμα, lettura di Mikis Theodorakis e Ioulita Iliopoulou, 1999


  • b) Brani musicali in album con altri autori:

  • Θεοδωράκης, Μίκης : Ανάμεσα Σύρο και Τζία (in Αρχιπέλαγος, 1960)

  • Παπαδημητρίου, Δημήτρης, Το παράπονο, Σου το 'πα για τα σύννεφα, 'Ολα τα πήρε το καλοκαίρι, Ο Αγαμέμνων (in Τραγούδια για τους μήνες, 1996)

  • Οχρά, Σπυροχέτη: Το τραγούδι της Μαρίας-Νεφέλης (in Δεύτερος Δίσκος, 2002)

  • Βενετσάνου, Νένα: Ο που ξέρει ελληνικά (in Καφέ Γκρέκο, 2003)

  • Σκαμνάκης, Αντώνης: Τα όσα η μοίρα μου έγραφε (in O γητευτής και ο δρακοδόντης , 2005)

  • Μπακιργής, Αργυρής : Η τρελή ρωδιά (in Το πέρασμά σου, 2007)

  • Αδαμόπουλος, Ανδρέας: Μικρή πράσινη θάλασσα (non rintracciato l’album)

  • Βενετσάνου, Νένα: Μαγισσάκι (non rintracciato l’album)


  • Gli album e le canzoni sono in gran parte scaricabili (legalmente) dal sito: www.music-bazaar.com

    CCG/AWS Staff - Ελληνικό Τμήμα - 3/2/2010 - 23:14


    Trovato il video della edizione completa di To Axion Estì, del 1977, ma eseguita con gli stessi interpreti della prima, del 1964. Mi sembra un buon documento:

    Gian Piero Testa - 31/10/2011 - 00:32


    All'anima se è un buon documento, Gian Piero!

    Riccardo Venturi - 31/10/2011 - 18:22


    Ben tornato Riccardo! Anch'io sono tornato per un poco al mio Axion Estì, perché la settimana scorsa mi hanno dato l'occasione di parlarne al mio vecchio Liceo Classico "Volta" di Como, nella stessa aula magna dove più di mezzo secolo fa sostenni gli orali della maturità: la stessa estate in cui Elytis chiedeva a Theodorakis di mettergli in musica un po' del suo To Axion Estì. Ma chi li conosceva, allora, quei due...Rovistando nei miei materiali, ho scoperto che la mia traduzione qui postata - che ha ben tredici anni - richiederebbe alcune rettifiche: so che ti sono penose; ma nei prossimi giorni ti chiederò di farle. E così ho anche trovato questo video, comparso da poco tempo in You Tube. Io certamente apprezzo la versione con Yorgos Dalaras, che ha circolato di più, e anche quella - niente male - con Yannis Kotsiras, che sono più energiche e brillanti della prima del 1964, con Bithikotsis. Ma questa ha entrambi i pregi, di mostrarci i primissimi interpreti, ancora in forma, e di essersi ripulita di quel che di un po' strascicato aveva l'originale, specie nel coro finale, per far sentire (troppo) la cadenza popolare. Qui si vedono Grigoris Bithikotsis come cantore delle Odi, il salmista Koloumbis e l'"anaghnostis", il lettore, che fu attore di cinema e di teatro e fiero antifascista: il grande Manos Katrakis.Sono d'accordo,Riccardo: axion estì.
    Avverto che, andando alla pagina di You Tube e cliccando su "Mostra tutto", si possono ascoltare i brani separatamente, il che è un bel vantaggio.

    Gian Piero Testa - 1/11/2011 - 09:57


    Ho usato delle parentesi acute e il linguaggio della pagina ha fatto sparire le parole interposte. Volevo dire di cliccare su "Mostra tutto": si apre una finestra da cui si accede al brano desiderato.

    Gian Piero Testa - 1/11/2011 - 10:23


    La traversata del Mar di Theodorakis giunge quasi al termine e approda alla sua isola principale: l'Axion Estí. Και 'Αξιον Εστί να ξαναπολυτονίζουμε, come del resto, a suo tempo, era stato preannunciato nell'introduzione. Adesso questo testo fondamentale non tanto per questo miserrimo sito, ma per la letteratura e per la musica greca e di tutti i paesi, è nella sua forma originale. Riprendiamo quindi il mare per compiere l'ultimo tratto del viaggio.

