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Il fumo degli anni '70

Franco Fosca
Lingua: Italiano


Franco Fosca

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[2006/07]
Testo e musica di Franco Fosca
Da "Ballate di Fine Inverno"
Fosca - Bernardo - Santese


"Un disco di ballate. E, anche, un disco gratis, da scaricare. Un disco di ballate belle, coinvolgenti e, per me, legate ad un periodo della mia vita che, in qualche modo, non passa, non riesce a passare, non passa mai e che, adesso, grazie a queste canzoni torna a bussare, con dolcezza. A dire che quel che eravamo, siamo. Una manciata di ballate nato al "Vicolo dei musici", a Roma. Ci sono stato più d'una volta, al "Vicolo", e anche se queste me le sono perse, adesso - grazie al cielo - le ritrovo. Nostalgia e speranza, certo, ma anche "fortuna e gloria"!
Non sono, di solito, troppo prodigo di parole, ma stavolta mi viene ancora meno d'aggiungere altro, ché continuo ad ascoltarmele e riascoltarmele, queste canzoni.
Scaricatevele, ascoltatele, leggetene i testi e riascoltate le canzoni. Poi leggetevi la storia del disco, e tutto il resto, sugli autori, sulle canzoni. E poi, ogni tanto, tornate sul sito, ché magari potrà capitare di trovare qualche nuova 'vecchia' gemma." -
Francesco Senia




Storia anomala di un disco anomalo

Non è facile scrivere qualcosa su Ballate di fine inverno. Il suo concepimento, la sua registrazione e addirittura la sua stampa sono avvenute in maniera assolutamente casuale, quasi “per sbaglio”. Non c'è stato nessun progetto discografico dietro, non c'è stato uno studio o un piano. Non è stato realizzato per uno scopo preciso. E' nato perché voleva nascere e noi lo abbiamo assecondato. Più che di un disco, potremmo parlare con più esattezza di una cena tra amici con un microfono al centro del tavolo. Sia chiaro: una cena delle nostre, con amici come i nostri, ma pur sempre uno spensierato incontro tra persone che si vogliono bene. La discografia è molto lontana da questa storia. Si tratta di un “disco”, è vero, ma questo è dovuto solo alla sua forma rotonda e non bisogna farsi ingannare. La faccenda, infatti, è un po' più complicata.

Per capire come tutto questo sia stato possibile è necessario fare un lungo passo indietro, tornando alle sue origini. Per chi vorrà conoscere questi fatti sappiate che c'è un po' da leggere, in caso contrario non morirà nessuno, neanche noi. E come nei peggiori romanzi, la storia è questa...

All'inizio del 2004, in una via nel rione monti, a Roma, c'era un piccolo locale che si chiamava “Vicolo dei Musici” ma che tutti conoscevano con il nome di Folkosteria. Era un posto con qualche tavolaccio di legno e vino a buon prezzo. Non era un locale come gli altri; alla folkosteria ci andava solo certa gente. Non era raro incontrarci musicisti di tutti i tipi, che andavano la solo per suonare assieme ad altri. Ne uscivano fuori serate incredibili, di pura musica suonata “alla irlandese”, tra i tavoli, che andavano avanti fino a quando Dariush, il famoso vignettista che viveva proprio al piano di sopra, non si incazzava perché voleva andare a dormire. Allora si sbaraccava tutto e si tornava a casa con una sensazione strana, con l'idea che la musica può essere, molto semplicemente, una meravigliosa magia alla portata di tutti, fatta con strumenti semplici, tra la gente e con la gente. Una magia che passava di persona in persona, quando tu proponevi una cosa e quello che avevi vicino – che neanche sapevi come si chiamava – ti diceva “allora senti questa” e così via, con uno scambio fraterno tra i tavoli e le sedie. Forse assomigliava un po' all'improvvisazione jazz, ma era fatta con canzoni d'autore o con pezzi scritti da chi si trovava in quelle cricche create dal caso e diverse ogni sera. Ho una gigantesca nostalgia di quel posto, che a molti sarà sembrata più una bettola che non un'enoteca o giù di lì. La folkosteria non avrebbe visto la fine di quella primavera, perché chiuse di colpo alla metà di Giugno. Conobbi Franco Fosca una sera di Gennaio di quell'anno, nello stesso momento in cui entrai per la prima volta là dentro. Franco faceva il direttore artistico di quel posto e io stavo là coi miei rein. Suonammo davanti a lui e a pochi altri: era una prova per vedere se si potevano fare delle serate. Rimasi sconcertato nel vederlo così attento a quello che facevamo. Ero abituato a suonare nell'indifferenza, di fronte a gente annoiata, spesso passiva. Erano anni complicati. Franco invece era là, inchiodato a soppesare ogni nota e ogni parola. Era là che amava il suo simile per il fatto che gli stava raccontando qualcosa, per il fatto che gli stava togliendo la sete di conoscere e di capire il suo prossimo. Avevamo quasi trent'anni di differenza, ma la cosa era risultata da subito irrilevante. Fu un punto di svolta. Buona parte dello spirito delle Ballate di Fine Inverno nacque probabilmente allora e si sviluppò nei mesi successivi, che ci videro spesso tra quelle meravigliose mura.

