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La morte del disertore

Ascanio Celestini
Lingua: Italiano


Ascanio Celestini

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Ascanio Celestini - La morte del disertore


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[2007]
Testo e musica di Ascanio Celestini
Da: "Parole sante", album premiato con il Premio Ciampi 2007 come "Miglior debutto discografico dell'anno"

Parole Sante



Ci sono due palazzi.

Uno è il centro commerciale con la sua bella insegna, il tetto iperbolico e le vetrate lucide che lo fanno sembrare un autogrill da superstrada per Marte. L'altro, un parallelepipedo dritto pensato da qualche geometra con le coliche è il call center. Uno è fatto per essere guardato e infatti lo vedono tutti. L'altro è invisibile un po' perché non fa piacere vederlo, un po' perché il gemello sgargiante che gli sta accanto si prende tutta l'attenzione. Però si fa sentire. Ci parli al telefono quando ti chiama a casa per venderti un aspirapolvere o un nuovo piano tariffario. Ci parli quando chiami il numero verde scritto sull'etichetta di una bevanda gassata o un assorbente interno. Accanto ai gemelli di cemento armato ci passa la strada e intorno ci sta la borgata. Affianco alla borgata ci sta la città, o forse è il contrario. E in mezzo ci si muove il popolo.

Il popolo che è un bambino.

Si arrabbia per le ingiustizie, si commuove davanti al dolore, si illude e si innamora. Poi spenge la televisione e va a dormire sereno. Il popolo lavora, guadagna e spende. L'hanno convinto che l'economia funziona così. Bisogna far girare la ruota. Ma poi tra i neon del centro commerciale e i telefoni del call center qualcuno smette di girare. Forse è solo il bruco che esce dal buco, il cadavere che prova a resuscitarsi da solo. Forse è il ladro e si rende conto che non basta rubare ai ladri per pareggiare i conti. E infatti è un collettivo di lavoratori, ma è anche un pezzo di popolo. Christian dice "abbiamo incominciato perché non avevamo niente da perdere". Maurizio dice "quel posto è come il Titanic. Il transatlantico affonda e i passeggeri fanno finta di niente. Ma noi non affonderemo cantando".

Parole sante!






Recensione di Andrea Turetta da babylonbus.org

"Parole sante" di Ascanio Celestini è, semplicemente, un solido album d’autore. Il suo è un esordio all’insegna della qualità dove lo stesso Celestini, noto finora soprattutto come attore teatrale, ci serve degli “schizzi” di attualità… ci presenta pezzi che parlano di chi spesso non ha voce: di precari, di persone che sono state ricoverate nei manicomi, di gente qualunque che però non si adagia su quello che la società gli pone sul piatto.

Ascanio Celestini ci porta racconti di tristi situazioni che riguardano il nostro Paese. I suoi testi si dimostrano all’altezza della situazione e dobbiamo augurarci di poterlo ascoltare ancora in veste di musicista oltre che di attore, visto che le sue canzoni sono di quelle che potrebbero essere destinate a lasciare traccia. Quantomeno, spero che la critica se ne accorga come successo al Premio Ciampi dove il suo è stato definito come il miglior debutto discografico dell’anno.

Considerato uno dei maggiori talenti letterari e teatrali dell’ultima generazione, ASCANIO CELESTINI, dimostra di saperci fare anche con la musica e le canzoni. “Parole Sante” (dal titolo dell’omonimo documentario recentemente presentato alla Festa del Cinema di Roma) segna il suo esordio ufficiale come cantante. La sua capacità di affabulazione, l’innato ritmo vocale e l’inconfondibile piglio satirico risplendono in un disco che si riallaccia alla migliore tradizione della canzone d’autore italiana e alla grande scuola di Gaber e De Andrè, fotografando con straordinaria vividezza la realtà contemporanea, fra precariato dilagante e terrorismo: “...questo posto è come il Titanic. Il transatlantico affonda e i passeggeri fanno finta di niente. Ma noi non affonderemo cantando!”
Se io fossi morto io non potrei
fermarmi al semaforo rosso
se fosse verde non ripartirei
direi "sono morto, mi dispiace, non posso"
se io fossi morto io non potrei
pagare il conto al ristorante
se io fossi morto io non potrei
vestirmi sudicio vestirmi elegante
se io fossi morto io non potrei
essere un gentile cliente
se io fossi morto non sarei molto
se io fossi morto non sarei niente