    Riccardo Venturi / Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ - 11/6/2012 - 16:22


    NOTA ALLA TRADUZIONE (INTEGRAZIONE)

    Mi sono imbattuto (in Kithara) nel testo del canto tradizionale sul capomastro di Arta, cui allude la canzone 4), Ἕνα τὸ χελιδόνι/Unica è la rondine. La trascrivo come l'ho trovata; poi verrà la traduzione: il titolo è "Της Άρτας το γιοφύρι/Il ponte di Arta".

    Της Άρτας το γιοφύρι

    Παραδοσιακό
    Μουσική/Στίχοι: Παραδοσιακό
    Αποστολέας: υποκλοπέας
    Στάλθηκε: 26-07-2004
    (12 ψήφοι)

    Σαράντα πέντε μάστοροι κι εξήντα μαθητάδες
    γιοφύριν εθεμέλιωναν στης Άρτας το ποτάμι

    Ολημερίς το χτίζανε, το βράδυ εγκρεμιζόταν
    Μοιρολογούν οι μάστορες και κλαιν οι μαθητάδες

    Αλίμονο στους κόπους μας, κρίμα στις δούλεψές μας
    ολημερίς να χτίζουμε, το βράδυ να γκρεμιέται

    Πουλάκι εδιάβη κι έκατσεν, αντίκρυ στο ποτάμι
    δεν εκελάηδε σαν πουλί, μηδέ σα χελιδόνι
    παρά εκελάηδε κι έλεγε ανθρώπινη λαλίτσα

    Άν δε στοιχειώσετε άνθρωπο, γιοφύρι δε στεριώνει
    και μη στοιχειώσετε ορφανό, μη ξένο, μη διαβάτη
    παρά του πρωτομάστορα την όμορφη γυναίκα
    που έρχεται αργά τ' αποταχύ και πάρωρα το γιόμα

    Τ' άκουσ' ο πρωτομάστορας και του θανάτου πέφτει
    Πιάνει, μηνάει της λυγερής με το πουλί τ' αηδόνι
    Αργά ντυθεί, αργά αλλαχτεί, αργά να πάει το γιόμα
    αργά να πάει να διαβεί της Άρτας το γιοφύρι

    Και το πουλί παράκουσε κι αλλιώς επήγε κι είπε
    Γοργά ντύσου, γοργά άλλαξε, γοργά να πας το γιόμα
    γοργά να πας και να διαβείς της Άρτας το γιοφύρι

    Να τηνε κι εμφανίστηκε από την άσπρη στράτα
    Την είδ' ο πρωτομάστορας, ραγίζεται η καρδιά του
    Από μακριά τους χαιρετά κι από κοντά τους λέει

    Γεια σας χαρά σας μάστοροι και σεις οι μαθητάδες
    μα τι έχει ο πρωτομάστορας και είναι βαργομισμένος
    Το δαχτυλίδι του 'πεσε στην πρώτη την καμάρα
    και ποιος να μπει και ποιος να βγει, το δαχτυλίδι να 'βρει

    Μάστορα, μην πικρένεσαι κι εγώ να πά' σ' το φέρω
    εγώ να μπω, εγώ να βγω, το δαχτυλίδι να 'βρω

    Μηδέ καλά κατέβηκε, μηδέ στη μέση πήγε
    Τράβα καλέ μ' τον άλυσο, τράβα την αλυσίδα
    τι όλον κόσμο ανάγειρα και τίποτα δεν βρήκα

    Ένας πηχάει με το μυστρί κι άλλος με τον ασβέστη
    παίρνει κι ο πρωτομάστορας και ρίχνει μέγα λίθο

    Αλίμονο στη μοίρα μας, κρίμα στο ριζικό μας
    Τρεις αδερφάδες ήμαστε κι οι τρεις κακογραμμένες
    Η μια 'χτισε το Δούναβη κι η άλλη τον Αφράτη
    κι εγώ η πιο στερνότερη της Άρτας το γιοφύρι