Con Giovanni ci conoscemmo in quelle settimane. Andavamo alla stessa università, a San Paolo. Lui mi fece sentire delle canzoni che aveva scritto e io feci lo stesso. Passammo così molti pomeriggi. Un giorno, quasi per scherzo, registrammo una sessione dal vivo di queste canzoni. Mi sembra fossero qualcosa come 14 brani. Fu là che avemmo l'idea di fare un disco. Coi rein stavo ancora registrando già da tempo il primo album e devo dire che eravamo un po' in alto mare. L'attrezzatura, tuttavia, c'era e ne potevo disporre anche con Giovanni. Ci mettemmo un po' d'accordo e iniziammo a lavorare alle canzoni con un entusiasmo e una semplicità che due anni di registrazioni stagnanti col mio gruppo mi avevano completamente fatto scordare. Avevamo previsto qualche mese di lavoro, dal momento che si trattava di pezzi acustici, senza batteria. Mai previsione fu tanto sbagliata. In breve ci ritrovammo con un nuovo mostro di cui si vedeva a malapena l'inizio, figuriamoci la fine. Non ce ne preoccupammo troppo: era un lavoro fatto con leggerezza, quasi per scherzo ed era un periodo lieto, pieno di prospettive. Andava bene comunque, insomma. Registrammo tre, quattro pezzi.

La mia amicizia con Giovanni ebbe presto nuove evoluzioni. All'università conoscemmo un ragazzo che faceva il DAMS e che, come noi, suonava. Sto parlando di Gianluca Gabrieli. Iniziammo a confrontarci su molte cose e ci accorgemmo che eravamo d'accordo su tanti punti, specie quando si trattava di rifiutare la miseria in cui la nuova leva di autori e musicisti era costretta a vivere, schiacciata dall'atteggiamento del mercato e di chi aveva proprio il compito di facilitare l'espressione culturale. Fu durante queste lunghe chiacchierate al bar dell'università che nacque un progetto che avrebbe accompagnato in tutto e per tutto le Ballate. In Aprile, infatti, decidemmo di fondare il Fronte Popolare per la Musica Libera. Io e Gianluca avevamo vent'anni, Giovanni ventuno. Stabilimmo che la parola d'ordine dovesse essere “L'arte non è una merce!” Franco Fosca aderì al FPML pochi giorni dopo.

Uno dei primi progetti che decidemmo di realizzare con il FPML fu quello di dare alle stampe, con i mezzi che avevamo, una compilation che raccogliesse i gruppi e gli artisti che avevano aderito in quelle prime settimane. Giovanni ebbe l'idea di chiamarla “liberalarte!” e in pochissimo tempo il cd fu pronto, con i suoi sette brani. Io avevo scritto da poco una canzone, che era stata registrata per il disco con Giovanni e che avevo chiamato “caro amore”, lui ci inserì “un grido”, Franco un altro brano che era “la bandiera”. “Liberalarte!” può essere giustamente considerato come il primo nucleo delle Ballate. Il disco andò bene e ne dovemmo fare tre ristampe, perché ogni volta finivano le copie. I mesi si susseguivano e tutti i progetti seminati in quel periodo turbolento crescevano rigogliosi.