Se io fossi morto io non potrei
restare in bilico e poi cadere
se io fossi morto io non starei
seduto comodo sul mio sedere
soffiarmi il naso in mezzo alla faccia
a grattarmi i diti in fondo alle braccia
se io fossi morto io non potrei
seguire le masse
pagare le tasse
se io fossi morto io non sarei
un elettore un contribuente
se io fossi morto non sarei molto
se io fossi morto non sarei niente

Se fossi morto io non potrei
piangere sul latte versato
se fossi morto io non potrei
sputare nel piatto in cui ho mangiato
se fossi morto io non potrei
guardare in bocca al caval donato
se fossi morto io non potrei
veder piovere sul bagnato
se fossi morto io non potrei
sapere che buon sangue non mente
se io fossi morto non sarei molto
se io fossi morto non sarei niente

Se fossi morto io non potrei
alimentare le mie illusioni
se fossi morto io non vedrei
i morti accatastati come mattoni
e benedetti a reti unificate
dai loro stessi assassini
il cuore stitico spesso produce
una diarrea di parole
se io fossi morto per fargli torto
io puzzerei in modo irriverente
se io fossi morto non sarei molto
se io fossi morto non sarei niente

Se fossi morto io non potrei
scegliere dove farmi seppellire
preferirei lassù in montagna
sotto l'ombra del famoso fiore
e tutti quelli che passeranno
e diranno oggi è morto un disertore
che non si dica che sono crepato
per dio, la patria o la ragion di stato
io morirei più semplicemente
come un pacifico nullafacente
e poi da morto non sarei più molto
e poi da morto non sarei più niente

Pure noi giocavamo alla guerra
pure noi con le frecce e con l'arco
pure noi strillavamo "t'ammazzo!"
Però noi morivamo per scherzo.

inviata da adriana & daniela -k.d.- - 23/12/2007 - 15:32



Lingua: Francese

Version française – LA MORT DU DÉSERTEUR – Marco Valdo M.I. – 2009
Chanson italienne – La Morte del Disertore – Ascanio Celestini – 2007

Tiens, dit l'âne Lucien en se secouant pour faire glisser la pluie d'entre ses oreilles, voilà encore un déserteur.

Et bien oui, dit Marco Valdo M.I. en souriant, en voici encore un. Mais par ces temps guerriers, où ceux qui n'ont que le mot paix à la bouche envoient plein de soldats massacrer les gens d'ailleurs, un déserteur de plus n'est pas de trop. Et si je n'ai rien oublié de ceux dont nous avons déjà parlé, j'en compte au moins trois : celui de Boris Vian, à la place d'honneur, celui de Jerrinez et celui de Dachau Express, notre ami Joseph-Giuseppe Porcu, pour qui nous fîmes 24 canzones. Et j'en oublie peut-être...

Oui, tu en oublies..., dit l'âne Lucien. Au moins un. Celui-ci, celui d'aujourd'hui, celui de Celestini...

Tu as raison, mon ami l'âne,. Mais procédons... Je veux dire avançons. Souviens-toi... Il y a des distinctions à faire entre tous nos déserteurs – tous admirables cependant du simple fait d'être déserteurs.
Le premier, celui de Vian, est un déserteur qui s'annonce; en somme, un déserteur qui anticipe, il va être déserteur. Celui de Jerrinez est passé à l'acte, il a déserté. Joseph, comme tu t'en souviens, en est sorti vivant et a tenu encore 64 ans.

Et celui-ci, celui d'aujourd'hui, celui de Celestini..., demande Lucien l'âne en tremblant de tous ses membres comme les jeunes pousses de blé sous le vent du printemps, quel est donc son destin ?

Lui, mon ami Lucien, lui, Celui-ci, celui d'aujourd'hui, celui de Celestini... Il est mort et les enfants chantent et jouent.

Oh, je déteste cette idée, dit Lucien l'âne au cœur tendre.

Comme je te comprends... dit Marco Valdo M.I. avec tendresse. Mais avant de conclure, mon cher Lucien aux naseaux luisants comme les lucioles un soir d'été en haut de l'Abetone, il y a dans le dernier couplet une allusion, qui pour toi comme pour moi et pour bien des Italiens – ne peut passer inaperçue... Mais qui pour les amis d'ailleurs, qui n'ont pas chanté des dizaines de fois « Bella Ciao » ou qui l'ont seulement fredonnée cette chanson sans en connaître véritablement le texte, est peut-être invisible.