    Ως τρέμει το καρυόφυλλο, να τρέμει το γιοφύρι
    κι ως τρέμουν τα δεντρόφυλλα, να πέφτουν οι διαβάτες
    Κόρη, το λόγον άλλαξε κι άλλη κατάρα δώσε
    που 'χεις μονάκριβο αδελφό, μη λάχει και περάσει

    Κι αυτή το λόγον άλλαξε κι άλλη κατάρα δίνει
    Αν τρέμουν τ' άγρια βουνά, να τρέμει το γιοφύρι
    κι αν πέφτουν τ' άγρια πουλιά, να πέφτουν οι διαβάτες
    'τί έχω αδερφό στην ξενιτιά, μη λάχει και περάσει.

    Gian Piero Testa - 14/7/2012 - 10:01


    Da notare che il buon Atli Harðarson ha tradotto in islandese anche parecchie parti dell'Axion Estì. Qui abbiamo trovato il Testa islandese, che si potrebbe rendere con "Jóhannes Petur Höfuðsson". Come si chiamava tuo padre di nome, Gian Piero, che ti islandizzo con tanto di patronimico...?

    Riccardo Venturi - 8/11/2012 - 13:01


    Ti carichi di un guaio: si chiamava nientemeno che Baldassarre (nella radice c'é il dio Belo, o Baal, credo), e lo festeggiavamo alla Befana, insieme ai Re Magi. Mia madre, poverina, non sapendo come chiamarlo, aveva estratto tre lettere da tanto nome, e lo chiamava Sar.
    Oggi Mikis compie gli anni: 87, e scende ancora in piazza.

    Gian Piero Testa - 8/11/2012 - 13:41


    Nessun problema: in islandese, il nome Balþasar esiste, seppur sia raro ("þ", detto thorn, è il theta islandese). Quindi preparati a diventare Jóhannes Petur Balþasarson. Niente "Testa"; in Islanda, come sai, i cognomi non esistono e si procede solo per patronimici (tua sorella si sarebbe chiamata "Balþasarsdóttir"). Il tuo omologo islandese, Atli Harðarson, è figlio di un tale "Harður"; quindi, alla lettera, si chiama "Attila figlio del Duro". Ora bisognerà quindi declinarti per intero; alle circa sessantacinque declinazioni dell'islandese non si sfugge (non scherzo, sono circa sessantacinque per davvero).

    - Nominativo: Jóhannes Petur Balþasarson
    - Genitivo: Jóhannesar Peturs Balþasarsonar
    - Dativo: Jóhannes Petri Balþasarsyni
    - Accusativo: Jóhannes Petur Balþasarson


    Per la cronaca, come si evince anche da una certa cosa liberamente scaricabile, io sarei "Rikarður V. Albertsson".

    Riccardo Venturi - 8/11/2012 - 14:37


    Grazie, Riccardo, ne farò ottimo e intenso uso, specialmente al genitivo e magari imitando Alessandro che a ogni cambio di stagione indossa un nome nuovo. Petur mi va benissimo: il problema è questa lettera þ, che dovrei ogni volta copiare e incollare da questa pagina. Ero sicuro che tra Baal e gli Islandesi non fosse mai corso, non dico buon sangue, ma proprio nessun sangue: e invece mi devo ricredere. Baal è grande.

    Gian Piero Testa - 8/11/2012 - 21:47


    Una rettifica: oggi Mikis non compie gli anni, ma è il suo onomastico. Auguri lo stesso.

    Gian Piero Testa - 8/11/2012 - 21:50


    Augurissimi a Mikis anche da parte mia; e ti do una dritta. Per fare la "þ" basta digitare ALT + 208 sul tastierino numerico. Per la maiuscola "Þ", ALT + 232. Ti saluto col magnifico saluto islandese: vertu blessaður og sæll "sii benedetto e beato" (di solito abbreviato in bless).

    Riccardo Venturi - 8/11/2012 - 22:58


    Bless, e ancora bless a te e a tutti i nobili cavalieri di AWS. Vi blesso di cuore tutti davvero, Jóhannes Petur Balþasarson. E, του χρόνου, tutti in Islanda, a trovare Attila.