Passò un anno. Il disco-incubo dei rein finalmente uscì e il lavoro-scherzo con Giovanni poté proseguire con più tranquillità. Procedeva con un'andatura tutta sua: magari un mese lavoravi molto, poi per due mesi non si toccava una traccia. Anche in questo caso questo fatto non ci preoccupava più di tanto; era un progetto “leggero”, a tempo perso e poco importava se per un po' si fermava. Il Fronte, invece, cresceva enormemente e con sorprendente costanza. A quel tempo nasceva la radio libera e tutti noi venivamo a sapere dell'esistenza delle Creative Commons, quel nuovo modo di pubblicare le proprie opere, liberandole e rendendole distribuibili, masterizzabili e scaricabili, sposandone apertamente la causa. Erano mesi passati a parlare per ore con Roberto Tupone, nell'ufficio del Linux Club, uno dei più grandi laboratori culturali degli ultimi anni, a mio modesto giudizio. Gran parte dei discorsi fatti a Via Libetta sarebbero confluiti nello schema di idee che avrebbe sorretto le Ballate, aggiungendo così un nuovo tassello ad un progetto molto fumoso, ma che in realtà stava maturando nell'ombra, con il passare delle settimane, senza che ce ne accorgessimo davvero. Il primo disco che pubblicammo con il nuovo sistema delle Creative Commons fu la compilation “Liberalarte!2”, che vide la luce grazie ai fondi raccolti durante le serate del FPML e all'aiuto del Linux Club. Ancora una volta eravamo finiti tutti e tre sullo stesso Cd, aggiungendo, in questo giro, le tematiche del copyleft che ci avevano definitivamente conquistato. Era il Luglio del 2005. Riuscimmo a tenere il prezzo di questo lavoro a 4 euro, inserendo così anche una chiara provocazione verso i signori del mercato e facilitandone enormemente la vendita, dal momento che era accessibile a tutti. Anche il basso prezzo entrava così in pianta stabile nel nostro patrimonio, diventando in tutto e per tutto uno dei principali strumenti di cui ci stavamo dotando. Le Ballate avrebbero seguito in tutto e per tutto la linea editoriale di “Liberalarte!2”.

Il disco con Giovanni proseguiva, tra titoli improbabili e canzoni che finivano dritti dritti nel nuovo disco dei rein, uscendo dallo “scherzo” con il mio amico (Est e Caro Amore, finite ora nell'ep “Est!”, erano nate per le future Ballate!), Verso la fine del 2005 il lavoro, così come lo avevamo pensato un anno prima, era praticamente finito già da parecchi mesi, ma mancava il colpo risolutivo per chiudere questo percorso che non riuscivamo ad imprimere mai.

Una sera, però, ci incontrammo e decidemmo che era giunto il momento di dare una svolta definitiva a queste 15 canzoni a cui avevamo lavorato assieme a tanti altri amici (col tempo la cricca si era accresciuta!). Fu allora che pensammo di coinvolgere Franco, inserendolo proprio all'ultimo momento e innalzando decisamente le pretese del progetto. Ci conoscevamo da quasi due anni e, a dire la verità, bastò una telefonata. Se c'è una cosa che non puoi negare a quel gran Signore che è Franco Fosca è l'entusiasmo: accettò subito. In breve tempo si organizzò una sortita risolutiva fuori Roma, per attaccare una volta per tutte le tante tracce registrate, dandogli finalmente un senso, facendone, infine, un vero e proprio disco. Lo “scherzo” detto altrimenti, subì una seria svolta.

Partimmo alla fine dell'inverno del 2006. Questa circostanza diede il titolo al disco. Pierluigi trasportò noi e tutto lo studio co la sua leggendaria fiesta (chi conosce i rein sa di cosa parlo!) nel cuore dei Monti Lepini, a Sud di Roma, in un meraviglioso paesino quale è Carpineto Romano. Gli alberi erano nudi per l'inverno trascorso, ma in controluce si potevano già vedere le gemme dei germogli. Il vento era freddo, poco sotto i mille metri. Per una settimana vivemmo in una vecchia stalla ristrutturata, persa nei boschi, vicino ad un maneggio di alcuni amici di Franco. Avevamo tre chitarre acustiche, un camino per scaldarci (che è finito nelle registrazioni con i suoi scoppiettii) e le ballate. Senza scadere in inutili sentimentalismi devo dire che fu un periodo breve ma indimenticabile. Tutte le immagini di quella casa e di quel bosco sono rimaste indissolubilmente nel ricordo, legato a doppio nodo col suono delle Ballate. Ci sono dei momenti in cui ti senti vivo. Per me, allora, fu così.