Voici le passage :
« Si j'étais mort, je ne pourrais
Choisir où me faire enterrer
Je préfèrerais là-haut sur la montagne
À l'ombre de la belle fleur
Que tous ceux qui passeront
Et diront aujourd'hui est mort un déserteur
Ne disent pas que je suis crevé
Pour Dieu, pour la Patrie ou pour la raison d'État
Je mourrai tout simplement
Comme un pacifique fainéant.
Et puis mort, je ne serai pas grand chose
Et puis mort, je ne serai plus rien. »

Par parenthèse, pour ses deux derniers vers, on croirait entendre Albert Camus, tu sais celui de Combat, qui après la mort ne voyait ni Dieu, ni néant, ni rien. Rigoureusement rien. Admirable lucidité. Chanson lumineuse, tout aussi bien.

Mais revenons à Bella Ciao... Rappelle-toi : le partisan mort demande à être enterré, là-haut sur la montagne et voit y pousser une belle fleur... Et les gens qui passeront, diront... Et là, à cet endroit-là exactement (de la chanson), le déserteur prend toute sa dimension, toute sa liberté d'homme pacifique qui est pour n'avoir pas voulu participer de la connerie ambiante. C'est du moins ainsi qu'il apparaît.

Oui, oui, dit Lucien l'âne en frappant le sol d'un coup sec du sabot arrière gauche. Oui, oui, c'est bien ainsi : s'éloigner de la connerie ambiante, se tenir à l'écart, en dehors, ne pas ajouter le massacre au massacre, ne pas ajouter des tueurs de paix aux tueurs de paix déjà sur place... Il y en a qui devraient y penser, parfois. Car comme disait ton professeur de morale, au temps où tu allais encore à l'école, quand on joue au con, on finit toujours par gagner... En attendant, crois-moi, mon ami Marco Valdo M.I., tissons le linceul de ce vieux monde cacochyme en putréfaction.

Ainsi Parlaient Marco Valdo M.I. et Lucien l'âne.
LA MORT DU DÉSERTEUR


Si j'étais mort, je ne pourrais pas
M'arrêter au feu rouge
Au vert, je ne repartirais pas
Je dirais : « Je suis mort, excusez-moi, je ne peux pas! »
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Payer la note au restaurant
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
M'habiller mal, me vêtir élégamment
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Être un gentil client
Si j'étais mort, je ne serais pas grand chose
Si j'étais mort, je ne serais plus rien.

Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Rester en équilibre et puis tomber
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Être assis tranquille sur mon cul
À me moucher le nez au milieu de la figure
À me gratter des doigts au bout de mes bras
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Suivre les masses
Payer les taxes
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Être un électeur, un contribuable
Si j'étais mort, je ne serais pas grand chose
Si j'étais mort, je ne serais plus rien.

Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Pleurer le lait renversé
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Cracher dans le plat où j'ai mangé
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Regarder dans la bouche du cheval donné
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Voir pleuvoir sur mon étang
Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Savoir que bon sang jamais ne ment
Si j'étais mort, je ne serais pas grand chose
Si j'étais mort, je ne serais plus rien.


Si j'étais mort, je ne pourrais pas
Nourrir mes illusions excentriques
Si j'étais mort, je ne verrais pas
Les morts entassés comme des briques
Et bénis dans un même lot
Par leurs propres assassins
Le cœur sec souvent produit
Une diarrhée de mots
Si j'étais mort, pour leur faire tort
Je puerais de façon irrévérencieuse
Si j'étais mort, je ne serais pas grand chose
Si j'étais mort, je ne serais plus rien.

Si j'étais mort, je ne pourrais
Choisir où me faire enterrer
Je préfèrerais là-haut sur la montagne
À l'ombre de la belle fleur
Que tous ceux qui passeront
Et diront aujourd'hui est mort un déserteur
Ne disent pas que je suis crevé
Pour Dieu, pour la Patrie ou pour la raison d'État
Je mourrai tout simplement
Comme un pacifique fainéant.
Et puis mort, je ne serai pas grand chose
Et puis mort, je ne serai plus rien.

Mais nous nous jouons à la guerre
Mais nous, avec des arcs et des flèches
Mais nous, nous crions « Je te tue ! »
Mais nous mourrons pour rire.

inviata da Marco Valdo M.I. - 4/12/2009 - 23:21




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