    Gian Piero Testa - 8/11/2012 - 23:18


    Scusate se mi intrometto, ma a me il codice ASCII del þorn minuscolo risulta essere 231; quindi per richiamarlo ALT 231; ALT 232 per richiamare il maiuscolo, Þ.
    Mentre con ALT 208 si richiama l'eth o edh, ð, con ALT 209 l'edh maiuscola, Ð.

    Scusatemi ancora e una buona giornata ad entrambi :)

    (giorgio)

    Verissimo, ho confidato troppo nella mia memoria! (rv)

    9/11/2012 - 08:26


    Purtroppo io non combino nulla con le combinazioni di tastiera, perché per risparmiare, quando comperai il mac mini, continuai a usare la tastiera del PC che era nuova, e non sempre le due cose vanno d'accordo.

    Gian Piero Testa - 9/11/2012 - 11:28


    C'è qualche ragione per cui le regole delle enclitiche in questo caso non sono rispettate?

    22/4/2015 - 23:54


    Per prima cosa, quando spedisci un commento, dovresti firmarti (non importa se col tuo nome o con un nickname; ma non amiamo i commenti anonimi). Poi dovresti chiarire che cosa intendi con "regole delle enclitiche"; puo' anche darsi che il testo abbia bisogno di una revisione, ma dovresti segnalare i casi in cui, a tuo parere, ci sarebbe bisogno di intervenire. Saluti.

    CCG/AWS Staff - 23/4/2015 - 19:58


    Ἄξιόν Ἐστί.

    Premesso che la maggioranza vince (ma non è detto che abbia sempre ragione), premesso che si tratti di una formula greca antica (se fosse greco moderno vedremmo scritto άξιο είναι - axio ine, però non lo vediamo scritto così in quanto "arcaismo" stile δόξα τω θεώ), premesso che le regole parlano chiaro, vedasi D. Marucco-E. Ricci, Grammata, vol I, Ed. Cremonese, IIa 1986, pag. 17, paragrafo 31,2, mi domando perché ci si ostini ad accentare in tal modo, anche se da Demostene ci separa qualche anno, ma sempre di greco antico si tratta (a meno che in greco moderno ἐστίν non abbia recentemente soppiantato είναι, ma non credo).

    Spiegazione autoschediatica:

    I Greci moderni non concepiscono parole (che non siano monosillabi) prive di un proprio accento, indi le addomesticano, anzi LA addonesticano - dato che non ci sono altri esempi simili - accentando ἐστί e togliendo il secondo accento su Ἄξιον, disattendendo le regole (nel caso in cui ne avessero contezza) per accontentare l'occhio. Naturalmente con i monosillabi il problema non si pone, vedasi l'innocuo Paràthyrò sou con due accenti acuti.
    Spiegazioni glottologicamente più convincenti saranno ben accolte, anzi è proprio questa la ragione per cui scrivo qui. Grazie.
    PS: Pietro Giannini (Uni. Salento e Uni. Urbino) ipotizza qualche regola sorta a fine Ottocento e mi invita a reperire grammatiche greche moderne di fine Ottocento in inglese, ma non mi sono ancora prodigato nella ricerca.

    Vasiloukos - 30/8/2015 - 15:44


    Gentile Vasiloukos,

    Se ho ben capito, Lei contestava la mancanza del doppio accento (Ἄξιόν Ἐστί) richiesto dalle regole sulle enclitiche richieste per l'accentazione classica tritonica che qui abbiamo usato in quanto usate da Elytis nella sua pubblicazione originale.

    Premesso che le regole dell'accentazione greca, sia classica che moderna, sono ben chiare a chi ha redatto questa pagina (uno è il sottoscritto, e l'altro è il purtroppo scomparso Gian Piero Testa), e che ad entrambi era chiarissimo che in greco moderno standard si sarebbe detto άξιο είναι (ma non credo che Elytis avrebbe mai intitolato così la sua composizione...) nonché che -più che di un semplice "arcaismo" si tratta di un espressione (come del resto anche δόξα τω θεώ che Lei nomina) di origine biblico-evangelica, La prego di credere che, per il titolo, siamo stati effettivamente un po' incerti.