Registravamo dalla mattina alla sera. Ci venivano a trovare un sacco di amici da Roma, quasi sempre legati al FPML e con loro aggiungevamo altre tracce. Furono realizzate le nuove canzoni di Franco, che sono quelle più recenti e probabilmente registrate meglio, grazie anche ad un'attrezzatura che con il tempo era decisamente migliorata e vennero sistemate quelle già pronte, tra cui comparivano incisioni ormai vecchie di due anni. Tanto era trascorso dall'inizio di quello che stava diventando – vera meraviglia! - un disco a tutti gli effetti. In sette giorni le Ballate furono pronte. Erano 19 tracce, più una vecchia registrazione di Franco che si chiama “Giordano”, fatta nel '99 e dedicata a Giordano Bruno.

Fino all'ultimo momento delle registrazioni non sapevamo quale sarebbe stato il destino di quelle canzoni. Non pensavamo davvero alla stampa di un disco come tutti gli altri. Si parlava di masterizzarlo e di regalarlo a qualche amico, tanto per farci due risate. Ci eravamo divertiti suonando, stando assieme, ma non lo avevamo fatto pensando al futuro di quel lavoro, ma solo godendo del piacere di farlo. E' il discorso della “cena” tra amici, a cui vi accennavo prima. L'idea di concretizzò durante il missaggio, che realizzammo da noi in parte a Carpineto e in parte a Roma. Eravamo troppo contenti del lavoro per tenerlo in un cassetto. Quando fai qualcosa che ti piace prima ne godi tu, poi muori dalla voglia di farlo sentire agli altri; è una sorta di malattia contagiosa. Contattammo Roberto Tupone del Linux Club, spiegandogli come avremmo certamente voluto pubblicare il disco con il copyleft e lui ci aiutò con la stampa, coinvolgendo l'associazione. Gli altri soldi li mettemmo noi, in buona parte Franco, devo dire. In poche settimane nacque il progetto finale, così come è stato realizzato, sfruttando come copertina un autoscatto pensato da Giovanni nel casale di Caripineto.

Alla metà di Aprile, una mattina, mi citofonò un corriere. Scesi in strada e trovai un grande scatolone che conteneva le 500 copie della stampa del disco. Lo “scherzo” alla fine, aveva generato, senza volerlo, un vero cd.

Ne è nato un lavoro di 20 brani, edito con le licenze Creative Commons e liberalmente scaricabile, distribuibile e masterizzabile. Riuscimmo a tenere il prezzo a 5 Euro, inserendo anche il libretto con i testi e pagando il costosissimo bollino SIAE, necessario per poter stampare con macchine industriali, in cd-audio (un cd originale a tutti gli effetti, per intenderci) e per restare legali.

Le Ballate non saranno mai presentate dal vivo, di fronte a un pubblico. Non si è mai tenuto un concerto con tutti e tre i suoi autori con l'intenzione di promuovere il cd. Nonostante questo, ad oggi, ne sono rimaste poche copie. Nessuno di noi si è mai seriamente impegnato per divulgare questo lavoro. Le Ballate si sono promosse “da sole”, se così si può dire, stupendoci ancora per un'ultima volta, attraverso passa parola e l'affetto dei tanti amici.

Lo scopo di questo sito è quello di offrire a tutti, liberamente, il frutto di questa vicenda, raccogliendo qui il materiale che ha orbitato attorno alla sua realizzazione, confidando in quella sua intrinseca capacità di autosostentamento che ha dimostrato in questo anno di vita. Le ballate sono di tutti. Le regaliamo volentieri a chi vorrà e a chi verrà, sperando che possano suscitare quelle emozioni che con tanta semplicità e disinteresse abbiamo provato a calare in queste venti piccole storie. Le Ballate hanno ricevuto elogi inaspettati e sorprendenti e critiche spietate, quasi infastidite. Sono state pubblicate due recensioni molto diverse tra loro, recuperabili su questo sito, e Jonathan Giustini di Radio Città Futura a Roma ha realizzato uno speciale del suo programma su questo lavoro, intervistando Franco e Giovanni nel Febbraio del 2007. E pensare che Jonathan le ha scoperte per sbaglio, cercano qua e la per la rete e recuperando la prima versione di questo sito. Lui lo ha trovato per sbaglio. Noi, per sbaglio, lo abbiamo realizzato.