    Riportato sempre in tutte maiuscole (ΤΟ ΑΞΙΟΝ ΕΣΤΙ) sia sui frontespizi, sia nel corpo del testo, e quindi senza la presenza di accenti grafici, ci siamo qui forse fatti...prendere la mano dalle redazioni monotoniche, dove il titolo in minuscole appare effettivamente come Άξιον Εστί. Riportando il tutto al sistema tritonico e all'accentazione classica, è vero, ci siamo dimenticati di quel piccolo secondo accento richiesto dalle famose regole sulle enclitiche; poiché il titolo è, in questa pagina, in minuscole, lo ripristiniamo con la sua corretta accentazione classica (anche nel solo caso in cui compare nel corpo del testo, ma sempre come titolo parziale).

    Per quanto riguarda il resto, non sono a conoscenza, sinceramente, delle ipotesi del prof. Pietro Giannini; ma potrei quasi con sicurezza dirle che "grammatiche greche moderne di fine Ottocento in inglese" non esistono. La prima grammatica del greco moderno demotico in lingua inglese sembra essere "A Grammar of Modern Greek on a Phonetic Basis" di Julian T. Pring, pubblicata a Oxford nel 1950 (che ho in possesso nella sua edizione originale). Sempre in mio possesso sono i due volumetti (in tedesco) di Johannes E. Kalitsounakis e Albert Thumb, uno dedicato alla lingua ufficiale (la katharevousa) e uno alla lingua demotica pubblicati nella venerabile Sammlung Göschen rispettivamente nel 1927 e nel 1928 (del Thumb ho anche una traduzione inglese dell' "editio maior", "A Handbook of the Modern Greek Language", pubblicato dalla Argonaut Press di Chicago nel 1964). Posseggo anche l'edizione del 1921 della "Grammaire du Grec Moderne" di Hubert Pernot, e ho sfogliato appositamente per Lei anche la sterminata bibliografia contenuta in "The Modern Greek Language" di Peter Mackridge (Oxford University Press, 1982), dalla quale proprio non risulta nessuna "grammatica greca moderna di fine Ottocento" redatta in lingua inglese (delle quali, credo, avrebbero parlato senz'altro anche lo Jannaris e, soprattutto, lo Hatzidakis, le cui opere sono pure in mio possesso personale).

    Naturalmente, lo ribadisco, potrei avere non ben capito o equivocato il senso del Suo intervento, e sono sempre a disposizione per chiarimenti; l'unica cosa che Le posso dire con certezza è che, se fosse stata presente una qualche "grammatica greca moderna di fine Ottocento in inglese", o la avrei avuta nella mia biblioteca, o ne sarei comunque stato a conoscenza. Cosa della quale potrà ovviamente informare anche il prof. Pietro Giannini, che saluto con deferenza sebbene non abbia il piacere di conoscerlo personalmente. Cordiali saluti e a risentirci spero presto.