Gianluca Bernardo - Roma, Marzo 2007.

Il fumo degli anni 70 aveva lo stesso colore del mare
da solo nella mia stanza pensavo vorrei navigare
mi tormentavo i capelli che mio padre mi costringeva a tagliare
credevo in Jimi Hendrix e in un vecchio giradischi che funzionava male.

L’Italia a ferro e fuoco sull’orlo della guerra civile
le bombe di Savona le grandi manifestazioni
mio padre mi regalò una chitarra una sera d’aprile
io la presi in mano come se fosse un fucile.

In un giorno di primavera scappai da casa di mio padre
ingoiai una piramide dove vivevano le fate
insieme ad un amico con le braccia rovinate
mentre la grande madre luna schiudeva le porte della nostra estate.

E poi giù negli anni 70 l’autostop sulle strade,
piazze colorate, odore di donna
lunghe notti d’estate nudi quasi senza vergogna
notti d’inverno incantate sognando l’India e la California.

Centomila corpi magri sotto masse di capelli
umili come rettili audaci come uccelli
dalle bianche sabbie del sud alle bianche nebbie del nord
tra Marx e Castaneda e i fumetti di Alan Ford.

Però poi ti guardavi intorno e mancava sempre qualcuno
cadevano tutti quanti si ritiravano ad uno ad uno
sotto i colpi dell’eroina sotto i colpi della polizia
e chi risucchiato indietro nell’esofago enorme della borghesia.

Venne il ’77 che ne sapevamo noi del punk
c’era ancora Carter presidente la mitica Persia dello Shaa
e noi eravamo in Italia la dolce Italia delle vacanze
noi sporchi buttati per terra con le nostre chitarre e le nostre speranze.

Passarono dieci anni, dieci anni in un momento
come un castello di carte spazzato via dal vento
e c’è chi ha seppellito i sogni in fondo alla memoria
e c’è chi ha strappato quelle pagine dal libro della storia.

inviata da Riccardo Venturi - 8/6/2008 - 14:48



Lingua: Italiano

Versione alternativa dall'archivio Franco Fosca
Il fumo degli anni settanta era color azzurro mare
seduto nella mia stanza mi ripetevo devo scappare
mi tormentavo i capelli che mio padre mi costringeva a tagliare
avevo una foto di Jimi Hendrix e un vecchio giradischi
che funzionava male

l’Italia era a ferro e fuoco, era sull’orlo di una guerra civile
le bombe di Savona le grandi manifestazioni
mio padre mi regalò una chitarra una sera di aprile
ricordo che la presi in mano come se fosse un fucile

scappai da casa di mio padre ed era un giorno di primavera
presi il mio primo acido, conobbi le sirene della sera
insieme ad un ragazzo, un giovane corsaro
coi denti rovinati, un grande cuore dolce, dietro un sorriso amaro

Non avevo nessun biglietto da timbrare
solo un timido raggio di luna da scalare
e poi giù negli anni settanta l'autostop sulle autostrade piazze colorate, odore di donna
lunghe notte d'estate nudi quasi senza vergogna
notti di inverno incantate sognando l'India e la California

Centomila corpi magri sotto masse di capelli
umili come rettili audaci come uccelli
dalle bianche steppe del sud alle bianche nebbie del nord
tra Marx e Castaneda tra Tex Willer e Alan Ford.

Però poi ti guardavi intorno e cadeva sempre qualcuno
mancavano all'appello si ritiravano ad uno ad uno
chi ucciso dell’eroina chi ucciso della polizia
e chi risucchiato indietro nell’esofago enorme della borghesia.

Oggi Attilio non ha una buona cera
pare che l'altra sera abbia colto la prima pera
Venne il ’77 molto lontano il punk
Jimi Carter presidente la mitica Persia dello Shaa
e noi eravamo in Italia la dolce Italia delle vacanze
noi sporchi buttati per terra con le nostre chitarre e le nostre speranze.

Passarono dieci anni, dieci anni in un momento
come un castello di carte spazzato via dal vento
qualcuno ha seppellito i sogni in fondo alla memoria
qualcun altro ha strappato quelle pagine dal libro della storia.

E a tutti i fratelli caduti sul sentiero
io dedico questo pensiero
I wish you were here

inviata da Dq82 - 4/9/2019 - 15:37




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