    Riccardo Venturi - Ελληνικό Τμήμα των ΑΠΤ "Gian Piero Testa" - 31/8/2015 - 04:38


    Grazie per la dettagliata risposta. Sì oltre alla mancanza del doppio accento mi stupisco della "mancata assenza" di accentazione in esti che preferirei totalmente orfano di accento. Per giustificare questa mancata assenza mi ero inventato la spiegazione di cui sopra, da considerarsi appunto autoschediastica. Quindi ἐστι senza l'ombra di accento sarebbe stupendo, come ἂνθρωποί τινες, con τινες senza accento.
    Mi chiedevo, a questo punto psicologicamente più che linguisticamente, perché ai Greci moderni non desse affatto fastidio il "moncherino di dativo" in δόξα τω θεώ e in λόγω (causa o gratia del latino), mentre avessero ed abbiano tuttora antipatia nei confronti di una parola greca antica priva di accento in quanto formante unità con la parola precedente.
    Non era un appunto alla Vostra ortografia, era un pretesto per contestare l'ortografia dei Greci moderni, mi pare che Theodorakis stesso scriva come avete fatto Voi quindi sarà giusto, desideravo sapere perché fosse giusto e non sbagliato. Anche qualora Voi NON aveste usato il tritonico qui! Un esempio: non conosco il latino, desidero pubblicare un libro in italiano dove - per darmi un certo tono - desidero disseminare frasette in latino. Sono quindi tenuto a scrivere correttamente o potrei permettermi di scrivere "Dei gratias" o "in vinum veritas" o "ipse dixistit"? Allo stesso modo i "Greci moderni monotonici", quando usano una frase in greco antico, pur preconfezionata dai secoli della tradizione, dovrebbero combattere contro la loro sensibilità (la quale, suppongo, preveda la presenza di accento qualora la parola ecceda il monosillabo) e sforzarsi di scrivere ἂξιόν ἐστι (con due acuti seguita da zero accenti; non possiedo i caratteri greci e mi scuso). Però dal momento che usano questa espressione dovrebbero "piegarsi" a mettere gli accenti nel modo classico (avvantaggiati addirittura dal fatto che qui non è richiesto il circonflesso, ma solo l'acuto, quindi nella enorme sfortuna sarebbero anche fortunatissimi!), altrimenti dovrebbero ripudiare anche il moncherino di dativo rinunciando all'omega finale in Doxa to theò, per prendere le distanze (se proprio lo desiderano ardentemente!) dalla lingua dei loro padri, ripiegando su δόξα στο Θεό con solo due omicron. La mia domanda (la mia critica) non si limitava al Vostro sito, dove in questo caso presentate il tritonico come l'originale, ma a tutti Greci, Mikis compreso, i quali usano il monotonico. Io rispetto questa scelta, ma essi dovrebbero fare un'ECCEZIONE quando decidono di usare espressioni che NON sono greche moderne, così come io mi sforzerò di scrivere In vino veritas e non In vinum veristas, come invece gradirei in quanto la um finale al mio orecchio renderebbe il tutto più latineggiante (vedasi il manzoniano "latinorum"). Ammettiamo che io non conosca la differenza tra i vari casi del latino, però almeno, a pappagallo, sono in grado di scopiazzare In vinO veritas, quindi perché i Greci moderni monotonici non sono in grado di scopiazzare l'àxiòn esti di Demostene o del vocabolario di Montanari?

    31/8/2015 - 11:32


    Peccato che gli utenti del sito non possano modificare il proprio testo, Vi prego di introdurre questa funzione; oltre a correggere errori che noto solo dopo aver cliccato OK, avrei aggiunto, come sintesi estrema (e senza aspirare a voler insegnare il greco ai greci perché propio non ne avrei l'autorevolezza, questo sia chiaro, quindi niente hybris da parte mia): è mai possibile che a nussun greco, anche ai più acculturati, non sia mai venuto in mente di mettere in dubbio la grafia vulgata àxion estì? ecco questo è l'interrogativo che mi logora, forse più del necessario. Grazie.

    Vasiloukos - 31/8/2015 - 12:18


    Ta pathi: moira con l'acuto è nell'originale?

    andrea - 27/8/2018 - 12:32


    Riprendendo il discorso di tre anni fa (sono ancora distolto da Marcia Spirituale ma ritaglio un po' di tempo per una trouvaille) e pur ricusando ostinatamente ogni giustificazione per i "tenores" sciaguratamente e pervicacemente applicati dai Greci Moderni (compresi i viri docti) a questo inclito titolo (è greco antico: so und Schluss!), azzardo un'ipotesi - a scopo di puro esercizio retorico - sulle pur irricevibili motivazioni che hanno generato questo ircocervo ortografico (meglio, strabografico): a differenza dei presunti avi (Demostene e colleghi) i Greci contemporanei non osano porre due acuti su Άξιον perché lo pronunciano come BIsillabo, a causa della consonantizzazione di iota - peraltro ben attestata in Pindaro e confermata dalla metrica, ma mai riguardante il nostro aggettivo. Tale consonantizzazione rappresenta uno dei fenomeni fonetici che gli antichi raggruppavano senza distinzioni nell'espressione "sinèresi".

    Vasiloukos - 15/9/2018 - 23:47


    Riccardo Venturi - 31/3/2020 - 19:00




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